Sul Festival dell’economia di Trento

festival economia

di Luca Chiarei

Dopo due giorni e mezzo di incontri, dal festival dell’economia di Trento, dedicato a “Classi dirigenti, crescita e bene comune”, la prima impressione che si ricava è che si è parlato molto delle prime e della seconda, mentre del terzo aspetto assai meno. Che il paese abbia un problema di classe dirigente in termini di competenza e credibilità questo è indubbio, come la cronaca politica e economica ci ricorda quasi quotidianamente. E’ però altrettanto vero che un ragionamento di prospettiva non possa non sviluppare adeguatamente anche l’altro aspetto del problema: l’accesso ai beni comuni, sempre più problematico, per la fetta maggioritaria della popolazione che classe dirigente non è e che gli effetti delle scelte di politica economica li subisce.
Tuttavia, al contrario delle opinioni pregiudiziali che si possono avere nei confronti di questo evento, i vari interventi non sono stati un coro univoco. Anche all’interno del “sistema” degli economisti classici le analisi sulle ragioni della crisi e le vie d’uscita erano in alcuni casi anche profondamente diversi. Se però si voleva trovare voci veramente fuori del coro, allora si doveva o andare veramente fuori (l’iniziativa dell’oltrefestival sul quale tornerò poi), oppure andare agli incontri dell’economista Robert McChesneye, Professor al Dipartimento di Comunicazione dell’Università dell’Illinois, che ha parlato di dollarocrazia…; o di Franco Gesualdi, ex allievo della scuola di Barbiana e fondatore del Centro Nuovo Modello Di Sviluppo. Dovendo per ragioni personali fare una scelta tra le due iniziative ho optato, anche per la mia personale conoscenza di Franco che risale agli anni 80, per il suo incontro dal titolo accattivante “Fuori dal debito, oltre la crescita”, nel quale era chiamato ad un confronto Paolo Manasse, Professore di Macroeconomia e di Politica Economica all’Università di Bologna nonché consulente dell’OCSE, della Banca Mondiale, dell’Inter-American Development Bank e dell’IMF.
La discussione è stata un confronto, anche serrato, tra due concezioni dell’economia divergenti. Il ragionamento è partito dal tema dell’origine del debito pubblico, della sua attuale natura e dei vincoli per i quali – nuovo dogma di fede – siamo “tutti” chiamati a ripagarlo.
Sul fatto che l’origine del debito italiano nasca dalle politiche dei governi degli anni ’60 e poi in particolare dei ’70 i nostri relatori erano d’accordo. Le divergenze nascevano quando nel dibattito è stato introdotto un punto di vista preciso, che non è quello dei mercati. Ed il punto di vista proposto da Gesualdi, in coerenza con la famosa lettera ad una professoressa [1], è semplicemente quello dei cittadini che il debito pubblico lo devono pagare senza consapevolezza alcuna.
Da qui la denuncia che esso, a differenza della vulgata diffusa dai mercati, non è un evento naturale come la pioggia (e neanche di quella possiamo dire che bagna tutti in egual modo…se pensiamo alle conseguenze dei cambiamenti climatici sul sud del mondo), ma storico e strutturale, tipico cioè dell’economia capitalistica. Esso è la conseguenza dei rapporti di forza tra i vari soggetti, economici prima e poi politici. La crisi stessa, nella sua versione italiana ma fondamentalmente su scala globale, si presenta come crisi dettata dalla necessità di riduzione del debito.
Gesualdi ha proposto la ridiscussione del debito a partire da un dato preciso: oggi è la speculazione finanziaria che spadroneggia ed è per causa sua che si pagano gli interessi. Siamo cioè di fronte a un meccanismo perverso per il quale gli interessi alimentano se stessi, un anatocismo [2] collettivo che sul piano normativo nazionale è già stato dichiarato illegittimo da varie sentenze. Si parla di qualcosa come 2000 miliardi di euro… Il punto centrale nell’analisi di Gesualdi non è tanto la rilevazione quasi scontata che il debito non grava su tutti in egual modo, anche per le politiche fiscali che si sono succedute negli ultimi anni (pensiamo alla riduzione degli scaglioni dell’Irpef) ma rimettere in discussione se e in che misura il debito debba effettivamente essere ripagato. O se, per ripagarlo, si debba compromettere la dignità dei cittadini, che se lo dovrebbero comunque assumere, per scelte e azioni fatte da altri e in altri tempi.
Il suo ragionamento si muove tra ortodossia e eterodossia del pensiero economico: per definizione nel sistema finanziario e speculativo l’assunzione del rischio nell’investimento è imprescindibile, per cui si sa prima che l’investimento può andare a buon fine o meno; e, dunque, che il capitale non rientri o che gli interessi non siano remunerati. Quando una banca o una società investe in una impresa, o in uno stato in quanto garante massimo dell’economia nazionale, deve – secondo Gesualdi – assumersi anche il rischio che l’investimento possa non andare a buon fine. E dunque in certi casi uno Stato, nell’interesse dei propri cittadini e dopo una sorta di indagine popolare di ricognizione delle voci del debito – proposta articolata in un capitolo del suo libro -, dovrebbe rinegoziare i termini del debito o addirittura rifiutarsi di pagarlo.
Ovviamente questo ha scandalizzato il prof. Manasse, che vi ha visto una perdita di credibilità complessiva del sistema paese tale da precludere l’accesso a nuovi canali di credito.
Per saperne di più non resta che leggere l’ultimo libro di Gesualdi “Le catene del debito e come possiamo spezzarle” (Feltrinelli editore). Nel capitolo dedicato al “ripudio del debito” si trovano, infatti, indicazioni sui soggetti che in italia si fanno promotori di questo obiettivo politico. L’elenco purtroppo è veramente scarno e fatto di realtà fondamentalmente sconosciute, malgrado il tema vada considerato il più urgente dell’agenda politica di ogni democrazia occidentale. Si tratta, a mio parere, di iniziative rinchiuse nella riserva indiana dell’antagonismo, come per certi aspetti l’oltre festival, evento organizzato dai movimenti alternativi trentini. Relegato/relegatosi in una zona periferica della città rispetto agli eventi del festival, ha messo in campo iniziative interessanti, portato in Italia Stedile João Pedro, Fondatore del Movimento dei Sem Terra in Brasile (relatore comunque anche ad un dibattito del festival “ufficiale”), ma corre il rischio di rimanere una semplice “curiosità” se non si cerca la contaminazione, anche conflittuale, con il “sistema”. Da qualsiasi parte stiate in ogni caso di lavoro politico da fare su questo punto non manca.

NOTE

[1] “E in questo secolo come vuole amare se non con la politica o col sindacato o con la scuola? Siamo sovrani. Non è più il tempo delle elemosine, ma delle scelte. Contro i classisti che siete voi, contro la fame, l’analfabetismo, il razzismo, le guerre coloniali” (da “Lettera a una professoressa – scuola di Barbiana”).

[2] L’azione con cui si sommano gli interessi al capitale sul quale sono stati calcolati (capitalizzazione degli interessi), in modo che detti interessi producano a loro volta altri interessi supplementari. In altre parole si tratta del cosiddetto calcolo degli interessi sugli interessi.

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