di Arnaldo Éderle
Qualche giorno fa, Ennio Abate, durante una nostra discussione sulla poesia, e parlando di amici poeti, mi suggerì di ringiovanire la presenza di Giuseppe Piccoli con un mio nuovo scritto sull’amico e poeta veronese che morì per sua stessa mano trent’anni fa in un ospedale giudiziario di Napoli. Ricordo che ne feci altri di questi interventi tempo fa, o per commemorarlo o per rinfrescare la sua presenza in diverse sedi competenti.
Naturalmente accettai volentieri, e ora cercherò di trovare un modo per parlarne ancora con molto piacere e con grande deferenza, essendo stato nella sua infelice vita un grande poeta pieno d’amore per il pensiero e di una potente vena di illustratore delle tragiche vicende umane come quelle che hanno accompagnato la sua esistenza qui tra di noi.
Giuseppe Piccoli era, appunto, un “indifeso”, uno, cioè, che viveva la sua vita vivendola, senza curarsi delle brutture che lo coinvolgevano e alteravano le sue capacità percettive della realtà, non curandosi minimamente dei molti contrasti che la vita gli preparava dinnanzi e che lo costringevano a vivere nelle oppressioni e nei tormenti, difeso solo dalla bellezza dell’arte e della sua continua presenza nel suo spirito, e del suo indistruttibile talento.
Come uomo, benché sempre giovane e sorridente, era pronto a donarti la sua disponibilità e la sua grande gentilezza condite di adeguate citazioni pronte, pertinenti e piene di compiacenza nella sua grandissima cultura e gusto della bellezza. Raramente se ne stava zitto e appartato quando la conversazione era cominciata, e parava verso chiamate e citazioni del bello in nome della poesia e di altri traguardi dell’arte. Insomma, era quello che si poteva chiamare un interlocutore geniale, scaltro e amabilissimo. Certo, tutte qualificazioni celebrative le mie, ma davvero appropriate e niente affatto gratuite. Queste mie attribuzioni sono e resteranno per sempre le sue dolci medaglie, appuntate sul suo esiguo petto da tutti coloro che lo conobbero e che, viceversa, hanno saputo non dico giustificare, ma comprendere, questo sì, i suoi gesti che travalicarono il suo estro davvero umano e gentilissimo.
Chi lo conosceva come lo conobbi io, o qualche sparuto altro, era molto lontano dalla sua tristissima sorte che coinvolse i suoi genitori. In lui non si poteva percepire che le sue grandi qualità rappresentate dal pensiero sempre rivolto a esaltare la bellezza e la dolcezza delle sue liriche. E quando capitava che il suo bell’intelletto voltasse verso le bruttezze del mondo, non era certo per malanimo o per cattiveria del suo spirito, era soltanto la coscienza di uno che nella sua intelligenza si rendeva conto delle malattie psichiche degli uomini, tant’è vero che nella sua poesia non di rado compariva l’effigie del Cristo e della sua estrema bontà. Ricordo infatti alcuni tratti delle sue liriche dove quel nome ricorreva accompagnato da parole niente affatto accomodanti, anzi pregne di rancore contro la malvagità di certe situazioni umane piene di acredine e volte non alla comprensione dei simili, ma alla loro maledizione. Questo era l’atteggiamento morale di Giuseppe, il suo verdetto sulle cattiverie umane, questo era il suo atteggiamento nei confronti di tali bestialità.
Giuseppe Piccoli era un uomo buono, anzi un ragazzo dolce, come ho già detto, che in qualche modo cercava di difendersi dalle malvagità della vita ferina. E in questa difesa giocava ogni fibra della sua anima fino all’estremo, e lo faceva con la bellezza e la bontà del suo esile spirito.
Ecco, questo era Giuseppe Piccoli, un ragazzo che avrebbe voluto giocare in questo mondo e pronunciare il bello in ogni sembiante, in ogni sua sottile fibra, e cantarne la bellezza, com’egli veramente fece nei pochi anni che durò su questa terra.
Quattro poesie di Giuseppe Piccoli
(Da Chiusa poesia della chiusa porta a cura di A.Éderle, Bertani Ed.)
*
Ah la cara bocca baciata:
appena fu toccata apparve il suo viso
e nelle mani fu stretto un ricordarsi
e la lingua parlò che bello è il sorriso
sorpreso negli occhi. Nuova vita allora
mi coglie se vesto il mio corpo di foglie
per apparirti come albero in primavera.
La sera è tenue quando ti abbraccio
e l’andare si fa più breve
se pur solitario ripenso a quanto di baci
offriva la nostra comunione di allora
e nello specchio quelle figure mostrano
di nuovo il nostro inverno di ora
che cogliamo un poco d’eterno
del grembo d’essere quaggiù
sperduti e quasi irrisi
e si scopre pace alla finestra illuminata
prima scordata che scrivevo versi di male.
*
Vanno ragazzi vestiti come paggi
incontro a fanciulle vestite come rose
e la mia solitudine s’incanta
nel vederli di lontano giungere
come sposi lieti con le loro liete spose.
Ognuno d’essi coglie la mano
alla graziosa che nuova meraviglia
negli occhi accende che non videro
se non che sogni nella casa
e candida promette un fuoco nuovo
ignoto al mondo. Così amore risveglia
sue proprie creature quando il sole
suona come strumento di violino
attento alla sua partitura. Così
il bocciolo che s’apre le sue vene
dischiude il sole il suo calice:
vanno ragazzi e fanciulle cercando
la prima pianta e il primo fusto
e la prima immagine. Io, più in là
in quell’erbetta, preso nel sogno
di quella che non sa, un nome dico
di un volto e una figura pronunzio:
vergine sorella stella, e tu guida
il passo al luogo che mi spazia.
Fortuna
Raggi e raggiri,
a destra come a sinistra.
La pièce de cinq centimes
1973 est retrouvée.
Ti ho spedito
un Michelangelo da Caravaggio
ma anche il bollo è scaduto
per la tua posta.
Dentro ogni cosa è infanzia.
L’anima del telefono non trema più:
nella cornetta
suonano le campane.
Reale
O Somma o luce che sola in te sidi
v’è poco gioco
in questo buio cuore,
in questo nido del cielo.
Come sorridi!
Io, d’altro tempo e di quella virtù
(memimisse est scire)
ho dato un muto intendimento,
un quaderno di amori
oh troppo squadernato
dagli orrori.
NOTA BIOGRAFICA
Giuseppe Piccoli nacque il 5 aprile 1949 a Verona. II padre era professore di latino e greco al liceo classico, la madre insegnante di musica. Seguì studi classici senza però portarli a termine, dedicandosi giovanissimo a scrivere poesia, prosa e articoli di critica letteraria per “L’Arena”. Nel settembre del 1981, in seguito a una ricaduta della sua malattia psichica, ferì il padre, che morì dopo pochi giorni, e la madre, che invece si salvò. Venne recluso nell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Reggio Emilia per un periodo di detenzione di dieci anni. In seguito fu trasferito in altri reclusori. L’ultimo che lo ospitò fu quello di Napoli dove, nel febbraio del 1987, si tolse la vita.
Bibliografia
Giuseppe Piccoli pubblicò in vita due raccolte di poesie, Di certe presenze di tensione (Guanda 1981) e Foglie, con prefazione di Maurizio Cucchi, nell’”Almanacco dello Specchio”, 1983. Postumo è uscito, curato di Arnaldo Ederle, Chiusa poesia della chiusa porta (Bertani 1987). Una scelta delle sue poesie si trova in Cucchi, Giovanardi, Poeti italiani del secondo novecento (Mondadori 1990). Nei numeri 103 (febbraio 1997) e 2013 (febbraio 2007) di Poesia, sono usciti alcuni inediti a cura di Arnaldo Ederle.
Grazie ad Ennio Abate che ha suggerito e ad Arnaldo Ederle che ha realizzato questo doveroso ricordo di Giuseppe Piccoli. Per chi volesse approfondire la figura del “poeta indifeso” consiglio la lettura – tra le non molte al riguardo – di “Oratio est vulnus animi – sulla poetica di Giuseppe Piccoli” di Maria Piccoli (sorella del poeta) in “Quadernario – Almanacco di Poesia”, 28 Novembre 2013, LietoColle.
…ringrazio anch’io Ennio Abate e Arnaldo Ederle per la presentazione del “poeta indifeso” Giuseppe Piccoli…Le poesie sono talmente belle e tormentate! C’è una separazione, distanza siderale, tra ciò che il poeta sente e ciò che vive. Nell’ultima poesia, “Reale”, quel verso “Come sorridi!” mi sembra racchiudere un universo di possibilità sfumate per sempre, di amore e di incontro, che invece ammira nella vita degli altri. Una nostalgia struggente di un sé negato, irrecuperabile…Dello stesso poeta ho letto un verso in internet che mi ha colpito: ” Separati da un muro l’idiota / e l’angelo scrivono lo stesso poema”
Aggiungo alla bibliografia la raccolta “Fratello poeta” pubblicata nel 2012 da LietoColle.
Per correttezza, Maria Piccoli non è la sorella del poeta, ma una sua lontana parente che non ha mai conosciuto.
Ringrazio Guido Galdini per l’arricchimento bibliografico e l’opportuna correzione: in effetti Maria Piccoli è, come lei stessa dichiara nel saggio da me citato a memoria e senza il doveroso controllo cartaceo, una “lontana cugina” di Giuseppe Piccoli. Mi scuso per l’errore.
La prima di queste quattro poesie vive nella vita della mente: non la vuota immaginazione ma, nel teatro mentale, il ricordo (“Ah la cara bocca baciata:/appena fu toccata apparve il suo viso/e nelle mani fu stretto un ricordarsi”), con l’emozione e le diverse messe in scena, allegoriche (lo specchio -della memoria- è la finestra illuminata “prima scordata che scrivevo versi di male”) e fantasiose (“vesto il mio corpo di foglie/per apparirti come albero in primavera”), danno luogo a una realtà più viva di quella esteriore.
Nell’ultima poesia intitolata Reale è accecante l’intero “O Somma o luce che sola in te sidi” ed è schiacciante l’effettualità “ho dato un muto intendimento”.
Una scissione tra realtà mentale e realtà effettiva che tutti noi cerchiamo di sopire e di restringere, per preservarci.
Su un poeta indifeso.
Non ho mai saputo dell’esistenza di questo “ poeta indifeso “ e non avendo letto altre poesie se non quelle pubblicate su Poliscritture non azzardo alcuna osservazione sulla loro qualità. A che servirebbe, del resto ? La sua vicenda umana mi ha molto colpito. Mi sarebbe piaciuto conoscerlo, come ho conosciuto altri “ poeti indifesi “ con storie ,meno tragiche, ma egualmente segnate dall’anonimato, dall’indifferenza o, peggio, da deliberate strategie di esclusione. Quando parlo di vicenda umana non intendo riferirmi alla sua dolente nota biografica che – come tante altre di suoi fratelli in poesia – permette equivoci di ogni tipo, ma specificamente a quella parte di essa che si è risolta nel porre le proprie quotidiane meditazioni su un foglio bianco, in versi, vere e proprie
“ foglie della Sibilla “ destinate a disperdersi per “ necessità “ Sì, perché non c’è poesia autentica
( nel senso di poesia di verità ) che non sia esperienza di vita che in essa vive e si esaurisce.
In un certo senso, entro il quale si mescolano tragica ironia e ammirazione incondizionata , egli ha avuto il privilegio di uscire incontaminato dalla tenzone letteraria.
Mi piace “ ricordare ed onorare “ così uno sconosciuto
Forse tutti i poeti sono indifesi…
chi è stato difeso , forse non è stato lui a volerlo.
Un bravo poeta che racchiude infanzia , maturità, sogno e realtà in una poesiache arriva al cuore ,emoziona e fa riflettere. Non lo conoscevo. E’ molto bello scoprire questi personaggi. Grazie.
Conobbi di vista Giuseppe Piccoli alla Società Letteraria di Verona,1968, camminava per i corridoi recitando la Divina Commedia ad alta voce. Lo rividi poi passeggiare a Bosco,con amici. Abitava in Valdonega, non distante dalla mia casa. Lo vidi talvolta. Seppi che era figlio di un noto professore di Greco e Latino del Maffei e di una insegnante di Musica. Un cugino di suo padre era Parroco nel centro di Verona, anzi fu mio parroco, persona degnissima, un altro cugino era il mio verduraio, pure lui ottima persona. ” Sunt lacrimae rerum et mentes mortalium tangunt .”