a cura di Ennio Abate
[Più la pressione sulla nostra mente dei mass media e del Web si fa torrenziale, impedendoci di riflettere sulle cose che leggiamo distrattamente e in fretta; e più diventa necessario difendersene. Rifiutare totalmente l’informazione (ambigua, inquinata, deviante)? Ma ce l’avete la torre d’avorio? Credo sia più utile anche se faticoso difendersi selezionando brani del Discorso Generale che al momento ci sembrano più o meno significativi e ragionarci sopra da soli o assieme a potenziali interlocutori (amici, lettori di un blog, ecc.) in una sorta di esercizio critico di ecologia della mente e di riuso sociale delle proprie letture. Riprendo l’esperimento dello scrap-book partendo proprio dal tema politico più chiacchierato di questi giorni: la vittoria elettorale di Renzi (di cui abbiamo tumultuosamente discusso qui). E propongo stralci di alcuni articoli che sono riuscito a leggere in questi giorni. Altri scrap-book sullo stesso tema (o su altri) potete proporli voi scrivendo a poliscritture@gmail.com (E.A.)]1
Moriremo (neo) democristiani?
di Riccardo Achilli
(http://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/3744.html)
Il PD ha preso 2,6 milioni di voti in più. E’ presto detto: ha recuperato un pezzo dell’elettorato PD che a febbraio era fuggito verso il M5S, composto, essenzialmente, da piccoli imprenditori, artigiani, in breve quella piccola borghesia che, come bene ci illustra Marx, oscilla sempre, in funzione dei suoi interessi, fra ribellismo e conformismo. E che in un PD a guida Bersani, e dominato ancora dagli ex Ds, vedeva un ostacolo, sia pur in effetti molto blando, ai suoi interessi, perché la sua segreteria era ancora targata di un qualche residuo di socialdemocrazia che la rendeva ostica a smantellare lo Stato e la funzione pubblica, ed a trasformare il Paese in quella prateria dove il piccolo borghese italiano sogna, da sempre, di correre come il Generale Custer (salvo poi tornare da Mamma Stato per chiedere protezione, se le cose vanno male).
Questi elettori in fuga sono tornati non appena hanno visto che il PD era in grado di abolire le province, smantellare i sindacati, distruggere ciò che resta del sistema pubblico, e promettere soldi e regalie. E ha prosciugato il blocco sociale di Berlusconi […]ha votato Renzi, per difendersi dai Grillini. A tutto ciò, si è aggiunto un compattamento senza precedenti di un partito di norma assai rissoso, tenuto insieme dal terrore di perdere elezioni e posti di lavoro (ancora alla vigilia del voto, io stesso venivo avvicinato da quadri del PD che mi pregavano di votare per il loro partito perché avevano paura di perdere il posto). In sintesi: Renzi è riuscito a rimettere insieme il blocco sociale della Democrazia Cristiana: piccola borghesia e suoi addentellati nella piccola rendita, nel ceto medio impiegatizio e dei pensionati, che oscilla fra il terrore perenne di una ondata insurrezionale che le cancelli privilegi oramai ridotti al lumicino dalla crisi e viscerale odio e diffidenza per lo Stato e le sue espressioni (meglio avere la sanità privata che pagare più tasse, è ad esempio uno dei loro motti), nonché media e grande borghesia, incapace di promuovere la crescita autonomamente […]. A questo blocco sociale, che rappresenta la componente sociale tradizionale del ventennio fascista, prima, e dei decenni democristiani, dopo, si aggiungono frange di proletariato e sottoproletariato precarizzato, trasportate, per traslazione lineare, dal vecchio Pds/Ds dentro il Pd, indotte a pensare che il PD sia ancora un partito “progressista”, in ragione delle sue formidabili doti mimetiche. Evidentemente, serviva un leader democristiano energico, “tambroniano”, e non il solito democristiano paludato, lento e concertante, come E. Letta, per rimettere insieme i cocci del blocco sociale democristiano, dopo la sua esplosione nel 1993 e la sua diaspora in una miriade di partiti, da FI fino alla Margherita.
2.
Motivi per cui ha stravinto Renzi
di Christian Raimo
(2. http://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/3742.html)
L’inerzia italiana. Ida Dominijanni ha scritto sul suo blog un bel post che così conclude: “Si parla adesso, per questo, di nuova Dc, ma è bene sapere che il Pd non è la Dc, è un animale nuovo figlio della seconda repubblica e non della prima, della società forgiata dal berlusconismo e non di quella plasmata dal dopoguerra. L’effetto di ritorno segnala al contempo quanto sia stata fragile la costruzione della seconda repubblica sul piano istituzionale, e quanto sia stata forte sul piano della trasformazione antropologica, sociale e delle identità politiche. Sono i miracoli delle rivoluzioni passive, che restano la caratteristica più singolare di questo singolare paese”. Sembra inconfutabile, da Vincenzo Cuoco in poi, che in Italia non possa darsi una vera trasformazione sociale: non solo una rivoluzione dal basso – la retorica grillina ha incenerito per almeno un bel po’ questa possibilità – ma nemmeno un rinnovamento dei dispositivi di fare politica. L’idea di partito di Fabrizio Barca o di Giuseppe Civati vengono purtroppo molto ridimensionate da quest’idea di partito-Stato che esce da questo plebiscito.
3.
Plebiscito Renzi: e se fosse un voto in maschera?
di Pierfranco Pellizzetti
(http://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/3741.html)
Assistiamo al successo del tradizionale trasformismo italico, che introietta nel suo presunto novismo anche altre – non propriamente gloriose – attitudini del genius loci. Tipo la riproposizione in chiave di conquista del consenso del modello “Dama della San Vincenzo”: l’apprezzamento da parte di un Paese intimamente plebeo per la regalia da parte del potente di turno; si tratti del pacco contenente zucchero e pasta offerto dalla nobildonna benefattrice, la scarpa dal candidato sindaco di Napoli Achille Lauro o l’obolo di ottanta euro.
Il trasformista benefattore vince perché l’intima natura del restyling renziano ancora non è venuta completamente alla luce. E anche perché presenta un profilo sfuggente che le invettive di Grillo e le frasi smozzicate di Casaleggio sono inadatte a intercettare criticamente. Perché la cultura politica e la memoria storica di questi tempi sono ridotte a ben poca cosa. Tanto da far risultare sorprendente e originale un tipo che ripropone ricette blairiane vent’anni dopo l’originale; da far sembrare “di sinistra” (socialdemocratica) pratiche puramente mimetiche e blandizie paternalistiche. A effettivo vantaggio di un establishment che si camuffa da anti-establishment; secondo la migliore ricetta americana, da Clinton a Obama.
Quanto durerà l’incantamento? Certo più a lungo del necessario. Sempre che non entri in gioco l’analisi e il suo ruolo demistificante.
4.
L’avanzata del populismo di regime
redazione Contropiano
(http://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/3740.html)
Pagato il doveroso prezzo ai numeri, l’immagine del paese che ne emerge è da spavento. Per settimane si sono confrontati tre leader extraparlamentari (Renzi, Grillo e Berlusconi), esplicitamente orientati in senso populista sia per quanto riguarda i “programmi” (nessuno saprebbe descriverli con precisione, al di fuori degli staff), sia – o soprattutto – nella modalità di comunicazione politica. Tutti e tre si ponevano come “salvatori della patria”, tutti e tre chiedevano un voto per imporre “gli interessi italiani in Europa”, tutti e tre – con toni appena diversi – promettevano che avrebbero “cambiato l’Europa” mettendo fine alle politiche di austerità.
Le diversità tra i tre sono altrettanto evidenti. Berlusconi non rappresenta più il punto di coagulo tra interessi imprenditoriali “presentabili” ed economia “impresentabile” (sommerso, evasione fiscale, gerachie vaticane, criminalità organizzata capace di controllare interi territori, ecc) […]. Grillo, tra i tre, era quello con alle spalle un consenso trasversale genericamente “popolare”, senza un nucleo sociale centrale in grado di polarizzare altri strati di dimensioni minori. Il suo schema politico e comunicazionale, tra i tre, è quello che più assomiglia alla parabola del “qualunquismo” di Guglielmo Giannini (anni ’50). Uno schema “masanelliano” che può funzionare unicamente in un trend di crescita continua, perché non possiede una “cultura politica” in grado di spiegare le battute d’arresto o le sconfitte. […] Lo schema renziano, vincente, è invece quello del populismo di regime. Arrivato a palazzo Chigi senza alcuna legittimazione popolare (le “primarie” del Pd sono state una barzelletta…) si giocava molto in questo passaggio elettorale. È il “volto nuovo” dei vecchi poteri, il punto di convergenza tra costruzione reazionaria dell’Unione Europea e potentati nazionali; doveva dimostrare di saper coagulare consensi intorno a politiche decisamente impopolari ricorrendo a escamotage apertamente populisti (clamoroso quello degli “80 euro in busta paga”; che non ci sono nemmeno a maggio, ma qualche voto gliel’hanno portato lo stesso).
Come nel fascismo di cento anni fa, il populismo di regime nasce “socialista” o socialdemocratico, coglie la fine di un’epoca e si propone come rinnovamento generale (“rottamazione”) mentre consolida la parte più efficiente e competitiva del vecchio assetto di potere. Punta dichiaratamente a distruggere i “corpi intermedi” tra società civile e istituzioni (partiti e sindacati, dunque) e a stabilire un rapporto diretto con “il popolo”, saltando a pie’ pari il potere di blocco dei gruppi di interesse consolidati.
Tra i tre populismi è riuscito a sembrare quello con i piedi più piantati per terra, grazie ovviamente a una informazione a senso unico che mai come questa volta deve essere definita di regime.
Non ci sono molti dubbi, a questo punto, su ciò che accadrà nei prossimi mesi. Il governo ne esce rafforzato e completamente identificato con l’attore fiorentino. Andrà avanti come un treno sulle cosiddette “riforme strutturali” (a cominciare dal mercato del lavoro, su cui c’è da attendersi un’accelerazione del “jobs act”) e soprattutto su quelle costituzionali. Su questi due fronti i dubbi – sindacali o di costituzionalisti – verranno spazzati via come neve tardiva di primavera.
Il semestre europeo a guida italiana rappresenta anche la finesta di “stabilità” entro cui non ci saranno più fibrillazioni politiche interne al palazzo. E solo il prossimo anni sapremo se il consenso attualmente aggregato sarà rimasto ancora addosso al premier. Se sì, ci attende la legge truffa anticostituzionale chiamata “Italicum” e probabilmente il tentativo di elezioni plebiscitarie.
5.
Ha vinto Renzi. Il berlusconismo è risorto, più forte e più bello che pria. Grazie. Prego
di Lanfranco Caminiti
(http://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/3738.html)
L’Unione europea che esce dal voto è ancora più tedesca, anzi è tedesca in solitudine. C’è da immaginare, e anche da sperare, che la Merkel dovrà tenere conto di questo.
Quanto all’Italia, la polarizzazione dello scontro fra Renzi e Grillo ha funzionato, cioè ha mobilitato. Grillo, forse malgrado lui, è stato funzionale al sistema politico, nel senso che avergli (ed essersi) costruito addosso la figura dell’«uomo nero» ha finito con lo spostare buona parte del voto di centro e moderato verso Renzi, e riassorbire una parte del voto di protesta in libera uscita. […]
Renzi rappresenta la stabilità del sistema politico italiano tutto (come ha già argutamente osservato Casini in tempi non sospetti). Questo è il suo ruolo, questa è la sua chance. L’ha giocata bene. Ha vinto. Ha vinto senza avere fatto nulla. A parte gli 80 euro. Vince quindi il renzismo, ovvero la prosecuzione del berlusconismo con gli stessi mezzi.
Vince un bisogno di stabilità, piuttosto che di cambiamento, o di stallo o di crisi. […] Non credo dipenda dalle maggiori o minori stupidaggini di Grillo, o dalle maggiori o minori furbate di Renzi: questo è il segno che gli elettori hanno voluto dare.
C’è un uomo solo al comando. Benché sia stata evocata, questa non è la Democrazia cristiana. La Dc aveva cento cavalli di razza e mille correnti, e almeno venti uomini capaci di fare cinquanta governi diversi con ministri e squadre diverse, garantendo continuità di governo. Renzi non è la Dc.
Non lo è perché questa non è l’Italia dello sviluppo ma l’Italia della crisi. Perché questa non è l’Italia dell’alleanza atlantica e dell’impero americano.
Questa è l’Italia di un’Europa che arranca. Appunto.
Cercate […]di non essere così provinciali da ubriacarvi di vittoria (e Clinton, e Blair, e l’unico leader in Europa che può tenere testa alla Merkel, ma davvero?)
6.
Europa, i conti non tornano
di ilsimplicissimus
(http://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/3736.html)
La Ue è contestata ovunque tranne che in Germania, Olanda, Belgio e Finlandia che godono in qualche modo dei benefici delle politiche monetarie e austeritarie[…]. Ci troviamo di fronte a un paradosso: che le forze conservatrici alla radice del disastro sociale e della stessa ostilità all’Europa, avranno ancora più forza, almeno quella organizzata, nel cosiddetto parlamento di Strasburgo, grazie soprattutto alle ambigue democrazie dell’Europa dell’ est dove dominano incontrastati oligarchi, corruzione, protofascisti e ufficiali pagatori della Nato. Sono i fascio conservatori delle repubblichette baltiche o balcaniche che permetteranno alla Merkel e ai poteri finanziari di continuare a comandare a bacchetta, insomma la destra buona da utilizzare, nascondere e non demonizzare. […]
L’Italia è in qualche modo una infelice sintesi di questo panorama grottesco pur rimanendo nello stesso tempo estranea ai movimenti storici che si stanno evidenziando, segregata nella prigione dei suoi vizi nazionali, primo fra tutti il gattopardismo amorale delle elite e l’insopprimibile istinto alla subalternità dei suoi cittadini, pronti a baciare la mano a chi getta la monetina nel cappello. Siamo, a parte la Grecia, le vittime designate e tuttavia i più europeisti. La vittoria di Renzi, pur in un contesto di voto poco al di sopra del 50%, ma che sarebbe stato assai al di sotto se non si fosse contemporaneamente votato per due Regioni e 4000 comuni, da una parte testimonia del magma che si sta accumulando al di sotto della pelle politica […]. Il guappo di Firenze, peraltro formidabilmente aiutato dai media di regime, ossia da quasi tutte le tv e i giornali, prende il voto dei vecchi militanti del Pci legati ad antiche appartenenze ormai prive di senso e quelli dei berlusconiani che vedono in lui – certamente non a torto – il nuovo Cavaliere. Insomma ha prosciugato il suo avversario, quello che avrebbe dovuto essere l’altro corno di un sistema bipolare, mettendo le basi per un’oligarchia di osservanza berlinese e finanziaria.
D’altra parte la sinistra è scomparsa, ormai la si vede solo al microscopio […]. Berlusconi assieme alla sua banda di magliari è in declino inarrestabile dovuto all’età, all’inconsistenza ipocrita del suo messaggio peraltro sempre più fagocitato da Renzi, vicino alla resa dei conti, mentre il M5S ha perso l’occasione di dotarsi di una vera struttura politica all’altezza del suo successo, rimanendo fermo alla mitologia della rete e affidato completamente all’estro di Grillo o alla stravaganza non solo estetica di Casaleggio che francamente non sono il massimo in fatto di affidabilità. Così nonostante il buon lavoro svolto dai parlamentari del movimento, l’idea rimane quella di una amalgama di protesta.
7.
Un risultato molto chiaro. Ma non definitivo
di Aldo Giannuli
(http://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/3734.html)
Perché questo voto? Togliamo di mezzo le risposte “facili” come quella degli 80 euro di regalia elettorale. I famosi 80 euro hanno avuto la loro parte in questo, soprattutto nel trattenere l’elettorato più anziano che già votava Pd, ma sono stati la componente minore.
Sulla tenuta dell’elettorato preesistente hanno influito, da un lato il risultato plebiscitario come segretario del partito, in parte il fatto che i vecchi leaders (D’Alema, Veltroni, Franceschini, Cuperlo) si sono messi a correre pancia a terra per frenare quelli che pensavano di astenersi o votare altro.
Sulla confluenza del voto di centro ha invece avuto un ruolo decisivo – che è stato il vero asso nella manica di Renzi – la campagna terroristica dei media sugli effetti che avrebbe avuto l’uscita dell’Italia dall’Euro (ricordate? Inflazione weimariana, riscaldamenti spenti per il costo del petrolio, risparmi polverizzati, mutui alle stelle non più pagabili…).
Si è accreditata l’immagine di un’uscita dall’Euro improvvisa in caso di vittoria del M5s, addirittura già da luglio. Il centro, orfano di Monti, ha individuato in Renzi il punto di riferimento per la difesa dell’Euro. Ed il Pd ha finito per assorbire la grande maggioranza di quei voti dell’area della “legittimazione europeista” che negli altri paesi si distribuisce fra popolari, socialisti, liberali e verdi. E questa è la ragione principale del successo di Renzi.
Parallelamente il M5s ha pagato il prezzo di questa polarizzazione: il suo messaggio è parso poco chiaro a chi voleva davvero un’uscita immediata dalla moneta unica (e che ha finito per votare Lega e FdI), ma insieme troppo allarmante per quell’elettorato moderato che vede la fine dell’Euro come una avventura insopportabile. Il M5s ha insistito in modo troppo monocorde sulla denuncia di questo ceto politico e delle sue ruberie, ma ha chiarito poco il suo discorso “in positivo”, finendo per accreditare l’immagine di movimento del No, che protesta ma non propone. E questo ha avuto un effetto micidiale proprio sulla questione dell’Euro: resto convinto che l’Euro sia una scelta sbagliata da superare, ma c’è modo e modo di farlo e di dirlo. Sarebbe stato necessario chiarire che a questo risultato si può pervenire nei tempi e nei modi necessari ad evitare quella dèbacle di cui i media terrorizzavano l’elettorato moderato.
E qui il M5s paga lo scotto di due “debolezze” storiche connesse fra loro: l’essere troppo centrato sul suo leader e il tono poco flessibile della sua comunicazione, che appare sempre nella versione “gridata” di Grillo (cui, peraltro, va dato atto che si è sforzato di essere rassicurante nell’ultima fase della campagna, ma forse troppo tardi).
[…]Buona l’affermazione della Lista Tsipras (unico dato positivo di queste elezioni, dal mio punto di vista) anche se non è un risultato entusiasmante, considerando i voti persi. Adesso, però, ha il problema di chiarire se il suo destino è quello di essere risucchiata dal grande magnete renziano o fare opposizione ed in quale modo. Un confronto che partirà già nei prossimi giorni.
Concludendo: il centro non esiste più, la destra si sta sfaldando, il Pd trionfa e l’unica possibile opposizione di qualche consistenza è il M5s. Questa è la fotografia della situazione. Per cui, se è giusto parlare di sconfitta del M5s, che non ha raggiunto nessuno dei suoi obiettivi, è sbagliatissimo parlare di tracollo o addirittura di prossima scomparsa.
8.
Tristi elezioni
Militant
(http://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/3733.html)
Le forze filo-UE vanno dai conservatori di ogni paese alla sinistra democratica di Tsipras, e racchiudono quel mondo della compatibilità democratica neoliberale compresa nei campi del “centrodestra” e “centrosinistra”. Il fronte anti-UE è, se possibile, ancora più diversificato. C’è molto rigurgito nazionalista e xenofobo, localista, poujadista, espressione di una piccola borghesia stretta tra il grande capitale transnazionale in via di concentrazione e l’incubo della “proletarizzazione”. […] Quello che invece qui preme evidenziare è che lasciare tale, enorme, spazio politico, quello della lotta alla UE liberista, alle forze xenofobe, è uno degli errori capitali delle nuove sinistre, incapaci di prendere una posizione chiara nel tentativo di mantenere i piedi in due staffe inconciliabili. Soprattutto, e qui l’errore decisivo, incapaci di intercettare quella marea sociale che ormai non vota più. I voti che vengono persi o guadagnati dalle sinistre europee riguardano sempre e solo il panorama di chi ancora decide di votare, cioè di quella metà sostanzialmente soddisfatta dall’offerta politica e poco toccata dalla crisi economica..
9.
Il boom di Renzi riorganizza il blocco conservatore
di Pino Cabras
(http://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/3732.html)
Anche il risultato italiano è straordinariamente netto. Il PD renziano rafforza la propria funzione: riorganizzare efficacemente il blocco sociale conservatore nel momento in cui crolla l’analoga funzione berlusconiana, tenendosi all’interno una porzione ancora molto elevata del suo elettorato tradizionale proveniente da sinistra. Una sorta di DC 2.0 che ritorna alle percentuali del PCI nelle regioni rosse, prende il doppio dei voti dell’opposizione a cinque stelle e tenterà di dare l’impronta decisiva alla Terza Repubblica, promettendo un dinamismo riformatore, sempre di richiamo nel paese del Gattopardo.
Chi scrive non aveva affatto previsto la portata di questa avanzata.
Ma una previsione per il prossimo periodo va fatta lo stesso.
Nel momento in cui l’area di centrodestra prosciugata dal PD ratificherà pienamente la nuova leadership, si troverà anche la quadratura per eleggere un nuovo presidente della Repubblica in luogo dell’esausto Napolitano: un Draghi o un suo simile che benedica un’era di nuove privatizzazioni e di ulteriore precarizzazione del lavoro.
10.
Europa, Italia e populismo
di Luigi Vinci
http://www.ilbecco.it/nazionale-2/politica/item/1395-europa,-italia-e-populismo.html
io credo che non si debba continuare a parlare di “populismo” come di qualcosa che caratterizza questa o quella o tutto un gruppo di formazioni politiche: ma parlare di una “situazione populista”, certamente in Italia molto netta, certamente in altri paesi europei altrettanto netta (per esempio in Ungheria, ma anche in Grecia), certamente in quasi tutti gli altri in via di allargamento (e tra questi paesi sono molto avanti Francia e Gran Bretagna). In secondo luogo, credo che si debba assumere come dato oggettivo questa situazione, invece di recriminare; e perciò di adattarvisi duttilmente invece di continuare a dire scemenze sul qualunquismo ancestrale del popolo italiano, su come era bello una volta, su dove sono i giovani, e gli operai, ecc. In altre parole, che si tratti di capire come si possa essere “populisti” a sinistra in Italia; dunque di imparare davvero dalla Grecia, cioè da Syriza e da Tsipras, di comprendere davvero il modo di fondo della loro azione, di adattarlo alle condizioni italiane, invece di lodarli continuando a sinistra a giocherellare con le proprie gravissime tare.
Ho accennato a Syriza, a Tsipras, alla Grecia come situazione populista (la prima in assoluto in questa crisi, per ovvie ragioni: le istituzioni europee l’hanno massacrata). Essa evidenzia più cose. La prima è che una situazione populista sul piano dei contenuti politici e, almeno in parte, della composizione della propria base sociale è necessariamente polivalente, può produce tutto e il contrario di tutto (vedi Syriza e Alba Dorata); essa non può che riflettere, d’altra parte, il frangente del momento, politico, sociale, istituzionale, morale, umorale, mediatico, ecc. della massa del popolo. In Italia, addirittura (altrove non sembra essere così), la scomparsa totale delle forze politiche del dopoguerra dà alle formazioni populiste curiose caratterizzazioni politiche miste, tali per cui non c’è solo Berlusconi affascinato da Renzi ma c’è che sia nel PD di Renzi che nel movimento di Grillo si trovano mescolate assieme (in termini ovviamente difformi) posizioni che appartengono alla storia della sinistra e posizioni che si trovano nella storia delle destra. La seconda cosa che la Grecia insegna è che non risulta “obbligatorio” gestire una situazione populista, cioè gestirla attraverso il rapporto diretto al popolo, massacrando o marginalizzando i “corpi intermedi” sociali, addirittura i partiti minori, come intende Renzi, in parole più crude e precise gestire una situazione populista attraverso una riduzione più o meno ampia, comunque sostanziale, della democrazia (va da sé che l’adozione di “primarie” ecc. alla PD non è un rimedio al male ma è funzionale al male). Si può essere invece populisti e democratici (vedi Tsipras). Terza cosa: occorre tuttavia rispondere positivamente alla richiesta popolare di un accorciamento radicale dei tempi di decisione: occorre quindi combinare azione istituzionale e mobilitazione popolare diretta o tramite i sindacati. A tutto questo infine la situazione italiana aggiunge una quarta cosa: la tutela democratica dei corpi intermedi necessariamente implica razionalizzazioni di tempi e ruoli delle assemblee elettive e, guardando ai grandi sindacati, che essi si diano una regolata: altrimenti è una battaglia persa.
[…]Un’ultima osservazione, su come riesca davvero funzionare un partito populista collocato a sinistra dal lato della difesa democratica, inoltre come esso possa davvero disporre di una reale democrazia interna (evidentemente inesistente nelle formazioni a guida Grillo e Berlusconi, ma inesistente, benché meno evidentemente, grazie all’espediente delle primarie, anche nel PD di Renzi). I tempi rapidi non sono una sorta di condanna alla riduzione netta se non alla mancanza di democrazia, dentro ai partiti e nello stato? La mancanza di democrazia interna di partito non è da considerare come coessenziale, culturalmente, all’attitudine a una riduzione della democrazia nello stato? La risposta a quest’ultima questione è facilissima, ed è sì. Vediamo le altre questioni. Intanto, siccome i tempi rapidi sono necessari, data la situazione populista, altrimenti si rinuncia a esistere politicamente e si ripiega su riti e mitologie in attesa che i santi ti salvino, c’è un solo modo per tenere assieme democrazia interna di partito e velocità: quello della massima coesione interna di partito. E’ questo, inoltre, un modo per funzionare meglio a sinistra rispetto alle formazioni populiste autoritarie: perché al primo grosso inciampo la coesione di queste ultime entra facilmente in crisi. Ciò a sinistra richiede prima di tutto, direi ovviamente, un quadro dirigente non solo serio ma onesto, non accaparratore, non individualista, non settario. Si tratta quindi, quanto a democrazia interna, soprattutto oggi, di un metro che misura l’effettiva capacità politica non solo del capo ma dei gruppi dirigenti, dei quadri, dei militanti attivi stessi.
11.
Le nazioni europee e la fine dell’Europa
di Mauro Piras
(http://www.leparoleelecose.it/?p=15213#more-15213)
Qualcosa di radicale quindi è avvenuto. La novità è che la sinistra istituzionale è stata capace di uscire dal suo recinto elettorale, è stata capace cioè di mobilitare il voto di elettori che hanno sempre diffidato di lei. Il segnale più importante in questo senso viene dal voto nel Nord-Est: i piccoli imprenditori di quest’area, tradizionalmente elettori di centrodestra, Forza Italia o Lega, l’anno scorso hanno spostato una parte considerevole di voti su Grillo; questi stessi voti si sono spostati domenica sul Pd. In generale, in tutta l’Italia produttiva, quindi anche in Piemonte e Lombardia, il Pd si è affermato con forza. È evidente che questo tipo di elettorato non si fida più del centrodestra, diviso e senza una prospettiva politica chiara (e colpevole di non avere mantenuto molte promesse); né si fida dei grillini, non solo perché non hanno portato risultati dopo la vittoria dell’anno scorso, ma anche perché in una situazione di debolissima ripresa economica vengono sentiti come fattore di instabilità. Non era però scontato che questo voto andasse al Pd. Poteva finire nell’astensione, disperdersi in molti rivoli di protesta. Invece è finito a Renzi perché lui ha rotto brutalmente con la tradizione politica del Pd, su tutti i lati, e ha saputo cogliere gli umori dell’elettorato, anche quelli più “neri”, per certi versi: colpire la classe politica, gli alti dirigenti, fare le riforme istituzionali per alleggerire la politica, attaccare i sindacati ecc. E soprattutto mostrare che si è disposti a spendere i soldi dello stato per intervenire sulla tassazione e sulla politica economica, dichiarando chiusa la politica dell’austerità, senza però mostrare rischi di destabilizzazione. Con questo equilibrismo improbabile tra tendenze anche contraddittorie, Renzi è riuscito a mettere insieme questa base elettorale: è riuscito nell’impresa apparentemente impossibile di prendere i voti delle partite Iva abbassando le imposte sul lavoro dipendente. Ma li ha presi con un radicale cambiamento di cultura politica, quella cultura che ha relegato per decenni la sinistra in un recinto sostanzialmente autoreferenziale.
Con questa trasformazione, tuttavia, non si è trasformato in un partito di centro come la vecchia Dc. La pigrizia intellettuale di non voler capire i cambiamenti e di leggere sempre le cose con gli occhiali del passato ha spinto molti, soprattutto a sinistra, a dire che il Pd al 40% è la nuova Dc. Tesi del tutto infondata. La base elettorale lo mostra: anche se ha preso una parte dei voti delle partite Iva deluse dal centrodestra e poi da Grillo, i flussi elettorali mostrano che il Pd non ha preso quasi nulla del voto di Forza Italia, che è sprofondato nell’astensione. Quindi attualmente c’è un elettorato di centrosinistra, che sostiene il Pd, e un elettorato di centrodestra, disperso e in parte inabissato, che conferma la sostanziale polarizzazione del paese. Inoltre, è evidente che il Pd non è la Dc per classe politica, perché il rinnovamento generazionale ha posto alla guida persone cresciute dopo la contrapposizione Dc-Pci. E soprattutto non lo è dal punto di vista della cultura politica, perché la profonda trasformazione che ha reso possibile la vittoria e, finalmente, il recupero del voto dei settori produttivi, è il rifiuto netto, a volte persino semplicistico, della cultura della conciliazione degli interessi, del pluralismo degli interessi, che era il fondamento culturale e sociale della Dc, e che trovava il suo simmetrico speculare nel pragmatismo ammantato di ideologia del Pci. Il persistere ostinato di queste tradizioni dentro il Pd lo paralizzava, moltiplicando i tiri incrociati delle correnti. La nascita di un partito in cui il leader si legittima con un rapporto diretto con l’elettorato ha spazzato via tutto questo.
Come si fa a non riconoscere il fascista prodotto da questa sottospecie di democrazia non rappresentativa di niente, se non di alleanze strategiche basate sui numeri e sull’audience; un marchettaro ambizioso perfettamente inserito nell’ingranaggio post democristiano che ha Dalema, figlio degenere di Berlinguer, come mastro suggeritore per le politiche bancarie e profittevoli di questa Europa inventata smazzettando gli euro come fossero fiori di stagione, e poi metterla in culo a tutti quanti (?).
Ora, io di analisi ne ho fin sopra i capelli perché sono un ideologico post, vale a dire un rivoluzionario disposto a ripartire da capo, magari da quattro principianti, ma per bene, come sono i grillini in parlamento; e di Grillo non discuto perché la filosofia di fondo è quella che tanto tutto andrà nella direzione che deve avere dato lo sconquasso prodotto dall’evoluzione sociale, vedi mestieri che scompaiono e altri, nuovi, che cambieranno l’industria verso altre direzioni più intelligenti; ma ma e ma sarebbe sempre il capitalismo che si riassesta a prezzo di vite e disperazione: sì, è quello, ma santiddìo almeno si cominciano a vedere auto elettriche e i sacchetti di plastica sono degradabili, a parte me tutti hanno smesso di fumare e molti considerano positivamente la vitamina c; molti vanno dallo psicanalista senza essere sul punto di morire, e presto fare politica sarà un mestiere come un altro e non un’occasione per fare la grana perché questo è un paese per privilegiati, che è un retaggio della monarchia, solo più volgare e offensiva. Quando Democrazia proletaria tentò la via delle elezioni non superò la soglia del 2 per cento, e ora che in parlamento c’è qualcuno che si tira su le maniche che capirci qualcosa e decidere in modo diverso ( tanto tutto andrà dove l’umanità sofferente ma intelligente desidera andare) ecco che ci si schiera (inventandolo) contro il populismo. E già, senza ideologia si crolla al primo soffio di vento, questo è il punto. Ma con l’ideologia dove si va, si fa qualche passo avanti o dobbiamo trascorrere la vita ( breve) a domandarci cosa non funziona nelle aspettative della classe operaia ( mestiere di numerosa partecipazione ma che non conta un cazzo e non decide più niente)… democratici decorosi e moderati, democristiani fascisti del vecchio impero, avete rotto il cazzo.
“Ora, io di analisi ne ho fin sopra i capelli perché sono un ideologico post, vale a dire un rivoluzionario disposto a ripartire da capo, magari da quattro principianti, ma per bene, come sono i grillini in parlamento”(Mayoor)
Caro Lucio, io invece credo che abbiamo bisogno di passare attraverso il faticoso lavoro delle analisi. Possiamo avere le nostre convinzioni di partenza, ma bisogna pur misurarle con quanti portano dati e ragionamenti da valutare.
Ecco perché ho proposto questo mio (iniziale) scrab-book di stralci.
O, come faccio adesso, segnalo un altro articolo appena letto:
“Ma perchè ha vinto Renzi?
di Piemme (http://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/3760.html)”
E perciò ho invitato a proporne altri. ( O, per non appesantire lo spazio dei commenti, a segnalare link di articoli che riteniamo quantomeno significativi).
P.s.
Marcella Corsi, a proposito della mancanza d’interventi sui post d’argomento politico, mi segnala da una parte la mancanza di tempo che affligge parecchi impegnati dal lavoro o da altre incombenze quotidiane a cui si deve per forza rispondere e dall’altra il fatto che interventi ben articolati o meditati quasi intimidiscono i lettori di questo blog, che si tirebbero indietro e tacerebbero temendo di aggiungere ben poco. Sulla mancanza di tempo nessuno di noi è in grado d’intervenire. Ma sul secondo punto vorrei sentire qualche opinione. A me non pare che il freno ad intervenire possa venire dalla supposta o reale alta qualità di certi commentatori. Semmai – azzardo un’ipotesi – in questa “pigrizia” ci vedo un certo timore a dichiarare la propria posizione politica, perché il farlo può attirare critiche e richiedere poi la fatica della polemica, del botta e risposta, ecc.
…per quanto mi riguarda, penso che in buona parte Marcella Corsi abbia ragione: mi sento un po’ intimidita a sostenere il mio punto di vista, penso di non avere argomentazioni abbastanza approfondite per rapportarmi a certe discussioni, insomma ammetto una certa ignoranza…ma c’é anche un’altra ragione: ho sempre pensato che dichiararsi per una certa idea non basta, se non si abbracciano le relative componenti emotive e comportamentali, e questo in una discussione non riesce ad emergere. Quando leggo un post di argomento politico, di solito posso arrivare a dirmi: questa idea mi corrisponde, un’altra non mi corrisponde, una terza mi mette in crisi…Comunque non sono passiva e non mi manca il coraggio di dire le mie posizioni politiche nel tempo, ma come dire, mi sento stonata, nel senso che ho dichiarato prima…chi siamo davvero, anche politicamente, non sarà un partito a dirlo, ma una scelta di fondo direi di pelle, di vita, che ci accompagna dalla nascita forse. Dopo di che, direi da giovane ero socialista, poi sono passata a democrazia proletaria, rifondazione comunista, ho votato per i verdi quando ci si poteva avvalere di due voti, poi Sel. Per le europee non ho votato, perchè la lettura del post su Renzi mi ha funzionato da torpedine marina…
Pensierino: e se Renzi fosse il Gorbaciov italiano?
L’Italia è in un marasma simile – toute proportion gardée – a quello dell’URSS brezneviana. Gli italiani non sanno a che santo votarsi: Grillo è inaffidabile (chi lo vorrebbe al governo *sul serio*?); Berlusconi si è/è stato suicidato nel 2011. Renzi si presenta nuovo e bene, gli italiani gli danno fiducia.
Tutto bene, finchè non si passa dalla glasnost alla catastrofe…
@Ennio
mi pare, da quanto ho scritto, di non avere complessi di timidezza nell’esporre le mie posizioni. Ho scritto volutamente in modo diverso perché ritengo che il blog consenta una forma di dialogo differente dalla comunicazione cartacea, che è solitaria per chi ne scrive e per chi legge. L’interattività comporta una maggiore sintesi, o forse sarebbe meglio dire che il mezzo stesso che lo imporrebbe. Altrimenti si passa alla comunicazione cartacea, che offre maggiori spunti per l’approfondimento e la meditazione. Non si tratterebbe quindi di pigrizia ma di conflitto tra metodi e linguaggi relativamente al mezzo espressivo che si sta adottando. Ciò non toglie che ci si possa dividere sulle valutazioni date all’incognita Renzi: anche affermare che Renzi potrebbe essere il Gorbaciov italiano è un’uscita senza fondamento dal momento che fino ad oggi si è solo adoperato per impossessarsi di quanto è stato smosso dal M5S che, andrebbe ammesso, ha modificato l’agenda di tutti i partiti politici italiani. Poco credibili, dai. Il resto lo stabilirà la finanza internazionale, e Renzi farà in buona sostanza quello che han fatto tutti fin qui. L’errore del pd è di non averlo incaricato prima come suo portavoce, del resto si sa che Bersani e Dalema han sempre sbagliato la scelta dei candidati (vedi sindaco di Milano o Vendola in Puglia). Serviva un anti-M5S per coronare la ragnatela di alleanze giostrata da Napolitano. Ci salvi chi può, questa è stata l’unica preoccupazione della classe politica. Grillo non è affidabile? certo che non lo è! Ora tocca ai ragazzi che stanno in parlamento, quelli che hanno avuto contro tutta la stampa ( e anche la “vera”sinistra allo sbando). E’ una rivoluzione democratica, che non sovverte le istituzioni, in qualche modo inedita, i cui esiti sono ancora da vedere, ma perché accada è necessario non cedere al tranello delle alleanze. E’ passato un anno soltanto dalle ultime elezioni, sembrava fatta perché i rivoluzionari ragionano sempre così; invece ci sarà molto molto altro lavoro da fare… per Renzi che ci perderà il sonno: il suo progetto politico sta tutto in 80 euro, quell’altro tolse l’ICI e ora avrebbe voluto ridurre le tasse a Dudù. Ci sarà da ridere (si fa per dire).
SEGNALAZIONE
La discussione su voto alle europee, vittoria di Renzi, sconfitta di Grillo ecc. prosegue con buoni commenti (al di là di ogni valutazione nel merito) ben più approfonditi di quelli qui inviati sul post di LPLC (Le parole e le cose): http://www.leparoleelecose.it/?p=15213
Mi pare doveroso segnalarlo a chi davvero è interessato ad approfondire le questioni.
Mi sento in perfetto accordo con quanto scrive Eros barone: “illusioni sul superamento della crisi e del declino, sfruttando a proprio vantaggio tutte le paure borghesi e piccolo-borghesi e il correlativo richiamo all’ordine e alla stabilità. Come ha ben detto Corrado Passera, Renzi ha vinto perché ha potuto segnare a porta vuota. Ma ciò renderà ancora più aggressivo e antipopolare il suo governo, spingendolo sul terreno delle controriforme economiche e politiche, delle privatizzazioni, della politica di guerra, dell’attacco aperto al movimento operaio. D’altronde, è questo il programma per la cui attuazione è stato insediato a Palazzo Chigi dall’oligarchia finanziaria.”
L’arguta analisi di Piras mi sembra nel complesso piuttosto faziosa, infatti risponde a barone :
“Caro Barone,
le dico solo tre cose.
1) Chiamare Renzi “ducetto” è solo pigrizia intellettuale.
2) Nel voto conta chi va a votare; lo sappiamo bene che il 40 % dei votanti è molto di meno rispetto agli aventi diritto, ma quello che conta è che l’astensione non abbia colpito quasi per niente il Pd, e abbia invece colpito massicciamente gli altri; questo significa che il Pd ha avuto un consenso forte.
3) Si studi bene i flussi elettorali: a parte le partite Iva del Nord-Est, che comunque solo al 30% circa hanno votato Pd, questo non ha quasi preso voti dal centrodestra (e comunque quei voti del Nord-Est l’anno scorso erano andati a Grillo, non vengono direttamente dal centrodestra); molti votanti del centrodestra si sono astenuti, e lo ha capito bene Grillo che ora si sposta a destra per andare a pescare lì.”
Come vedi il tono è indispettito, ed è fazioso quando s’eleva a prevedere quel che farà il M5S.
Comunque interessante, so già che dopo le prossime politiche (che Renzi rimanderà alle calende greche) Piras riscriverà il tutto… e questo conferma alcune mie ragioni di rifiuto alla bella analisi: perché è sempre retroattiva agli avvenimenti, quindi verrà smentita da quel che accadrà. Scelgo l’utopia (ma è un giudizio che mi do per anticiparne di prevedibili), altrimenti nulla si schioda.
Ne ricavo utilità mista a tristezza nel leggere questo pur necessario stralcio di commenti che, con sforzo encomiabile, Ennio mette a disposizione selezionando per il lettore del materiale che porti a * riflettere sulle cose che leggiamo distrattamente e in fretta* e questo modo permetterebbe *una sorta di esercizio critico di ecologia della mente e di riuso sociale delle proprie letture* (Ennio).
Utilità, proprio per rispondere alle osservazioni di Marcella Corsi e Annamaria Locatelli sia rispetto alla mancanza di tempo (problema che affligge tutti) e sia alla necessità di una preparazione di stampo nuovo che ci svincoli dai luoghi comuni, dalle idee preconfezionate, dalle asserzioni prive di sostanza.
E’ infatti qui che si colloca la mia tristezza.
Perché negli stralci degli articoli che ho letto non ho trovato “la scienza”, nel senso di scire, conoscere, che ci porti ad una coscienza (cum-scire) della situazione che stiamo vivendo, bensì la propaganda, ovvero esibire tutto ciò che è utile per tenere bordone o per una parte o per l’altra.
Vero è, come afferma Lucio Mayoor , che il mezzo condiziona il messaggio ma quanto questa limitazione viene giocata ad usum delphini?
Perché, di quanto letto negli articoli, ciò che balza in evidenza è che non si vede un minimo di ricerca, o di interesse, per un’analisi “concreta della situazione concreta” (V. I. Lenin, se vogliamo chiamare in causa un pensatore politico) o la ricerca del “fatto scelto” che dà senso ad un insieme di situazioni apparentemente tra loro scollegate (H. Poincarè, se vogliamo utilizzare il pensiero di uno scienziato matematico).
Solo analisi descrittive di costume e un tipo di sociologismo che serve a sostenere le proprie tesi del momento pronte a essere dimenticate o riutilizzate al primo cambiare di vento (cose analoghe furono dette a seguito della vittoria elettorale di Grillo).
O addirittura deliranti (nel senso di de-lirare = uscire dai confini) come ciò che scrive Mauro Piras: * La novità è che la sinistra istituzionale [?] è stata capace di uscire dal suo recinto [?] elettorale, è stata capace cioè di mobilitare il voto di elettori che hanno sempre diffidato di lei [e che magia ha utilizzato? Solo lo spauracchio di Grillo?]. Il segnale più importante in questo senso viene dal voto nel Nord-Est: i piccoli imprenditori di quest’area, tradizionalmente elettori di centrodestra, Forza Italia o Lega, l’anno scorso hanno spostato una parte considerevole di voti su Grillo; questi stessi voti si sono spostati domenica sul Pd [sai che vittoria!]*
Delirante perché qui non c’è nessuna analisi politica, nemmeno come abbozzo, ma è soltanto un mercato delle vacche che si spostano ora da una parte ora dall’altra.
Altro ‘gioiello’ lo vediamo nei giochi linguistici nell’istituire differenze tra il parlare di ‘populismo’ e il parlare di ‘situazione populista’ (Luigi Vinci) onde poter svicolare da possibili attacchi e accuse d’ancien régime.
Non mancano i riferimenti all’immancabile “inerzia italiana” (Christian Raimo), al “tradizionale trasformismo italico” (Pierfranco Pellizzetti), e al richiamo ad una “piccola borghesia e i suoi addentellati nella piccola rendita, nel ceto medio impiegatizio” (Riccardo Achilli) dimenticando che quei concetti hanno ormai fatto il loro tempo senza che si sia prodotto altro in loro sostituzione.
L’unico intervento che ho trovato abbastanza sensato è stato quello della redazione di Contropiano (l’unico che abbia segnalato il nesso tra queste votazioni e *il semestre europeo a guida italiana*), il che significa poter pensare che ci sono i disegni del ‘burattinaio’ e non soltanto i giochi scomposti dei burattini che pensano di essere dei primi attori.
Anche se, poi, parlando di populismo di regime che *come nel fascismo di cento anni fa… nasce “socialista” o socialdemocratico*, l’articolo è un po’ troppo spiccio nel sottolineare le ‘somiglianze’ e non fa vedere anche le differenze. Per quanto demagogico possa essere, non fu la stessa cosa istituire un [sappiamo quanto falso] *rapporto diretto con il “popolo”* coinvolgendolo nell’ideologico ‘sentirsi una nazione’, o invece gabellarlo, come oggi, offrendolo in pasto su di un piatto d’argento ai dominanti i quali, poi, ne spartiranno le spoglie con i sub-dominanti.
R.S.
*NOTA. Pubblico con ritardo e a nome suo questo commento di Paolo Pagani, autore dell’articolo “2034???” (https://www.poliscritture.it/2014/04/29/2034/), al quale avevo chiesto una piccola riflessione dopo i risultati delle europee. [E.A.]
Caro Ennio,
cercando di andare oltre la spontanea battuta “sono stato troppo ottimista col mio punto di domanda”, provo a capire questo 41 per cento.
In parte si spiega sul piano della contingenza, considerando:
– la totale rimozione di ogni riflessione e progetto sulla politica europea
– la polarizzazione dello scontro su due sole figure (+ la mezza di Berlusconi)
– l’atteggiamento ricattatorio da “ambetre” le parti: o noi o il disastro
– la sfacciata sudditanza della stragrande maggioranza dei mass-media, chi per comprensibili motivi di ‘audience’, chi per servilismo, chi per presunzione scalfariana di guidare l’opinione pubblica
– il puntare su immagini d’impatto e di facile consumo, in pura prospettiva di rivalità interna italiana
– il volere vincere a tutti i costi votando e saltando sul carro elettorale mainstream, pur di piantare la bandierina
– etc ad libitum
Si può capire come la vittoria di Renzi possa avere raggiunto dimensioni anomale ed impreviste. Ma ciò non spiega uno zoccolo duro (diciamo un 30 per cento?) che va ricondotto ad un piano strutturale. E non spiegato solo con il riferimento (che pur c’è) ad un ottuso gregge di elettori. In questa prospettiva finirei col ripetermi: il ‘renzismo’ ( e non il solo Renzi, cosa che è stata ampiamente fraintesa da alcuni) porta alla maturazione una deriva antropologica e culturale che era stata inaugurata, o sintomatizzata, con maggiore rozzezza, dal berlusconismo (basti pensare all’uso delle pin-up politiche, che in B. si è fermato ad escort e santanchè, e nel renzismo assume vesti meno volgari e sgrammaticate).
Vorrei sottolineare, avendo sentito vari commenti sul ‘moriremo democristiani’, Renzi e il PD come nuova Dc, etc., che trovo questa interpretazione arretrata. Non è una ripetizione di vecchi categorie (fosse così! Arridatece….), ma è la prefigurazione del possibile futuro. Una società dello spettacolare integrato, di cui forse solo Guy Debord era stato capace di intuire i rischi già 50 anni fa. Di un turbototalitarismo coi guanti di velluto o, se preferisci, con la vaselina. Di cui alcuni elementi strutturali sono sicuramente arcaici ( il fascino dell’uomo forte, quell’infantilismo politico tipicamente italiano che sente il bisogno dell’autorità del padre – mentre ad esempio in Francia, da due secoli in qua, gioca un atteggiamento adolescenziale che mira ogni volta ad uccidere i padri…), ma la maggior parte sono distopici.
Alcuni credo di averli individuati ( la mitologia modernista, la neutralità della tecnocrazia, la semplificazione efficientistica dei messaggi, la retorica della ‘mission’, il primato della produttività nel senso più lato del termine, la manipolazione occulta/soft della pubblica opinione, l’appello universalistico ad una presunta unità del paese o della società…), alcuni altri mi potrebbero essere più proficuamente evidenziati dalla riflessione altrui.
Arrivato a ciò, per il momento, faccio una pausa di meditazione e mi siedo sulla riva del fiume. Alla prossima . Paolop
Mi trovo d’accordo con questa lettura in chiave sociologica. Proprio perché diversa per molti aspetti dalle interpretazioni canoniche marxiste, nel senso che mi pare si tenti di guardare oltre, da un punto di vista più ampio, culturale se non antropologico. Tuttavia aggiungerei un dato: l’80% delle famiglie italiane abita un case di proprietà (ci battono solo alcuni paesi dell’est). Non so valutare gli effetti della proprietà privata sul piano umano, ma immagino contribuisca in parte a spiegare l’atteggiamento prudente (istituzionale) dell’elettorato: difensivo, egoistico? E’ un fatto che un po’ mi spaventa. In Germania i proprietari di casa non superano il 40% della popolazione, e immagino che questo obblighi i loro governanti ad un impegno sociale differente dal nostro. Qui da noi la morsa economica, delle banche e dello stato, non offre scampo.
@ Ennio e a tutti
Vi mando questa mia ultima scaturita dai dibattiti del Blog. Spero vi sia gradita. Emilia
LA STORIA
La voglia di uscire dal giro
inutilmente chiuso al nostro animo
nulla può fermare il desiderio
il continuo lacrimare su cose perdute
allora si spargono foglie appassite
su tratti di strade conosciute
agli occhi s’aprono frontiere
al passo incerto la paura rischia
al di là irrompe il rumore della vita
il silenzio del nulla abbandona l’incedere
più della forza sembra valere il senso
della nuova vita che intacca l’avvenire
come insetto dentro un ramo
Era lontano il tempo della leggerezza
dove corse e danze non subivano variazioni
la lotta era del puro e il volto del grande
Ora si può riprovare ma altra musica
sconosciuta alla memoria resta
una fitta all’osso un’altra storia.
Emilia Banfi
Ora che le acque si sono “calmate” nella discussione sui risultati elettorali ci ritorno sopra per valutarli meglio, potendo anche verificare i loro primi effetti nella politica del governo e non solo. Sono d’accordo con quello che scriveva Simonitto nel suo intervento nella parte in cui lamentava la convenzionalità di tante analisi e anche la loro relativa utilità. Dissento invece profondamente nella parte in cui stigmatizzava l’intervento di Cabras come de-lirante (se ho capito il senso che lei da a questa parola). A parte la banale considerazione che il delirio è tale a seconda del punto di vista con il quale lo osserviamo, io non vedo nelle riflessioni di Cabras una tesi particolare ma solo una presa d’atto dei numeri espressi dal voto, dei flussi elettorali, utilizzando quelle categorie di pensiero che utilizzano la stragrande maggioranza delle persone. Volendo ragionare di, e magari anche impegnarsi in politica non possiamo ignorarle.
Evidentemente “noi” ne abbiamo altre, e giustamente, più raffinate, più demistificatrici se vogliamo, ma prendiamo atto che quelle prevalenti sono anche quelle di Cabras. Insisto su questo punto perchè l’analisi sulle persone che “non capiscono” o non si rendono conto, sulle aspettative della “classe operaia” che ci delude con i suoi orientamenti elettorali (dalla Lega a M5S passando per Forza Italia…), sui burattinai e complotti che noi vediamo chiaramente ma chi vota evidentemente no, sinceramente mi hanno stancato. Riporterei il discorso alla base, al principio che in democrazia ogni testa è un voto. Si può anche rifiutare questo criterio, pensare a sistemi politici che incrocino democrazia con altre forme, ma noi oggi stiamo in questo e non in altri. Per me i dati sono questi:
1. hanno votato 27.448.906 cittadini cioè donne e uomini in carne ed ossa che hanno portato la loro testa con quello che c’era dentro – bello o brutto che fosse – in un seggio. Hanno preso con le loro mani una scheda e ci hanno apposto una croce e l’hanno restituita. Ora io queste persone per prima cosa le rispetto, tutte, a prescindere da quello che hanno votato.
2. Rispetto anche le 21.671.202 che non si sono recate a votare, come ho già detto in altre discussioni.
3. Il rispetto credo che sia la pre-condizione per tenere aperto un canale di comunicazione con entrambi gli orientamenti se vogliamo almeno sperare in un possibile confronto e magari anche cambiamento.
4. Il primo partito in Italia è comunque quello di chi non è andato a votare, cioè 21.671.202 persone, cioè più del doppio degli 11.203.231 che hanno votato il PD di Renzi. In questa logica le percentuali di incidenza reale dei partiti si ridimensionano molto. Il PD diventa il 22%, il M5S l’11%, Forza Italia il 9% e gli altri a ruota.
5. Molti degli 11.203.231 cittadini italiani che hanno votato PD lo hanno fatto con la convinzione di votare una forza alternativa alla destra e a Berlusconi, di votare a sinistra. Tutti ingenui, tutte anime morte? Tutti cittadini perduti e ormai irrecuperabili alla democrazia? Cabras mi pare che ne prenda semplicemente atto.
6. Tutti gli 8.511.424 di cittadini che hanno votato a destra dividendosi fra Forza Italia, Lega, UdC e Fratelli d’Italia (e lascio fuori per semplificare un po’ il ragionamento il M5S…) lo hanno fatto con la convinzione che votare PD sarebbe stato votare la sinistra e i comunisti. Questa è l’Italia in cui viviamo, questi i ragionamenti che fanno la stragrande maggioranza delle persone che incrociamo nei luoghi di lavoro, sui mezzi pubblici, nei negozi, nei centri commerciali…
Nel momento in cui si decide di agire in politica incluso il momento elettorale, o si assumono anche queste macro categorie o facciamo altro, magari anche di meglio. Il problema per me oggi è come costruire in questo contesto l’alternativa al ventennio renziano che ci attende; e questo è particolarmente urgente in quanto a distanza di poco più di un mese dalle elezioni quello che sembra emergere è un mix di misure in molti casi populiste, ma che comunque sono vissute in maniera positiva da chi ne trae un beneficio (gli 80euri rappresentano l’esempio più lampante), e misure sul piano delle politiche del lavoro, scuola, pubblica amministrazione e ambiente assolutamente discutibili e per certi versi preoccupanti. Sia per quello che dicono e soprattutto per quello che non dicono (sapete che fine ha fatto il job act?…). A questo quadro aggiungiamo poi che sul piano del metodo Renzi mira a saltare qualsiasi mediazione sociale, dal sindacato al ambientalismo organizzato, al volontariato sociale come se governare alla fine fosse solo una funzione tecnica neutrale. Come ho già detto in altri ambiti, la dicussione vera che vorrei fare è come costruire o ri-costruire una alternativa politica che possa attrarre consenso e affrontare la complessità dei problemi in campo. Fra i deserti descritti da alcuni, l’incapacità di comprendere le “banali” categorie concettuali dell”elettorato e le ‘ire di altri per quello che sono oggi gli italiani, per finire con le poesie che pretendono di fare impossibili sintesi (e mettiamoci pure la “spocchia” del mio intervento…), è difficile intravedere a breve questa possibilità. Ma un tentativo per provarci ancora lo farei.
SEGNALAZIONE
AGGIORNAMENTO SUll’IMBATTIBILE MATTEO RENZI: L’OPINIONE DI PERRY ANDERSON
Dall’inizio, lei non ha preso in considerazione una minima, efficace opposizione a Renzi nel Pd. Non vi sono forse molteplici segni di disagio nei suoi confronti nel partito?
Si, ci sono, ma nessuna opposizione che possa minacciare la sua posizione o alterarne il corso. Lo scontento si presenta in due forme. Da una generazione più anziana tutt’altro che radicale, ma la cui moderazione incarna onorevoli valori – un senso della decenza, un certo attaccamento al movimento operaio – della tradizione del Pci, in disaccordo con le posture di sfacciato neoliberismo di Renzi: un’eredità impersonata da figure come quella di Bersani o di Gotor. C’è poi una più giovane generazione di carrieristi, alcuni dei quali, come Orfini, sono saliti sul carro di Renzi, mentre altri – Fassina, Civati – rumoreggiano critiche perché messi da parte. Nessun gruppo è incline a opporre alcuna ferma resistenza a Renzi, ne è testimone la loro performance sul Jobs Act, la riforma elettorale, l’abolizione del Senato. Renzi getta loro delle briciole di volta in volta, sapendo che di più non chiederanno. La ragione è semplice. Con il declino di Forza Italia e il premio automatico in Parlamento, il Pd potrebbe arrivare ad avere un’egemonia in Italia simile a quella della Dc, un quasi monopolio del potere. Non sarebbe però la stessa cosa, per due ragioni.
La Dc era un vero e proprio partito di massa, con una tradizione politico-culturale sostanziale e con radici profonde nella società civile, mentre ora il Pd è poco più dell’attrezzo elettorale di un carismatico opportunista. In tal senso, il Pd è assai più debole. Ma d’altro canto ha nelle sue mani la carta vincente di una legge truffa che la Dc mancò per poco: con un mero quarto dell’elettorato – purché la lista classificatasi seconda nella votazione successiva sia ancora più bassa – potrebbe continuare a disporre di una maggioranza in parlamento schiacciante. La prospettiva di un mantenimento indefinito del potere è troppo appetibile perché una qualunque corrente rilevante nel Pd si opponga seriamente lungo il percorso.
(Da http://www.sinistrainrete.info/politica/4845-perry-anderson-il-populismo-continentale.html)