di Luciano Nota
DA “ SOPRA LA TERRA NERA”
GIARDINI
Ho muri da spianare
E fiori tanti fiori da piantare.
SE HAI FRETTA
Se hai fretta
di salire le scale
mio amore vai pure.
Occhi ho lasciato
ai carboni
e mani alle croci.
UNICO COLORE
E’ chiaro:
in fondo il nero
in alto il nero
in superficie il nero.
IL DOLORE
Mi sono affacciato alla finestra
per meglio scorgere il dolore.
C’erano tutti:
il padre, la madre, il figlio
e una vecchina labile, stanca
che mondava una mela fradicia.
LO SPAGO
Riesco ad aprire la porta
solamente se qualcuno
s’improvvisa superbo
e il dolce ticchettio mi riporta
alle piume di un incendio.
E così è per le finestre
i poggioli, le pareti.
Troppo lungo è lo spago
che mi separa dal bacio.
PAURA DI DIO
Potrei morire e rifiorire
svuotarmi di lime perfette
di corpi, di resti distorti.
Morire attaccato ad un fiume
con le braccia più nere del vento.
Rinascere poi su un pezzo di gelso
in un mare o su un colosso più duro.
Ma è proprio ciò che mi spaventa
questo colosso che non conosco
questo corpo supremo fatto di firmamento
di fazzoletti d’orto
senza tempo.
SAPESSI CHE PESO
Sapessi che peso
sentirti come peso leggero
sentirti dentro
come abile prugna
inzuppata più volte
sulle urne del corpo.
Sapessi che peso
il fragile sorriso
l’assenza di parole
quegli occhi scoscesi sui vetri.
Sapessi che male
saperti sognare
scrosciante.
APPARIRE PER ME
Apparire per me
è stato un atto vero.
Ancor più veritiero
il mio essere oscuro.
MI RISANO
Mi risano
bevendo stille di creato
sputate dal Signore.
RONDINE
Lo dico a te
e a chi mi colloca
in una prigione di stenti.
Io un giorno sarò rondine
per psicosi perfetta.
AL LETTORE
Oh, non vedermi recluso
unicamente nel buio
l’uomo senza il tu
e senza Dio.
Magari m’accecassi ora
mi dessi una vista rivoltosa.
DA “ TRA CIELO E VOLTO”
NATURA MORTA
Se da me a te
l’anima è obliqua
se in qualche spazio
tu ti muovi
giulivo
rifugiandoti in contesti
sovrumani.
Se custodisci il tempo
l’assetto d’ogni cosa
consacra
queste pere piene d’ansia
questa mela putrefatta
questo scarto di lattuga.
DALLE PERLE CHE CADONO DAL CIELO
Dalle perle che cadono dal cielo
pongo d’istinto le atmosfere.
Non ho voglia di capire
se un raggio o corona
è riverbero arguto.
Ciò che mi preme
è in un campo sperduto.
Punto dritto al maldestro
all’inetto, al resto.
LE ANZIANE LUCANE
Le puoi ancora incontrare
con bluse rammendate e scialli neri
poggiate agli usci delle case.
Col santino nel grembiale
parlano ligie dei figli lontani
limano con cura i grani dei rosari.
Sono loro le anziane lucane
abili querce che sfuggono i tempi.
Con gli occhi dipinti d’antico
e la tremola mano
sembrano tutte mia madre.
GIUSEPPE MELFI
Il mio compagno di scuola
mi chiamava compare.
Ricordo
lo aiutavo a capire Pitagora.
Ci siamo trovati una sera
a bere un bicchiere
lui con le braccia possenti
la solita gota rosata.
Ricordava per bene le lezioni di scienze:
i fagioli fioriti in bambagia
il neutrone
la lampada accesa col limone.
Stringendomi con passione la mano
posandomi in tasca una biro
mi disse: ” con questa, almeno in una,
riporta il mio nome”.
SUL CARSO
Schiaffi di sera
ovunque poso i miei passi.
E procedo a ritroso
schivando tonfi di moschetto.
Un masso crivellato
non più d’aria
mi porta dritto al fiume.
Devo giungere al greto
prima delle api.
C’è un fiore che mi aspetta.
AL MIO PAESE
Non crollerò
né crollerà il puledro
lungo il viale dei carrubi.
Ho nel fianco il basilico
col quale insceno pasti
di orologi migliori.
Il mio nido è ancora lì.
Con me ho portato l’orto
che acconcio ogni giorno.
Di sera aggiungo il fimo
il mosto nel bicchiere.
Il fungo gioca a carte
con le giacche di mio padre.
LASCIATEMI SOLO
Lasciatemi, lasciatemi solo.
Cerco nel mio regno
un cunicolo di cielo.
Grazie!
Passione,dolore , colori ,profumi,sapori proprio tutto ciò che serve al nostro vivere al nostro ricordare. Niente complicazioni, un’essenza da ascoltare con tutti i sensi. Bellissime!
Con la naturalezza del gesto e dell’immagine , Luciano Nota riesce a farci accettare il suo “io”allontanandolo dalla temperie minimalista largamente abusata da non pochi suoi coetanei ; porgendocelo con la grazia e l’energia tutta sua personale che apprezziamo da sempre . La sua è una operazione di “pulizia” del linguaggio che giunge quasi inavvertita grazie alla calibrata gestione delle masse e dei volumi in funzione del massimo grado di espressività .
leopoldo attolico –
C’è una resilienza sottesa, nelle poesie di Luciano Nota, un filo d’acciaio flessibile che si si lascia percorrere dal dolore, dalle paure, ma non si spezza. Si fa “conduttore” di immagini che sembrano dipinte, dei sentimenti più intimi e, come dice bene Emilia Banfi, ci porta gli odori , i sapori, i suoni. Ci fa toccare le cose, la sua terra i suoi fiori.
APPUNTI SU LUCIANO NOTA.
UNA MENTE DEL SUD DOLOROSAMENTE CIFRATA…
1.
Nella prima raccolta «Sopra la terra nera» (Campanotto 2010) ci sono tre gruppi di componimenti. Il primo e il terzo hanno la forma concisa degli epigrammi (o degli haiku). Affermano. Accennano. Alludono. (Si vedano, ad esempio, qui: GIARDINO e MI RISANO). Soprattutto nascondono poeticamente. E tale nascondimento (che non è mai piatta rimozione) avviene non solo in base alla poetica di riferimento di Nota, quella della tradizione ermetica ma anche classicista, che privilegia il frammento, ma perché il groppo di esperienze vissute (credo giovanili) era di intensità esplosiva e forse inenarrabile in modi più distesi o pacati quando la memoria ci è tornata su. Da qui la cifratura in parole selezionate, una loro immobilità archetipica (e mediterranea), l’assenza di racconto, di storia, la sintesi a volte fin troppo fulminante: «Ho tentato a lungo/ Di essere re./ Ora posso scendere». E pure in questo ci sento il Sud (che è stato anche mio e credo di un tempo storico abbastanza preciso: anni Cinquanta all’incirca).
2.
Si è, perciò, in questi versi come di fronte a tracce fossili di una vicenda biografia, che si vuol far conoscere e non far conoscere. Tracce difficili da riportare a cause esistenziali (o anche familiari, sociali o contingenti), che possono essere solo alluse. Al centro c’è un’io – meridionale, passionale, inquieto, traversato da pulsioni oscure, terrestri e spirituali – alle prese con una “sua” gelosa solitudine. E con i simboli interni/esterni che l’hanno catturato (il nero in particolare, presente emblematicamente nel titolo stesso della raccolta). Discorre, com’è tradizione dell’io lirico in generale, che è stato nei secoli la maschera poetica di tanti io concreti ben più magmatici; e – ci siamo accorti da Rimbaud a Freud – problematici, niente affatto razionali. Discorre tra sé e sé. O con un tu. O con un suo Dio. O con i fantasmi silenziosi più pressanti e vicini: «il padre, la madre, il figlio». Ma mai espone o rivanga gli eventi, che sono da lui ormai risaputi e forse neppure più interrogati o esposti agli altri. Anzi la volontà di esposizione, che in tanti altri poeti è incontrollata esibizione, in Nota non c’è. Gli eventi, le passioni sono, come devono essere in poesia, definitivi e sepolti: «Ed eccomi ancora qui».
3.
Nel gruppo dei componimenti intermedi siamo di fronte ad una maggiore distensione emotiva e linguistica. La memoria prende più spazio. Si legga LA CASA (non riportata nella scelta qui pubblicata):
Rivedo quella casa
Le notti in cui si accalcano i cavalli
La casa chiusa a chiave.
Gli enormi bicchieri
Poggiati sugli scranni
Alcuni ocra alcuni neri.
Quando morì mia madre
Non ebbi tempo d’imbiancare la stanza.
Qualcuno mi additò come fumo
Altri come sabbia
O peggio ancora come frasca di strada.
Io attendo che costoro
Sposati alle lusinghe
Mi serbino quel muro
Sporco e defilato
Per continuare a disegnare
Nelle sere di plenilunio
I miei anfratti e le mie rane.
Gli oggetti circostanti ora si moltiplicano. Vengono nominati nella loro concretezza (e colore). Viene pure indicato, ma in modi scarni, qualche fatto preciso senza addentrarsi nella potente e lancinante valenza emotiva che esso ha avuto per l’io. Il tono si fa meno apodittico, più (di poco) confidenziale e quasi di condivisione (Vedi qui: SAPESSI CHE PESO). O anche più drammatico. O persino speranzoso. L’enfasi resta però tutta concentrata sull’io. Nota è poeta pre-rimbaudiano, non dilaniato (nella scrittura) dalle ambivalenze e dalle sfumature novecentesche. Poeticizza le sue fantasticherie, si esalta, esorcizza la propria fantasia di morte, s’abbandona a sogni di rinascita (Vedi qui: PAURA DI DIO), s’accomuna con gli altri «poveri vivi». E sempre con sfondamenti d’angoscia trattenuti dalla forma classica del verso, inquiete autoraccomandazioni e, in crescendo, invocazioni amorose ma costipate. È come se la gabbia dell’epigramma cominciasse a rompersi e la sentimentalità si presentasse sempre ben padroneggiata ma con più violenza espressiva.
4.
La seconda raccolta, «Tra cielo e volto» (Edizioni del Leone 2012) è in piena continuità con «Sopra la terra nera». Persiste la brevità cifrata degli epigrammi. Ma il tono più disteso presente nei componimenti intermedi di «Sopra la terra nera» si fa più cordiale. C’è la stessa volontà di eleganza, di cura (persino maniacale?) del verso, di ricerca di effetti metaforici leggeri e sorprendenti («versare più aria nel vento»; «masticare per bene le pietre»), di rime interne e anafore. A differenza della prima raccolta, dove ogni verso, iniziando con la maiuscola, è una microunità a sé, c’è maggiore scorrimento. In alcuni componimenti qui riportati e collocati quasi alla fine della raccolta (LE ANZIANE LUCANE GIUSEPPE MELFI, AL MIO PAESE) pare di cogliere quasi una svolta pur nella continuità. C’è maggiore concretezza poetica, minore volontà di essere – diciamola la parola – letterato.
5.
Dove si dirigerà la poesia di Luciano Nota? Qui dico solo una mia impressione, bisognosa di futuri approfondimenti. L’impianto lirico in lui mi pare così consolidato e maturo, che in questa direzione – il filone da noi dominante della tradizione petrarchesca – avanzerà la sua ricerca. E del resto nel blog «La presenza di Erato» (http://lapresenzadierato.com/), che egli cura assieme ad un gruppo di altri poeti, pur nella varietà o “liquidità” delle posizioni dei singoli, che è oggi quasi di norma in qualsiasi aggregazione culturale specie ai suoi inizi, questa visione della poesia sembra prevalere. Con i rischi – mi permetto di dirlo – o di purismo o, persino, di spiritualismo. Ma su queste ipotesi ci si confronterà.
…sono davvero bellissime queste poesie di Luciano Nota, per una loro tensione interna “esplosiva”, come dice Ennio Abate. Mi limito ad esprimere alcune sensazioni. Mi ha molto colpito la poesia “Paura di Dio”, per la presenza di un colosso, a cui noi esseri viventi saremmo come aggrappati, in cicli di nascite e rinascite (mi vengono in mente le conchiglie e i crostacei aggrappati alle rocce nei fondali marini, da cui si scostano per poco). Un colosso che immagino sia la terra stessa, una materia nera che ci abbaglia e ci acceca, il sacro per gli uomini primitivi…In altre poesie mi colpisce la ricerca di contatti impensati con la natura, con ciò che é più trascurato in natura, e poi le contrazioni, la rudezza e gli improvvisi travasi di dolcezza. Mi piace il forte legame con la terra di origine che si presenta nelle poesie: “Le anziane lucane” e “Al mio Paese”, con i colori, le immagini, ma anche i sapori della terra del sud…
Sinestesia pura; una solitudine che cerca risposte; piedi affondati nella terra e mani che la impastano; passi a ritroso in cerca di immagini chiarificatrici. Un fil rouge che cuce il mondo vissuto a quello sentito e li ricama entrambi di fantasia, infine imbastisce possibili avventure che possano dar futuro alla memoria.
Capita di leggere poesie che a malapena riescono a dire qualcosa, come se il linguaggio la facesse da padrone, come se una qualche regola estetica imponesse all’autore di divagare nel limbo, col risultato che si scambia per volo ogni salterello. Infine si tratta soltanto di comune reticenza. Grazie al cielo non è sempre così: Luciano Nota si fa capire, il suo linguaggio a me giunge chiaro e benefico, sia nelle piccole cose che nelle grandi. Condivido quanto ne scrive Ennio Abate: “… mai espone o rivanga gli eventi, che sono da lui ormai risaputi e forse neppure più interrogati o esposti agli altri. Anzi la volontà di esposizione, che in tanti altri poeti è incontrollata esibizione, in Nota non c’è.” Grazie e complimenti, ho gradito il nutrimento.