Ancora in ricordo di Remo Bodei

di Giorgio Riolo

Ogni morte d’uomo ci diminuisce, lo diceva il poeta e lo ripetiamo a ogni pie’ sospinto. Aggiungendo: di ogni essere umano in generale, e quindi anche di donna.

Remo Bodei era grande filosofo e grande intellettuale in senso lato, ma anche persona di grande valore. Le due cose insieme nel soggetto scomparso ci diminuiscono, ci rendono più poveri. Chiunque l’abbia conosciuto personalmente non può che confermare ciò.

Più poveri, ancor più nel panorama, per più versi desolante, del nostro mondo intellettuale. E allora vorrei solo ricordare il ruolo importante che Bodei ha svolto nella sua prima fase di attività. Molti di noi hanno avuto il suo aiuto nel percorrere certe strade culturali invece di altre. In più, essendo impegnati politicamente e socialmente.

Nel 1968, vivente ancora Ernst Bloch (morirà nel 1977), presso il suo editore tedesco Suhrkamp, appariva un aureo libretto di scritti di Bloch su Karl Marx. Il libro, con il titolo Karl Marx, venne tradotto in italiano e pubblicato presso Il Mulino nel 1972. La densa introduzione di Remo Bodei rimane un classico del nitore (chiarezza, precisione e profondità) e della funzione indispensabile della messa in circolazione di un pensiero e di un filosofo allora pressoché sconosciuti in Italia. Personalmente la imparai, quella introduzione, quasi a memoria per un esame universitario. E da lì, da quella introduzione e dal quel prezioso libro, il mio percorso alla scoperta di Bloch. Parallelo a quello alla scoperta di un altro grande per cui il marxismo era, ed è, cosa vivente, liberante e non oppressiva. Vale a dire György Lukács. I due nella giovinezza, e per un breve periodo, in comunione spirituale “come due vasi comunicanti”, parole di Bloch stesso.

In seguito la cura di Bodei di altre opere di Bloch, da Soggetto-Oggetto. Commento a Hegel alla introduzione alla fondamentale, monumentale opera maggiore Il principio speranza. Presso Garzanti e in pieno anni novanta, era il 1994, nell’orgia trionfante del capitalismo neoliberista, vincente dopo il 1989 e dopo il crollo ignominioso del socialismo reale.

E come dimenticare un altro saggio su Bloch. Il suo bel libro Multiversum. Tempo e storia in Ernest Bloch, presso Bibliopolis. Affascinante e preciso nell’esplorare aspetti decisivi della riflessione filosofica, non solo nell’analisi filologica del lascito del filosofo tedesco.

Bodei ci aiutò anche a capire, assieme al modo con cui i due, Lukács e Bloch, oltre sicuramente ad altri filosofi e storici della filosofia, ci resero il filosofo travisato per eccellenza. Ci aiutò a comprendere Hegel, ci rese un Hegel più aderente al suo autentico intendimento. La filosofia come “la nottola-civetta di Minerva-Athena che spicca il volo sul far del crepuscolo”. Quindi post festum, a cose compiute sicuramente, ma dall’alto e dalla capacità di ridurre in concetti, in universali, l’immensa ricchezza del reale, del particolare, degli accadimenti, della storia. La filosofia come “il proprio tempo appreso nel pensiero”, e quindi la storia, tutti i tempi, appresi nel pensiero. Sforzo speculativo titanico, vertiginoso, per molti “totalitario”, chiuso e non aperto (ci ricordiamo di Karl Popper e della filiazione Platone, Hegel, Marx?). Bodei scrisse a metà anni settanta Sistema ed epoca in Hegel. Opera poi rivista e aumentata per l’edizione del 2016 La civetta e la talpa. Sistema ed epoca in Hegel presso Il Mulino.

Qui, per concludere questo breve ricordo del primo Bodei, mi preme recuperare dall’oblio un saggio di Bodei che, sempre personalmente, mi ha molto formato, non solo influenzato. È contenuto in un libro pubblicato nel 1975 presso Mazzotta, Hegel e l’economia politica, curato da Salvatore Veca e contenente saggi di Bodei, Racinaro e Barale. Il saggio di Bodei è quello che dà il titolo al libro, appunto Hegel e l’economia politica.

Di cosa parla, o dovrebbe parlare, la filosofia se non delle cose importanti della vita dell’umanità e della realtà tutta? Tutto ciò alla luce di questi insigni pensatori, Bodei naturalmente compreso? La dura realtà dell’economia e della condizione umana, dal potere-dominio alle passioni, ai blochiani “sogni ad occhi aperti”, ai sogni di una vita migliore, al desiderio di “camminare eretti” e di conservare la dignità umana, contro ogni oppressione, di qualsiasi natura e storia, anche del cosiddetto socialismo.

Lo ringraziai personalmente per quel contributo su come Hegel conoscesse l’economia politica e riflettesse sullo spirito del capitalismo, contributo così illuminante e così importante per me. Si era nel 1985, in un convegno per il centenario della nascita di entrambi Lukács e Bloch, ed egli con modestia e fraterna accondiscendenza mi rammentò come nacquero il saggio e l’idea, e poi la corrispondente ricerca dell’immagine per la copertina del libro, della famosa civetta di Hegel.

Banale ricordo, apparentemente, ma così gravido di conseguenze, almeno per lo scrivente.

1 pensiero su “Ancora in ricordo di Remo Bodei

  1. SEGNALAZIONE

    LA LEGGE INDIVIDUALE: REMO BODEI E LA SCUOLA NORMALE
    di Barbara Carnevali
    http://www.leparoleelecose.it/?p=37296

    Stralcio:

    È importante precisare che Bodei non ha fatto «scuola» in senso accademico, anzi. Uno dei consigli che gli anziani normalisti trasmettevano alle matricole era di seguire assiduamente i suoi corsi ma di non studiare sotto la sua direzione, perché il suo metodo non era pedagogico nel senso scolastico del termine: era un consiglio stupido (posso dirlo perché sono stata così stupida da seguirlo inizialmente anch’io), ma coglieva un elemento di verità, ossia che quel modo di fare filosofia era inimitabile, impossibile da trasmettersi o tradursi in precetti o principi come la grazia. Bodei aveva un’intelligenza e una memoria prodigiose, la capacità di conciliare razionalità scientifica e sensibilità umanistica, l’esprit de geometrie e l’esprit de finesse (lui avrebbe parlato di «logiche», ugualmente degne e complementari): questi erano doni di natura ed era chiaro a tutti che non avremmo potuto replicarli. Inoltre Bodei rifiutava apertamente di coltivarsi una scuola nel senso di una corte di ammiratori e studenti fissi. Il numero delle persone che studiavano con lui era indefinito; non si riuniva in nessuna occasione. Pochi dei suoi laureandi e dottorandi lavoravano sui «suoi» autori, e ho sempre sospettato che le sue tesi preferite fossero quelle che gli permettevano di scoprire cose nuove. La sua mancanza di narcisismo, il suo imbarazzo per le lusinghe mi sono sempre sembrati segni di sovranità e di grande eleganza, oltre prove della capacità rara di riconoscere e rispettare l’autonomia degli altri.

    Ma se non era un pedagogo, come insegnava Bodei? Confermando la definizione della legge individuale come legge estetica, il suo insegnamento consisteva nell’esemplarità del suo stile. Questa normatività è la stessa che teorizza Proust, uno dei suoi scrittori preferiti e sempre presente nei suoi libri, alla fine del Temps retrouvé attribuendolo ai grandi artisti come Bergotte o Elstir: non si diventa romanziere o pittore scimmiottando lo stile di un altro artista, perché lo stile deve essere espressione dell’individualità. Bodei, ugualmente, non ti chiedeva di essere come lui, di seguirlo e assecondare il suo pensiero ma ti spronava a trovare il tuo modo di vedere il mondo, i tuoi interessi e il tuo stile personale. Bodei seguiva la sua legge filosofica individuale e ci invita a trovare la nostra, che non poteva che essere diversa dalla sua, irriducibilmente singolare. Viene in mente la celebre immagine simmeliana dell’eredità in denaro contante, che non vincola gli eredi a un pezzo di terra, a una casa e a una forma di vita, ma che ciascuno è libero di spendere e persino sperperare come vuole. È rilevante che Bodei incoraggiasse gli studenti a cercare la loro strada anche fuori dall’università, sinceramente persuaso che nel mondo delle professioni, della politica, dell’arte ci fosse una ricchezza di senso che meritava di essere scoperta e perseguita. E un altro dettaglio della sua vita privata che mi è sempre piaciuto è che le sue figlie abbiano studiato materie e fatto mestieri diversi dal suo, e che lui ne fosse fiero. La vera paternità non è creare replicanti, ma educare degli esseri creativi e liberi, diversi da te.

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