PER LA TRAGICITA’ DI QUANTO AVVENUTO A GAZA QUESTO POST APPARSO PER LA PRIMA VOLTA IL 10 LUGLIO 2014 @ 19:22 E’ STATO MANTENUTO IN PRIMO PIANO SUL SITO FINO AL 31 LUGLIO.
di Ennio Abate
Scrivere ancora su Gaza.
Pensarci quando la bombardano gli israeliani.
(Ogni tanto).
Quando una bestia s’inalbera, il contadino la bastona.
Così gli israeliani…
Maledire lo Stato di Israele (e quelli che sulla sua potenza ci campano).
Maledire lo Stato di Israele per come bombarda e giustifica le sue bombe.
Maledire i suoi sostenitori. (E fossero solo gli USA e gli europei).
Essere impermeabili alle accuse di antisemitismo e di filo jihadismo
che tappano la bocca di chi insiste a ragionare
su questa lontana orrenda incacrenita faccenda.
Fare del sarcasmo sui pacifisti e sui letterati che sanno solo…
Girando il coltello nella nostra piaga | in inavvertita e non voluta coincidenza con la caduta delle bombe su Gaza | oggi (9 luglio 2014) | su «Le parole e le cose» (qui) | in occasione dell’uscita nella Pléiade | «la collana più prestigiosa d’Europa» | delle «Oeuvres» di Philippe Jaccottet | Massimo Raffaelli | che è serioso ma pur pulito nel linguaggio e stimabile | forse invaghito di uno «dei massimi poeti del nostro tempo» o semplicemente per dovere d’ufficio | ha lasciato cadere le seguenti parole: |Peter Handke | (di cui i vecchi si ricordano | perché | ai tempi della guerra in ex Jugoslavia | difese scandalosamente la Serbia | bombardata anche grazie ai baffetti governativi di D’Alema) | «trattando di quella inimitabile cadenza» | [di Jacottet, s’intenda] | parla di una sua “meravigliosa irresolutezza” | ed è, | di fatto,| la stessa di un poeta | che non si dà altro compito | se non di ascoltare, osservare, infine vedere».
Ascoltare osservare vedere…
Non avendo più in mente nulla
che possa tirarci fuori
(tutti o almeno una parte dei viventi)
dall’ansa melmosa e puzzolente
in cui la storia (il Fiume della…Seee!) ci ha ammucchiati e ammutoliti
a me
– vanitosamente, lo ammetto
(e mi rivolgo a voi letterati concorrenti)
retoricamente, lo so
(e lo dico a voi critici indisponenti)
disperatamente, lo riconosco
(lontano da voi politici come me morenti) –
è venuto di commentare:
« Oh, sì!
Come avremmo bisogno di questi poeti
in Ucraina, in Siria, in Irak
a Gaza (in questo momento!)
al posto di tanti inviati speciali».
Come avremmo bisogno che le nostre orecchie ascoltassero il boato di una bomba
i nostri occhi osservassero le macerie degli edifici
e vedessero i corpi dei morti
e i corpi dei vivi che hanno ordinato quelle morti
come noi ordiniamo al salumiere tot grammi di carne sanguinolenta.
Come avremmo bisogno di odiare pensare protestare
e non solo di esclamare (dopo, sempre dopo).
*Nota. Una versione in bozze di questa poesia è uscita su MEGACHIP (qui)
Continuano i bombardamenti israeliani su GAZA. Continuano le morti di
civili.
Basta occupazione dei territori palestinesi ! Basta colonie israeliane
in Palestina !
BASTA BOMBARDAMENTI !
L’Europa, l’Italia chiedano ad alta voce che Israele rispetti le risoluzioni ONU!
BASTA SILENZIO ! BASTA EQUIDISTANZA !
Sabato 12 luglio ore 18 tutte e tutti in S. Babila (MI)
* Nota. Non basta, ma andiamoci lo stesso
La tragedia prosegue senza fine né spiragli. Tutto il mondo deve reagire!!!!
Da http://www.nuovasocieta.it/editoriali/le-foto-dei-bambini-massacrati-a-gaza-non-piacciono-a-facebook/?fb_action_ids=10203612101297077&fb_action_types=og.likes
Le foto dei bambini massacrati a Gaza non piacciono a Facebook
luglio 09
19:05 2014
Che il maggior social network del mondo, Facebook , sia molto discusso per quanto riguarda le forme di controllo e risaputo. Spesso e volentieri gli utenti denunciano il fatto che qualcuno interviene nelle bacheche censurando immagini sgradite. Al contrario profili di ispirazione neonazista, omofoba, xenofoba difficilmente vengono cancellati.
Nelle ultime ore, chi ha postato la fotografia (che per la cronaca non è quella che pubblichiamo) di tre bambini uccisi dalle bombe di Israele, ha avuto l’amara sorpresa di vedersele cancellate. Facebook insomma censura un fatto di cronaca terribile, rimarcando il fatto che finché usi lo strumento per comunicare con gli amici, per baccagliare, per “cazzeggiare” non ci sono problemi. Anzi diventi utile per indagini di mercato. Sconcertante comunque che ogni forma di libera informazione, di condivisione, viene cancellato definitivamente mentre foto del genere dovrebbero essere divulgate, condivise il più possibile affinché l’opinione pubblica si renda conto della carneficina che è in atto in Palestina. Chi è dietro a Facebook, e, cancellando e censurando, non fa altro che coprire dei crimini contro l’umanità.
scusate, ma anche l’ingenuità è una colpa.
Come potevate anche solo immaginare che a casa di… Zuckerberg:
“Nel 2011 Zuckerberg si posizionò primo nella classifica degli “Ebrei più influenti del mondo” redatta dal Jerusalem Post e da allora ha sempre occupato le primissime posizioni di quella classifica.[8][9]” (fonte wiki)
si potesse parlar male di Israele.
Dai, ragazzi… la censura sarà anche odiosa ma l’ingenuità, anzi la sprovvedutezza non sono certo virtù. Né scusano.
@ Detti
Ho riportato da altro sito. Sì, purtroppo di ingenui “colpevoli” ce ne sono a milioni.
La vicenda della Palestina è l’emblema dell’ipocrisia occidentale in fatto di politica estera: U.S.A. in primis ed Europa a seguire, col suo imbarazzante e rumoroso silenzio, i suoi melensi appelli alla pace. Ma la pace non può esserci, se non c’è giustizia e almeno il rispetto (non dico l’amore, che detto così è solo ideologia e non sostanza).
Hamas, il terrorismo di Hamas è il risultato di tutto questo e la risposta al terrorismo dei muri, delle perquisizioni, delle umiliazioni, degli espropri, dei ghetti. E fra la politica estremistica di Hamas e quella altrettanto estremistica dei falchi israelinai ci sta la gente, che non ne può più di fare da scudo umano alla follia degli estremi. La gente che adesso tace, perché in guerra parlano i razzi e i bombardamenti.
Si parla di diritto, di sicurezza, di terrore ma in ogni caso, sarà la pace a portare la sicurezza, il diritto, la tranquillità e non la sicurezza a portare la pace. Ma questa è una visione che dovrebbe cambiare per tutti, per chi non fa che spendere danaro in armamenti sempre più sofisticati e disumani che innalzano il livello di paura e di insicurezza, anziché favorire la pace. Molto tempo fa si parlava di disarmo e il risultato è un riarmo sempre più folle, con spese folli (si parla di due miliardi di miliardi di dollari, in tutto il mondo, ossia 285.000 € a cranio, compresi i neonati e la media italiana dovrebbe essere intorno a 700/800 mila euro a persona. Follia a livello impensabile, follia che è frutto della razionalità della politica intesa come gestione del potere – ma la politica dovrebbe essere qualcosa d’altro, di più umanistico).
E cosa dire… le parole non hanno senso davanti a tanta imbecillità di chi governa. O piuttosto malafede, retorica, razionalizzazione di una visione folle dei rapporti fra i popoli. Colpa di Israele? Colpa di Hamas? E noi, siamo innocenti? Prima di accusare…
Più che dell’ipocrisia, la guerra di Israele ai territori palestinesi mostra in tutta evidenza la vera faccia dell’occidente. E mentre lì si ammazza un popolo inerme, dall’altra parte si registra il disinteresse generale, un fastidio quasi per quei corpi straziati. Mi rimarrà impresso per sempre il viso di quel giovane tra le macerie, impazzito dal dolore.
Serve la pace? Si deve lavorare per la pace? Noi diciamo sì.
E allora, perché ogni volta che si intraprende la via della pace, si finisce nel delirio della guerra?
E’ successo così anche adesso.
Che la smettessero allora di ‘intraprendere’ la via della pace, si armassero piuttosto (tutti i governi) a garantire la non belligeranza. La pace attualmente è solo quella dei sensi.
Poi, Ennio, è chiaro che a facebook ‘non piacciono’ le foto dei bambini trucidati, perché non piacciono a nessuno, non vorremmo vederle mai quelle foto, ma facebook è un’altra cosa, appunto. E’ la vetrina dell’apparenza e dell’estemporaneità, nei limiti, del ‘vogliamoci bene’.
E, a proposito di fb, ho postato la tua poesia, e tanto vale più di un’amicizia.
@ gianmario
Caro Gianmario,
in questa poesia ho tentato di tener presenti ma senza argomentarli (mettendo un titolo per nulla apodittico, ricorrendo ai puntini sospensivi e a volte a una battuta mascherata) i problemi politici incancreniti («questa lontana orrenda incancrenita faccenda») dello scontro tra Stato d’Israele e palestinesi.
Vorrei però difendere anche il taglio politico antisionista che le ho dato. Atteggiamento politico dal quale non sono mai riuscito a scostarmi da quando per la prima volta lo feci mio dopo la lettura de «I cani del Sinai» di Franco Fortini (che risale all’estate del ’67 a ridosso della “guerra dei sei giorni”). E che ho ribadito anche nel 2009, quando avvenne l’operazione «Piombo fuso» ( Cfr. in Appendice quel che scrissi allora sul vecchio sito di Poliscritture).
E perciò, con tutto il rispetto e l’amicizia che ho verso di te (ma anche verso alcuni amici ebrei), non riesco ad approvare ora l’atteggiamento che a me pare, comunque, di equidistanza delle tue parole. Provo a elencare i motivi:
Primo. Mi pare deviante parlare di “terrorismo”. Anche se tu presenti «il terrorismo di Hamas» come «la risposta al terrorismo dei muri, delle perquisizioni, delle umiliazioni, degli espropri, dei ghetti» praticato dagli israeliani, lasciando intendere, che c’è una differenza di grado tra i due e che quello degli israeliani è quello che ha prodotto, per reazione, quello dei palestinesi ( prima di Arafat, ora di Hamas). Si deve parlare di due politiche contrapposte e inconciliabili.
Secondo. Nelle tue parole non è presa in considerazione un dato oggettivo di grande importanza: l’immenso squilibrio tra la potenza economico-politico-militare dello Stato di Israele e quella di Hamas e dei palestinesi.
Terzo. Presentare «la gente» ( la popolazione palestinese e quella israeliana) come fosse un ostaggio «fra la politica estremistica di Hamas e quella altrettanto estremistica dei falchi israeliani» ( tra “opposti estremismi”) è in parte cogliere un dato vero, ma rischia di non tener conto dell’appoggio convinto o coatto di quelle popolazioni ai loro governi, come del resto accade anche in Italia e in tutte le parti del mondo. (Cosa vuoi che facciano gli abitanti di Gaza? Cosa vuoi che facciano gli abitanti di Israele? Tranne poche minoranze dissenzienti, stanno nei fatti, magari mugugnando, coi loro governi…).
Quarto. Tirare in ballo la “follia umana”, parlare di «follia degli estremi» impedisce di intendere lo scontro tra strategie politiche, che – ci piacca o non ci piaccia la politica – è quello decisivo. La “follia umana” non spiega la storia. Sarà una componente più o meno rilevante anche nelle scelte strategiche e politiche compiute dai governanti e dai loro consiglieri, ma non è mai quella dominante.
Temo che noi parliamo sbrigativamente di follia, quando ci troviamo di fronte a un comportamento che non comprendiamo, che magari ci danneggia e che non siamo in grado di ostacolare. In Medio Oriente (ma anche altrove) non c’è uno scontro tra opposte follie, ma si fronteggiano forze che hanno più potere (economico, politico e militare) e forze che ne hanno meno. (Qui la distinzione che fa G. La Grassa fra dominanti e subdominanti mi pare utile: lo Stato d’Israele fa parte del blocco dei dominanti (quello che fa capo agli USA), Hamas fa parte del blocco dei subdominanti (riceve aiuti dall’Iran ecc.).
Quinto. Noi oggi, minoranze intellettuali disperse e con scarsa conoscenza della realtà e dei rapporti tra gli Stati e, all’interno degli Stati, dei gruppi che influenzano le loro politiche, non riusciamo a capire come si potrebbe evolvere il conflitto in Medio Oriente, che è condizionato e condiziona gli altri conflitti («in Ucraina, in Siria, in Irak»).
Non essendoci neppure più di aiuto gli strumenti che avevamo conquistato (il marxismo o una qualche filosofia della storia), facilmente cadiamo o nel catastrofismo (“verrà fuori una nuova guerra mondiale”) o nell’utopismo («sarà la pace a portare la sicurezza, il diritto, la tranquillità e non la sicurezza a portare la pace»). A me paiono entrambe vie da non imboccare più.
Sesto. «La politica dovrebbe essere qualcosa d’altro, di più umanistico» ? Il “dovrebbe essere” rischia di renderci ciechi su ciò che realmente accade; e ci impedisce di capire le trasformazioni continue che avvengono. (In apparenza soprattutto contro di noi, contro le condizioni di vita in cui ci ritroviamo).
Facciamo solo per un attimo un’altra ipotesi: che nulla più nella realtà spinge i processi sociali e politici in direzione umanistica o progressista; e che, invece, tutto congiura a rafforzare proprio i potenti, quelli che già stavano in posizione di maggior vantaggio rispetto a noi, quelli ben forniti di « malafede, retorica, razionalizzazione di una visione folle dei rapporti fra i popoli», ma anche di conoscenze scientifiche, di poteri decisionali, di consenso.
Non è un’ipotesi incoraggiante, ma potrebbe mostrarci cose che mai vedremmo partendo da una politica come dover essere.
Settimo. «Colpa di Israele? Colpa di Hamas? E noi, siamo innocenti? Prima di accusare…». Capisco che il tuo è un invito a non schierarsi frettolosamente. E lo sento rivolto proprio a chi, come me, osa « maledire lo Stato di Israele» e invitare a « essere impermeabili alle accuse di antisemitismo e di filo jihadismo/ che tappano la bocca di chi insiste a ragionare/ su questa lontana orrenda incacrenita faccenda».
Eppure, secondo me, ti sbagli a porre un problema politico in termini morali, cioè di «colpa» o di “innocenza”.
Israele, Hamas, noi (intendendo l’Italia e anche i singoli dei vari paesi) abbiamo tutti delle colpe. Ma non possiamo ragionare a questo livello morale. Ci addentreremmo nella solita notte (hegeliana) in cui tutte le vacche sono nere. L’interrogazione sarebbe infinita e credo paralizzante.
Secondo me, dobbiamo riconoscereche la storia è conflitto; che nel conflitto e nei conflitti agiscono i dominanti, i subdominanti e i blocchi di «gente» che, consenzienti o passivamente, li seguono o – diciamolo pure – sono costretti a seguirli; che noi, pur non essendo affatto “innocenti”, possiamo fare una cosa semplice e ardua allo stesso tempo: uscire dalla ambivalenza di chi guarda con sufficienza o sprezzo i contendenti che se le danno ( “ma che folli!”) e schierarci *ragionando politicamente*, sì.
Dalla parte di chi? Su questo non ho mai avuto dubbi, anche se qui si aprono mille problemi: dalla parte di chi, pur senza essere innocente (ripeto: nessuno lo è nella storia dove, con Manzoni, « non resta / che far torto o patirlo»), contrasta chi è il più prepotente e dominatore, chi – diciamolo – ne ammazza di più e «bombarda e giustifica le sue bombe» (che fanno più danni dei razzi di Hamas, che pure fanno danno) e ha «ordinato quelle morti»: lo Stato di Israele e gli stati che l’appoggiano, dagli Usa agli europei. («(E fossero solo gli USA e gli europei)»).
APPENDICE
http://www.backupoli.altervista.org/article.php3?id_article=335&var_recherche=gaza
2 Gennaio 2009
Cara Y e cari tutti/e, buon anno possiamo sempre augurarcelo, ma il malessere per le notizie che arrivano da Gaza dove lo mettiamo? Tu dici “non ci sono parole nuove per descrivere…”. Io dico: non siamo più in grado di usare le parole vecchie che a me paiono in buona parte ancora valide: assassini, briganti, bugiardi. Perché siamo intorpiditi e incerti. Perché abbiamo le mani legate e combattere sul serio gli assassini, i briganti e i bugiardi d’oggi ci costerebbe “troppo”. (Non abbiamo solo “catene” da cui liberarci, ma anche vantaggi…). Anche in questa ambigua situazione, però, qualche idea chiara sulle guerre in corso possiamo ancora farcela. Primo passo: evitando il pessimismo antropologico generico (del tipo: “Il bisogno di guerra forse l’essere umano se lo porterà fino alla tomba dell’umanità”). Secondo passo: trovando il tempo necessario (è faticosissimo!) per scavare negli intrighi delle politiche che gli Stati progettano e praticano a livello mondiale (o globale). Come minimo capiremmo che a Gaza e dintorni (ma in tanti altri posti del mondo, in verità) la questione decisiva non è la “debolezza dell’animo umano”: in gioco ci sono interessi economici e politici – forti, fortissimi – di grandi apparati statali alla guida di società in trasformazione. Sono essi che stanno lottando al di sopra di noi e per spartirsi sia le risorse mondiali del lavoro umano sia il consenso delle classi sociali che delle loro élites. In Medio Oriente – tu dici – sappiamo tutti che “c’è un regime militare e politico assecondato da Enormi Interessi Mondializzati”. Ma allora perché, invece di precisare e ragionare su questi interessi, scivoliamo nella solita visione moralistica, chiedendoci dubbiosi: “Dobbiamo pensare: arabi buoni- ebrei cattivi?”. Questa visione moralistica (i buoni e i cattivi sono distribuiti alla rinfusa in ogni nazione) sono i mass media a suggerirla e ad imporcela. Ed, infatti, quando non si limitano ad esaltare la (buona) “democrazia” d’Israele contro le (cattive) tirannie arabe (con le quali continuano a fare affari d’oro), c’imbottiscono la testa con lo schema dei “doppi estremismi” e invocano da parte nostra una “giusta” equidistanza. È la tua posizione: “da anni vedo, oltre che le responsabilità di tutti gli Stati, anche forti responsabilità da parte palestinese: educare giovani, donne e bambini al suicidio terroristico non mi sembra pratica giusta o che abbia dato buoni risultati”. Ahimè, rimproverare soprattutto ad Hamas (come fa Condoleza Rice) le sue “forti responsabilità”! Ahimè, spartire quasi equamente anche noi le colpe tra Israele e palestinesi, trascurando persino l’aritmetica: 10,100 attentatori suicidi non distruggono quanto l’esercito israeliano, uno dei più potenti del mondo?
Prima di essere completamente sterminati, anche i pellirosse vennero accusati di “forti responsabilità”. E spesso – è innegabile – assalirono famiglie di pionieri inermi o isolate. Ma noi venuti dopo, distanti da quelle passioni e capaci di riconoscere che di sterminio si trattò da parte di coloni ed eserciti bianchi meglio armati e decisi a eliminare quei “selvaggi” per impossessarsi delle loro terre, ce la sentiremmo di dire che i pellirosse, in fondo, quel genocidio se lo meritarono? Che ebbero “forti responsabilità”? Che non si sforzarono di trovare “parole nuove” per convincere i loro rapinatori e sterminatori?
Fatte tutte le doverose differenze storiche, politiche, culturali, ecc,, andando all’osso, qualcosa di simile sta avvenendo oggi in Palestina. Ma i mass media ci ingozzano di polpette ideologiche per distrarcene e non farci capire. E mi fa disperare il ritornello che invoca “una buona informazione”. Delle buone informazioni sulla reale situazione in Israele circolano persino sui mass media o in Internet. E dopotutto il conflitto tra Israele e i palestinesi non è recente, dura dalla fine della seconda guerra mondiale. Difficile è, però, che le buone informazioni bastino. Certi semi – lo diceva pure il vangelo – se cadono in un terreno non pronto ad accoglierli, non attecchiscono e non germogliano. E in Italia questo terreno accogliente non esiste quasi più. O è ridotto a fazzolettini di cervelli dispersi. Per “forti responsabilità” (qui il termine ha un senso) della Sinistra. È per questo che solo pochi gruppi di giovani “antagonisti” e qualche intellettuale isolato dicono ancora: assassini, briganti, bugiardi! […]
Caro Ennio: non riesco a rispondere a un messaggio così lungo, ma ci provo.
In ogni conflitto, anche questo, io non cerco la causa e l’effetto. Ogni conflitto è un sistema circolare non c’è un inizio, c’è una situazione. Se cerchiamo di stabilire le cause finiamo esattamente come finiscono loro, che da decenni discutono di cause. So che il popolo palestinese è uno dei più perseguitati (gli espropri, i coloni, l’acqua, i check point, l’impossibilità di muoversi, di fare le più semplici cose della vita come un tragitto in auto, ecc. ecc. ecc.). Non ho difficoltà a dire che Israele sta usando, in gran parte, gli stessi metodi nazisti e so che molti amici che rispettano e apprezzano, come io stesso, la cultura ebraica e lo Stato di Israele (certo non il Governo), per questa affermazione magari se ne dorranno. Ma è quello che penso e anche se non lo dicessi lo penso e quindi tanto vale. Però io guardo a quelle (fragili e ora ridotte al silenzio) realtà che da ambedue le parti hanno cercato, in questi anni e decenni, di costruire una prospettiva diversa, una diversa idea di convivenza in quelle terre. Ho in mente ancora tanti italiani che hanno lavorato a questo progetto (come dimenticare Vittorio Arrigoni…).
Io ce l’ho con Hamas, esattamente per lo stesso motivo per cui ce l’ho con i falchi israeliani e con gran parte del popolo d’Israele. Ma vi fosse anche un solo israeliano che vuole la pace davvero (che non si può ottenere se manca il presupposto base, la giustizia), io faccio distinzione, fra estremisti dei muri (e dell’esercito e dei bombardamenti “mirati” – si fa per dire) ed estremisti dei razzi. Tutti e due sono terroristi. Hamas terrorizza la gente e provoca una reazione di odio (vorrei vedere te, se da qualche stato che l’Italia sfrutta bellamente – come tutti gli Stati capitalistici del mondo – partisse un razzo su Cologno Monzese: vorrei vedere se dici “poverino è sfruttato” o se invece ti incazzi come una bestia). E non dirmi che non è la stessa cosa, perché noi non abbiamo neppure l’idea di che cosa combinino gli italiani (governativi o imprese private, legali o illegali) in Africa ad esempio e, in ogni caso, questo schifoso benessere di cui godiamo è sempre cosa rubata a costoro. Siamo dentro un regime capitalistico e quindi non dobbiamo scandalizzarci ma, casomai, riconoscere che siamo complici se non ci ribelliamo, ma con i fatti e non con le parole (ma questo della nostra ribellione, è un capitolo che qui non voglio tirare in ballo, che sarebbe un libro). La tattica di Hamas è stupida e terrorista perché causerà il peggior danno ai palestinesi: sparano razzi sapendo che ci sarà una reazione e che ci va di mezzo sono … gli orfanatrofi, come oggi. NON è questa la strada e Hamas ha torto marcio e non è che se da una parte c’è torto marcio, dall’altra ci sia la ragione. Non giustifico nessun terrorismo, neppure quello di Hamas, ma non perché sono sionista, ma perché soffro per i palestinesi. Vorrei che la stampa chiedesse alla gente palestinese cosa ne pensa dei razzi di Hamas.
Il problema palestinese è un problema di ingiustizia, questo sì, grande come una casa e imputabile ad Israele. Ma le questioni di giustizia non si risolvono con le guerre, perché non ho mai visto una guerra costruire la giustizia, nemmeno la seconda guerra mondiale contro Hitler, a ben vedere, nella quale mio padre ha fatto la Resistenza e certo l’avrei fatta anch’io, ma non col fucile.
Ti chiedi “cosa vuoi che facciano” la gente di Israele e quella di Palestina e io rispondo: esattamente quello che hanno fatto centinaia di israeliani e di palestinesi di buona volontà, dialogando. Il dialogo è necessario, anche serrato, anche incazzoso, ma devi riconoscere l’avversario: se non lo riconosci non puoi dialogare se non con te stesso. Quella è la strada. Altre strade sono possibili e anche praticabili se sono sorrette da interessi e da capitali, se fanno il gioco di qualche capitale: così si ottiene la pace, anche senza giustizia, ma è una pace che cova rancore che prima o poi esplode. Non prendo quindi in considerazione altri conflitti, che sono diversi e hanno altre ragioni. Mi pare che la ragione che fonda questo conflitto sia, da una parte, uno Stato che è sorto da una vicenda umana terribile (la shoà) e che non ha ancora superato la fase paranoica, la paura per la sua sicurezza. Ma diceva Turoldo che non è la sicurezza a garantire la pace, ma la pace a garantire la sicurezza. Esattamente il contrario di quello che Israele sta facendo. Questi non si accorgono neppure che per essere sicuri loro minacciano continuamente gli altri. Se fosse una sola persona invece di un popolo, direi che il suo è un comportamento paranoide. Ma un paranoide non lo puoi prendere di petto, come fa Hamas, perché se così fai lo confermi nella sua paranoia e aggravi il quadro clinico. E se poi è più forte di te ti suona e fa la figura di quello che ha ragione perché è stato provocato (la beffa insieme al danno).
Ma lasciamo stare: paranoia o no, alla base c’è sempre una questione di giustizia che non è risolta e anzi si incrudisce sempre di più. La giustizia è la base dell’umanesimo: il sorgere di grandi civiltà è sempre stato la compilazione di norme di giustizia (ovviamente in termini molto relativi), da Hammurabi fino alla dichiarazione dei diritti umani.
Hamas rischia di provocare questo: che gli israeliani stracciano tutto quello che c’è da stracciare e confermano che i territori abusivamente occupati dai coloni ormai sono cosa loro. Al paranoide fa comodo, a volte, essere attaccato da chi sa molto più debole di lui, così può esprimere il suo lato sadico ottenendo l’approvazione sociale, offende per difendersi insomma (quello che si chiama asimmetria o uso sproporzionato della forza).
Ma vabbé, la situazione è troppo incasinata da quasi un secolo di storia: non è un blog che ci farà capire cosa esattamente sta accadendo.
@ gianmario
Caro Gianmario,
devo ancora ribattere con un messaggio troppo lungo. Ma sinceramente: non credo che la difficoltà che provi nel rispondermi dipenda dalla lunghezza dei miei interventi.
È che, pur stimandoci, io e te pensiamo su tracciati in parte in attrito tra loro; e perciò poniamo l’accento su fattori diversi della realtà e arriviamo a conclusioni diverse.
Ad es. :
1.
Tu speri in « quelle (fragili e ora ridotte al silenzio) realtà che da ambedue le parti hanno cercato, in questi anni e decenni, di costruire una prospettiva diversa, una diversa idea di convivenza in quelle terre».
Io, detto sinceramente e con tutto il rispetto per quanti lavorano effettivamente e senza opportunismi nella cooperazione (nazionale e internazionale), non credo all’efficacia politica di questi sforzi. Che restano subordinati alle politiche governative. Non voglio tirare in ballo in maniera provocatoria il recente romanzo di Luca Rastello, «I buoni», che ha suscitato varie polemiche proprio sul mondo della cooperazione. Ma una riflessione sulle sue zone d’ombra mi pare sempre indispensabile. Quanto alla vicenda di Vittorio Arrigoni devo rinviarti spiacevolmente – lo so – a quanto pubblicai al momento della sua uccisione (https://www.poliscritture.it/vecchio_sito/index.php?option=com_content&view=article&id=148:ennio-abate-lettera-a-un-giovane-morto-invano-per-una-pace-che-non-ci-sara&catid=1:fare-polis&Itemid=13)
2.
Tu ribadisci la tua ostilità sia ad Hamas che ai «falchi israeliani», pur facendo la distinzione « fra estremisti dei muri (e dell’esercito e dei bombardamenti “mirati” – si fa per dire) ed estremisti dei razzi». E continui a usare quel termine («terroristi»), che io ho tentato di eliminare dalla nostra discussione. Oppure sposti la discussione dal piano politico, che a me pare l’unico sul quale muoversi per ragionare e chissà quando tentare di fare qualcosa di decisivo, a quello che a te pare più convincente dell’emotività: «vorrei vedere te, se da qualche stato che l’Italia sfrutta bellamente – come tutti gli Stati capitalistici del mondo – partisse un razzo su Cologno Monzese: vorrei vedere se dici “poverino è sfruttato” o se invece ti incazzi come una bestia». O ancora ribadisci una visione per me moralistica , se non si analizzano le condizioni in cui oggi ci siamo venuti a trovare dopo la “strage delle illusioni” degli anni Sessanta: «questo schifoso benessere di cui godiamo è sempre cosa rubata a costoro».
3.
Ma io devo farti notare che:
a) se Hamas ha sostituito in Palestina l’OLP di Arafat, questo non è avvenuto per caso; e sicuramente non perché, come tu con leggerezza scrivi, « è stupida e terrorista» , ma anzi perché risponde in modo politicamente più efficace dell’OLP alla pesantezza della morsa israeliana sui territori occupati;
b) l’argomento da te usato: « sparano razzi sapendo che ci sarà una reazione e che ci va di mezzo sono … gli orfanatrofi» è lo stesso che grosso modo fu usato contro i partigiani che fecero l’attentato di via Rasella del 1944 e non tiene conto che a volte le situazioni tragiche in cui avvengono gli scontri politici (specie armati) impongono anche che vengano implicati degli innocenti; e, dunque, le sofferenze subite o inflitte dai combattenti sono in certi casi politicamente inevitabili: nulla le riscatterà;
c) è con questo elemento tragico nella storia umana che dobbiamo fare i conti (ed è Manzoni – e non Hamas o i falchi israeliani – a ricordarcelo: « non resta / che far torto o patirlo»);
d) anche tu, come un po’ Mayoor, ricorri a ipotesi che non stanno coi piedi su questa terra e in questa storia («Vorrei che la stampa chiedesse alla gente palestinese cosa ne pensa dei razzi di Hamas»), come se si potesse azzerare tutto e in una sorta di discussione razionale, prescindendo dalla politica (cioè dalle strategie degli USA, della Cina, della Russia, dell’India, dell’Iran, ecc.), la «gente palestinese» potesse esprimere la sua “libera” volontà. (Lasciamo perdere che un tale referendum lo dovrebbe gestire secondo te «la stampa»; e perché – già che ci troviamo ( e scusa l’ironia) non esprimersi solo sui «razzi di Hamas» ma anche sui bombardamenti israeliani o l’ipocrisia delle politica internazionale degli europei, eccetera?).
No, caro Gianmario, «le questioni di giustizia non si risolvono con le guerre», ma neppure con referendum che si potrebbero tenere solo nel mondo di Utopia.
Temo anzi che le questioni di giustizia in rari casi nella storia abbiano avuto una minima e provvisoria risoluzione solo in particolari momenti eccezionali: quando cioè sono arrivati a maturazione una serie di fattori (economici, politici, culturali, spirituali) spesso incontrollati sia dai governanti che dai governati (e penso alle rivoluzioni francese e socialiste).
Poi la giustizia ha continuato a sonnecchiare nella routine delle aule della magistratura dei vari paesi. Come la pace e tante belle cose sono rimaste ideali. E anche il benedetto «dialogo» – sempre preferibile anche per me al menar le mani o a fare la guerra (specie quando i rapporti di forza sono squilibrati a favore dei dominatori), non sempre, non in tutte le situazioni, è possibile. E soprattutto non sempre, non in tutte le situazioni, anzi quasi mai, coinvolge le masse.
Questo dobbiamo saperlo. Tant’è vero che « quello che hanno fatto centinaia di israeliani e di palestinesi di buona volontà, dialogando» in tanti decenni è rimasto lettera morta per le migliaia o i milioni dei loro connazionali; oppure è stato sistematicamente ghettizzato e distrutto dall’azione di chi punta allo scontro e preferisce proprio imporre «una pace che cova rancore». Semplicemente perché è più forte e pensa soprattutto a restare più forte. E preferisce proprio «la sicurezza» alla «pace». E non esita affatto a minacciare continuamente gli altri; né prende in considerazione il concetto di paranoia, trovandolo “roba da intellettuali”.
Sì, oggi con il governo Netanyahu « gli israeliani stracciano tutto quello che c’è da stracciare e confermano che i territori abusivamente occupati dai coloni ormai sono cosa loro» . Questa è la dura, repellente ( per noi minoranze) realtà. E non esiste una forza capace di ostacolarli.
Una discussione su un blog può partire da questa amara realtà ed essere efficace se non la perde di vista.
Il fatto che partendo da fatti simili, al di là delle analisi sulle cause, sulla quale analisi io mi trovo in disaccordo (è impossibile, in qualsiasi conflitto, stabilire le cause del conflitto stesso e quando ci si accorda su una “causa”, di sicuro non è quella che ha scatenato il conflitto – casomai “una delle” cause e non “la”), al di là di questo, dicevo, è inutile ricordarei soprusi israeliani, nel senso che sono evidenti. O della politica israeliana, come tu dici, addossando la responsabilità alla politica, come se questa fosse una cosa a sé, staccata dalla gente israeliana, e e anche non riconoscendo che all’interno di questa gente non c’è un pensiero unico ma un pensiero dominante.
Idem dall’altra parte.
Per cosa sia nato Hamas lascio agli storici ma vedo che i suoi metodi non hanno ottenuto neppure un’unghia di quello che Harafat riuscì ad ottenere dopo aver abbandonato la sua veste “terroristica”, che poi a me sembrava militare più che terroristica. Ora, se la politica di Harafat è stata fallimentare, non per questo la politica (estera) di Hamas è migliore o rappresenti un miglioramento. Tu mi giochi una contrapposizione che non ha senso. E resto del parere che il comportamento di Hamas è scemo e criminale, non tanto verso gli israeliani ma verso il suo popolo, del quale pure si conquista giorno per giorno il consenso con una certa politica sociale di solidarietà ed efficienza sulla quale non ho nulla da ridire. E non mi prendere ad esempio l’attentato di via Resella e le Fosse Ardeatine, se la storia ha un senso, anche se le dinamiche sembrano simili, ma le differenze, non solo di contesto, molto evidenti.
Mi dici che scivolo nel personalismo con l’esempio che ti ho fatto e che tutto va risolto con la politica: ma che cos’è questa politica? Un modo di ragionare a tavolino o di partire dai bisogni reali della gente, dalle sue paure? che cosa scatena un conflitto, se non la paura? Israele ha bisogno di sicurezza e i Palestinesi di vivere una vita umana e non animale. Se uno non riconosce i bisogni dell’altro, che cazzo di politica possiamo fare? quella che si scrive negli accordi che durano forse un paio di mesi fino al prossimo seminarista sgozzato o al prossimo adolescente bruciato vivo? Se Hamas facesse politica davvero, dovrebbe prendere chi ha ammazzato i tre seminaristi e processarli e punirli e così Israele. La politica che non si fonda sulla giustizia è fasulla, è solo uso del potere a discrezione. Né Hamas né Israele puniranno mai, se non per finta, gli assassini. Peraltro: chi ha ucciso il vecchio Karamazov? Smerdiakov o Ivan? Ma a pagare è Dimitri.
Io continuo a credere che non è possibile una politica senza dialogo e se il dialogo sinora ha fallito (e a dire il vero è sempre stato severamente osteggiato, increduto, persino perseguitato sia da una parte che dall’altra, e poi io parlo di dialogo di pochissimi, non certo di dialogo come forma ufficiale di confronto) è proprio la dimostrazione che senza dialogo si va a finire come si va oggi e che i metodi di oggi sono fallimentari. Invece di rispondere con tattiche belliche sempre più raffinate, è meglio allora cambiare metodo. Quando un conflitto non viene risolto, si tramuta in un’escalation conflittuale, dove uno vuole dominare ma immancabilmente, quando è in posizione dominante, scatena la reazione dell’altro che a sua volta vuole dominarlo. La soluzione alternativa è continuare ad ammazzarsi finché uno perde (e qui sappiamo già chi perde, non serve nessuna preveggenza per saperlo). La politica potrà arrivare alla tregua per sfinimento, ma non alla pace. Una tregua che può durare anche decenni ma non sarà “pace”. La politica non è mai stata capace di creare una pace duratura, se non quando lo ha fondata su un comune interesse delle parti in conflitto. La pace è una questione di cultura e di conoscenza e certo che i muri non aiutano né l’una né l’altra, ma neppure i razzi, credo.
Insomma, se io e te abbiamo uno scazzo, possiamo finire davanti al pretore che emette una sentenza. Ma se io la trovo ingiusta e fra il chiaro e lo scuro ti assesto una martellata in testa, mi sai dire a che cosa è valsa la sentenza? Tu hai vinto, io ho perso, ma chi è che vince o che perde? Tutti e due perdiamo. Dialogo è cultura, è sapersi mettere al posto dell’altro, che poi è il principio-base sul quale si muove ogni mediazione seria. Se non si passa da questo non c’è futuro, non può esserci. Hai voglia fare i patti di Yalta e invadere l’Ungheria o la Cecoslovacchia, ma prima o poi i nodi vengono (dolorosamente) al pettine ed è per questo che Stalin a me sembra un cretino politicamente, insieme a tutti quelli che hanno firmato quel patto che a mio avviso è il classico esempio di come non bisogna fare gli accordi di pace (o meglio, non di pace ma di spartizione del potere).
Tu insisti sulle ragioni storiche, ma la storia che io conosco mi insegna che le strade sinora percorse sono sbagliate e che la politica non risolve proprio nulla, quando non è “politica” ma gestione di un potere che vive soltanto nel presente e naviga a vista. Gli accordi veri sono quelli giusti, quelli nei quali ognuno esce vincente e libero di essere quello che vuole essere. La dinamica che sta dietro ogni conflitto, da quello del bambino che rompe i coglioni al supermercato perché vuole le patatine fritte a quello fra Palestinesi e Israeliani, è la stessa e simili sono gli strumenti per risolverla: o lo schiaffo o il dialogo. Hamas e Israele si comportano da estremisti, l’uno assesta gli schiaffi e l’altro butta all’aria il banco. Visto da fuori sono due cretini che non sanno parlare. Visti da dentro, cercando di immedesimarsi nelle loro paure, sono persone che non sanno dialogare, che hanno bisogno di un punto di equilibrio e di reciproca comprensione. Ma certo né l’Europa né l’America né qualsiasi altro sa mettere sul piatto una mediazione che parta dalle reciproche legittime esigenze di giustizia, l’uno nei confronti dell’altro. ce ne stiamo da cretini a goderci lo spettacolo dei cretini, come i Romani al Colosseo, spiando casomai l’occasione buona di trarne qualche vantaggio, come si è cercato di fare con la Libia e credo anche con la Siria. E dunque al diavolo “questa” politica, che poi non è politica, come dicevo.
E dunque sarò utopista: per me questa cagnara si risolve soltanto facendo uno Stato unico caratterizzato da ampie autonomie locali, un po’ sull’esempio degli accordi De Gasperi-Gruber in Alto Adige. Così come i conflitti europei si risolveranno soltanto quanto tutta l’Europa sarà unita, magari con la Russia come stato leader. Ma ovviamente per queste soluzioni (soprattutto per la seconda) ci vuole tempo e soprattutto ci vuole qualcuno che osi al di là della politica dei poteri. Non vedo alternative all’utopia, perché questo “tòpos” è marcio e non è più in grado di giustificare le sue menzogne. Certo ci vuole tempo, ma almeno si cominci ad imboccare questa strada e non sempre quell’altra, quella della escalation simmetrica del conflitto. Sappiamo già dove porta.
Ah, dimenticavo: non è la “difficoltà a risponderti”, ma solo il tempo che mi manca. Certo dovrei starmene zitto quando mi vedo arrivare certi argomenti, o giocare in campo e non dare qualche calcio alla palla e poi andarmene. Ma siamo sintetici, vivaddio… Tu sarai abituato alle lunghe analisi e disquisizioni, ma io non mi sento un intellettuale che vive di parole (potessi… magari me ne starei zitto per davvero).
@ gianmario
Ma io parlo appunto di valutare varie e complesse cause e non “la causa”…
Infatti ho detto che bisogna vedere le relazione di quel conflitto apparentemente singolo tra Stato d’Israele e Hamas con tutti gli altri (e ho fatto riferimento a Irak, Ucraina, Siria… e quindi al “gioco politico” internazionale). E sto proprio invitando a non ragionare solo in termini di «soprusi», perché è una lettura solo moralistica delle vicende.
Non ho poi detto che la politica di Hamas ha ottenuto risultati migliori di quelli di Arafat. Ma che ha sostituito con qualche ragione la politica dell’OLP sempre più logorata, dopo la sua morte (“naturale”?) dalla corruzione e dalla subordinazione a Israele.
Ma come si fa a dire che « il comportamento di Hamas è scemo e criminale, non tanto verso gli israeliani ma verso il suo popolo, del quale pure si conquista giorno per giorno il consenso con una certa politica sociale di solidarietà ed efficienza sulla quale non ho nulla da ridire».
Insomma, quegli stessi che dimostrerebbero nella politica interna efficienza e solidarietà nei confronti dei propri concittadini impazzirebbero improvvisamente e diventerebbero “scemi” e “criminali” quando hanno da far fronte agli attacchi di Israele (e dei suoi grandi alleati)?
Lascio perdere, per non divagare, il paragone con la lotta partigiana in via Rasella. Ma ribadisco la mia convinzione che una soluzione a quel conflitto ( a quei conflitti…) avverrà, se avverrà, solo a livello politico.
E qui, mi spiace, non ce la possiamo cavare facendo la caricatura della politica, riducendola a «un modo di ragionare a tavolino» e ripetendo il ritornello che, invece, dovrebbe « partire dai bisogni reali della gente, dalle sue paure».
Non è vero che il conflitto tra israeliani e palestinesi ( ma anche quelli in altre situazioni) è scatenato dalla «paura». Così dicendo, davvero si scambia un effetto derivato per una causa. Certo elementi paranoici o d’altro tipo non mancano negli attori in carne ed ossa di qualsiasi conflitto. Ma non sono, come ho detto in un precedente elemento, gli elementi predominanti.
Lì si contrappongono due politiche, meglio due strategie politiche, che usano il potere economico e gli appoggi politici di cui dispongono. E usano sia il dialogo che lo scontro armato; e l’usano a volte per finta (minacciandosi soltanto) e a volte, come si vede adesso, sul serio. In base a precise strategie più o meno vincolate dai rapporti di forza interni a quelle società e non dunque a capriccio. Anche se errori non mancano.
Credere però che si possa avere solo e sempre il dialogo tra i contendenti è fuori dalla realtà. A me pare un’idea che può venire facilmente solo a quanti, esterni a quel conflitto e poco informati sulla realtà degli interessi in gioco, tendono a vedere – un po’ come fai tu – soltanto o soprattutto gli aspetti “folli” o “criminali” o “cretini”, ecc.
Certo soluzioni in vista non se ne vedono. E può anche accadere che ci si continui ad ammazzare «finché uno perde» o che si arrivi a una nuova tregua o a una qualche pace (provvisoria, falsa o comunque “realistica”) «per sfinimento». Ma non è detto neppure che il dialogo (che a me pare tu mitizzi) di per sé e sempre porti buoni risultati per entrambi i contendenti o una “vera” pace o una «pace duratura» tra loro. (Basti pensare agli accordi di Camp David…).
Quello che a me pare tu non veda – e proprio perché parti da una posizione utopista, rispettabile ma debole politicamente, che prefigura un desiderio («uno Stato unico caratterizzato da ampie autonomie locali», «l’Europa […] unita, magari con la Russia come stato leader») e ne pone la realizzazione in un futuro indefinito – è il conflitto storico reale tra vari attori: Stati in primo luogo e al loro interno le forze, che ne riescono ad usare meglio e a loro esclusivo vantaggio la “macchina” e cioè tutti i mezzi sia violenti, sia di persuasione per dominare. Che poi ci riescano più o meno per un lungo tempo e creando più benefici o danni per i loro cittadini è un altro paio di maniche.
Quello che però dobbiamo riconoscere è che noi questi giochi oggi – diciamocelo – non riusciamo più a capirli né a intervenirvi. Ma se non li vogliamo capire perché ci fanno “schifo” o sono “folli” non abbiamo via di scampo: o il silenzio o la preghiera (per chi crede).
E la poesia? Ah, continuerei a distinguere tra quella che si consola e quella che vuole andare a vedere lo “schifo” e le cose “folli”. Ciao
…non credo di essere equidistante nei confronti di quanto avviene in questi giorni, so che il popolo palestinese subisce un attacco terribile da parte di chi detiene una forza militare ben superiore, ma non quella della ragione…e le vittime sono innocenti e numerosissime, certo i numeri contano e come. La poesia di Ennio raggiunge dei toni biblici e proprio nei confronti di chi spesso invoca lo stesso “testo sacro”, per sentirsi popolo eletto e giusto…Mi sembra un atto di coraggio e una provocazione…Però non mi sento di condividere una tua affermazione, se ben ho capito, cioè quando dici che i popoli, magari mogugnano ma fondamentalmente seguono le scelte dei loro governenti…Non mi sembra sia avvenuto durante il fascismo in Italia, quando si é costituito un movimento antifascista e poi la Resistenza e penso che anche in Israele i dissidenti di una politica così aggressiava siano tanti…una politica non da tutti condivisa e che, a lungo termine, può vederli perdenti e di nuovo raminghi dispersi nel mondo…così profetizza D. Grossman in un suo romanzo…
@ Annamaria Locatelli
I popoli non seguono in fondo in fondo le scelte dei loro governanti? Gli ebrei che dissentono dalla politica aggressiva dei governanti israeliani sono tanti? Anche la storia della resistenza al fascismo in Italia avrebbe dimostrato che un movimento antifascista era già forte e attivo sotto la cappa del regime?
Non mi pare. Ora qui non è possibile entrare nei dettagli e ragionare su fatti storici italiani o d’altri paesi per decidere se il ruolo che hanno i soggetti sociali collettivi (popolo, classe, moltitudine) sia davvero così decisivo nell’imprimere certe svolte a dei regimi in crisi e possa raggiungere in assenza di altri fattori (élite dirigente, partito), un grado di autonomia tale da imporre a chi comanda di cambiare rotta o farsi da parte. Mi limito a dire che la mia fiducia nella efficacia della “spontaneità delle masse”, della “volontà generale”, del “rifiuto della politica” (dei suoi intrighi complessi e amorali) a favore del “movimento” – una mitologia che avevo assorbito nel ’68 – è scemata di brutto. Mi sento di partecipare più ai rischiosi progetti di minoranze pensanti (e però non settarie) che ai movimenti effervescenti, euforici e troppo spesso facilmente manipolati.
Un discorso comune:
La sola cosa da fare sarebbe chiuderli in due recinti e buttare la chiave. Perché non accade? l’unica sarebbe impedire ogni forma di comunicazione tra le parti, e meglio ancora sarebbe poterli separare. L’errore fu quello di metterli accanto, di assegnare lo stato di Israele nel posto sbagliato. Gli avessero dato l’Emilia Romagna, noi che avremmo fatto? a Rimini ci si andrebbe ancora? la perdita della piadina varrebbe tutte queste stragi? se la colpa fu di qualcuno, di chi è oggi? La gente comune, israeliani e palestinesi, vorrebbero la pace ma non possono ottenerla perché non hanno sovranità alcuna. A chi appartiene la sovranità di quei popoli, a loro? vogliamo scherzare mentre tanti muoiono ammazzati? qui non si tratta di perdonare ma di denunciare chi ci marcia, da una parte e dall’altra. Si sa che più son religiosi, e più sono comunisti, e fascisti, e più se le danno. Chi vuole tutto questo, nessuno? non ci credo. C’è qualche bastardo che ne ha la responsabilità, qualcuno che si nasconde dietro belle parole e intanto gli passa le armi. Perché lo fa? per farci soltanto la grana? ma quella ormai la si fa con l’economia, lo ha capito perfino la Germania… sfido, con le mazzate che si son presi in due guerre! Certo che palestinesi e israeliani hanno economie diverse, non sarà questo che li divide? Si sa che gli israeliani stanno dappertutto nei governi che contano, ma i palestinesi? perché non si rassegnano a fare i domestici come fan tutti quelli che non contano un cazzo, come gli italiani?
@ mayoor
Non condivido queste tue sovrane semplificazioni metafisiche e metastoriche. Dov’è quella divinità o arbitro super partes che potrebbe separare oggi israeliani e palestinesi e «buttare la chiave» ( ammesso che siano solo loro i “litiganti” da separare e che la separazione risolva il problema!)? Una sua pallida caricatura (ONU) è da tempo soltanto una delle parti che partecipano al gioco politico internazionale; e semmai è la maschera di altre più potenti (Usa in primis) che se ne servono per i propri scopi (quando e se gli serve: guerra in Irak del 1990 ad es.).
Su «gente comune» e «colpa» ho già detto rivolgendomi a Gianmario: la «gente», proprio perché «comune» è fattore subordinato e secondario nella politica, che – nolenti o volenti – viene fatta appunto da “gente non comune” (professionisti, politicanti, manager, figli di puttana, ecc.); ragionare in politica in termini di «colpa» è condannarsi a starsene sempre sulla sua soglia, in una sorta di limbo che al massimo ci preserva dall’inferno. E fino a quando non si sa: dipende dai mutamenti che avvengono anche nell’inferno.
L’ultima chicca ( « perché [i palestinesi] non si rassegnano a fare i domestici come fan tutti quelli che non contano un cazzo, come gli italiani?») è davvero fuori della storia: dei servi (i domestici) – diceva Fortini – non ci si può mai fidare, perché appunto tra loro se ne trovano sempre di non rassegnati.
Bene, queste son le risposte che daresti, non a me ma alla gente comune che queste domande potrebbe porsele. Non è una questione irrisolta di vicinato? non esiste un super partes abbastanza autorevole da poter fermare quella carneficina? certo, ma la questione si pone ugualmente. Nella tua poesia tenti di scuotere la sensibilità delle persone che fuggono da ogni orrore, e fai bene: che altro si può fare con la poesia dei poeti che là non ci vivono (o muoiono)? ma se credi che la gente comune non abbia alcun peso (e nella chicca un po’ lo do a intendere anch’io, ma con sarcasmo e sottintendendo una colpevolezza ), tu a chi ti rivolgi oltre che a te stesso? “a voi letterati concorrenti”,”a voi critici indisponenti”, “lontano da voi politici come me morenti”: siamo nel vortice dell’elegia; ma ecco la soluzione
« Oh, sì!
Come avremmo bisogno di questi poeti
in Ucraina, in Siria, in Irak
a Gaza (in questo momento!)
al posto di tanti inviati speciali».
In piazza San Babila, ieri, c’erano quattro gatti alla manifestazione. La mia fidanzata, che è una rompiscatole al punto di rimproverarmi se butto la sigaretta per terra ma è coerente in tutto quel che fa, ci è andata. Ah, fossero tutti come lei!
ah, ci sei andato! bene, coerente anche tu.
e l’esserci andato da poeta mi fa vedere nella poesia ancor meglio. Grazie.
“Scrivere ancora su Gaza” titola Ennio,
e il dolore per l’ancora sfugge ad ogni concetto temporale.
Non c’è un prima, né un dopo ma un eternamente
eterno ripetersi di drammi già visti, già sofferti e ‘ancora’ inutili.
‘Scrivere’. ‘Ancora’. ‘Su Gaza’?
O, forse, dovremmo ‘fare’, ‘qualcosa’, ‘ “in” Gaza’?
Oh, no. Andarci no. Come fu andare in Spagna contro il regime di Francisco
Franco, il dittatore!
Eppure dovremmo andarci. Per vedere atrocità di bambini morti, corpi spappolati allo stesso infame modo, sia da una parte che dall’altra?
Lasceremo la scena al monologo di Shylock ‘se ci pungete non facciamo sangue’?
che nasconde la tribale Legge della vendetta ‘occhio per occhio e dente per dente’?
Invece che rabbrividire, ci compiaceremo all’astuzia di Porzia, “chi attenta
alla vita di un veneziano pagherà con la sua stessa vita”, così la Legge del Doge?
Ci commuoveremo al fatto che “sotto vi è sempre un uomo, o un insieme di uomini?”
Così il poeta. Ma poi Shakespeare ci avverte, sempre ne Il Mercante di Venezia:
“ci sono maschere che aderiscono alla perfezione al nostro volto: le costruiamo
per dare un’immagine di noi il più limpida e pulita possibile”. E, anche:
“se il mondo è un palcoscenico, ciascuno ha una parte da recitare”, è Antonio a dirlo.
Per noi, oggi, quale sarà la nostra parte?
Bisogna andarci per capire che dobbiamo uscire ‘da Gaza’, dalla sua stretta mortifera.
Uscire perché le appetitose polpette ideologiche ci hanno già avvelenato il pensiero così che ogni giorno ne abbiamo bisogno di una nuova – Ucraina già dimenticata -.
Polpette composte dalla stessa macelleria: carni di uomini contro altri uomini.
Per queste ragioni è importante porci altre domande, che Ennio si pone e ci pone, e che rielenco qui:
1) Primo. *Mi pare deviante parlare di “terrorismo”.*
Concordo in pieno. Non dimentichiamo che dopo l’11 Settembre, dopo l’attacco alle torri Gemelle, gli USA si autorizzarono a ergersi campioni nell’attaccare il terrorismo. Con gli effetti planetari che tutt’ora sono sotto gli occhi di tutti.
2) Secondo. Non dimenticare lo squilibrio economico e di armamenti tra le potenze implicate e, soprattutto, chi da dietro le quinte foraggia sia l’una che l’altra.
3) Gli opposti estremismi. Un ottimo ‘sistema’ – o sei con me o contro di me – che impedisce qualsiasi forma di pensiero minimamente libero. Lo abbiamo sperimentato abbondantemente qui in Italia, non ultimo il “Berlusconi sì e il Berlusconi no”.
4) La ‘follia umana’ che viene chiamata in causa quando non ci sono risorse di pensiero che permettano di riflettere in modo più complesso.
*Non c’è uno scontro tra opposte follie, ma si fronteggiano forze che hanno più potere (economico, politico e militare) e forze che ne hanno meno. (Qui la distinzione che fa G. La Grassa fra dominanti e subdominanti mi pare utile: lo Stato d’Israele fa parte del blocco dei dominanti (quello che fa capo agli USA), Hamas fa parte del blocco dei subdominanti (riceve aiuti dall’Iran ecc.).*
5) *Noi oggi, minoranze intellettuali disperse e con scarsa conoscenza della realtà e dei rapporti tra gli Stati e, all’interno degli Stati, dei gruppi che influenzano le loro politiche, non riusciamo a capire come si potrebbe evolvere il conflitto in Medio Oriente, che è condizionato e condiziona gli altri conflitti («in Ucraina, in Siria, in Irak»).*
Purtroppo è un dato di fatto del quale dovremmo farci carico, ognuno mettendoci la sua parte.
6) «La politica dovrebbe essere qualcosa d’altro, di più umanistico» ?
Quella non sarebbe più politica ma un’altra cosa.
7) Colpa e innocenza. Ennio scrive: *Secondo me, dobbiamo riconoscere che la storia è conflitto; che nel conflitto e nei conflitti agiscono i dominanti, i subdominanti e i blocchi di «gente» che, consenzienti o passivamente, li seguono o – diciamolo pure – sono costretti a seguirli; che noi, pur non essendo affatto “innocenti”, possiamo fare una cosa semplice e ardua allo stesso tempo: uscire dalla ambivalenza di chi guarda con sufficienza o sprezzo i contendenti che se le danno ( “ma che folli!”) e schierarci *ragionando politicamente*, sì. Dalla parte di chi? Su questo non ho mai avuto dubbi, anche se qui si aprono mille problemi: dalla parte di chi, pur senza essere innocente (ripeto: nessuno lo è nella storia dove, con Manzoni, « non resta / che far torto o patirlo»), contrasta chi è il più prepotente e dominatore, chi – diciamolo – ne ammazza di più e «bombarda e giustifica le sue bombe» (che fanno più danni dei razzi di Hamas, che pure fanno danno) e ha «ordinato quelle morti»: lo Stato di Israele e gli stati che l’appoggiano, dagli Usa agli europei. («(E fossero solo gli USA e gli europei)»). *
Ha fatto bene Ennio a richiamare in appendice la storia dei pellirosse accusati di ‘forti responsabilità’ aggressive nei confronti dei coloni bianchi e quindi passibili di sterminio.
R.S.
@ Rita Simonitto
Purtroppo io e te siamo troppo d’accordo!
Ieri sono stato alla manifestazione contro i bombardamenti su Gaza indetta a piazza S. Babila a Milano. Un migliaio di persone. Pochi gli italiani, molti i giovani palestinesi immigrati qui da noi. È da moltissimi anni che non andavo a una manifestazione e come ho detto ci sono andato sapendo in partenza che una manifestazione di protesta (del resto minoritaria) non preoccuperà né il governo israeliano, che riconferma la sua strada aggressiva o il governo Renzi che l’appoggia; e poco gioverà ad Hamas, che ha deciso di rispondere al massiccio attacco giocando non so quanto delle sue carte e sperando in non so cosa .
Ci sono andato sapendo che mi avrebbe procurato solo tiepide sensazioni, per avere un’ulteriore conferma (visiva e fisica in questo caso) che qui da noi, in Italia, c’è poco su cui politicamente appoggiarsi; e per incoraggiarmi a pensar meglio e di più.
Che è poi l’unico obiettivo minimamente serio che di questi tempi una discussione su un blog può avere.
chiedo scusa se oso pubblicare qualcosa che scrissi tempo fa su questo tema e spero di non dare troppo fastidio, ma ciò che ho scritto rispecchia il mio modo di pensare su questo tema, e non è detto che sia corretto.
grazie per il vostro tempo
Dopo il digiuno papale
un po’ di socialdemocrazia
Sono un vaso di coccio da quando
ero in pancia a mia madre,
nel campo di Chatila
quando i falangisti sventravano
le donne gravide
e ci salvammo immersi
nel pozzo nero, sotto le lamiere
nato e cresciuto a Gaza
nella striscia ove c’è più densità
di gente per metro quadro
che di piccioni da voi
in certe piazze
l’Ak47 lo so smontare e rimontare
dalle elementari, e sono diventato
feddayn con Arafat, ma li ho lasciati
per Hamas, pagano meglio e sono
ben organizzati, e da un paese
o l’altro i soldi del salario
arrivano ogni mese.
Come i vostri della Garibaldi
in Spagna nel ’36 mi batto e grido
“ no pasaràn !“ ma lo so bene
che sono già passati e sono oltre
questa valle della Bekaa, arida e
gialla di polvere, e nutro un sogno
da pochi soldi, di due popoli
e due territori, e mi basterebbe
un bagno, l’acqua che esce quando
giri il rubinetto e non viene distribuita
con le cisterne, un po’ di sanità,
la scuola anche per quelli della mia età
e non solo per i miei figli, ed il lavoro,
(io non so fare che il guerrigliero)
semplicemente per i miei figli.
@ Luigi Paraboschi
Anche la tua poesia è un tentativo di avvicinamento a un mondo che temiamo e poco conosciamo. Forse, però, al tuo fedayn metti in bocca ideali troppo occidentali. E, permettimi una battuta, ci vuole molta fede per far entrare in poesia di questi tempi la parola «socialdemocrazia» (figuriamoci quella «comunismo»)!
Pubblico questa testimonianza arrivatami tramite un amico prete operaio.
Al di là dell’amaro sarcasmo di chi scrive, la mail dà un quadro concreto dello sconvolgimento della vita quotidiana in una città sotto le bombe. Per disattenzione o scarsa immaginazione noi non riusciamo nemmeno più a pensarlo:
Notizie passate dalla dott.sa Paola Manduca il 12 luglio 2014
Tutti siamo colpiti dalla morte e dai feriti unilaterali in Gaza causati dagli attacchi Israeliani che non sono, come continuano a raccontare i governanti Israeliani, molto “intelligenti” e mirati alle strutture militari o ai combattenti, ed assai meno lo diventeranno se entrano per via terra.
C’è però un aspetto di questa (e delle precedenti) guerre su Gaza che raramente si immagina ed è il deliberato accanimento su tutta la popolazione, senza dubbio evitabile, viste le capacità di intelligence degli Israeliani; e senza dubbio criminale, visto che si tratta di scelte mirate a distruggere la popolazione civile tutta ed indiscriminatamente.
Di seguito ci sono arrivate le notizie seguenti:
– la centrale del trattamento delle fogne distrutta ( e forse c’era un combattente che la usava come piscina?)
– le barche dei pescatori distrutte (e con esse la ark for Gaza): forse usavano le barche per combattere? quindi niente pesce a Gaza, anche se avessero avuto il coraggio di uscire a pescare.
– e la peggiore di tutte: linee elettriche (entrambe: quelle da Israele e quella dall’Egitto) danneggiate e 75% di Gaza senza elettricità (l’altro 25% ce l’ha ancora, ma su turni di 8 ore con / 8 ore senza). E non riescono a ripararle per ora data l’intensità dei bombardamenti.
Potete immaginarvi, o forse no che:
+ con l’elettricità funzionano gli ospedali
+ con l’elettricita funzionano le pompe che portano l’acqua nelle case (va bene, diremo, tanto non si può bere e non si laveranno, poco male)
+ con l’elettricità funzionano anche le pompe delle acque di scarico: ricordate nel novembre scorso Gaza allagata di scarichi fognari? bene, cosi è senza elettricità, solo che ora ci sono anche più di 30°C e questo significa anche epidemie.
+ con l’elettricità funzionano anche i depuratori per produrre acqua potabile . la mancanza di carburante significa che, anche se ci fossero (e non ci sono) scorte di acqua in bottiglia, non potrebbe essere messa in vendita (ammesso pure che i negozi siano aperti, il che mi dicono è molto sporadico e che la gente abbia i soldi per comprarla, il che sappiamo che non è per molti). Gaza quindi dipenderà da Israele e dall’Egitto anche per l’acqua potabile. e naturalmente sentiremo di questo quando sarà troppo tardi per i Gazawi, e la potenza che invade certamente non carica bottiglie d’acqua da distribuire al popolo sui carri armati.
+ con l’elettricità funzionano i refrigeratori per il cibo. a Gaza ci sono più di 30 gradi. come si conserva quel cibo che c’è a queste temperature? almeno nei negozi o nei posti di smercio?
Diremo però che almeno per la carne di bue non ci sono problemi: hanno distrutto il mattatoio della città , forse sede di vacche terroriste o di un terrorista macellaio, e quindi non si macella nemmeno, e non può guastarsi la carne.
Di questo si parla quando si dice punizione collettiva, e questa è l’esperienza concreta che costruisce le ragioni della resistenza di Gaza.
Non è l’appartenenza ad un gruppo o un altro, ma l’esperienza accumulata e condivisa di tutti i Gazawi, ed elaborata ancor più nell’ultimo anno, quando l’Egitto ha iniziato a demonizzare Hamas, scordandosi il milione e mezzo o più di fratelli e sorelle Palestinesi (cosa che a Gaza ha provocato dolore grande in tutti): “cosi non abbiamo nulla da perdere e nessuno ci salverà se non lo facciamo da soli”.
Sperando che lo riescano a fare prima che muoiano nel silenzio di tutti, ad uno ad uno, di sete e di fame invece che solo per mancanza di medicine; e di ferro e fuoco.
Davanti a teste di bambini massacrati
a madri e padri schizzati dalle case infuocate
tutti piangono si grida alla follia
ma la follia è un piano ben studiato
dollari , date, spot, tutto predisposto
piange oggi rabbioso un mondo
lacrime asciutte che arrivano al nostro petto
non oltre si può andare.
Intanto gli arei passano grandi molto più grandi
delle nostre angosce del nostro stupore
delle nostre ore davanti al televisore.
Emy
Ci parlano di Gaza in questi giorni
ed i giornali (troppi e troppo uguali per essere ascoltati) scritti e comunicati
la dicono avvicendata a storie di governo
o anticipata da fatti dei mondiali
Perché non grida dallo schermo la signora che racconta il dramma?
non piange dopo aver visto le foto dei bambini uccisi
interrotti scompaginati esposti stuprati nella vita
dalle bombe ineluttabili, dalla belva le cui zanne
mai si mozzeranno?
non latra come Elettra per Ifigenia
e decide invece di nascondere (esagerati all’ora di cena)
quei corpi e poveri vestiti e vòlti insanguinati?
come potranno i nostri vostri figli sapere?
far crescere l’odio sacrosanto che si deve portare
a chi uccide prevarica costringe annienta schiaccia umilia?
Perché non sa
perché anch’ella è insignificante pedina
e nemmeno possiede la dignità perversa d’essere complice
il gioco è fatto
le menti son state candeggiate
tutti i ruoli assegnati nessun protagonista
restano solo comparse e parti secondarie
perfino i Dèmoni son di sé stessi ignari
Il discorso di Lucini non fa una piega. Soprattutto se lo prendiamo dal versante umanitario: * Il problema palestinese è un problema di ingiustizia, questo sì, grande come una casa e imputabile ad Israele* e, a concludere, *La giustizia è la base dell’umanesimo: il sorgere di grandi civiltà è sempre stato la compilazione di norme di giustizia (ovviamente in termini molto relativi), da Hammurabi fino alla dichiarazione dei diritti umani*.
Se invece lo prendiamo dal versante politico, economico e geostrategico le cose suonano diversamente. Molto diversamente.
Perché, purtroppo, è quell’ *ovviamente in termini molto relativi* a guidare la storia.
Perché il ‘relativo’ sta sempre dalla parte del vincitore. Le famose Carte dei Diritti dell’Uomo o le varie Costituzioni si sono date a conclusione di grandi massacri e compilate dai vincitori del momento. A tacitare rancori e suggellare nuove alleanze.
Il popolo, il quale giustamente ha bisogno di questi dettami superiori, equivalenti alle bibliche Tavole della Legge, si sente rassicurato e protetto. E tutto ciò va bene anche per il gruppo sociale, dove viene inibito il farsi giustizia da sé.
Ma possono crearsi dei problemi perché non tutte le ciambelle escono col buco. Quando questi Testi Sacri vengono ‘violati’, quasi mai dal basso ma a causa di frizioni all’interno dei potenti di turno [fa testo la recente esperienza italiana con tutte le palesi violazioni alla Carta Costituzionale], allora si ritorna praticamente indietro, si regredisce, si fa ricorso ad una morale superiore che trascende le stesse Leggi (perché, si sa, le Leggi sono fatte dagli uomini): il supremo obbligo morale di pensare al BENESSERE del paese oppure, andando un po’ più in alto, “Deus vult”.
E dove il “Deus” non necessariamente sta a rappresentare ‘un Dio’ ma anche – e soprattutto – quella specifica divinità tipicamente capitalistica chiamata “benessere”, ben adombrata nella poesia di Luigi Paraboschi.
E addio Legge. Di giusto e ingiusto nemmeno se ne parla perché nel regime tribale questa fase non è ancora contemplata.
Se, come diceva padre Maria Turoldo: *non è la sicurezza a garantire la pace, ma la pace a garantire la sicurezza*, dovremmo intendere che aver fatto pace con le proprie istanze interiori, aver messo al loro posto le parti arcaiche improntate alla vendetta -sostenute da un Dio primitivo che parla appunto di occhio per occhio e dente per dente -, sia questa la necessaria condizione per avviare un dialogo.
Altrimenti è un monologo, come ben sa chi lavora con i paranoici.
Riconoscere l’avversario, significherebbe farsi carico di tutte le nefandezze che sull’avversario sono state proiettate. Qui sta la base della paranoia: “non sono io ma l’altro”. A garanzia di tutto ciò: “Il signore degli eserciti è con me”. Né più né meno del “Gott mit uns”.
Concorrenza sleale? Sì. Perché vince chi è più forte e non chi è più giusto.
Che su tutto questo ci giochino e facciano un lavoro sporco i padroni del momento (fra i due litiganti c’è sempre un terzo che gode) ci dovrebbe spingere – al di là del doveroso sgomento di fronte a queste atrocità – ad uscire dalla mera posizione di protesta. Io credo che il compito dell’intellettuale sia quello dell’intelligere – senza scartare gli aspetti umani di sofferenza -, il senso, ammesso che ce ne sia uno, di questo continuo scompiglio generalizzato in cui il sentimento che piano piano sta prendendo piede è la persecutorietà: adesso che cosa accadrà? Il terrorismo sta lì.
R.S.
Sul profilo FB di un amico, che per il momento non nomino lasciando a lui la scelta di presentarsi se lo ritenesse opportuno, ferve una discussione simile a questa nostra. Credo sia utile riportare quanto ho scritto in risposta a varie posizioni lì espresse, anche se la parte finale del mio intervento riprende due punti già noti ai lettori di questo sito. [E. A.]
Caro… ,
chiedersi « dove è meglio essere un lavoratore, un insegnante, una ragazza o una minoranza; in Pakistan? in Arabia Saudita? In Siria? O in Italia, Germania o Francia?» a me pare un discorso astratto ed ozioso. Le nostre vite non si spostano in base al risultato di una simile discussione. E il mio invito a parlare delle nostre democrazie intendeva spingere a ragionare su cose e paesi che conosciamo di più invece di buttarci a parlare di paesi che conosciamo di meno o in modo ancora più distorto, proprio perché restiamo occidentali e dobbiamo esserlo almeno in modo critico.
Questo non significa approvare automaticamente e acriticamente costumi e ordinamenti politici di altri paesi politicamente diversi o contrapposti a quelli occidentali.
Eviterei però lo schema avanzati/arretrati o addirittura civili/incivili. Non mi sento di dire che le democrazie occidentali siano superiori ad altri regimi. Sono le forme di regime che la nostra storia ha prodotto e che vengono trasportate altrove non in quanto in sé “migliori”, ma solo in quanto più forti. Se sono tecnologicamente più efficaci e potenti vuol dire solo che hanno la possibilità di governare e dominare con un grado di violenza diverso e meglio mascherato di quello che altri regimi (non democratici) devono necessariamente adottare per mantenersi. Da noi, cioè, c’è la possibilità di una tolleranza repressiva che lì non è possibile. Ma questo non vuol dire automaticamente maggiore civiltà. E l’essere avanzati sul terreno scientifico-tecnologico non equivale a più libertà per tutti.
In merito al conflitto tra Israeliani e palestinesi nella discussione in corso sul sito di POLISCRITTURE (che mi permetto di segnalare e alla quale ti ho invitato ad intervenire:https://www.poliscritture.it/2014/07/10/punti-interrogativi/), sto tentando in ogni modo di evitare che le cose vengano lette in termini di “follia”, di “opposti terrorismi” o siano messe in termini di misurazione delle “colpe” o sollecitino solo l“emotività”. (Ma devo dirti che ho l’impressione che tu a volte tenda a cavartela proprio con battute e sarcasmi “emotivi”). O a rinviare a una evidenza che non sarà mai risolutiva: credi che basti il rimando ad un atlante storico della Palestina o ricorrere ai libri di storia per decidere con assoluta certezza come stavano e stanno le cose e da che parte stare?
Se riconosciamo che le cose oggi sono ben più complicate e non possono essere lette in base alle contrapposizioni binarie avanzati/arretrati, civili/incivili; e nemmeno – aggiungo io – in base a quella sfruttatori/sfruttati di marxiana (ma indebolita e degenerata memoria e contraddetta da una sconvolgente e indecifrata trasformazione mondiale), a me pare che solo se si riuscisse a ragionare su complessi rapporti di forza strategici a livello internazionale (lo Stato d’Israele come parte del blocco dei dominanti che fa capo agli USA; Hamas come parte del blocco dei subdominanti ( che riceve aiuti dall’Iran ecc.), potremmo dirci qualcosa di meno vago e emotivo o che non serva al massimo ad aver ragione in una improvvisata discussione fra amici.
Personalmente i punti su cui per il momento mi attesto, dispostissimo a rivederli se ragionando risultassero fasulli o emergessero elementi non presi in considerazione, sono due e per chiarezza li riporto qui:
1. Noi oggi, minoranze intellettuali disperse e con scarsa conoscenza della realtà e dei rapporti tra gli Stati e, all’interno degli Stati, dei gruppi che influenzano le loro politiche, non riusciamo a capire come si potrebbe evolvere il conflitto in Medio Oriente, che è condizionato e condiziona gli altri conflitti («in Ucraina, in Siria, in Irak»).
Non essendoci neppure più di aiuto gli strumenti che avevamo conquistato (il marxismo o una qualche filosofia della storia), facilmente cadiamo o nel catastrofismo (“verrà fuori una nuova guerra mondiale”) o nell’utopismo («sarà la pace a portare la sicurezza, il diritto, la tranquillità e non la sicurezza a portare la pace»). A me paiono entrambe vie da non imboccare più.
2.
Israele, Hamas, noi (intendendo l’Italia e anche i singoli dei vari paesi) abbiamo tutti delle colpe. Ma non possiamo ragionare a questo livello morale. Ci addentreremmo nella solita notte (hegeliana) in cui tutte le vacche sono nere. L’interrogazione sarebbe infinita e credo paralizzante.
Secondo me, dobbiamo riconoscere che la storia è conflitto; che nel conflitto e nei conflitti agiscono i dominanti, i subdominanti e i blocchi di «gente» che, consenzienti o passivamente, li seguono o – diciamolo pure – sono costretti a seguirli; che noi, pur non essendo affatto “innocenti”, possiamo fare una cosa semplice e ardua allo stesso tempo: uscire dalla ambivalenza di chi guarda con sufficienza o sprezzo i contendenti che se le danno ( “ma che folli!”) e schierarci *ragionando politicamente*, sì.
Dalla parte di chi? Su questo non ho mai avuto dubbi, anche se qui si aprono mille problemi: dalla parte di chi, pur senza essere innocente (ripeto: nessuno lo è nella storia dove, con Manzoni, « non resta / che far torto o patirlo»), contrasta chi è il più prepotente e dominatore, chi – diciamolo – ne ammazza di più e «bombarda e giustifica le sue bombe» (che fanno più danni dei razzi di Hamas, che pure fanno danno) e ha «ordinato quelle morti»: lo Stato di Israele e gli stati che l’appoggiano, dagli Usa agli europei. («(E fossero solo gli USA e gli europei)»).
Ancora sulla quotidianità sconvolta di Gaza. Non per commuovere ma per capire che chi è più forte fa sempre più male agli altri, anche quando “li avverte”.
DA FB:
Tahar Lamri
I quotidiani italiani on line titolano oggi all’unanimità che l’esercito israeliano avverte prima di bombardare le case dei palestinesi e pubblicano addirittura la presunta telefonata. Forse è il caso di precisare:
1. L’avvertimento, quando c’è, precede il bombardamento di soli 3 minuti. Immaginate famiglie con bambini, vecchi, malati come fanno ad organizzare la fuga in soli tre minuti.
2. Non è poi vero che tutte le famiglie vengono avvertite dell’imminente attacco. La famiglia Abu Ghannam di Rafah, ad esempio, è stata bombardata con 3 missili senza alcun avvertimento. La famiglia è stata annientata da questo bombardamento che ha colpito anche le case e le famiglie vicine.
3. L’avvertimento avviene anche tramite il lancio di un razzo di avvertimento. Questo razzo ha capacità enormi di distruzione e comunque può uccidere. E’ con un tale razzo che è stato assassinato Ahmed Aljaabari ad esempio. E’ stato uno di questi razzi ad uccidere un abitante del campo profughi Al-Shabura.
4. E’ noto che la densità di popolazione al Km2 a Gaza è una fra le più alte al mondo. La capacità di distruzione dei razzi lanciati dagli F16 israeliani distruggono la casa colpita e circa 20 case attorno.
5. Alcuni giorni fa, un giovane palestinese aveva ricevuto l’sms dell’esercito israeliano. Non era in casa in quel momento e subito ha cercato di chiamare qualcuno della sua famiglia ma nessuno rispondeva. Ha fatto una corsa pazzesca e quando è arrivato a casa ha trovato tutta la sua famiglia sotto le macerie.
6. Avvertire vuol dire sapere che le case sono abitate. Gli abitanti di Gaza non hanno rifugi dove andare e in tre minuti non possono, con bambini, vecchi o malati, percorrere molta strada….
Caro Ennio,
cerco di non commuovermi e mi chiedo anche perché non dovrei, ma passiamo oltre, quello che ci scrivi è terribile e si capisce subito che è il più forte che fa sempre più male agli altri. Qualcuno dovrebbe arrendersi e lo faranno quando ormai sarà sterminio. Mia nonna diceva: “I sciuri a gan semper ul curtel da la par del manic!” I ricchi hanno sempre il coltello dalla parte del manico. Io vorrei sapere dove sono finiti tutti i pacifisti, quelli mettevano i fiori nei loro cannoni…ricordi. I pacifisti delle bandiere con le stricie colorate con scritto a caratteri cubitali PACE , le stendevano anche sui balconi. Non so troppe parole…
@emilia
I pacifisti? vittima di un oscuro male degli epigoni dell’umanismo: l’accidia.
E’ la stessa domanda che mi ponevo scrivendo un poemetto dei “Sapienziali” che ti prego di leggere con occhio “laico”, come deve essere letto.
Per tutti quegli anni
Cristo era lì, appollaiato su un trespolo
aspettando la mannaia.
Giuda si clonava nei laboratori delle mafie
vendeva Cristo ai poteri delle lobbies
celebrava riti sacri
creava vescovi e santi in gran segreto
mullah e archimandriti invasati
nuove religioni di Stato, crociati
templari risorti dalle ceneri
e nuove apocalissi.
E noi a marciare a manifestare
– presso i ruscelli di Ruben
grandi erano i pensamenti, dolci le zampogne –
ma è scritto non tentare il tuo Signore
non chiedere vittorie senza lottare.
Per tutti quegli anni abbiamo marciato
con disciplina quasi militare
non ci importava di mafia e di potere
abbiamo tradito il Giusto allo scempio
al terzo canto del gallo
(lo abbiamo sentito vagire nella notte
ci siamo detti «è un cane, uno sciacallo»
crollando un po’ le spalle «ciò che importa
è mantenere l’equilibrio statico
delle profonde notti estive
l’esito felice dei colloqui diplomatici:
non è di questo mondo la giustizia
già la vendemmo un tempo senza remore
ne ricavammo ben trenta denari»)
abbiamo chiamato la Speranza
a testimonio dei poteri più crudeli
panacea per sopire le coscienze
convertire in giustizia prepotenze
con la sola forza del suo Nome.
Per i poveri soltanto
anatemi e condanne.
Dagli anni più cupi del novecento
l’abbiamo chiamata a gran voce:
dove sono quelle labbra, quelle voci?
Gianmario , ancora qualcuno per comodità, spera-.Cristo (ecco l’occhio religioso) no.
SPERANZA
Arriva scortato il raggio di sole,
entra regnante, a tutto provvede,
consola ,ama, accoglie, ricuce
ride, scompone, torna e ritorna
Non fuochi né addii né scalpitii
dolci melodie , ninne nanne
su fermi giorni come di lago,
superfici senza specchi,
soffici appoggi, fumi leggeri
negli occhi a velare le pene.
Fuori tutto procede
dentro l’attesa il nirvana
tutti all’ascolto
Ah, stolta campana!
Emilia Banfi
C’è una cosa che non mi è chiara.
A partire dalla premessa che *la giustizia è la base dell’umanesimo* Gianmario sostiene che * La politica che non si fonda sulla giustizia è fasulla, è solo uso del potere a discrezione. Né Hamas né Israele puniranno mai, se non per finta, gli assassini*.
Mi viene da chiedere: se li avessero puniti per davvero (ma che cosa significa ‘per davvero’?), allora le cose si sarebbero tranquillizzate? Sarebbe come dire che, una volta punito Gavrilo Princip, l’attentatore di Sarajevo del 28 giugno 1914 – guarda che bella coincidenza centenaria – avremmo potuto risparmiarci tutta la carneficina della 1^ Guerra mondiale? Invece ce la siamo sciroppata tutta perché c’erano dei disegni tra le potenze di allora che andavano in quella direzione e Sarajevo fu soltanto il casus belli.
Che (e chi) ci sta dietro i movimenti di Israele e dietro quelli di Hamas? E perché mai proprio adesso? Dire che sono due cretini che non sanno parlare tra loro e che fanno i capricci (= massacri) è molto riduttivo.
Come a dire: se invece sapessero dialogare… come se tutto dipendesse dalla loro buona volontà senza tenere conto che essi stessi si trovano all’interno di una rete di rapporti di forza.
Abbiamo visto la fine di Arafat. Non ci dice nulla tutto questo?
Una riflessione a proposito dei ‘cretini’ e delle escalation del conflitto: mantenere uno stato di ignoranza e di paura nella popolazione (una forma sommersa di terrorismo) rappresenta la base sicura per indottrinamenti teocratici che porteranno inevitabilmente a proclami non di giustizia ma di giustizialismo.
R.S.
@ Rita
Rita ci fa sempre riflettere. Io ho persin pensato che tra i Palestinesi , qualcuno si sia fatto corrompere da Israele per dare inizio a questa strage che io non chiamo guerra perché va oltre la guerra, oltre il terrorismo. E’ qualcosa che interrompe la storia in una maniera secondo me molto chiara, una forte e schifosa voglia di denaro, di potere e di distruzione , dietro a tutto questo la potenza che tutti conosciamo , una delle più grandi con quella della droga e della prostituzione, la vendita delle armi. Tutti i Palestinesi che credono in un futuro migliore di libertà continueranno a crederci con grande forza ed Israele( e chi sta dietro ) lo sa e gli scontri continueranno fino a quando il dio denaro lo deciderà . Solo allora sarà la fine e nessuno sa come sarà e quando , proprio nessuno neanche chi oggi vuole questo orrore.
Intanto la Germania vince i mondiali. Domani non si parlerà d’altro.
Su segnalazione di Attilio Mangano:
Mahmoud Darwish
POETA STRANIERO IN TERRA PROPRIA – Mahmoud Darwish, scrittore palestinese considerato tra i maggiori poeti del mondo arabo, ha raccontato l’orrore della guerra, dell’oppressione, dell’esilio (al-Birwa, suo villaggio natale, è stato distrutto dalle truppe israeliane durante la Nakba e ora non esiste più, né fisicamente né sulle cartine geografiche). Fuggito in Libano con la famiglia, per scampare alle persecuzioni sioniste, tornò in patria (divenuta terra dello Stato d’Israele) da clandestino, non potendo fare altrimenti. La sua condizione di “alieno” e di “ospite illegale” nel suo stesso paese rappresenterà uno dei capisaldi della sua produzione artistica.
ARRESTI ED ESILIO – Arrestato svariate volte per la sua condizione di illegalità e per aver recitato poesie in pubblico, Mahmoud – che esercitò anche la professione di giornalista – vagò a lungo, non avendo il permesso di vivere nella propria patria: Unione Sovietica, Egitto, Libano, Giordania, Cipro, Francia furono le principali nazioni dove il poeta, esule dalla sua terra, visse e lavorò.
Eletto membro del parlamento dell’Autorità Nazionale Palestinese, poté visitare i suoi parenti solo nel 1996, anno in cui – dopo 26 anni di esilio – ottenne un permesso da Israele. Il poeta si spense a Houston (Texas) il 9 agosto 2008 in seguito a complicazioni post-operatorie. Mahmoud aveva infatti subito diversi interventi al cuore, l’ultimo dei quali gli fu fatale.
LE POESIE – Solo una minima parte della sua produzione è stata, fino ad ora, tradotta in italiano. Vi offriamo un breve assaggio di alcune delle sue poesie.
PENSA AGLI ALTRI
Mentre prepari la tua colazione, pensa agli altri,
non dimenticare il cibo delle colombe.
Mentre fai le tue guerre, pensa agli altri,
non dimenticare coloro che chiedono la pace.
Mentre paghi la bolletta dell’acqua, pensa agli altri,
coloro che mungono le nuvole.
Mentre stai per tornare a casa, casa tua, pensa agli altri,
non dimenticare i popoli delle tende.
Mentre dormi contando i pianeti , pensa agli altri,
coloro che non trovano un posto dove dormire.
Mentre liberi te stesso con le metafore, pensa agli altri,
coloro che hanno perso il diritto di esprimersi.
Mentre pensi agli altri, quelli lontani, pensa a te stesso,
e dì: magari fossi una candela in mezzo al buio.
CARTA D’IDENTITA’
Ricordate!
Sono un arabo
E la mia carta d’identità è la numero cinquantamila
Ho otto bambini
E il nono arriverà dopo l’estate.
V’irriterete?
Ricordate!
Sono un arabo,
impiegato con gli operai nella cava
Ho otto bambini
Dalle rocce
Ricavo il pane,
I vestiti e I libri.
Non chiedo la carità alle vostre porte
Né mi umilio ai gradini della vostra camera
Perciò, sarete irritati?
Ricordate!
Sono un arabo,
Ho un nome senza titoli
E resto paziente nella terra
La cui gente è irritata.
Le mie radici
furono usurpate prima della nascita del tempo
prima dell’apertura delle ere
prima dei pini, e degli alberi d’olivo
E prima che crescesse l’erba.
Mio padre… viene dalla stirpe dell’aratro,
Non da un ceto privilegiato
e mio nonno, era un contadino
né ben cresciuto, né ben nato!
Mi ha insegnato l’orgoglio del sole
Prima di insegnarmi a leggere,
e la mia casa è come la guardiola di un sorvegliante
fatta di vimini e paglia:
siete soddisfatti del mio stato?
Ho un nome senza titolo!
Ricordate!
Sono un arabo.
E voi avete rubato gli orti dei miei antenati
E la terra che coltivavo
Insieme ai miei figli,
Senza lasciarci nulla
se non queste rocce,
E lo Stato prenderà anche queste,
Come si mormora.
Perciò!
Segnatelo in cima alla vostra prima pagina:
Non odio la gente
Né ho mai abusato di alcuno
ma se divento affamato
La carne dell’usurpatore diverrà il mio cibo.
Prestate attenzione!
Prestate attenzione!
Alla mia collera
Ed alla mia fame!
Per me ha ragione Gianmario quando dice che la soluzione sarebbe quella di ricavarne un unico stato, di larghe autonomie, che poi è l’esatto contrario di quanto sostenevo dicendo che andrebbero allontanati. Sarà anche utopia ma perlomeno stabilisce la direzione dove volgersi per trovare una soluzione, possibile o impossibile è da vedersi. Altre soluzioni avveniristiche non se ne trovano, nemmeno in questo dibattito di giusti.
La discussione su Gaza e la questione palestinese è stata affrontata anche su LE PAROLE E LE COSE da Daniele Balicco proprio con un’impostazione “utopica” qui sostenuta da Gianmario e Mayoor.
Ecco il link:http://www.leparoleelecose.it/?p=15641
Ed ecco una mia prima replica a Balicco:
Caro Daniele Balicco,
i nuovi bombardamenti su Gaza (dopo quelli del 2009) ci hanno ricordato ancora una volta che il conflitto tra Stato di Israele e palestinesi è irrisolto e forse irrisolvibile.
È una piaga che né i potenti governanti israeliani né i leader riconosciuti dei palestinesi (prima dell’OLP di Arafat poi di Hamas) né l’ONU né le potenze predominanti a livello mondiale (USA in primis) sanno o possono sanare.
Di fronte a questo stato di cose – una situazione politicamente caotica a livello mondiale e spesso catastrofica e tragica dal punto di vista sociale in certe aree “calde” o “a rischio” (Medio Oriente, Siria, Ucraina, ecc.) – e alle improvvise recrudescenze di conflitti “striscianti”, le sparute minoranze che ancora tentano di pensare politicamente i complessi processi tecno-scientifici senza separarli dalle distruzioni che comportano o dalle permanenze di mentalità e forme di vita “arretrate” o “arcaiche” o “premoderne”) oscillano (dico io) pericolosamente tra catastrofismo e utopismo.
L’opzione utopica che qui tu rilanci riproponendo il tuo bel saggio sull’«ultimo Said» (Allegoria, 67, gennaio/giugno 2013) è presente anche nella discussione che stiamo svolgendo sul sito di Poliscritture.
Ho già detto in quella sede che non mi sento più di condividerla, che la ritengo debole politicamente e vorrei, riferendomi ora al tuo scritto, riproporre anche qui su LPLC alcune mie riserve e obiezioni, sperando che i dibattiti possano intrecciarsi e le posizioni arricchirsi e chiarirsi.
Eccole allora:
1.
Non esiste oggi «una mente grandiosa come quella di Johan Sebastian Bach» capace di portare la politica alla narrazione e comprensione del reale che Said auspicava. Non c’è nessuna « diplomazia educata all’arte del contrappunto e per questo capace di organizzare un groviglio di conflitti senza apparente soluzione in un processo molto più ampio e dinamico, di differenziazione e di riconoscimento».
L’ONU è inerte, sfigurato, affannato, servile. L’Europa manca. La politica è ridotta a marketing. Da dove ricominciare?
Con tutta l’ammirazione e il rispetto per Bach mi chiedo: proprio da lui?
2.
In questi giorni i tonfi delle bombe su Gaza, se accostati alla musica della « West Eastern Divano orchestra» voluta da E. Said e D. Barenboim, svelano tutta la fragilità dell’idea di prefigurare nella collaborazione tra giovani musicisti israeliani e arabi quella tra i due popoli. Per battere il nemico Lu Hsun diceva che è meglio usare i cannoni. Noi non ne abbiamo neppure uno, ma – e non lo dico solo con amaro sarcasmo – possiamo sostituire quella funzione con gli strumenti musicali?
3.
Tutta la polemica di Said contro Arafat, la sua politica e gli «Accordi di Oslo» non solo non ebbe incidenza allora, ma oggi, dopo la morte (“naturale”?) di Arafat, l’indebolimento dell’OLP, l’egemonia (discutibile quanto si vuole ma reale) di Hamas, appare datata, rivolta a interlocutori che non ci sono più o hanno perso anche quel residuo potere che Said contestava.
4.
La mossa di Said «contro la catastrofe degli Accordi di Oslo», quel suo alzare al massimo «la posta in gioco», la sua «visionaria proposta di trasformazione radicale del presente», proprio mentre il presente andava trasformandosi in direzione opposta a quella sperata e in modi che ci risultano indecifrabili, a me pare si debba leggere come una disperata testimonianza di fronte all’«avanzare di una malattia mortale» (la sua) e a «una catastrofe politica senza riscatto».
È una proiezione utopica nel futuro. Non mi sento di definirla «una strategia realistica». Mi permetto di dire che non è neppure più l’«utopia concreta» alla Bloch, proprio per il venir meno di interlocutori o portatori reali di quella «posta in gioco». Somiglia piuttosto a quel «proteggete le nostre verità» dell’ultimo Fortini, che anch’esso fu pronunciato ormai in assenza di interlocutori e in condizioni mutate e non più comprensibili con gli strumenti da lui usati.
Certo si può voler «fortificare, perfino nel presente più disperato, il desiderio di questo futuro possibile», ma un desiderio resta un desiderio; e lo rimarrà fin quando non si presentino condizioni materiali appena favorevoli per progettarne una qualche realizzazione.
5.
Il mio timore è questo: che la proiezione utopica nel futuro, non avendo gambe reali, impedisca di interrogarsi a fondo e di capire « l’abominio di un conflitto che contro ogni ragionevolezza persiste». E perciò uno dei commenti fatti nella discussione su POLISCRITTURE ho scritto : «Facciamo solo per un attimo un’altra ipotesi: che nulla più nella realtà spinge i processi sociali e politici in direzione umanistica o progressista; e che, invece, tutto congiura a rafforzare proprio i potenti, quelli che già stavano in posizione di maggior vantaggio rispetto a noi, quelli ben forniti di « malafede, retorica, razionalizzazione di una visione folle dei rapporti fra i popoli», ma anche di conoscenze scientifiche, di poteri decisionali, di consenso.
Non è un’ipotesi incoraggiante, ma potrebbe mostrarci cose che mai vedremmo partendo da una politica come dover essere».
6.
In Said mi pare debole anche la proposta di spostare « la lotta dal piano direttamente militare a quello simbolico dell’egemonia» o di « rendere la dimensione morale il nostro unico terreno di lotta».
Molto spesso, quando ci si appella a Gramsci ( ma in parte credo che la cosa valga anche per Mandela…), si dimentica che egli mai separava la questione dell’egemonia dalla questione della forza (o del «piano militare») e dalle altre questioni. Non riduceva, cioè, la lotta politica, che è qualcosa di complessivo e implica tutti i livelli (economico, politico, culturale), esclusivamente alla delegittimazione morale del nemico. (O dell’avversario, laddove il nemico si disponesse ad essere tale, riconoscendo almeno in parte chi lo contrasta).
Del resto, «passare per la delegittimazione morale, su scala internazionale, del suo potere», adottare la “strategia sudafricana” non significa affatto – sarebbe una illusione – pensare di trovare su quel terreno un nemico più impacciato o sguarnito.
Lo strapotere economico, politico, militare dello Stato di Israele (e del sionismo) è presente anche sul piano “morale”: il sistema mediatico, a cui Said si riferiva, è presidiato, infatti, con la stessa protervia “totalitaria” ed è terreno di conflitto altrettanto aspro; e i palestinesi – sia chiaro – sono svantaggiati anche su questo piano.
Temo che gli intellettuali – e Said lo era ad altissimo livello – si illudano a volte di potere influire di più sul piano morale in quanto intellettuali. Ma è un abbaglio ideologico. «Il legame fra estetica (soprattutto letteratura e musica) e politica» può essere pieno di equivoci, specie quando si è persa di vista che cosa sia effettivamente diventata la politica in un periodo caotico come quello che viviamo. Anche quando si riconosca, come tu fai, che si tratta di «due regni autonomi, due forme diverse dell’esperienza umana, certo non sovrapponibili, se non a prezzo di semplificazioni gratuite».
La debolezza della posizione di Said stava proprio nella « convinzione umanistica che il potere simbolico dell’arte possa forzare l’orizzonte bloccato del presente, aprendolo verso la possibilità di essere altrimenti». Questa sua scommessa – mi permetto di dirlo – era generosa ma proprio «romantica».
Dobbiamo guardare in faccia la nuova realtà che conosciamo poco o troppo approssimativamente.
Poi si vedrà se spunterà « la possibilità di essere altrimenti».
Ciao.
Cari amici, cerco di seguire la discussione che è interessante, perché fa emergere diversi modi di vedere la politica, la storia e tante altre questioni.
Va da sé che a un certo punto tutto comincia a girare in testa e metteteci il fatto che sto lavorando all’editing di alcuni libri e capirete che c’è una bella poltiglia nel cervello e che non è facile dire ciò che si vorrebbe dire anche perché la lingua difetta sempre nel tradurre il pensiero.
Ma vediamo di spiegarci rispetto alla “soluzione utopica” che mi si attribuisce, che io non credo sia “utopica” nel senso arcaico del termine (ou-tòpos, non-luogo). Oggi invece si dice “utopia” quando si parla di cose impossibili ed è per questo che voglio chiarire.
Il non-luogo di cui io parlo, non è però un luogo impossibile ma, realisticamente, credo che sia l’unico luogo del possibile. Ora, qui manca un passaggio. La nostra civiltà si considera “razionale”, mentre io la considero “razionalizzante”, perché la razionalità (politica, e conomica, ecc. ecc.) è al servizio dei “desiderata” dei più forti, che la ragione cerca di giustificare come la migliore scelta. La ragione è sempre del più forte ed è considerato “razionale” soltanto quello che il più forte decide che sia “razionale” ed ovviamente una pletora di intellettuali, scienziati, giornalisti, artisti, (e perché no, di militari) ecc. ecc. sostiene la razionalità del sistema, grande, una grande civiltà, che ha fatto grandissime scoperte, ecc. ecc.. Il modello di sviluppo occidentale (che poi è il solo modello di sviluppo, oggidì) ad esempio, è razionale? Un modello simile, esportato a livello generale, provocherebbe la fine del pianeta, perché sarebbe come accendere un falò in casa tappando le finestre e la porta: magari non provochi un incendio ma muori intossicato. Dunque, dove sta l’utopia, in chi dice che bisogna cambiare modello di sviluppo, anche a costo di frenare lo sviluppo o in chi dice che tanto la tecnica e la scienza risolveranno ogni problema nel futuro? (e quando non avremo più futuro, cosa si potà dire?) Intanto mi si dica dove sbattere i redisui dell’uranio (la scienza e la tecnica hanno inventato i proiettili all’uranio impoverito e questa è la loro soluzione, sinora, oltre a improbabili stoccaggi nelle viscere della terra, che mi paiono proprio un confetto avvelenato in regalo alle generazioni future). Questa è la razionalità o l’utopia? chi è razionale e chi è utopista? Il non-luogo è quello che ci stiamo costruendo con questo modello, altro che palle. Mi si dica come eliminare un intero continente di plastica, come recuperare e smaltire i rifiuti tossici delle industrie, ecc. ecc.
Passiamo al problema dei conflitti. L’utopista Gianmario Lucini afferma che l’unica soluzione è quella che i due popoli (non solo in Palestina) co-esistano nella reciproca tolleranza e che l’unica via da percorrere è quella del dialogo. Ma il Lucini non è un utopista, checché se ne dica. La mia abitudine, di fronte a un problema, è quello di esaminare i dati a disposizione e i dati che ho in mano mi dicono a chiare lettere che se le cose vanno avanti così, i Palestinesi saranno cancellati dal loro territorio, magari ci vorranno altri 70 anni, ma il punto di caduta, il risultato del calcolo con i dati a disposizione, non possono deviare da questa conclusione, che non è “catastrofista” ma è semplicemente realista. Poi si dirà che la storia, che via Rasella, che l’attentato di Sarajevo ecc. ecc., ma tutto questo non cambia il calcolo di un decimale, perché la storia non si ripete e tutti quegli esempi che ho letto, non ci dicono nulla sulla situazione attuale. Non sono un veggente: se si pone questa domanda a chiunque, mi sembra che non ci siano molte risposte alternative. Solo Hamas dice che vuole distruggere Israele ma, a mio parere, dargli dei cretini se davvero pensano questo, è poco. Dunque, se non sarà Israele a soccombere…
A me il governo Israeliano proprio non piace, lo considero un fascismo o un’oligarchia travestita da democrazia. Un governo di padroni insomma, padroni materiali e spirituali, padroni militari, gente che non saluterei neppure a meno che non abbia un conflitto con loro: se avessi un conflitto con Israele (scusate l’esempio stupido) saprei già che se non uso le parole, qualche tattica, non mi cerco alleati, non invento una dialettica, ma uso le bombe, saprei già come Israele risponderebbe: inutile girarci intorno. Questi fanno il brutto e il cattivo tempo perché gli Ebrei americani tengono per le palle tutti i governi americani, dagli anni ’60 in poi. La fratellanza araba è finita con la guerra dei 7 giorni ed ora viene avanti il progetto integralista del califfato islamico, al quale Hamas prima o poi aderirà, se non lo ha già fatto. Ci sarà un bel casino, se il “trend” non cambia, se non si cambia rotta.
La prospettiva, se non si arriva a un dialogo, è quella che esploda tutto, perché il Medio Oriente è il punto critico della deriva di tutte le politiche estere. Anche il Centro Africa lo è, ma in modo diverso. Grande responsabilità hanno gli USA, ma tutti in qualche modo abbiamo una posizione, verso questo conflitto, non razionale ma razionalizzata. Io chiamo questa cosa “follia della politica”, qualcuno la chiama “politica” tout court, ma a me sembra merda mischiata col risotto, qualcosa di informe che non ha segno alcuno di ragionevolezza. Oh no, non sarà la terza guerra mondiale, perché le Multinazionali non la vogliono. Su questo non ho dubbi. La mia utopia è, invece, l’unico approdo realistico a qualsiasi vicenda del genere. Ormai la politica ci ha dimostrato soltanto una lunga serie di fallimenti senza cambiare nulla da Bismark in poi. Non c’è un conflitto sanato davvero della politica, a meno che la mediazione politica non abbia tenuto conto dei problemi reali, delle paure, delle diffidenze della controparte, ossia quasi mai – o comunque non mi viene un esempio. Ora sta (forse) capendo almeno di non umiliare il nemico, come è accaduto con la pace di Versailles, ma non sono sicuro neppure di questo.
I grandi accordi (pensiamo alla pace di Yalta) sono sempre stati divisioni di bottino e di potere, di influenze. Il modello è sempre quello, dai primordi della storia in poi. Chi vince inventa la legge e chi sgarra è bastonato. E chi è bastonato poi vuole a sua volta bastonare e avanti così, in una escalation simmetrica che non cessa mai, come le faide.
Bisogna dunque cambiare modello e cambiare modello significa che bisogna fare la pace prima di fare la guerra e non dopo. La pace è una conquista di tutti i giorni, non è un documento per le ricerche si archivio degli storici. La pace è cultura, è capire, è parlare con l’avversario, è decidere con lui per l’interesse di tutti e due.
Bisogna adottare un modello antropologico, che parta dalla capacità dei contendenti di empatia, ossia la possibilità di mettersi nei panni dell’avversario e capire le sue paure, mentre oggi non esistono più avversari ma solo nemici e al nemico si nega persino la pietà. I greci e i persiani che si scannavano di santa ragione a Salamina o alle Termopili o a Platea, esaurivano il loro odio nella battaglia e magari nel saccheggio (tant’è che Eschilo scrive una tragedia, I persiani, nella quale fluisce l’umanità, la pietà dell’uomo greco per il nemico) ma oggi l’odio non finisce mai. La pace è semplicemente una tregua gonfia di odio fino al prossimo seminarista sgozzato o al prossimo adolescente bruciato vivo.
Ma l’odio è della gente? Io non credo. La gente non vuole la guerra (non di rado, nella 1° guerra mondiale, i soldati italiani e austriaci fraternizzavano, in trincea). L’uomo è naturalmente orientato alla pace e dunque la guerra non è una volontà del popolo ma una devianza del sistema politico ed economico. E certo, quando si incancrenisce, allora diventa anche odio fra la gente stessa che non vuole la guerra e paga sempre.
Bene, io ho chiamato “cretini” Hamas e i caporioni Israeliani e ho imputato a loro la responsabilità di non voler dialogare. Ma la mia è un’assoluzione, perché dovrei parlare di malafede e usare ben altri termini. E visto che costoro spargono terrore fra la gente… Questi infatti stanno lì a difendere gli interessi di tutti i potentadi che premono, che vogliono che le cose vadano così, che non vogliono un Medio Oriente rappacificato. Per questo continuo a credere utopistico (nel senso di via che porta a un non-luogo) il comportamento di Hamas e degli Israeliani. Ogni razzo sparato è un atto di auto-lesionismo. Ogni casa abbattuta a Gaza idem, perché è il seme di nuovi attentati. Così non si arriva da nessuna parte, è impossibile venirne a una, e anche uno con QI 65 ci arriva a capirlo. Se usciamo da questa logica non c’è alternativa, si continuerà a scannarsi per altri 70 anni o forse di più, fino a quando sarà necessario, fino a quando uno non ci sarà più e l’altro sarà finalmente sicuro (di avere un odio fortissimo intorno ai suoi confini, molto maggiore dell’odio che ora c’è e che potrebbe essere pian piano riconvertito in accordo e pacifica convivenza, con la pazienza, il tempo e la volontà politica – soprattutto).
E’ di questa mattina la notizia che Hamas rifiuta la proposta di mediazione egiziana e la tregua, perché sarebbe, a suo modo di vedere, un atto di debolezza scendere a patti.
Se questo è il modo di ragionare di Hamas, chiudiamo la discussione e aspettiamo gli avvenimenti. Non c’è altro da dire, credo, percvhé Israele non sta certo a guardare, specie ora che Hamas gli dà, su un piano “morale” (non entro nel merito di quale sia questa moralità, ma certo è quella vincente, quella dei vincenti e che viene adottata a metro per la valutazione dei comportamenti) una plateale giustificazione, una “occasione da non perdere” per gli Israeliani. Tutto quello che è stato detto non serve a nulla. Forse era arte o poesia e la realtà sarebbe quella che accade, questa sarebbe la politica, questo sarebbe il volere dei popoli in conflitto. Se questa è fatta passare per politica, io ribatto che è ricerca del martirio, di stampo fanatico più che politico.
Hanno sparato 1000 razzi e non hanno fatto una vittima, mentre hanno 200 perdite, quasi tutte fra i civili, la metà quasi di bambini. Fallimento disastroso sul piano militare, il piano sul quale vogliono discutere. Questa è la loro strategia bellica: “Ho preso un sacco di botte, ma gliene ho dette tante e poi tante…”.
Amici miei, qui non sono fuori dal seminato, se parlo di follia. E’ quanto di peggio abbia mai sentito nell’economia di un conflitto: il forte che chiede la tregua e il debole che la rifiuta e minaccia. Questo va al di là di qualsiasi torto o qualsiasi ragione: non ha nessun senso se non in un’ottica di esaltazione per il martirio o di guerra santa.
@ Gianmario
Caro Gianmario,
io ci andrei piano con la “teoria della follia”… Le cose sono molto più complicate. Noi non le conosciamo. In questa discussione per me l’obiettivo non è far vincere la tesi “realista” contro la tesi “utopista” (o come la vuoi chiamare tu), ma approfondire una realtà che sfugge.
Ogni dato va pesato, ma senza buttarsi subito a tirare le somme.
Mi arriva adesso questo articolo di Manlio Dinucci e lo inserisco PER CONOSCENZA:
L’ARTE DELLA GUERRA
Gaza, il gas nel mirino
Manlio Dinucci
Per capire qual è uno degli obiettivi dell’attacco israeliano a Gaza bisogna andare in profondità, esattamente a 600 metri sotto il livello del mare, 30 km al largo delle sue coste. Qui, nelle acque territoriali palestinesi, c’è un grosso giacimento di gas naturale, Gaza Marine, stimato in 30 miliardi di metri cubi del valore di miliardi di dollari. Altri giacimenti di gas e petrolio, secondo una carta redatta dalla U.S. Geological Survey (agenzia del governo degli Stati uniti), si trovano sulla terraferma a Gaza e in Cisgiordania.
Nel 1999, con un accordo firmato da Yasser Arafat, l’Autorità palestinese affida lo sfruttamento di Gaza Marine a un consorzio formato da British Gas Group e Consolidated Contractors (compagnia privata palestinese), rispettivamente col 60% e il 30% delle quote, nel quale il Fondo d’investimento dell’Autorità ha una quota del 10%. Vengono perforati due pozzi, Gaza Marine-1 e Gaza Marine-2. Essi però non entrano mai in funzione, poiché sono bloccati da Israele, che pretende di avere tutto il gas a prezzi stracciati.
Tramite l’ex premier Tony Blair, inviato del «Quartetto per il Medio Oriente», viene preparato un accordo con Israele che toglie ai palestinesi i tre quarti dei futuri introiti del gas, versando la parte loro spettante in un conto internazionale controllato da Washington e Londra. Ma, subito dopo aver vinto le elezioni nel 2006, Hamas rifiuta l’accordo, definendolo un furto, e chiede una sua rinegoziazione. Nel 2007, l’attuale ministro della difesa israeliano Moshe Ya’alon avverte che «il gas non può essere estratto senza una operazione militare che sradichi il controllo di Hamas a Gaza». Nel 2008, Israele lancia l’operazione «Piombo Fuso» contro Gaza.
Nel settembre 2012 l’Autorità palestinese annuncia che, nonostante l’opposizione di Hamas, ha ripreso i negoziati sul gas con Israele. Due mesi dopo, l’ammissione della Palestina all’Onu quale «Stato osservatore non membro» rafforza la posizione dell’Autorità palestinese nei negoziati. Gaza Marine resta però bloccato, impedendo ai palestinesi di sfruttare la ricchezza naturale di cui dispongono. A questo punto l’Autorità palestinese imbocca un’altra strada.
Il 23 gennaio 2014, nell’incontro del presidente palestinese Abbas col presidente russo Putin, viene discussa la possibilità di affidare alla russa Gazprom lo sfruttamento del giacimento di gas nelle acque di Gaza. Lo annuncia l’agenzia Itar-Tass, sottolineando che Russia e Palestina intendono rafforzare la cooperazione nel settore energetico. In tale quadro, oltre allo sfruttamento del giacimento di Gaza, si prevede quello di un giacimento petrolifero nei pressi della città palestinese di Ramallah in Cisgiordania. Nella stessa zona, la società russa Technopromexport è pronta a partecipare alla costruzione di un impianto termoelettrico della potenza di 200 MW.
La formazione del nuovo governo palestinese di unità nazionale, il 2 giugno 2014, rafforza la possibilità che l’accordo tra Palestina e Russia vada in porto. Dieci giorni dopo, il 12 giugno, avviene il rapimento dei tre giovani israeliani, che vengono trovati uccisi il 30 giugno: il puntuale casus belli che innesca l’operazione «Barriera protettiva» contro Gaza.
Operazione che rientra nella strategia di Tel Aviv, mirante a impadronirsi anche delle riserve energetiche dell’intero Bacino di levante, comprese quelle palestinesi, libanesi e siriane, e in quella di Washington che, sostenendo Israele, mira al controllo dell’intero Medio Oriente, impedendo che la Russia riacquisti influenza nella regione. Una miscela esplosiva, le cui vittime sono ancora una volta i palestinesi.
(il manifesto, 15 luglio 2014)
C’era da immaginarlo che il dio denaro, che è dio in terra e qui vale più di qualunque altro dei cieli, infine avrebbe deciso: con la forza. E quindi Hamas può contare su un alleato interessato qual’è Putin, che non è cosa da poco. Se le cose stanno così non resta che capire a che punto stanno le trattative sui consumi energetici tra Italia e Russia per capire quale sarà la posizione dei nostri politicanti, che in pratica consisterà nel decidere a chi vendere convenientemente la pelle. Non solo, ma si spiega anche l’atteggiamento morbido della magistratura nei confronti di Berlusconi che è notoriamente in buone relazioni personali con Putin, e quindi non piace all’occidente… Clima da guerra fredda, le soluzioni stanno in alto.
Leggendo i nostri commenti penso a quanto io sia fuori da tutto, non riesco a capire e soprattutto ad accettare queste tremende realtà. Le prendo in considerazione, le volto e rivolto, rifletto, leggo i giornali e alla fine mi trovo colpita da tante frecce che quasi mi tolgono il respiro. Di ingiustizie ne è pieno il mondo , ed io sono qua e non mi resta che leggere, constatare mentre centinaia di gente e bambini muoiono e non solo in Palestina . Che fare? Qualche volta nelle mie meditazioni arrivo a credere che non ci siano spernze, che l’uomo sia ormai in preda al potere economico, ma non solo in alto , anche in basso, ognuno di noi ormai pensa a come tirare la fine del mese e se si mette da parte qualche euro resta la paura di non riuscire ad averne abbastanza per la cosidetta vecchiaia si fanno i conti ed è tanto se c’è qualcosa per il funerale. Non ditemi che sto andando fuori tema, perché i cervelli ormai sono concentrati sul tirare avanti, aiutare figli disoccupati, pagare rate. Le guerre intanto continuano e finchè saranno lontane ne parleremo , quando poi saremo minacciati da questo incubo sarà un’altra cosa e si spera che non avvenga mai perché? Perché dobbiamo tirare avanti, aiutare i figli disoccupati, pagare le rate, scusate dimenticavo c’è anche il dentista.
Intendiamoci, quando parlo di follia non parlo di patologia psichiatrica, è solo un modo di dire. Oltre alle ragioni che tu adduci (che non mi convincono molto, in verità, per ragioni logistiche più che politiche: faccio fatica a pensare che un giacimento di quel genere stia tutto dentro i confini del mare di Gaza e non si possa perforare anche da altri punti), ce ne sono mille altre, non ultimi gli interessi dei commercianti di armi, ad esempio. E certo i coloni, affamati di terra. E mille altre cose ma bastano quelle evidenti per capire lo stato d’animo dei Palestinesi, senza bisogno di scoop profondi 600 metri sotto il mare. Mi scriveva un amico alcuni giorni or sono:
“Non soltanto la guerra tra israeliani e palestinesi è asimmetrica: i palestinesi non hanno bombardieri, droni, satelliti,carri armati. navi da guerra: i razzi palestinesi non hanno fatto un sol morto, le armi israeliane cento. Ma anche l’informazione è asimmetrica: l’informazione sulla Palestina è rubricata sotto la voce Israele dalla quasi totalità dei media italiani: come per gli israeliani (la grande maggioranza) la Palestina non esiste (proibito pronunciare anche il nome – se dici di voler visitare la Palestina sei rispedito indietro; i palestinesi sono arabi, ad essi viene negato anche il nome), cosi per la “nostra” informazione”.
Vero tutto e sotto gli occhi di tutti.
Io comunque continuo a credere che la situazione attuale sta avendo la peggiore delle risposte. Non approvo la reazione israeliana ma non approvo i razzi (inutili) di Hamas, perché dannosi per i Palestinesi. E’ come mettere contro un bambino armato di fionda a un soldato in assetto anti-sommossa. Ti vedi il bambino che provoca e il soldato che si comporta come i poliziotti nei film americani “figliolo, butta la fionda o ti faccio un buco in testa”. E quello tira i sassolini sbagliando peraltro la mira.
Per me non esiste nessuna cosa da capire di fronte a questo: l’ho chiamata follia, non sarà follia nel senso corretto scientificamente, ma allora diamogli un nome, una teoria, un progetto, un disegno strategico, qualcosa insomma che abbia un senso.
Se Israele sbaglia, Hamas certo non agisce correttamente. Questo penso, e non giustifico proprio niente, anche se posso capire – e certo che lo capisco e lo so, da anni, ma è da anni che la penso così. E sono d’accordo con lo stesso mio amico di prima, uno che da decenni si batte per far conoscere quello che accade in Palestina, le mille piccole e grandi ingiustizie che combina Israele. Mi scriveva, Gigi Fioravanti:
“Palestinesi, popolo due volte sventurato! Sotto occupazione israeliana da 47 anni (che li depriva di terre, acqua, case,libertà, diritti, dignità) e sotto governi irresponsabili e fanatici come a Gaza o sotto un governo pavido, opportunista e corrotto come in Cisgiordania: doppiamente prigioniero, doppiamente vittima!
E sventurati anche gli israeliani, guidati da governi ciechi. Speri Israele nel Signore, recita il Salmista, ma i suoi governanti si affidano solo alla forza delle armi e alle operazioni militari e non alle opere di giustizia! gf”
Di questa giustizia si parla, di una pari dignità fra i popoli, che non si è mai conquistata con le armi (mai una volta in tutta la storia del genere umano).
E’ ora di voltare pagina, smetterla con questa ossessione e cambiare metodo.
Più o meno, ecco.
@ Gianmario
E’ bene, anche se siamo in disaccordo, che la discussione continui. Al peggio si chiariscono meglio le nostre divergenti posizioni e ciascuno porta a casa qualcosa dell’altro, su cui riflettere per conto suo. Che è il massimo che io mi riprometto dalle discussioni.
Appena posso rispondo alla tua del 14 luglio 2014 alle 19:00.
Per ora alcuni stralci di un articolo interessante appena letto sul tema delle cosiddette “guerre asimmetriche” e la loro “attualità”; e sulla “guerra culturale” in cui – attenzione – alla larga, volenti o nolenti, rientriamo anche noi quando apriamo bocca su certe questioni. Ciao
Da http://www.conflittiestrategie.it/che-cose-la-guerra-culturale-di-amedeo-maddaluno
È possibile immaginare una guerra simmetrica e di massa tra nazioni strettamente collegate tra loro dal commercio e dalla finanza? Difficile, eppure la globalizzazione rimane incompiuta: non conduce alla “pace perpetua” dei mercati ma anzi viaggia in parallelo col un ritorno della regionalizzazione. Uno dei temi sempre più all’attenzione degli analisti è quello della proxy war, cioè la guerra per procura combattuta su teatri locali per conto delle potenze regionali e globali da parte di guerriglieri, terroristi, spie e mercenari.
[…]
Nonostante l’implementazione dell’alta tecnologia e l’uso dell’arma aerea rappresentino due nitide tendenze operative e tattiche, su questi due livelli – e spesso anche su quello strategico – si conferma la difficoltà strutturale degli eserciti tradizionali ad affrontare nemici “asimmetrici” – terroristi, guerriglieri, criminali. Si tratta di nemici non necessariamente più poveri, ma spesso più agili e attivi su territori di difficile accesso come gli ambienti geografici estremi o le cosiddette “giungle urbane”. Nelle moderne megalopoli, ad esempio, armi semplici, robuste ed affidabili come un Kalashnikov vincono sui più sofisticati sistemi d’arma e sui più complessi apparati bellici proprio in virtù delle minori necessità di manutenzione, della più rapida possibilità di dispiegamento, delle contenute esigenze logistiche. Da qui la tendenza, da parte delle potenze globali e regionali, a “delegare” la guerra ai mercenari e a forze locali supportate e coordinate da propri reparti speciali e Task Forces.
[…]
La guerra culturale
Eccoci arrivati dunque all’aspetto sociale. Un elemento impossibile da trascurare è appunto quello della guerra ideologica e culturale, versione ancora più soft ma assai potente, penetrante ed efficace sul medio e lungo termine nell’aggredire la reputazione di un Paese e la sua immagine, assai più incisivo dell’ information warfare a colpi di TV, YouTube e social networks. Anche dopo la fine delle grandi ideologie del Novecento, anzi, forse proprio in virtù della perdita di appigli ideologici “immediati” (almeno in Occidente, dove sono stati sostituiti dal ripiego individualistico liberaldemocratico), questa rimane la battaglia per i cuori e per le menti delle popolazioni coinvolte ovvero l’humus primario che genera “l’avversario” e in cui l’avversario si mimetizza. Non solo: è la battaglia per i cuori e le menti delle opinioni pubbliche “terze”, distanti dai campi di battaglia fisici ma dotate di potenziale di influenza sui propri governi. In Italia è ormai consegnato alla storia il caso del quotidiano Il popolo d’Italia, fondato da Mussolini e finanziato dalle potenze dell’Intesa per agire sull’opinione pubblica italiana in senso interventista e contrario agli Imperi Centrali: per quanto lampante, questo è solo uno degli esempi.
[…]
La “guerra culturale” mira a presentare al mondo i valori di fondo del proprio schieramento come “i” valori universali al fine di isolare l’avversario. I mujaheddin afghani non erano certo i migliori vindici dei “valori occidentali” ma erano anticomunisti; l’estrema destra ucraina è un pessimo esempio di tolleranza liberale ma è antirussa. D’altro canto, l’America fa ottimi affari con Paesi non certo classificabili come tolleranti verso gli omosessuali – basti pensare all’Arabia Saudita. Eppure mentre la logica che vuole “il nemico del mio nemico come mio amico” è orientata inesorabilmente al breve termine, la guerra culturale è strategicamente lungimirante e, lo ripetiamo, punta a forgiare la mentalità di interi popoli sul lungo periodo. Ogni giornalista, atleta, blogger, scrittore o famoso intellettuale – che magari fa professione di mite pacifismo – è un soldato, consapevolmente o meno. La “cultura” ed i “valori” sono un’arma, anche dopo la fine della contrapposizione tra blocchi della Guerra Fredda, contrapposizione per l’appunto fondata e spesso nutrita dall’ideologia – ideologia ovviamente asservita alla politica. Consapevolmente o meno.
[…]
È presto per dire se una guerra fatta principalmente di propaganda e di ideologia, di sabotaggi ed infiltrazioni, di spie e hacker, di controllo dei media e degli strumenti internet denoti debolezza o mancanza di una visione strategica chiara e forte da parte delle potenze – statuali ed economiche – o se invece rappresenti l’esatto contrario: una disponibilità a combattere con ogni mezzo per raggiungere i propri scopi. Una cosa è chiara: i poteri economici e politici (abbiano essi o meno dopo la fine della Guerra Fredda una chiara visione del mondo) lottano per conquistare come sempre non solo i corpi ma anche i cuori e le menti, come insegnano i manuali di guerriglia e di contro-insorgenza. Lo stratega militare e politico dei prossimi decenni dovrà considerare l’uso delle tecnologie, l’uso della guerra coperta condotta da agenti segreti e corpi speciali e l’uso della guerra ideologica e culturale come strumento bellico ancora forte e trainante nei conflitti e delle rivalità tra potenze: tutt’altro che un semplice supporto “esteriore”. Si tratta di tre dimensioni di una “guerra di infiltrazione”, che molto probabilmente è l’unica – insieme alla assai simile “guerra per procura” di cui parlavamo in principio – che si può combattere in un mondo dove le economie sono strettamente interdipendenti.
@ Gianmario
Caro Gianmario,
per me questa discussione è molto importante. Anche per gli indiretti risvolti che potrebbero esserci sul piano del fare poesia. (Ricordo, infatti, che è partita da un testo che si voleva poetico; e ho visto che altri se ne sono aggiunti…).
Assistere – sia pur da lontano, attraverso i mass media, raccogliendo solo frammenti di immagini, suoni e parole (e quindi da spettatori) all’uccisione (reale, prevista, voluta, non casuale, programmata secondo regole militari) di centinaia di persone e alla fuga, allo sgomento, alla paura di migliaia di altre – smuove un groviglio confuso di sentimenti e pensieri: «una bella poltiglia nel cervello» come hai scritto; e la cosa è riferibile a tutti. Ma mano mano dobbiamo pur cercare il significato di queste immagini e parole. Dagli interventi mi pare di capire che li andiamo cercando su due piani. Diciamo (all’ingrosso): umanistico e scientifico-politico.
Quello umanistico parte da domande del tipo: cosa significano immediatamente per ciascuno di noi quelle immagini di bambini morti, di sangue per terra, di pianto e di disperazione dei parenti? cosa mettono in moto nella nostra memoria e a cosa del nostro passato dimenticato o in parte già rielaborato in concetti e pensieri ( penso al racconto «Mirna» di Rita Simonitto) rimandano e quali pensieri ci producono oggi, in questi momenti?
Quello scientifico-politico ci spinge a chiedere su un piano meno personale e più pubblico: cosa significano i bombardamenti su Gaza o il lancio di razzi dai Territori occupati per i governanti, i capi dei diversi stati, gli addetti alle diplomazie o ai commerci o alle banche o agli eserciti, gli esperti in strategie politiche, i dirigenti di partiti che orientano le opinioni della gente? perché il passaggio a un livello più alto di violenza in questo momento? chi ha agito? per conto di chi? con quali intenzioni? che effetti producono e produrranno i fatti di questi giorni nella rete dei rapporti mondiali?
È possibile muoversi su entrambi i piani sapendo però che non è facile passare dall’uno all’altro, che essi sono diversi e spesso in attritto tra loro e hanno specificità non trascurabili?
Io ho l’impressione che sul secondo piano ( quello scientifico-politico) tu ti muova con troppa insofferenza, impazienza e voglia astratta di «voltar pagina». E soprattutto con la convinzione che già ci sia già una “soluzione” .
Rimando ad altra occasione il punto in cui affermi che «la nostra civiltà» o il « modello di sviluppo occidentale (che poi è il solo modello di sviluppo, oggidì)» – non usi il termine ‘capitalistico’ perché Marx non penso che sia o sia stato tra i tuoi riferimenti – non sia «razionale», ma «razionalizzante». (Qui c’è il richiamo alla distinzione habermasiana tra ‘ragione’ e ‘ragione strumentale’ cioè mirata esclusivamente alla praticità, all’efficienza in ambiti ristretti e specifici della vita, specie quella industriale, ma per ora non entriamo nella faccenda filosofica…).
Ti faccio solo notare che non analizzi ( magari l’hai fatto altrove…) quanto questa «razionalizzazione» sia efficace nella pratica, vantaggiosa per chi la può imporre ( con la forza e la persuasione o la propaganda) e una parte della popolazione; e che salti di botto all’affermazione che bisogna cambiare questo modello di sviluppo irrazionale. Come se fosse cosa del tutto evidente e non vivessimo in un’epoca che ha visto proprio il fallimento del tentativo di cambiamento del sistema (capitalistico) che doveva diventare un sistema socialista, dimostratosi purtroppo fallimentare.
Sembri alludere con favore all’ipotesi della decrescita (quando scrivi: « bisogna cambiare modello di sviluppo, anche a costo di frenare lo sviluppo») . Fai alcuni esempi, che dovrebbero convincere dei danni di questo sistema («dove sbattere i residui dell’uranio»; «Mi si dica come eliminare un intero continente di plastica, come recuperare e smaltire i rifiuti tossici delle industrie, ecc. ecc.»). E ti dici certo che «tecnica e scienza non risolveranno ogni problema nel futuro». (Il che può essere probabile, ma non è certo…). Insomma a me sembra un discorso che non tenga conto di quanto complessa e spesso indecifrabile sia la realtà in cui a Novecento finito ci siamo venuti a trovare.
Allo stesso modo, quando passi al problema della gestione dei conflitti (sociali, di classe, tra Stati?), hai ancora ua soluzione già pronta (razionale, razionalissima): «l’unica soluzione è quella che i due popoli (non solo in Palestina) co-esistano nella reciproca tolleranza e che l’unica via da percorrere è quella del dialogo».
Lasciamo stare se essa vada definita o meno utopistica. Mi chiedo però: come mai una soluzione così semplice, razionale e giusta sono più di 50 anni che non riesce ad essere presa sul serio né dalle parti in conflitto né dalla rete dei loro alleati o sponsor o supervisori? E chi convincerà palestinesi e israeliani ad accettarla? Il rifiuto, sistematico e costante, da decenni, non è un «dato a disposizione» che tu non prendi affatto in considerazione, saltandolo come fosse irrilevante? (E permettimi qui una battuta: come Francesco andò a parlare col Saladino per convertire quel sultano e mettere fine alle ostilità, qualcuno può pensare di convincere Hamas a non avere nel suo programma la distruzione di Israele o Israele – che tu definisci « un fascismo o un’oligarchia travestita da democrazia» – a non bombardare o a non occupare nuovamente, come pare voglia fare, i Territori che ha già infiltrato abbondantemente di coloni, ecc.?).
Per me definire, come tu fai, l’utopia realismo è solo un semplice ribaltamento, paradossale ma astratto, delle parole che usiamo. E cosa conta il fatto che a te o a me «il governo Israeliano proprio non piace»? Qui tu copri con una battuta da bar la questione della realtà dei rapporti di forza e la inconsistenza del nostro potere di intellettuali anonimi e marginali.
Io non mi permetterei, manco per scherzo, di cavarmela chiamando « “cretini” Hamas e i caporioni Israeliani». E non per una questione di stile o perché sia più educato di te. Ma perché non mi va di dimenticare neppure per un attimo che quei “cretini” hanno un potere reale che io non ho, se stanno « lì a difendere gli interessi di tutti i potentati che premono, che vogliono che le cose vadano così, che non vogliono un Medio Oriente rappacificato».
Ma – ripeto – il punto più dolente è la sottovalutazione da parte tua della dimensione politica. Sostenere che «la politica ci ha dimostrato soltanto una lunga serie di fallimenti senza cambiare nulla da Bismark in poi» o che «non c’è un conflitto sanato davvero della politica, a meno che la mediazione politica non abbia tenuto conto dei problemi reali, delle paure, delle diffidenze della controparte, ossia quasi mai » è sottovalutare o non capire quanto le scelte che comunque vengono compiute in questo campo sono determinanti e vantaggiose sul piano pratico per chi le fa ( per i potenti intendo).
È amaro o addirittura scoraggiante pensare al lato “cinico” della lotta politica. Ma il limite della posizione umanista o umanitaria sta proprio nel non vedere che al livello politico, quello di chi ha il potere e l’esercita, le cose vengono calcolate e viste proprio in un altro modo: è politico quello che serve a conservare e aumentare il potere ( e l’umanitario, reale o finto, il giusto, viene dopo). O – l’altra strada oggi del tutto bloccata – a sostituire i poteri esistenti con un altro potere, che rischia di diventare lo stesso oppressivo o più oppressivo dei precedenti (inevitabilmente per alcuni).
È purtroppo vero quello che dici: «I grandi accordi (pensiamo alla pace di Yalta) sono sempre stati divisioni di bottino e di potere, di influenze. Il modello è sempre quello, dai primordi della storia in poi. Chi vince inventa la legge e chi sgarra è bastonato. E chi è bastonato poi vuole a sua volta bastonare e avanti così, in una escalation simmetrica che non cessa mai, come le faide.».
Ma è proprio questo conflitto reale che tu , schifato, non vuoi più prendere in considerazione.E così non vuoi neppure più considerare la possibilità di stare nel conflitto per ridurre i danni che vengono a quelli che sentiamo a noi più vicini.
E allora non resta che tirarsi fuori e pensare a un mondo razionale in un futuro non definibile. Questo è l’utopia per me: pensare ad un mondo razionale e senza contrasti.
Da qui anche la nostalgia e l’idealizzazione del passato, quando – «i greci e i persiani che si scannavano di santa ragione a Salamina o alle Termopili o a Platea, esaurivano il loro odio nella battaglia e magari nel saccheggio»; e poi , a stare ad Eschilo, esprimevano tutta la loro umanità e pietà per il nemico. O ilò non vedere che le guerre non si fanno sempre e solo per odio (semmai quello è il condimento psicologico che le prepara o fa da benzina) ma programmandole con fredda determinazione da registi, da strateghi. Non devo ricordare io la “banalità del male” della Arendt.
Insomma la politica non è una cosa bella, non è poetica, ma saltandola, lasciamo fare agli altri quello che non siamo capaci di fare più noi e non la facciamo entrare neppure più in poesia in quei modi che Fortini ( in una poesia del lontano 1958) aveva ancora chiari:
…tornare ad un’altra pazienza
alla feroce scienza degli oggetti alla coerenza
nei dilemmi che abbiamo creduto oltrepassare.
Al partito che bisogna prendere e fare.
Cercare i nostri eguali osare riconoscerli
lasciare che ci giudichino guidarli esser guidati
con loro volere il bene fare con loro il male
e il bene la realtà servire negare mutare.
(da “Forse il tempo del sangue…)
Abbiate pazienza ancora un po’ di giorni forse un mese e salterà fuori la “verità”
. Ma non saranno i morti a comunicarcela, loro saranno morti e non potranno parlare.
Fragili equilibri.
Quand’ero ragazzino avevo amici ebrei. Uscivo spesso con loro, erano tre, un ragazzo e le sue due sorelle. Ci rimasi male quando un giorno mi fu detto che le ragazze non sarebbero più uscite con noi perché i genitori non approvavano la nostra amicizia. E’ lì che, forse per la prima volta, ho scoperto che esistono mentalità diverse dalla nostra. Il padre dei miei amici era commerciante e la sua attività andava bene perché poteva contare su buone alleanze tra persone della stessa religione. Capii che era un gruppo chiuso, che oltre un dato limite si rendeva inaccessibile. Hanno muri dappertutto, perfino in Sinagoga le donne stanno separate dagli uomini, che sicuramente le guarderanno sospirando.
Sarà anche per via della loro storia che si muovono, e si muovono sempre. Come a Gaza, formano colonie a se stanti, che non si integrano. E ovviamente ci sono interessanti riserve di gas naturale, ma questo è un altro discorso. Ci sono muri, muri dappertutto. Muri del pianto che stanno dentro, che al confronto quello di Berlino era di burro.
Il mio giovane amico era dispiaciuto quando mi disse delle ragazze, che non sarebbero più uscite con noi, ma promise che tra lui e me, leggi tra noi maschi, nulla sarebbe cambiato. Eppure ci avevo pianto per le storie dei campi di concentramento, è anche grazie a queste storie se ho capito cos’è la solidarietà, la pietà, l’amore per la pace e la convivenza. Se nel dopoguerra non ci fu vera liberazione, nemmeno per noi perché fu solo liberazione dal nazismo tedesco, mi chiedo cosa possa significare questo termine, Liberazione, e se non abbia significati ben più ampi e trasversali. Io rispetto tutte le religioni, non le posso condividere ma conosco la gioia di chi compie una scelta di fede, qualunque essa sia. In ogni fede c’è della verità, magari non tutta, ma sono pur sempre vie di conoscenza. Ma i rabbini che dicono di questa guerra? Possibile che gli sfugga qualcosa del senso di quelle testate contro il muro del pianto? Oggi perfino il Papa di Roma Bergoglio ha scomunicato la mafia, come a dire che non basta liberarsi la coscienza in confessionale, che servirebbe ben altro…
Non mi considero un pacifista perché non credo che la pace andrebbe imposta, che queste sono pur sempre le maniere della guerra, che non si avrebbe vera pace ma solo non-guerra, ed è quel che sostengono, secondo me a ragione, i buddisti. E certo non si può aspettare che il pragmatismo arrivi a dire di mettere fiori nei cannoni, ma fosse per me io qualche fiore lo sparerei. Per via aerea con bombardieri e via terra insieme ai soccorsi umanitari. Questo per dire che, utopisti o meno che si sia, nessuno si sta dando una mossa. Tutto è diplomazia, s’intessono ragnatele commerciali, si pongono le condizioni affinché certe cose non convengano più, giuste o sbagliate lo si lascia dire ai poeti. Non c’è liberazione ma convenienza, e su questo pare siano tutti, ma proprio tutti, d’accordo. Ma se la convenienza porta ad altra convenienza, e se la convenienza non può stare in equilibrio perenne, si perde il fine delle cose. Davvero la soluzione dei conflitti sta solo nel rimedio? Se così le industrie delle armi possono stare tranquille, ci sarà sempre lavoro per loro.
SEGNALAZIONE
Ricevo e pubblico: da Anita Sonego (Consiglio comunale di Milano):
Carissime, carissimi,
di seguito trovate un appello relativo
alla situazione sanitaria di Gaza.
Ve lo giro volentieri chiedendovi la massima diffusione.
A proposito di Gaza voglio raccontarvi quanto é successo ieri in consiglio
comunale.
Avevo intenzione di usufruire dei 5 minuti di intervento libero per restare
in silenzio come segno di lutto per i morti in Palestina. Su suggerimento i
Basilio Rizzo ho deciso, invece, di dedicare la metà del tempo per leggere
alcuni dei nomi inviatimi attraverso le ong che lavorano a Gaza perché,
come ha scritto Judith Butler, anche il lutto, che fa parte dei diritti
universali, spesso non è concesso a tutti.( e questa verità è evidente in
questi giorni in cui i mezzi di comunicazione si guardano bene dal fare il
nome dei palestinesi uccisi durante l’operazione militare ” Margine
Protettivo”)
Quando ho sospeso le lettura dei nomi e dichiarato che avrei usufruito del
tempo rimanente per ricordare, in silenzio, i/le palestinesi uccisi/e a
Gaza, è successo un fatto davvero emozionante:
Partendo dal pubblico, tutti i presenti( tranne due consiglieri della Lega
Nord ) si sono alzati in piedi e sono rimasti in silenzio per oltre due
minuti….
Vorrei poter comunicarvi con parole adeguate quanto siano stati
emotivamente forti quei 5 minuti in cui la morte di decine e decine di
civili innocenti ha avuto una qualche forma di cordoglio.
Anita Sonego
Capogruppo Sinistra per Pisapia – Federazione della Sinistra
Presidente Commissione Pari Opportunità
Vice Presidente Commissione Cultura
tel. 0288450275 – 3665654332
EMERGENZA GAZA
Il sistema sanitario di Gaza e’ al collasso.
Negli ospedali e nelle farmacie manca circa la meta’ dei farmaci inclusi
nella lista dei farmaci essenziali stilata dalla Organizzazione Mondiale
della Salute (
http://www.who.int/medicines/publications/essentialmedicines/en/); mancano
470 tipi di materiali sterili e monouso, tra cui aghi, siringhe, cotone,
disinfettanti, guanti e molto altro. Manca il carburante per alimentare
ambulanze e generatori che permettono di far funzionare i macchinari
salvavita e le sale operatorie durante le almeno 12 ore al giorno in cui
l’unica centrale elettrica non riesce a fornire elettricita’. Mancano le
sacche di sangue necessarie a soccorrere le centinatia e centinaia di
feriti.
La Striscia di Gaza e’ isolata dal mondo. Le frontiere con Egitto e Israele
sono chiuse, ospedali, ambulanze e centri di pronto soccorso sono
costantemente sotto la minaccia dei bombardamenti. Nonostante questo, il
personale sanitario continua a prestare soccorso incessantemente.
Ad oggi, i feriti sono almeno 930. Per aiutare la popolazione inerme,
abbiamo bisogno del vostro aiuto. Ora. Subito. Stiamo raccogliendo
donazioni per far entrare medicine, materiali sanitari, e altri beni di
primissima necessità. Qualsiasi donazione e’ indispensabile per salvare la
vita di vittime innocenti.
Alla iniziativa partecipano TUTTE le ONG Italiane presenti in Palestina.
Tuttavia, per motivi logistici, useremo il conto di Terre des Hommes Italia
come canale per la raccolta.
Via Banca:
Monte dei Paschi di Siena Ag.57 Milano
IBAN: IT53Z0103001650000001030344
Via Posta:
c/c postale 321208
Causale: Medicine Gaza
via Web
https://www.igiveonline.com/campaigns/medicine-per-gaza-medicines-for-gaza/?
updated=true
SEGNALAZIONE: Centro Italiano per la pace in Medio Oriente
Israele e Hamas, ecco cosa potrebbe succedere al termine dei bombardamenti
All’origine della crisi non vi è stato tanto il rapimento e l’uccisione dei tre giovani coloni israeliani, effettuato da clan della Cisgiordania (quello dei Qawasameh), legati a Hamas ma largamente autonomi e critici dell’accordo raggiunto con Fatah. Un’operazione che comunque Hamas ha fatto sua e esaltato, forse per non farsi scavalcare.
Né lo sono stati l’atroce rapimento e l’uccisione del giovane palestinese di 16 anni, bruciato vivo da estremisti ebrei subito arrestati dalla polizia e dai servizi israeliani. E’ stata la ripresa del lancio di razzi da parte di Hamas e delle altre fazioni operanti a Gaza, che hanno interrotto la tregua stabilita alla fine del 2012, che ha fatto precipitare la crisi, tanto più che questi razzi, lanciati a migliaia, hanno puntato sempre più a nord, tenendo sotto tiro larga parte di Israele.
La reazione israeliana è stata cauta, sono stati richiamati 40mila riservisti che sono stati ammassati ai confini con la Striscia, ma la scelta fino ad oggi è stata quella degli attacchi aerei mirati, salvo limitate incursioni terrestri, evitando di dare avvio ad una massiccia operazione di terra.
Questo non ha evitato le vittime civili palestinesi, il cui numero è andato progressivamente crescendo. 192 morti e oltre 1000 feriti è l’ultima cifra conosciuta in questa macabra contabilità. Di questi, molti sono bambini, donne, vittime civili.
Israele, invece, grazie al suo sofisticato sistema antimissilistico “Iron Dome”, ha fin qui evitato che quei razzi colpissero la sua popolazione, riuscendo a evitare massacri nelle sue città sotto mira. Ma la pressione internazionali sono andate crescendo, rendendo difficile la stessa continuazione delle operazioni aeree su Gaza.
Questo spiega perché Israele abbia accolto subito la proposta egiziana di tregua, che doveva partire questo martedì mattina, ma che è stata vanificata da Hamas e dallo Jihad islamico, che hanno lanciato oltre 30 razzi in poche ore. Un primo israeliano è morto, ucciso da un colpo di mortaio vicino al confine di Gaza.
Hamas dichiara di non aver ricevuto nessuna proposta ufficiale dall’Egitto, e di aver appreso della sua proposta dai giornali. Questo è improbabile, anche se forse da parte egiziana qualche fretta di troppo può esservi stata: ma alla base vi è la diffidenza verso l’Egitto di Al-Sisi, che ha massacrato, messo fuori legge e imprigionato i Fratelli Musulmani cui Hamas appartiene, e che appare legato a doppio filo a Israele, che lo ha sostenuto in ogni modo, mobilitando le sue lobby verso l’amministrazione USA, per impedire che questa condannasse il colpo militare che ha deposto il Presidente eletto Morsi.
Netanyahu ha ordinato quindi la ripresa degli attacchi aerei, (vi sono stati oltre 30 attacchi), ma non ha ancora dato avvio alla grande operazione di terra. In realtà, l’incertezza israeliana è dovuta alla mancanza di una qualsiasi prospettiva accettabile: rioccupare stabilmente o comunque per un lungo periodo Gaza non è considerata possibile o comunque tollerabile, per l’alto numero di morti delle due parti che ne scaturirebbe, ma soprattutto per la necessità di riprendere a controllare e a farsi carico di quella popolazione, di oltre un milione e mezzo di abitanti.
La stessa scelta di porre termine al controllo di Hamas su Gaza, annientandone la struttura, lascerebbe aperto il problema di cosa può avvenire dopo, di chi potrebbe esserne il successore. Certamente non Fatah e l’ANP, con il Presidente Mahmoud Abbas, che mai potrebbero accettare di essere reinsediati al potere a Gaza dall’esercito israeliano.
Gli eredi più probabili potrebbero essere i gruppi legati a ISIS, i gruppi Jiadisti che hanno proclamato il loro califfato tra Siria e Iraq e potrebbero voler fare di Gaza una nuova provincia. Vi è stato chi, sulla stampa israeliana, ha ipotizzato addirittura la possibilità di una inedita alleanza tra Israele e Hamas, una volta superata la crisi, per fronteggiare la nuova minaccia che viene da questi nuovi e più pericolosi gruppi estremistici.
La scelta di Hamas di scatenare la crisi e di rifiutare la tregua, apparentemente incomprensibile, è probabilmente legata anche a dissidi interni, sia nella sua dirigenza politica, e sia e soprattutto con la sua ala militare, che rifiuta di cessare le operazioni senza aver ottenuto qualche risultato concreto.
Ma all’origine della sua sfida vi è sicuramente la sua volontà di presentarsi all’opinione pubblica palestinese come la principale forza, se non l’unica, in grado di sfidare l’occupante israeliano, cogliendo la fase di debolezza politica e strategica di Fatah e del Presidente Abbas, ora che il tentativo negoziale di John Kerry, il Segretario di Stato USA, è caduto, e la prospettiva di fare la pace con Israele e di dare attuazione alla proposta “due Stati due popoli” pare sperdersi in un futuro nebbioso e indefinito.
Questo è il punto essenziale, questo vuoto di iniziativa diplomatica e di prospettiva dentro cui ogni avventura e ogni provocazione diventano possibili. Certo, adesso la prima urgenza è fermare le armi e il conto dei morti, per questo deve mobilitarsi la Comunità internazionale, appoggiando il tentativo egiziano di imporre la tregua.
Ma poi è urgente una ripresa dell’iniziativa diplomatica, che oramai, ora che gli Stati Uniti hanno sostanzialmente gettato la spugna ritirandosi oltre l’Atlantico, può essere rilanciata solo dall’Europa, in sinergia con i paesi arabi moderati e attraverso una positiva interazione con Israele. Una iniziativa che riparta proprio dai risultati cui Kerry era arrivato, che possono essere ripresi e integrati, con una nuova proposta, realizzata non in antitesi ma in sinergia con la leadership americana, e investendo lo stesso Consiglio di Sicurezza dell’ONU con quella bozza di “accordo quadro” che Kerry aveva cominciato a dipingere, ma che va completata in molte parti, trovando i colori giusti per essere accolta.
SEGNALAZIONE: Gli opposti conformismi e la questione mediorientale
di Jacopo Tondelli (http://www.doppiozero.com/materiali/parallelo/gli-opposti-conformismi-e-la-questione-mediorientale)
Il pezzo comincia così:
““La soluzione possibile, quella vera, la conoscono tutti. Bisognerà solo decidere quante morti inutili di palestinesi e di israeliani vogliamo ancora mettere tra il nostro presente e la pace, quella dell’unica soluzione”. Sono passati oltre dieci anni da quando, in un auditorium del Nord Italia, a Pavia, David Grossman diceva queste parole profetiche, drammatiche, a una platea che per lo più chiedeva invece identità, e uno specchio in cui definirsi.”
E prosegue, criticando, appunto gli “opposti conformismi”, cioè quello dei filopalestinesi e quello dei filoistraeliani. Ma, quando arriva al punto cruciale deve – per forza di cose – riconoscere che la “soluzione possibile” ( la soluzione “razionale”) dovrebbe venire da contendenti del tutto vincolati dalla loro storia conflittuale:
“Come si vede, “l’unica soluzione possibile”, quella da cui siamo partiti, è una formula chimica complicata e instabile, fatta da presupposti complicati da costruire e che non pare poter prescindere da alcuni presupposti analitici dolorosi. Perché entrambi i popoli che si dividono e contendono quel lembo di terra sono portatori di diritti ma anche, soprattutto, di grandi torti. “.
Restano nei confronti di questo articolo di Tondelli tutte le perplessità che ho già espresso in precedenti commenti. Ma sforzarsi di capire, tentare di farlo anche ascoltando punti di vista diversi dal nostro è sempre meglio dell’indifferenza o della rassegnazione.
@ennio
Scusa, vorrei tanto ma non posso più discutere. Ho troppo da fare e forse hai ragione: disprezzo la politica, ma non la politica in quanto attività e pensiero (che ritengo indispensabile) ma “questa” politica, che è espressione di caste, di poteri, ecc. Non ha nulla di razionale e neppure di ragionevole. Non è razionalità ma razionalizzazione. Non le riconosco autorità morale ma solo potere della violenza. Non sempre, è vero, ma quasi sempre e certamente in questo caso. La “politica”, quella che dico io e che tutti noi vorremmo, non è forse un’utopia, a ben vedere? Sì certo, ma per “volontà politica”, altrimenti sarebbe realtà. Ogni atto ha una responsabilità, ecco. A ognuno la sua. O cretini o in malafede: non ci si scappa. La nostra responsabilità sta nel voto, in quello che chiediamo alla politica e che la politica arraffa per ottenere consenso (questo è il “baco” della democrazia: pretendere lo Stato Sociale pagato dalle rapine ai poveri invece che pagato dalla equa distribuzione del reddito prodotto dal lavoro). Ma lasciamo stare, sono temi che non si possono accennare in un mordi e fuggi senza venire fraintesi e, lette in un certo modo, quelle scritte qui sopra sono un mucchio di cazzate. Ma non c’è tempo.
Abbandono la discussione con tre poesie:
4. La bestia
Trova il suo ruggito nella piazza
quando il sangue apre la gola. Esplode
nell’urlo assaporando il fremito
dell’animale che cerca la rissa.
Asseconda il brivido che prende la nuca
elettrico scende fino al centro genitale
e poi lungo gli arti come il fulmine
o il lapillo d’un vulcano primordiale.
Trova la piazza e lei s’innesta in lei
e sono un unico corpo che vuole disfare
male con male e torto con torto
disfare disfarsi e rifarsi al ruggito
della bestia che segue la bestia.
Scende alla piazza a far cosa non sa
a ruggire forse a mimare l’agonia
l’ultimo rantolo del capitale
– quell’ultima bestia civile
che sa sgozzare senza far male.
5. Il buco nero
Ho un disperato bisogno di ingoiare
ogni cosa, il mondo intero
senza masticare
in un vortice, un buco nero
senza mai tregua gonfiarmi come un rospo
per poi scoppiare.
E deflagrando ogni cosa ritorna al mondo
piovendo dal cielo sul suolo. Rovina
ogni cosa scomposta rivuole il suo posto
ma non è che un rottame
puntuto e tagliente, un ingombro
un’ipoteca di sangue.
6. Il sogno da svegli
Nel sogno sono altro, sono insetto
piccolo animale informe che rode
e rode dall’interno della cosa
amata odiata
fin che ne rimane la sola impalcatura
una buccia che salvi l’apparenza
e la stessa cosa mia casa dentro cui passeggio
pigramente fin che il sogno dura.
Ma l’impalcatura crolla e nel nulla
d’un salto interminabile mi sveglio
con quel sogno che mi stampa un sorriso
di carta quando incontro
chi amo o chi odio senza differenza
e sorrido per essere magnifico
irreprensibile agli occhi del mondo
ma una minuscola ferita di rubino
a volte si sveglia quando sono sveglio
e m’assopisce.
Immagina …
Immagina pure un campo di raccolta.
No, non di uve o di messi,
fratello citoyen che ancora ciucci di libertè
égalitè. E di fraternitè non ne parliamo.
Là dove vivono uomini tenuti da altri uomini.
Sopra non c’è cielo ma un tendone grigio
perché riflette il grigio che c’è giù
grigie formiche che portano all’ammasso
grigi cervelli dove le idee si sono disseccate
nel monotono andirivieni, dove tira il vento.
Ogni tanto ecco un assembramento e qualcuno
parla, la voce gracchia d’altoparlante, parole
che perdono senso appena vengono raccolte
e messe in cesti comuni cui la gente attinge
paniere sacro perché venuto da Lassù.
Ogni tanto si addensano fantasmi e qualcuno
grida attenti al lupo, sagome umane si guardano attorno
non ce ne è di lupi che ormai stanno già dentro
non per causa di homo homini lupus ma loro pronti
a sbranarsi per l’eroica soddisfazione di chi sta sopra
che conta i morti e intanto meno bocche da sfamare
a vantaggio dei lupissimi che spartiranno più risorse.
Ogni tanto qualche lugubre sirena avvisa che accadrà
qualcosa ma cosa non si sa perché il terrore senza
oggetto e senza luogo annienta ancor più delle bombe.
“Mamma! mormora la bambina mentre
gioca coi suoi balocchi, lo scivolo in piscina, il selfie
sotto gli occhi! Quante bugie racconti per me!”
Pallida ma non per cipria la madre vede già il futuro
dei rinchiusi dentro il muro di progresso e civiltà.
R.S.
(BOZZA)
Sulla difficoltà di dire di Gaza in poesia
ma nel bosco appartato si sentiva forbito
l’eloquio della letteratura
pulsava addolciva mi negava l’urlo in gola
fossimo metafisici la vecchiaia brutale del mondo
l’accoglieremmo tra i denti ingialliti e fragili
la masticheremmo ancora dolenti e via da qui
a egregie cose s’addestrano invece i giovani poeti
piamente miopi
abbrustolitisi nell’inconscio dei servi beati
le prose tenaci ci tentano ma non ce la fanno più a volare
solo i poeti più sciocchi ci riescono nei cieli lustri di menzogne
mentre i commenti cadono dalle bocche fatui impacciati
mai abbastanza imbozzolati di notte
e così gli dei malefici amministrano da lontano la morte
nelle urne cinerarie dei grandi palazzi assolati
non mi dite di quanti non mi dite di quanti
non mi dite neppure quei nomi che resteranno d’ignoti tra un giorno
sepolti in se stessi impensabili dalla ragione che dorme
uccellini venite qui dite l’ultimo pigolio
e poi stecchitevi senza requiem
datevi voi una forma, una tomba
Nel fluido del tempo
anche il sangue scorre
benefico nelle vene
e sgorga ora ad arricchire
campagne e fiumi
è il fondo del boato
che lo fa scorrere
il fuoco secca anche la carne
il grano brucia e nulla resta chiaro
Il fumo copre maledette verità
un cumulo di dollari intrisi
copre una città come se la vita
fosse solo morte.
emy
*
Nel non senso
(pensando a Gaza) / BOZZA
Ho incontrato il tuo orologio nel cortile,
nel quadrante del silenzio di un vetro rotto
nella stura di un fiato mozzo.
«Chi c’era, / chi è stato, a farmi svegliare?»,
gridava l’ultimo arrivato. E nessuno intorno.
«Sarà stato il vento!», rispondeva il saggio.
« Il vento?».
«Sì, proprio lui, il mare
nella calca di un attimo, nell’inseguire l’inguine della riva,
il mare ha dato manforte al vento, da farlo scoppiare».
Nel non senso.
La storpiatura dei generi letterari! (!?) Nella mimesi,
(l’estetismo!), l’arte con la vita si avvera! Uno studio comparato
forse scioglierebbe il dilemma: se sia più giusto,
e di quanto [per il come o il quando rimandiamo]
il genio accorra nella scienza o se, invece,
più probabile, bastasse leggere i bisogni elementari
di civile convivenza, ponendo questi, supponiamo,
al posto dei sogni?
Supporre non serve, se due individui
sono nello stesso tempo vicini e nel medesimo luogo
in-fin-i-ta-mente lontani.
E quante parole al muto
producono discorsi?
Silenzi.
Dai quali,
potremo significare.
(2010 / 09 lugl. 014)
Israele.
Davanti a questo muro d’orecchi sento
il rumore dei passi di una giovane sposa
che cerca suo figlio e chiede guardando
nell’ora che si è fermata.
Vivo qui, dove non è caduta ancora l’esplosiva
e penso agli angeli che non parlano
per sempre, mi dico, come dall’altra parte
non ci fosse che un infinito di rose
che piangono rosse.
Oggi cielo sereno
o al più poco nuvoloso
con associati piovaschi al nord
e ancora le previsioni
sono necessarie per chi
vuole un’estate meravigliosa.
A Gaza si muore di caldo
si brucia.
Informazioni
dati
previsioni
numeri
vittime
Cambia passa
avrai più minuti di conversazione
infinita la musica preferita
Cambia Cambia Cambia.
Poesia contro prosa? Poesia d’emozione che sostituisce la prosa di riflessione?
Gianmario, lasciando la discussione per buone ragioni, ha avviato questo “trend poetico”. Che va benissimo, se è uno stare addosso al tema con altri strumenti e se s’alterni o s’affianchi alla riflessione “prosastica”.
La quale va avanti anche su altri siti e offre spunti interessanti.
Dal sito di Aldo Giannuli stralcio un brano e invito a una visita e alla lettura di tutto l’articolo e dei commenti.
Questo il brano:
“Ha ragione Lucio Caracciolo, che ha sottotitolato così un suo pezzo sulla crisi palestinese nell’edizione on line di “Limes”: “La storia non si ripete mai: lo scontro odierno tra Israele e Hamas è diverso da quelli precedenti, anche perché è cambiato il quadro regionale: il Medio Oriente si sta disintegrando.” In apparenza, quello che sta accadendo è l’ennesima replica dello spettacolo che vediamo almeno dal 2005: Hamas attacca con i razzi ed Israele replica con brutalità, invadendo Gaza, massacrando la gente con bombardamenti indiscriminati ecc. Questa volta la variante è stata l’innesco: l’assassinio dei tre ragazzi israeliani, disinvoltamente attribuito ad Hamas (quando si sa bene che i colpevoli più probabili sono elementi della tribù dei Qawasameh, che da tempo compie attentati per screditare di Hamas e scalzarla), cui ha fatto seguito l’altrettanto orribile linciaggio del ragazzino palestinese, ucciso per “rappresaglia”. Siamo alla bestialità pura, ma stigmatizzare serve a poco, occorre capire.
E la prima cosa da capire è che questa volta è molto più diversa e pericolosa delle precedenti. Soprattutto per Israele che è quello che ha più da perdere.
Israele è ormai prigioniero della sua stessa storia e subisce una sorta di coazione a ripetere l’errore. Sin dalla sua fondazione, ha dovuto misurarsi sul piano militare per difendere la sua esistenza e, a questo fine, ha messo a punto una delle più micidiali macchine da guerra del Mondo che ha vinto quattro guerre di fila fra il 1948 ed il 1973, contro le coalizioni arabe che lo accerchiavano. Ma dal 1973 quella stessa macchina da guerra è diventata del tutto controproducente.
Dopo la guerra del Kippur non si è più formata alcuna coalizione araba, che minacciasse credibilmente l’esistenza dello “stato degli ebrei” ed il confronto si è spostato sui piani della rivolta popolare, della guerra irregolare e della diplomazia, tutte cose per le quali un potente esercito serve a ben poco. Israele, invece, è rimasto psicologicamente prigioniero del suo passato, ed ha costantemente risposto alle sfide della guerra irregolare mettendola sul piano dello scontro campale. Ma se hai davanti guerrieri irregolari, carri armati ed aerei non sono affatto l’arma più indicata ad affrontarli. L’idea perversa è quella di battere i guerriglieri prendendo in ostaggio i civili: bombardiamo gli obiettivi civili e la popolazione si rivolterà contro i “terroristi” che la mettono in pericolo.”
E questo il link per leggere l’intero articolo e i commenti:
http://www.aldogiannuli.it/2014/07/palestina-2014/
Sostanzialmente d’accordo con questa analisi.
La Palestina è fuori controllo di chiunque, a quanto pare, se basta un gruppo di psicopatici che assassinano tre chierici per far scoppiare una guerra. Rita dice che è accaduta anche nel 1914 più o meno la stessa cosa. Ma è solo la dinamica, credo, a meno che l’anarchico assassino dell’arciduca avesse davvero intenzione di far scoppiare una guerra. Lì tutti volevano la guerra. Baastava rovesciargli addosso il caffé, all’arciduca, perché la guerra scoppiasse. Qui tutti dicono di non volerla e la fanno lo stesso. Come sempre da qualche decennio in qua.
Israele sarà anche “prigioniero del suo passato” (verissimo) ma ha tutti gli strumenti di analisi per capire la situazione. Credo che ci giochi, e alla grande, sulla debolezza politica degli avversari, strumentalizzandola. Un po’ come faceva Berlusconi col Comunismo.
Sarebbe anche interessante capire che obiettivi abbia questo clan dei Qawasameh: non credo che lo facciano solo per fanatismo (il fanatismo nasconde sempre qualcosa d’altro: i puri fanatici forse non esistono). La politica sporca sì. Destabilizzare porta qualche vantaggio, bisogna vedere a chi (e penso al califfato…)
SEGNALAZIONE
Ricevo da un’amica e vi invito a sottoscrivere (malgrado le petizioni non fermino le bombe…):
Una lettera di Nurit Peled al Parlamento europeo è diventata petizione del BDS (campagna di boicottaggio come pressione politica su Israele) da sottoscrivere.
Potete trovarla qui:
https://secure.avaaz.org/en/petition/EU_Parliament_Special_Session_on_Israeli_attack_on_Gaza_Ban_Israeli_Apartheid_Restore_life_to_Palestinians_and_Jews_alik/?fbss
SEGNALAZIONE: SUL RAPPORTO POESIA E POLITICA (O GUERRA O STORIA)
Sul blog LA PRESENZA DI ERATO ( http://lapresenzadierato.com/2014/07/16/no-alla-guerra/) uno scambio di battute tra me e Luciano Nota:
Ennio Abate
17 luglio 2014 alle 09:48
@Luciano Nota
Caro Luciano,
beh, certo che la bozza di poesia è mia.
L’ho messa sotto la tua stimolato dal tema, ma anche in leggera e fraterna polemica. Perché il “No alla guerra” mi pareva tanto “universale” da sfuggire alla realtà dell’oggi: bombardamenti a Gaza, scontri in Ucraina, logoranti distruzioni di vite e di cose in Siria, ecc.
Possono i poeti “volare alto” su queste tragedie?
Possono ridursi, d’altra parte, solo a scrivere poesia-giornalistica o di denuncia “indignata”?
Questi i dilemmi che stanno sotto alla lunga discussione che stiamo svolgendo in questi giorni su “Poliscritture” in un post che ho iniziato appunto con una poesia su Gaza ( https://www.poliscritture.it/2014/07/10/punti-interrogativi/) e che segnalo a te e ai frequentato di “La presenza di Erato”. Non per “pubblicizzare” il lavoro di “Poliscritture” e mettere in ombra quello di “La presenza di Erato”, ma invitandovi a intervenire e a intrecciare sia i nostri discorsi di riflessione sulle guerre sia le nostre poesie “contro” di esse.
Luciano Nota
17 luglio 2014 alle 10:14
Carissimo, hai ragione, ma il NO bisogna dirlo con forza e determinazione. Noi poeti non possiamo fare altro che scrivere versi, non abbiamo il Potere di fermare, possiamo dire ( come io ho scritto in un verso) che “pelle contro pelle”, uomo contro uomo è un controsenso, è andare controvento. Tutte le guerre vanno bloccate, TUTTE, anche quelle che passano sotto silenzio, colpa dei media. Il poeta denuncia, caro Ennio, vola alto con la parola, cos’altro può fare? Siamo poveri cittadini anche noi, con poca persuasione nei confronti di chi decide. Decide il Potere. io lo mando a quel paese( così come ho immaginato che lo mandino i soldati in guerra delle opposte fazioni, e che vadano allo specchio, si osservino meglio, e mettano del gel sui capelli per attirare altro e non i fuochi: fare all’amore, non la guerra). Frasi fatte? Già sentite? Strafatte? Per me sempre valide! Universali, come scrivi tu.
Ennio Abate
17 luglio 2014 alle 14:17
@ Luciano Nota
Non me ne volere se insisto solo un attimo in più. Ma chi le BLOCCA le guerre, tutte le guerre? Nessuno di noi – intendo «poveri cittadini», come tu dici – oggi (e neppure ieri) ha questa possibilità. Le guerre si esauriscono quando i contendenti (e gli apparati militari, logistici, politici, ideologici che li sostengono) sono sfiniti dagli sforzi e a decidere tregue o paci più o meno durature sono le élites governanti. Ma allora i poeti « non possono fare altro che scrivere versi»?
Bene, li scrivano.
Ma che versi richiedono certi eventi come le guerre e le tragedie? Di generica denuncia? (Quante antologie di “poeti contro la guerra” sono uscite negli ultimi decenni!). Oppure versi che volano alto con la parola (alla D’Annunzio, alla Quasimodo)? O mandino (sulla carta) a quel paese (quale?) i governanti?
Sì, detto sinceramente, in genere (ci sono sempre le eccezioni) questi atteggiamenti a me paiono pose fatte e strafatte, falsamente universali. Scrivendo le poesie di denuncia o di lamento che immediatamente sorgono “dal cuore”, i poeti perpetuano una tradizione sentimentale e retorica che gli mette la coscienza in pace e gli fa ottenere il plauso del pubblico sentimentaloide che non vuole pensare troppo.
E che dovrebbero scrivere invece? Dovrebbero scrivere dopo aver pensato l’orrore della guerra e dei conflitti della storia al meglio delle loro capacità (emotive e intellettuali). Di esempi ce ne sono stati.
Con l’autorizzazione di Cristina Alziati inserisco questa sua poesia [E. A.]
Dove giocano i bambini
Tutta rimpicciolita, minima, essiccata
l’hanno portata così, tutta cenere
una coltre di bruna preistoria.
Hanno portato una piccola mummia,
la più nuova di tutto il creato.
Giocavano per strada
tirava sassate con gli altri bambini
ai tracciati di fosforo bianco,
e ciottoli
dentro i riquadri del gioco del mondo.
Qui, dove corrono, vedi, le linee del mondo.
Masticata all’interno,
non sappiamo che cosa sia stato.
Noi a giocare scendiamo ogni giorno,
qui o altrove, che importa
se una coltre ci inchioda
e l’arma fradicia della menzogna,
e noi siamo bambini e qui corrono
le linee del mondo, e tutto, vedi,
tutto è una sola traiettoria intorno.
Nota Testimonianze di medici che hanno operato negli ultimi anni in territori di guerra – come a Falluja, in Libano, a Gaza – raccontano di cadaveri devastati dal di dentro, per offese non compatibili con quelle provocate dall’impatto con armi ad energia cinetica; raccontano di corpi bruciati e deformati da sostanze che carbonizzano il fegato e le ossa, di corpi che all’interno presentano innumerevoli finissimi tagli senza che si rinvenga alcuna scheggia, oppure mummificati e senza traccia di ferita alcuna. Ne hanno reso documentazione testate della stampa internazionale, fra cui il «Guardian», «Haaretz», «il manifesto», «Le Monde», e inchieste come quelle della BBC e di Rainews 24
da Come non piangenti (Marcos y Marcos, 2011)
La politica, risolverà. A centomila persona è stato intimato di andarsene se non vogliono morire sotto armi terribili che a questo punto non si possono più chiamare bombe. La politica farà la sua parte quale? Per chi e per cosa?
Per la povera gente morta, bruciata, dilaniata?…sarebbe come la neve d’estate, si dice che a volte capiti.
Come al solito certo la politica farà la sua parte , dopo aver incassato una enormità di denaro e potere.
Fra pochi giorni…un mese .Io dico. Aspettiamo.
@ Banfi
Torna questa contrapposizione tra “la politica” (il male in sé) e “la gente” (il bene in sé).
Si può capire a quale intervento precedente o a chi ti riferisci?
SEGNALAZIONE: Intellettuali “silenziosi”
da http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=106932&typeb=0&Il-fondo-a-sinistra-La-classe-intellettuale-brucia-all-inferno
C’è una nuovissima, meravigliosa avanguardia tra gli intellettuali-de-sinistra (Michele Serra, Christian Raimo, Ida Dominijanni e tanti altri) sul conflitto in Medioriente: gli esaltatori del silenzio. Laddove l’intellettuale deve sempre necessariamente prendere una posizione, anche solo perchè dovrebbe sapere meglio di tutti che l’imparzialità è un’utopia (o un’omertà), essi invece tacciono, e se ne vantano.
Tra gli argomenti, oltre alla già nota “tragedia da entrambe le parti”, la “complessità della situazione”, spunta la geniale novità: la stanchezza.
Ebbene sì, gli intellettuali-de-sinistra non prendono più posizione sul conflitto israelo-palestinese perchè sono stanchi della ripetitività della situazione, dell’impotenza, e questa noia li uccide al punto che non riescono neanche più a scrivere due righe sul sionismo.
La loro ipersensibilità filantropica li costringe ad un silenzio colto, tenebroso, raffinato, ed invita il pubblico a fare altrettanto. Un’elegantissima orazione funebre in onore di un popolo che però, sfortunatamente, ancora deve morire.
Sbagliamo quindi a pensare che sia solo paura di parlare di certi argomenti in modo chiaro.
Sbagliamo a pensare che chi vuole rimanere amico del “grande pubblico” non può permettersi di dire una-parola-una sull’apartheid israeliana, sulle radici di quest’ennesimo episodio di pulizia etnica.
Sbagliamo perchè non hanno paura: si stanno solo annoiando.
A questo punto, cari Palestinesi, se volete che gli intellettuali-de-sinistra tornino a parlare della vostra lotta di liberazione smettetela di morire in modo così banale.
Non so, magari prima che il vostro corpo venga dilaniato da una bomba, mangiatevi dei coriandoli.
SEGNALAZIONE: Gianni Vattimo su Gaza, Israele, ecc.
http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=106948&typeb=0&Vattimo–Israele-Nazisti-puri-forse-peggio-di-Hitler-
“Israele vuole distruggere definitivamente i palestinesi, è una guerra di puro sterminio. Sono nazisti puri e forse un po’ peggio di Hitler perché hanno anche l’appoggio delle grandi democrazie occidentali”.
Sono le parole pronunciate da Gianni Vattimo, ex parlamentare europeo, ai microfoni de “La Zanzara”, su Radio24.
“Andrei a Gaza” – afferma Vattimo – “a combattere a fianco di Hamas, direi che è il momento di fare le Brigate Internazionali come in Spagna, perché Israele è un regime fascista che sta distruggendo un popolo intero. In Spagna non era niente in confronto a questo. Questo è un genocidio in atto, nazista, razzista, colonialista, imperialista e ci vuole una resistenza”.
E aggiunge: “Ma siamo quattro gatti, perché tutta l’informazione, compresa la stampa italiana, piange sul fatto che c’è una pioggia di missili su Israele, però Hamas quanti morti ha fatto? Nessuno. I poveretti non hanno armi, sono dei miserabili tenuti in schiavitù, come tutta la Palestina. Hanno dei razzetti per bambini, e voglio promuovere una sottoscrizione mondiale per permettere ai palestinesi di comprare delle vere armi e non delle armi giocattolo. Cominciamo a distruggere il nucleare israeliano, Israele è lo stato canaglia che ha il nucleare”.
Alla domanda di Cruciani se sparerebbe conttro gli israeliani, l’ex europarlamentare risponde: “Io sono un non violento, però contro quelli che bombardano ospedali, cliniche private e bambini sparerei, ma non ne sono capace”. E aggiunge: “Gli ebrei italiani dalla parte di Israele sono gli ex fascisti, che adesso sono dalla parte dell’America. La comunità ebraica italiana è rappresentata da quell’ossimoro che è Pacifici, ma ci sono molti ebrei d’accordo con me. Li c’è uno stato nazista che cerca di sopprimere un altro popolo. E io ce l’ho con lo stato di Israele, non con gli ebrei”
@ ENNIO
Mi affiancavo alla risposta di Giuliano Nota di oggi 17 ore 10.14.
@ Ennio
…e poi la politica non è il male in sé, è la gente che fa del male crudelmente e senza nessun senso di pietà ecco la pietà in politica non esiste. La politica ubbidisce a regole ben precise che non vengono purtroppo mai dalla gente del popolo. I poeti scrivono e penso che la poesia che tu ci hai mandato -Sulla difficoltà di dire di Gaza in poesia-, sia emblematica oltre che ad essere bellissima.
Le braccia inermi
sul ventre cavo
di una madre di pietra,
la bocca serrata al non senso,
gli occhi calati
per orrore e vergogna
anche il sole si oscura…
Per voi bambini palestinesi
ora si chiede scusa?
Il mostro umano che vi inghiottì…
Non si perdona al fulmine
al terremoto
alla tempesta…
Strisceranno serpenti
di odio e di vendetta
SEGNALAZIONE: COME SI STA A GAZA…
Da Angelo d’Orsi (storico) su FB
23 min · Torino ·
Se si vuole sapere come “vivono” a Gaza, in questi giorni, si legga l’intervista con Raji Sourani, avvocato per i diritti umani e fondatore del Palestinian Centre for Human Rights. Il Centro indaga sulle innumerevoli, quotidiane (in tempo di “pace”, figurarsi ora) violazioni dei diritti umani da parte degli israeliani nei Territori occupati. Per questa sua attività coraggiosa, Sourani è statao più volte arrestato e gettato in prigione dagli occupanti, i rappresentanti della “sola democrazia del Medio Oriente”. Ciononostante, ogni volta Sourani è tornato al lavoro, e “vive” a Gaza, se questa si può chiamare vita. Nel 2013 Raji Sourani ha ricevuto il premio Right Livelihood per il suo impegno costante alla causa dei diritti umani. (L’intervista è di Rajpal Weiss)
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Gaza 17.7.2014
“Siamo un bersaglio facile: non abbiamo alcun valore”
Com’è la situazione a Gaza al momento?
Raji Sourani: Non dormiamo, né di notte né di giorno. I bombardamenti sono quasi ininterrotti, dappertutto. Non ci sono rifugi; non c’è un posto sicuro a Gaza, solo bombardamenti ovunque. Proprio adesso, siamo nel mezzo di una guerra: qualsiasi cosa può colpire le persone o gli edifici. Gli aeroplani e i droni non abbandonano mai il cielo.
Intere famiglie sono state cancellate e il problema è che la maggior parte delle persone uccise sono civili. I risultati delle nostre indagini sul campo mostrano che più del 77% dei feriti sono civili. I civili sono nell’occhio del ciclone. Stiamo parlando di una delle forze aeree più avanzate dal punto di vista tecnologico al mondo. E stiamo parlando di F16 e droni e di un esercito con una catena di comando. Non si tratta di razzi casuali ma di bombe lanciate per uccidere, non per gioco.
Qual è il sentimento diffuso a Gaza?
Sourani: La popolazione di Gaza è furiosa. Nel 2008-2009, le bombe al fosforo lanciate su Gaza hanno distrutto la città e lasciato una lunga scia di orrori. Poi nel 2012 abbiamo avuto un’altra guerra, e quella attuale è la terza guerra consecutiva nell’arco di cinque anni. È troppo per qualsiasi popolazione. Le persone sono davvero stanche, esauste e nessuno vuole essere una vittima passiva. Sentono di non aver più niente da perdere.
Chi vive in questa situazione vede il mondo che rimane ad osservare e si sente semplicemente una parte dei notiziari. La sensazione più diffusa è avvertire che la tua anima e quella delle persone che ami hanno così poco valore, così come la tua sofferenza e il tuo sangue, perché c’è solo un’anima e un sangue che sono sacri, quelli degli ebrei israeliani. Questo ti fa impazzire. Secondo i notiziari otto israeliani sono rimasti feriti. Questo è il totale delle vittime dal lato israeliano mentre qui è l’inferno.
Da quando si è cominciato a parlare del cessate il fuoco è opinione diffusa tra la popolazione che sia meglio morire piuttosto che tornare alla situazione precedente all’inizio del conflitto. Non vogliamo tornare indietro. Senza dignità né orgoglio, siamo semplicemente bersagli facili senza alcun valore. O questa situazione migliora davvero oppure è meglio morire. Sto parlando di intellettuali, accademici, gente comune: lo pensano tutti.
In che modo l’ultimo incidente, l’assassinio dei ragazzi israeliani, ha scatenato il conflitto?
Sourani: Non penso che l’assassinio dei tre ragazzi israeliani possa giustificare l’assassinio di 11 persone in Cisgiordania da parte di Israele. Si è trattato di un incidente individuale: nessun gruppo palestinese, gruppo politico o Hamas ha rivendicato l’assassinio dei ragazzi. Eppure l’esercito israeliano ha ucciso persone in Cisgiordania, tra cui quattro adolescenti. A Gaza e in Cisgiordania sono state arrestate almeno 1.300 persone, tra cui 28 parlamentari palestinesi. Inoltre il controllo sulle istituzioni e sulle università è stato inasprito. Una volta finito in Cisgiordania, sono arrivati a Gaza, dove 192 persone sono state uccise, di cui il 70% donne e bambini, e centinaia sono rimaste invalide perché hanno perso le mani, i piedi o sono rimasti ciechi.
Israele ha lanciato 1.800 raid aerei in una delle aree più densamente popolate di Gaza. È incredibile il numero di morti e feriti. In tutta Gaza non è rimasto un posto sicuro. È una vergogna che Israele e la comunità internazionale consentano tutto questo. Si tratta di veri e propri crimini di guerra.
Gli abitanti di Gaza hanno completamente perso la speranza?
Sourani: Sono traumatizzati. Sono sotto pressione, con le spalle al muro. Stiamo parlando di persone istruite, che guardano la TV e conoscono il mondo. Hanno lanciato volantini e costretto 20.000 persone ad abbandonare le proprie case. Le persone fuggono con solo i vestiti addosso e tutto quello che possono trasportare a mano, trovano riparo nelle scuole e sono diventati rifugiati nella loro stessa terra. I volantini vengono lanciati a mezzanotte, intimando alle persone di allontanarsi immediatamente. È un problema per chi sceglie di fuggire, perché abbandona tutto: case, terre, allevamenti. Allo stesso tempo, quelli che scelgono di rimanere sono in grave pericolo.
Pensa sia possibile una via d’uscita da questo conflitto in futuro?
Sourani: Sì, è molto semplice: porre fine all’occupazione. È tutto ciò che serve. Parlano di un’occupazione giusta, equa o corretta. Come si può parlare di giustizia se c’è un’occupazione? Perché hanno firmato gli accordi e dopo vent’anni ci sono ancora guerre, omicidi, distruzione, povertà. Non siamo normali, non abbiamo dignità. Ci stanno uccidendo, minacciando, opprimendo. Non possiamo spostarci all’interno di Gaza per vedere i nostri amici e parenti. È una situazione molto pericolosa. Tutta Gaza è sotto coprifuoco, tutto è immobile.
Cosa è necessario fare nell’immediato?
Sourani: I civili sono nell’occhio del ciclone: sono bersagli. Per prima cosa sarebbe necessario proteggerli, ad esempio chiedendo alla comunità internazionale di far rispettare l’articolo 1 della Convenzione di Ginevra, in base al quale è necessario garantire il rispetto dei civili. Dovremmo essere i ‘civili protetti’ di questa occupazione e invece non c’è alcuna protezione. E quindi, essenzialmente, il governo svizzero dovrebbe invitare le parti contraenti a organizzare una conferenza con lo scopo di proteggere il popolo palestinese. Ne abbiamo disperatamente bisogno.
In secondo luogo, la situazione di Gaza era già disastrosa prima di questa guerra. Da otto anni subiamo un assedio criminale, disumano e illegale, una forma di punizione collettiva per due milioni di persone. Non è consentito il movimento di beni o persone. Questa situazione ha completamente soffocato Gaza, l’ha trasformata in un posto infelice e in un’enorme prigione. La disoccupazione è al 65%, il 90% dei nostri abitanti è sotto la soglia di povertà mentre l’85% riceve aiuti umanitari. Ci manca tutto: dall’acqua al trattamento degli scarichi fognari, che vengono gettati in strada.
È il declino della Striscia di Gaza, e non perché siamo pigri, pazzi o cattivi. Abbiamo una delle più alte percentuali di laureati al mondo, manodopera tra le più qualificate del Medio Oriente, una buona comunità di imprese e abbastanza denaro. Non vogliamo altro che la libertà di movimento, la fine dell’assedio e la libertà di circolazione di beni e persone, da e per Gaza. Lo Human Rights Council dovrebbe inviare una missione investigativa nei Territori occupati, a Gaza, per indagare sui crimini di guerra commessi da Israele. Abbiamo bisogno di un comitato che sia in grado di perseguire i sospetti criminali di guerra. In questa parte di mondo abbiamo bisogno di uno stato di diritto.
E tutto quello che vogliamo è la fine di questa occupazione criminale e aggressiva, ma nessuno ne parla. Non voglio l’autodeterminazione, non voglio l’indipendenza, non voglio uno stato palestinese. Voglio essere normale. Non voglio questa occupazione. Vogliamo uno stato di diritto: è chiedere troppo? Ho 60 anni e non ricordo un singolo giorno vissuto normalmente da me, dalla mia famiglia o dalle persone che conosciamo. Ho festeggiato il ventesimo compleanno dei miei figli gemelli il 12 luglio, sotto un bombardamento infernale. Cos’altro rimane da ricordare?
Alcuni amici israeliani chiamano piangendo e ci dicono: siamo paralizzati, non possiamo fare nulla se non pregare per voi.
Cosa le dà la forza di andare avanti in questo momento così difficile?
Sourani: Non ho il diritto di arrendermi. Non possiamo essere vittime passive, continueremo a lottare per la nostra libertà, questo è il nostro diritto e il nostro obbligo. Il mio team si sveglia ogni mattina e trova il modo per venire a lavorare. Dobbiamo continuare a documentare e raccontare quello che succede, siamo qui per proteggere i civili in tempo di guerra.
Intervista di Roma Rajpal Weiss.© Qantara.de 2014 Editor: Charlotte Collins/Qantara.de
Traduzione in Italiano a cura di ASSOPACEPALESTINA
http://WWW.ASSOPACEPALESTINA.ORG
http://en.qantara.de/content/interview-with-raji-sourani-in-gaza-we-are-just-soft-targets-we-are-very-cheap
__._,_.___
“We are just soft targets: we are very cheap”
Raji Sourani is a human rights lawyer and founder of the Palestinian Centre for Human Rights, which documents and investigates human rights…
en.qantara.de
SEGNALAZIONE: QUALCUNO ALMENO SI VERGOGNA: UNA GIOVANE REGISTA CHE VIVE IN ISRAELE ALLA GENTE DI GAZA
da http://www.bergamopost.it/da-vedere/provo-vergogna-vi-chiedo-perdono-video-regista-israeliana/
«Mi vergogno e vi chiedo perdono»
Il video della regista israeliana
18 luglio 2014
Naomi Levari è regista e produttrice teatrale e cinematografica. Diremmo che è israeliana se lei non preferisse dire che vive in Israele. Tre giorni fa, di fronte alla tragedia di Gaza, si mette davanti alla videocamera del computer e parla. Poi posta il tutto su Facebook e Youtube. Abbiamo tradotto il suo messaggio che è intraducibile senza il corpo che lo pronuncia, il suo respiro, le sue pause. Come Naomi, anche noi non possiamo – in ultima istanza – far niente per questa tragedia. Possiamo solo esserci col nostro corpo e col nostro respiro. Il video fa vedere che questo – che sembra niente – non è niente: è la sola cosa che può salvare noi e il mondo.
14 luglio 2014
Cara gente di Gaza,
Qualsiasi cosa stia per dire sembrerà priva di senso di fronte a ciò che state attraversando. Però al momento è l’unico strumento che ho – le mie parole. Mi chiamo Naomi Levari e vivo in Israele. Mi vergogno e vi chiedo perdono. Mi preoccupo per voi, piango per voi e soffro per le vostre perdite.
Questi sono giorni bui e so che questo non può consolarvi in alcun modo. Ma qualcuno di noi sta facendo tutto quello che può – che non è molto – per mettere fine a tutto questo: dimostrazioni, momenti pubblici, e nei nostri cuori stiamo chiedendo che le nostre preghiere siano ascoltate nel cielo al di sopra delle nostre anime. A voi non è più rimasta alcuna parola.
E io spero che tutto questo cambi presto. Mi appello ai governanti di Israele perché si comportino come persone responsabili, come leader, e che pongano immediatamente fine a questo spargimento di sangue. Ricordo al popolo di Israele che questo non è un videogame, che non ci sono vincitori e vinti, punteggi e classifiche: ci sono solo sconfitti. La gente continua a essere uccisa, le case ad essere distrutte, i sogni ad essere seppelliti. La società israeliana sta perdendo la sua tolleranza e sta diventando una banda di delinquenti.
L’unica cosa che possiamo fare è – ancora una volta – chiedervi perdono e usare tutti gli strumenti che abbiamo per fermare tutto questo. State al sicuro.
SEGNALAZIONE:
Ma per uno/a che si vergogna ci sono decine di cani da guardia (soprattutto tra i giornalisti) pronti ad azzannare chi non tace o non è d’accordo con la “democrazia israeliana”. Vedete che cosa è successo a Gianni Vattimo, uno dei pochissimi intellettuali che di fronte al massacro in corso ha “esagerato” con le parole, visto che bombardare civili inermi invece non è affatto un’esagerazione:
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2014/07/16/vattimo-israele-nazisti-puri-forse-peggio-di-hitler-e-volano-insulti-con-parenzo/288906/
@ Rita
Quando ci sono composizioni poetiche che fanno riferimento a elementi di realtà storica – e quindi non soltanto emotivi – forse varrebbe la pena aggiungere delle precisazioni.
a) A fronte del post R.S. del 12 luglio, “Scrivere ancora su Gaza”:
*[…] Oh, no. Andarci no. Come fu andare in Spagna contro il regime di Francisco/
Franco, il dittatore!*
avresti dovuto chiarire in nota il perché *andarci no* (ferma restando l’esecrazione per l’inaccettabile assassinio che viene perpetrato a danno dei palestinesi).
Il perché sta nel fatto che sia durante la guerra di Spagna, con le Brigate Internazionali, che in Italia con la Resistenza (il cui senso venne poi trasformato tout court in “Lotta per la Liberazione”!!!) il punto cruciale non verteva soltanto il cacciare l’oppressore bensì portare avanti un progetto politico, anche attraverso la lotta armata, per instaurare un mondo nuovo. Se dico “comunista”, a qualcuno viene la pelle d’oca?
E nella lotta Israele/Palestina non mi sembra ci sia ‘alba’ di una possibilità del genere. Di una trasformazione del genere.
Lungi, quindi, dal sottoscrivere quanto detto l’altro giorno da G. Vattimo (e riportato da Ennio con post del 17 luglio): “Andrei a Gaza” – afferma Vattimo – “a combattere a fianco di Hamas, direi che è il momento di fare le Brigate Internazionali come in Spagna”. E poi prosegue “visto che io sono un non violento, però contro quelli che bombardano ospedali, cliniche private e bambini sparerei, ma non ne sono capace”, allora che ci andrebbe a fare? A intralciare il traffico? O a portare ai fondamentalisti i tristi risultati del pensiero debole?
b) A fronte del *“Mamma! mormora la bambina mentre/…”* del post R.S. del 16 luglio, “Immagina…”
avresti dovuto chiarire che si tratta della parodia di una canzone italiana del ’29, “Balocchi e profumi”, uno strazievole tango, compositore E.A. Mario, dove il disegno delle anime perdute e delle povertà dopo il primo conflitto mondiale, si articola attorno allo sfolgorio delle vetrine.
La legittimità del modello consumistico che passa dalla mamma alla bambina.
Nonchè la resa dei conti attuale.
“Tutta sfolgorante e’ la vetrina/piena di balocchi e profumi/entra con la mamma la bambina/tra lo sfolgorio di quei lumi/comanda signora Cipria colonia e Coty./
Mamma/mormora la bambina/mentre pieni di pianto ha gli occhi/per la tua piccolina/non compri mai balocchi./Mamma tu compri soltanto/i profumi per te. “
@ Gianmario
* Rita dice che è accaduta anche nel 1914 più o meno la stessa cosa. Ma è solo la dinamica, credo, a meno che l’anarchico assassino dell’arciduca avesse davvero intenzione di far scoppiare una guerra. Lì tutti volevano la guerra. Bastava rovesciargli addosso il caffé, all’arciduca, perché la guerra scoppiasse. Qui tutti dicono di non volerla e la fanno lo stesso* [post 17 luglio, ore 10.20].
Io concordo in pieno con il richiamo di Gianmario, fatto in altro intervento, alla necessità di un background culturale. Sia che esso avvenga attraverso la letteratura, la saggistica e sia, soprattutto oggi, attraverso quel potente mezzo che è il cinema proprio per le dinamiche di identificazione che vi sono implicate.
Per cui, quanto al volere o meno la guerra da parte dei potentati, non è così semplice come a prima vista appare: c’è dietro tutto un lavoro di Cancellerie – e di fronde avverse – le quali seguono sì anche gli aspetti ‘umorali’, ma non del tutto.
A tale proposito consiglio di vedere il film di Attemborough, “Oh, che bella guerra!”, del 1969, il quale, oltre che essere un buon film antimilitarista fa vedere molto bene questi aspetti legati al primo conflitto mondiale.
Fra l’altro mostra anche come si solidarizzasse fra soldati francesi e tedeschi durante la tregua del Natale 1914, salvo poi essere deferiti alla corte marziale e condannati per tradimento!
Un altro film antimilitarista che, come il primo, ti mostra delle cose tragiche con humor, è “Fanfan la Tulipe”, (1952) di Christian-Jaque che tratta della guerra dei sette anni nella Francia di Luigi XV per il dominio commerciale sui traffici marittimi.
La morte delle proprie truppe viene contemplata ‘un tanto al kilo’ o, come dice Ennio, * come noi ordiniamo al salumiere tot grammi di carne sanguinolenta*.
Così pure nel film “Orizzonti di gloria” di Kubrick (1957): quanti uomini costa l’andare a prendere l’imprendibile ‘termitaio’ tedesco? Il numero non importa, basta che l’impresa abbia compimento. E anche se fallisce, come accade nel film in questione, si possono sempre fucilare le proprie truppe per sabotaggio.
Sbagliamo quando diciamo che i potenti ‘fanno la guerra’. Essi la DIRIGONO guardando bene al ‘dopoguerra’, a ciò che ne possono ricavare, a volte anche con segreti accordi con elementi di intellicence del nemico. Proprio come Gianmario scrive: *I grandi accordi (pensiamo alla pace di Yalta) sono sempre stati divisioni di bottino e di potere, di influenze*. A volte predisposti anche prima.
Aziende statunitensi, durante la 2^ guerra mondiale, continuavano a fare affari con delle loro partner tedesche (Ford e GM).
Il Parlamento americano non voleva votare per l’entrata in guerra, ma dopo l’incidente di Pearl Harbour, abilmente gestito da F. D. Roosvelt con il suo “Discorso sull’infamia”, il Congresso la votò.
A proposito dell’infamia, di cui il presidente accusò il Giappone, come mai si portarono in salvo, proprio dopo la decisione giapponese di sferrare l’attacco, le tre grandi portaerei Lexington, Saratoga e Enterprise dando loro disposizione di dirigersi verso le basi di Midway e Wake e lasciando ‘non allertate’ le navi di Pearl Harbour che subirono l’attacco giapponese senza poter opporre alcuna difesa? Un sacrificio di vite umane, anche se dei tuoi poco importa, perché entrare “freschi” in guerra in quel momento era necessario?
Quanto al dialogo, sono anch’io d’accordo.
Gianmario, post del 12 luglio: *Ti chiedi “cosa vuoi che facciano” la gente di Israele e quella di Palestina e io rispondo: esattamente quello che hanno fatto centinaia di israeliani e di palestinesi di buona volontà, dialogando*.
Ma il dialogo, si suppone contempli che i dialoganti utilizzino la ragione, almeno in buona parte, e non movimenti irrazionali su cui si fonda il fanatismo religioso * in un’ottica di esaltazione per il martirio o di guerra santa* (Gianmario, 15 luglio).
Altrimenti si trasforma in monologo “O con me o contro di me”.
@ Ennio
a) * Come avremmo bisogno di odiare pensare protestare
e non solo di esclamare (dopo, sempre dopo)* [09.07.14]
Non è del nostro dolore né della nostra indignazione o delle nostre proteste che hanno paura, ma solo se abbiamo un qualche potere su di loro. Perché è solo il linguaggio del potere che riconoscono. E il solo potere che a noi resta – forse ancora per poco – è quello del pensiero. Sarà ben poca cosa, ma non possiamo improvvisarci altro.
Fossero sensibili al dolore nel vedere *i corpi dei morti* (Ennio) o udire *il boato delle bombe* (Ennio) , si sarebbero fermati prima. I ruoli, fintantoché rimangono così nettamente divisi, produrranno sempre la separazione tra colui che prova dolore e che piange e gli altri che ne sono esenti. Imperturbabili.
Questa è la follia. E proprio in senso clinico. E’ una scissione che taglia fuori ogni contatto con la parte sofferente. E’ in parte quello che accade nel rapporto circolare vittima/carnefice: solo che lì abbiamo l’alternanza. Nell’altro caso abbiamo una tremenda espulsione (con conseguente legittimazione): “che ho fatto di male? Nulla di nulla!”
Loro rompono i vasi e noi raccogliamo piangendo i cocci o facciamo inutili proclami.
Questa separazione prese avvio dal progressivo allontanamento, nei conflitti, dallo scontro che prevedeva il cosiddetto corpo-a-corpo: con le bombe a lunga gittata, i bombardamenti aerei a tappeto (bomba atomica inclusa) – occhio non vede, cuore non duole – trovando il suo culmine nel perfezionamento dei droni (le vittime ci sono soltanto dalla parte aggredita mentre l’aggressore nulla patisce) e le cosiddette ‘bombe intelligenti’ che fanno più vittime di quelle ‘cretine’.
b) * Poesia contro prosa? Poesia d’emozione che sostituisce la prosa di riflessione?*
[Post del 17 luglio ore 9.31]
In questo interessante dibattito molti sono intervenuti con le loro poesie dolenti, arrabbiate, deluse. Appassionatamente ‘sentite’.
Senza dubbio ciò ci ha fatto sentire meno soli e, parzialmente, meno impotenti.
Ma non sposta di una virgola il problema.
Non si tratta di “o/o”, *poesia contro prosa*: ambedue sono necessarie. Solo che alla poesia non possiamo ‘chiedere di fare qualche cosa’, non si lascia assoggettare alla domanda, ad alcuna domanda che non sia interna ad essa stessa (poesia). Altrimenti abbiamo ‘composizioni in versi’ che possono essere utili, o utilizzate, perché cercano di centrare un qualche problema.
Rimane la prosa di riflessione. Ma anche lì: come? quale?
R.S.
@ Rita
CINQUE APPUNTI
1.
L’assenza di progetto politico significa assenza di comprensione della realtà, incertezza nella scelta della parte con cui stare (critico le democrazie occidentali e lo Stato sionista d’Israele ma che faccio? Appoggio Hamas e condivido il suo progetto d’Islamizzazione?), impossibilità d’identificarsi con un ‘noi’ in cui riconoscersi emotivamente e intellettualmente.
Siamo – anzi preferisco dire: sono, parlando a titolo individuale – in questo vuoto, in questa crisi. Possiamo soltanto pensare e agire partendo da questo vuoto. Quindi con grande difficoltà.
2.
Vattimo è, per vari aspetti, uno che come noi sta dentro questo vuoto e in questa crisi.
Posso non condividere la sua filosofia di “pensatore debole” né il romanticismo o la nostalgia per un oggi inesistente “internazionalismo” proletario o rivoluzionario (il richiamo alle Brigate internazionali che agirono nella guerra in Spagna del 1936). E neanche la sua provocatoria scelta di stare con la “fondamentalista” Hamas contro la “nazista” Israele (ha precisato che ce l’ha con la classe dirigente israeliana non con gli ebrei, molti dei quali dalla sua parte).
Ma come non riconoscere che è uno dei pochi intellettuali “di fama” che, nel silenzio quasi assoluto dei suoi colleghi, prende posizione? E come non simpatizzare con la sua testarda, generosa e indiretta denuncia proprio di questo vuoto (occidentale), specie di fronte ai due miserabili giornalisti-provocatori di professione (Telese e Parenzi) della «Zanzara»?
Sarà un vecchio leone che ruggisce male, ma tocca il nodo della tragedia mediorientale, mentre i suoi avversari lo nascondono; e mi sembrano dui botoli che amministrano furbescamente le paure e la stupidità collettiva (occidentale appunto).
3.
I potenti (i dominanti) decidono le guerre (e non solo). E decidono al di sopra delle leggi morali e delle stesse Costituzioni politiche dei vari Paesi, facendo e disfacendo alleanze e patti. Purtroppo c’è da dire che noi, nelle condizioni di vita in cui siamo, faremo sempre troppa fatica ad ammetterlo e a riconoscerlo. Ma non solo per stupidità o voglia di rimuovere la sofferenza o l’angoscia che ci assalirebbe se potessimo sperimentare da vicino il freddo cinismo e il calcolo ferreo di chi ci comanda.
Una pallida idea dei comportamenti cinici e calcolati la sperimentiamo anche nelle nostre pratiche di vita quotidiana, ma troppo in piccolo.
Abbiamo imparato forse a nostre spese a difenderci dai piccoli figli di puttana ma non dai grandi. Perché siamo ostacolati e danneggiati nel capire come stanno le cose dalla (dis)educazione religiosa, scolastica e politica, dalla perdita di memoria storica, dall’ ignoranza dei meccanismi reali delle burocrazie, degli apparati economici politici, militari, ideologici, di cui riusciamo a parlare quasi sempre solo “per sentito dire” e di cui afferriamo qualche dettaglio solo rovistando nella massa di notizie contraddittorie o manipolate o volutamente false che i mass media fanno circolare mi paiono davvero incolmabili.
Con tutta la buona volontà chi ha il tempo, la pazienza, la competenza per farsi un’idea davvero precisa di come pensano, agiscono, decidono i grandi figli di puttane?
Nell’Ottocento si era pensato di poter smuovere le masse ed educarle con una sorta di pedagogia di Partito. A fine Novecento i Partiti sono (esclusivamente per conto dei dominanti) i gestori del vuoto di cui ho detto prima.
4.
Temo che il pensiero (quello che ci resta poi e alla fine di un secolo di sconfitte e ammesso che ci resti!) non sia di per sé potere.
Non illudiamoci: il potere sul pensiero (anche nostro!) ce l’hanno quelli che dominano anche economicamente, politicamente, ideologicamente. La colonizzazione delle menti e dell’incoscio ha raggiunto dimensioni eccezionali, che le metafore orwelliane approssimano per difetto.
Se proprio vogliamo parlare di potere anche per noi ( in termini gramsciani o foucaultiani), dobbiamo parlare di “potere di subordinati” o “di resistenza”. O fortinianamente di “ morale da servi” (Cfr. Appendice). Nulla di più. E in questo potere ( o morale?) ci dovrebbe restare ancora la capacità di non perdere «ogni contatto con la parte sofferente». Che non comporta solo lamento o peggio il piagnisteo o l’estetizzazione della vittima. Ma l’odio ragionato e la determinazione intelligente.
5.
D’accordo. Nessuna contrapposizione tra poesia e prosa. Diamo alla poesia quello che le spetta e così pure alla prosa. Vediamo però di essere rigorosi nell’uno e nell’altro campo.
APPENDICE: FORTINI, UNA MORALE DI SERVO
A un giovane che me ne chiedeva ho consigliato di scegliersi una morale di subordinato, di servo; come credo di aver fatto io. Con quel tanto di equivoco e magari di ripugnante (come l’invidia, il rancore, l’intenzione di dominare umiliandosi) che ogni morale di servo comporta. La ragione di quel consiglio? Anzitutto che una morale di servo è, da noi, meno immaginaria di una da signore; almeno per chi viva alla periferia dell’Impero. Basta riflettere all’impegno che i nostri signori e i loro delegati mettono a persuaderci che, via, siamo anche noi ormai parte del mondo dei signori. Il che, in una certa misura, è vero. Sganarello, infatti, mangia, dorme e beve molto meglio del cavallante, del contadino o del poveraccio per il quale il suo padrone stanzia (in Molière), per la lotta contro la fame nel mondo e «per amor dell’umanità», una certa cifra «purché bestemmi il Signore» cioè la propria cultura e verità. Che dico, Sganarello fruisce anche della cultura e delle agevolazioni tariffarie di Don Giovanni e deve buona parte della propria astuzia alla conoscenza degli splendori mondani cui partecipa indirettamente. Eppure, di un servo non ci si può mai fidare; e questa è grande superiorità, la cui rinuncia non consiglio a nessuno.
C’è qualcosa che tuttavia il servo non possiede: l’ironia e la leggerezza. Il servo ha solo riso e sarcasmo; sempre, in qualche misura, plebei. Nulla di più doloroso dell’apostolo della leggerezza, Nietzsche, incapace di danza, e condannato alla più tremenda serietà. Eppure – contro l’opinione corrente – dubito che l’ironia e la leggerezza siano davvero sempre supreme virtù (o privilegi signorili). Sono virtù; ma secondarie. Esse infatti non possono essere praticate se non in gruppo, fra pari.
Insomma, la morale del servo è anche quella che ti consiglia insistenza e petulanza, offerta di spiegarsi meglio e di porgere scuse. («Si spieghi meglio!». «…Disposto … disposto sempre all’ubbidienza».) Docenti, moralisti, pedagoghi, preti, psicanalisti, funzionari di partito, d’ogni sorta addetti alla manutenzione delle anime, tutti costoro – dei quali certo faccio parte – sono perpetuamente esposti al disprezzo signorile degli spiritosi libertini ma sfuggono tuttavia di mano a questi ultimi perché la loro verifica è sempre altrove, è qualcosa che è sempre un oltre, metafisico o storico, un dover essere, un «verrà un giorno …». Mentre lo spiritoso libertino ha tutto interiorizzato; ha o crede di avere tutti in sé i propri diavoli e angeli; è costretto all’ateismo (<<pèntiti!», «no!») e all'autoinganno dello stoicismo. Don Giovanni non può essere «serio come il piacere». «Sarò serio come il piacere» è locuzione di Baudelaire; l'altro infelice apologeta dell'ironia e della leggerezza, grande anche per la sua incapacità di essere ironico e leggero.
Il giovane se n'è andato, com'è giusto, scuotendo il capo. Spero di avergli lasciato, almeno, una spina fastidiosa. Nella loro pressoché integrale ignoranza del nostro passato e al di là dell'abisso profondissimo, quasi insuperabile, di quest'ultimo decennio, ho la certezza, non per fede ma per ragione, che si stiano formando anche nel nostro paese – e forse proprio attraverso una maggiore frequentazione del mondo dei padroni – delle minoranze che possono assumere deliberatamente una morale di servi per uscirne nella sola direzione capace di fondare, come sempre è stato, una aristocrazia vera; facendosi cioè disinteressati e, al bisogno, sacrificali difensori dei più, delle folle accecate. Il loro primo moto sarà, anzi già è, di seppellire sotto lo scherno le false aristocrazie, straccione o snob, che si riproducono nella nostra cultura nazionale. ( F. Fortini, Avere ragione, pagg. 102-103 in Insistenze , Garzanti, Milano 1985)
Caro Ennio, rispondo a tambur battente ai tuoi punti 2) e 4).
Inizio dal punto 4) che mi fa da ‘antifona’ al punto 2).
4.
*Temo che il pensiero (quello che ci resta poi e alla fine di un secolo di sconfitte e ammesso che ci resti!) non sia di per sé potere*.
Il pensare non attiene ad un pensiero ‘libero’ che vola sulle ali dorate.
Il pensiero contempla anche le sconfitte ma cerca di analizzarle non di esserne vincolato o azzerato a sua volta.
Il pensiero si confronta con i processi di realtà: senza eluderli perché sono sgradevoli e senza adularli se sono in sintonia con i nostri desideri.
Il potere è quello di lottare con tutti i mezzi a disposizione perché memoria non vada persa.
E’ il potere di cercare, per quanto si può, di sottrarsi al potere degli indottrinamenti; il potere di pensare con la propria testa.
Finchè ci si riesce e Alzheimer non sopravvenga.
2.
– *Vattimo è, per vari aspetti, uno che come noi sta dentro questo vuoto e in questa crisi.*
– * E come non simpatizzare con la sua testarda, generosa e indiretta denuncia proprio di questo vuoto (occidentale)*.
Faccio dei distinguo: se qualcuno fa una affermazione corretta, tanto di cappello.
Ma finisce lì. Non si può prendere quella posizione e farne una palingenesi, (*simpatizzare con la sua testarda, generosa, ecc. ecc.*).
Perchè sul cercare di rifarsi una verginità (in gergo ci si esprimerebbe in altro modo) – e ammesso (e anche non concesso) che questo sia il problema di questo filosofo – io qui non ci casco.
Perché Vattimo non è uno come noi. La sua responsabilità diretta di maître à penser implicato nel produrre *questo vuoto* lui ce l’ha di pieno. Ma non solo per il passato. Ma anche per quanto continua a fare nel presente, attraverso il pervicace sostegno e appoggio a chi cerca di affossare ogni residuo di memoria storica appiattendo ogni pensiero critico.
Quanto al resto, sono d’accordo con i tuoi restanti punti con una precisazione: *l’odio ragionato e la determinazione intelligente* non rientrano, secondo me, né in un potere di “resistenza” né in una “morale da servi”, in quanto sono l’espressione di un nostro sentire sufficientemente libero.
R.S.
Avrei voluto starmene zitto – non per altro, ma perché le parole sono inutili, i cambiamenti troppo veloci che non si ha tempo di comprendere il senso dell’orrore. Si arriva a un punto di assuefazione all’orrore e fino a questo punto ci si è arrivati adagio, per gradi. Ma ora c’è un’escalation dell’orrore, che progredisce di giorno in giorno, perché l’uomo contemporaneo si è abituato non più a ragionare con la testa, ma con la pancia.
Anche Vattimo, che è una mente sottilissima (ho letto qualche suo libro) è “sceso” a questo livello, ma è ovvio che in un contesto così surreale come in quella intervista la razionalità va a farsi benedire. “Quanno ce vo’, ce vo’”, dicono a Roma.
Conoscendo Vattimo, sono convinto che la sua è la sfuriata di uno che perde le staffe. Magari esagerata verbalmente ma esatta nella sostanza.
Per quanto riguarda le sue affermazioni, le sottoscrivo, con una precisazione importante. I metodi sono nazisti, le dinamiche, i comportamenti. Gli Israeliani non sono nazisti: hanno “soltanto” un governo che si comporta da nazista e risponde alle aspettative di una maggioranza irresponsabile. Per ora non siamo ancora ai campi di sterminio, ma ci manca solo un pelo e se così va avanti, Gaza sarà il campo di sterminio nazista di Israele. Che differenza c’è fra un campo di sterminio nazista e Gaza? Forse oggi qualcuna c’è ancora, ma ci stiamo avviando alla costituzione di un grande campo sorvegliato da fuori. In quel campo mancherà pian piano tutto: cibo, acqua, medicine, scuole, possibilità di muoversi e un esercito di cecchini armati di elicotteri invece che di fucili, staranno ai bordi di quel campo a giocare al tiro al piccione. Un campo di concentramento diverso, un po’ più vasto, magari meno truce alla vista distratta dei giornali occidentali, ma in ultima analisi un campo di concentramento.
Dentro il campo ci sarannpo i razzetti-giocattolo (come dice Vattimo) regolarmente intercettati e distrutti, ma che comunque daranno modo ai cecchini di “rispondere” per “difendersi” in termini e con effetti molto più sostanziosi.
Ma perché questo?
Io credo, da come si sta evolvendo il conflitto (una settimana fa non eravamo a un punto di non-ritorno) che l’unica spiegazione sia questa: i Palestinesi (a questo punto, non soltanto Hamas) non possono più tornare indietro. Vivere in quel modo, per loro non ha senso. Vogliono la pace, io credo, ma non vogliono la Pax Israeliana, che significa vivere nell’incertezza e nel terrore. Non ce la fanno più. Vogliono uno Stato autonomo e non sono più disposti a qualcosa di diverso, perché qualsiasi cosa diversa da questo per loro è la fine. Quindi, fine per fine sono convinti di non avere scelta. Sentono di non poter disporre del loro futuro (come peraltro del passato, sinora) e questo è l’innesco della disperazione, del rancore, del pensiero fisso e ossessivo.
Vogliono smettere ma senza accordi con Israele, perché a) tutti gli accordi poi sono stati rimangiati e calpestati senza nessuna obiezione internazionale dagli inizi dello Stato Ebraico ad oggi e b) ogni accordo è un’ulteriore restrizione dei loro diritti umani (ormai sono praticamente dei prigionieri senza sbarre).
Ora, a mio avviso questa non è la tattica che io sceglierei in un frangente del genere, ma non voglio parlare di tattiche, perché Gandhi ormai non è più di moda. E poi non sono un Palestinese e non posso giudicare come mi comporterei al loro posto (quando ho chiamato “pazzi” Hamas e gli Israeliani, le cose non stavano come sono oggi, ma ho anche parlato di “escalation” ed era una profezia molto facile). E poi la situazione è incancrenita in un modo tale che oggi ormai non ha più senso parlare di accordi. Vattimo propone la sottoscrizione per le armi: questa è appunto la soluzione dei disperati, ma è una soluzione più realistica e appetibile, a quanto pare per gli stessi Palestinesi, di una pace sottoscritta in questo contesto.
Quali condizioni chiede Hamas? Lo faccio dire agli Israeliani: “Il capo politico di Hamas Khaled Meshal – citato da Haaretz – ha detto che il gruppo non accetterà una tregua fino a che Israele non toglierà il blocco imposto a Gaza e non libererà i detenuti palestinesi riarrestati dopo essere stati liberati nello scambio per i rilascio del soldato Gilad Shalit. Hamas – sempre secondo Haaretz – vuole che l’Egitto mostri ”flessibilità” nell’apertura del valico di Rafah con la Striscia. Meshal – secondo quanto riportato da Haaretz – ha detto anche di essere disponibile a discutere ogni accordo basato su queste richieste, aggiungendo che il Qatar e la Turchia stanno prendendo parte agli sforzi di mediazione accanto all’Egitto”
Beh, a me non sembrano condizioni irricevibili: certo sono forse rischiose per Israele, ma sono il minimo per la sopravvivenza della Palestina e non c’è paragone fra le due esigenze (prima la sopravvivenza, poi la sicurezza: se non sopravvivi non te ne frega niente di essere sicuro).
Israele chiede il riconoscimento dello Stato Ebraico e la fine delle ostilità, del lancio di missili, degli attentati, ecc. ecc. La sicurezza insomma. E anche queste non mi sembrano condizioni irricevibili.
Ma c’è qualcosa “dietro” che sfugge, e io credo sia la volontà di farla finita da parte dell’uno e dell’altro, sentimento sul quale soffiano poi tutti coloro che “spingono” per la soluzione finale, ossia l’olocausto più o meno militare, nella dinamica, come fecero i tedeschi a Varsavia nel 1939 con la rivolta del ghetto ebraico, sempre tenendo ben presenti le distinzioni di contesto.
Lo scenario purtroppo è questo e la soluzione che mi pare di intravvedere, a meno che non escano i conigli dal cappello all’ultima ora, è proprio la soluzione finale, che dal punto di vista Palestinese sarebbe un atto di dignità (sul quale non sarei comunque d’accordo) mentre per gli Israeliani è soltanto una replica in piccola scala della conquista occidentale dell’America. Il modello che hanno in testa è quello delle riserve indiane americane. Questi sono convinti che quella terra è loro, che gliel’ha promessa Dio e pian piano stanno prendendosi quello che a loro sembra appartenere per diritto. Democrazia teocratica, ecco.
Ciao Gianmario, la tua posizione nei confronti del tema in questione, ai miei occhi, (solo opinione personale) ha in sé una profondissima contraddizione, neanche tanto con la realtà dei fatti, ma soprattutto con la tua capacità poetica. Se hai bisogno di “camere a gas” e bersagliamenti su un fare a memoria a senso unico e a unica “razza” sterminata, è già iniziato l’orrore con cui apri l’ultimo intervento, che denunci come assuefazione e che a sua volta dici e contraddici laddove poco dopo scrivi ” Per ora non siamo ancora ai campi di sterminio, ma ci manca solo un pelo “…lo sterminio delle minoranze e/o degli ex abitanti legittimi di una terra, è da secoli che ha le sue camere a gas. Ovviamente, per quanto riguarda la nostra contemporaneità, la propaganda orwelliana è stata così scientifica che è riuscito sotto tutti i profili il rimbecillimento di massa su un’unica memoria , un unico popolo, un ‘unica storia. Se l’orrore non prova ad esprimersi razionalmente,dapprima analizzando gli infiniti modus operandi, peraltro non solo di eliminazione, ma di (s)formazione di un’opinione pubblica dal secondo conflitto, ben poco si capirà della storia attuale sia di Terra santa che mondiale che in definitiva dei guardiani del mondo.
Mah. Sarà come tu dici. Sarò anche vittima rimbeccillita della propaganda di tipo orwelliano. Horkheimer e Adorno avranno anche avuto ragione a dire che noi siamo rincoglioniti senza saperlo e pregiudizionalmente cretinetti e allora viva il pessimismo della ragione. Martelliamoci le palle che è l’unica soddisfazione che ci rimane?
In ogni caso, nego fermamente che sia possibile il confronto fra un campo di sterminio tipo Auschwitz o Dachau con la situazione odierna di Gaza, che assomiglia molto di più alla resistenza del ghetto di Varsavia, come ho già detto, tenendo però BEN DISTINTE le due realtà storiche. Gli ebrei, lì, erano davvero innocenti, senza alcunareponsabilità nel “conflitto” – chiamiamolo così.
Nei campi di sterminio c’era l’annientamento, non la resistenza di Varsavia e se non vedi questa differenza, pessimismo della ragione o no, non vedi la sostanza e non vedi neppure quello che sta intorno alla sostanza, il contesto.
E con questo? Credi che scrivere “essere a un pelo dal campo di sterminio” significa negare la shoà palestinese? Io certo non la nego, ma a differenza (immagino) di te, non nego neppure le responsabilità di Hamas. E peraltro è sin troppo facile dire che non esiste conflitto senza responsabilità di tutte e due le parti. Saranno diversi i gradi, i modi, i mezzi, ma è innegabile che ci sono ed è manicheo, a mio avviso, negarlo. Di innocenti, qui, trovo solo i bambini ammazzati (tanti) e i civili ma forse non tutti. L’odio è forte, da tutte e due le parti. Io dico e sottoscrivo che l’esercito israeliano sta ora commettendo crimini di guerra, altrettanto feroci di quelli nazisti, ma non nego che la leadership palestinese abbia anche lei le sue responsabilità nella escalation del confliggere, e non le nego per il fatto che non sono così evidenti e importanti come quelle israeliane. Non vedere questo significa dividere il mondo in buoni e cattivi, come nei romanzi di Walter Scott, e trovo che anche Orwell non sarebbe molto d’accordo.
credo , Gianmario, che per voler precisare qualcosa di indubbiamente vero (ad esempio sulla più recente storia di organizzazioni torbide come Hamas), ti sfuggano le ragioni/le cause sia più in generale del colonialismo, sia in particolare di quello inglese e poi americano, che hanno dato luogo alla nascita, relativamente recente, di uno stato a roccaforte/controllo del mediterraneo quale quello d’israele (come poi nel suo piccolo e grande avvenne per la sicilia/italia passata da un occupazione di un certo tipo a un’altra più soft e piu subdola della prima). Se poi hia bisogno di fare distinzioni fra le razzie delle terre e i genocidi della storia, facendo fra ghetti e lager o gas una scala di gravità delle rapine e dei morti, beh questo è un tuo problema, non mio…io non trovo alcuna differenza fra gli stermini degli indiani d’america , gli berei o i palestinesi, fra come eravamo e come siamo diventati, fra certe camere di periferia e certe camere a gas, figuriamoci se la faccio fra il fosforo bianco di oggi e il gas di treblinka di ieri.
E perché mai mi sfuggono? A spanne la conosco, la storia di Israele, dal dopoguerra in poi. Ma la storia di oggi, il conflitto intendo, non la possiamo risolvere se non tenendo presente il contesto di oggi e non credo serva a molto rivangare il passato, perché la storia è stata scritta dai vincitori e fin quando non cambiano i vincitori la storia sarà sempre quella. Pretendere che l’avversario parta dal tuo punto di vista è qa mio avviso poco realistico. I massacri degli indiani d’America sono diventati “massacri” 100 o 150 anni dopo, lavorando pian piano con la ricerca e la persuasione, ma forse ci siamo arrivati. Qui però non abbiamo 150 anni a disposizione. Non posso parlare un linguaggio che l’avversario non può capire. Tutti sappiamo che Israele è la roccaforte dell’America ma però ci sfugge che questa “roccaforte” tiene per le palle i governi americani dagli anni 60/70 in poi. E’ un rapporto simbiotico, un patto dal quale nessuno dei due può desistere e non serve a nulla, a mio avviso, ragionare a prescindere da questo contesto. La politica estera americana sarà sempre così fino a quando gli ebrei americani voteranno e diventerà sempre peggio, con il progredire di Hamas e dell’integralismo, troverà proprio in Hamas una specie di giustificazione e il pretesto per dire che I. deve “difendersi”. Quella cosa non si può più aggiustare, è un guasto irreversibile e tanto vale prenderne atto. Ossia prendere atto della situazione così com’è e cercare di creare un’alternativa culturale credibile, perché neppure quella di Hamas è credibile. Io non voglio schierarmi, perché dagli schieramenti non si torna indietro, o è molto difficile. Io voglio appoggiare chi, non importa chi, dimostra di fare un passo nella direzione giusta, fossero pure gli Israeliani, ma sinora non vedo nessun passo. E la direzione giusta, al momento, è quella di smettere di ammazzarsi. E poi ci saranno discorsi di giustizia, nei quali certamente Israele non ha molto da dire. Il mio desiderio però è, al momento, di non vedere in giro brandelli di bambini squartati e non credo di volere una cosa che gli americani e gli stessi israeliani non vogliano (oddio, i sadici e gli psicopatici ci sono sempre, ma non sono il popolo americano o israeliano). L’obiettivo più credibile è, al momento, che si arrivi a definire l’offensiva israeliana un “crimine di guerra”, perché lo è e può essere capito come tale anche dagli americani o dagli israeliani con un minimo di capacità riflessiva (ossia una minoranza, ma esiste vivaddio e dobbiamo cercare il dialogo con qualla, innanzittutto), e perché molti sono le argomentazioni a favore di questa tesi, “qui ed ora”. Insistere sui campi di sterminio non porta a niente, credo.
@ Ro
In guerra muoiono i poveri
in ogni guerra muoiono i poveri
servono come bersaglio
le armi centrano e fatto
muoiono i poveri
gode il ricco
fino alla fine del mondo
Il marcio resta sulla terra
che ricopre le vite
e la morte cambia senso
Emy
SEGNALAZIONE: ANCORA DA CHI STA A GAZA…
[Il fatto che riesce ad usare ancora la parola ‘cuore’ è giustificato solo a Gaza (E.A.)]
da Angelo d’Orsi (su FB):
Angelo d’Orsi
9 h · Torino ·
In tanto orrore, conforta il pensiero che esistono esseri umani capaci di altruismo, generosità, abnegazione: esseri umani che rischiano di esser portati via dalla tempesta che si sta abbattendo sulla Palestina, ma che resistono, contro la brutalità e l’inaudita ferocia israeliana, contro le menzogne che ci ottundono la mente, contro il silenzio che ci fa sentire innocenti. Non lo siamo, se non facciamo qualcosa per fermare il massacro. Non perdoneremo mai gli assassini israeliani, ma non potremo perdonare neppure noi stessi se non agiamo. Ora. Subito. Lascio dunque la parola a uno di questi esseri, una persona speciale, che non si può che chiamare con la parola un po’ desueta e molto retorica, di “eroe”: Ma il dottor Mads Gilbert, norvegese, che continua il suo lavoro a Gaza martoriata da bombe, missili e colpi di obice, è un autentico eroe. E il suo nome va ricordato, ora, da vivo, sperando che lo rimanga. Il più a lungo possibile. Ecco cosa scrive da Gaza:
_________________________________________________________________
Carissimi amici,
La scorsa notte è stata terribile. La “grande invasione” di Gaza ha avuto il risultato di veicoli carichi di mutilati, di persone fatte a pezzi, sanguinanti, morenti – di palestinesi feriti, di tutte le età, tutti civili, tutti innocenti.
Gli eroi nelle ambulanze di tutti gli ospedali di Gaza lavorano a turni di 12-24ore, grigi dalla fatica e dai carichi di lavoro disumani (tutti senza salario all’ospedale Shifa negli ultimi 4 mesi), si prendono cura delle priorità, tentano di capire il caos incomprensibile dei corpi, degli arti, delle persone umane che camminano, che non camminano, che respirano, che non respirano, che sanguinano, che non sanguinano. UMANI!
Ora, ancora una volta, trattati come animali “dall’esercito più morale del mondo” (sic!).
Il mio rispetto per i feriti è illimitato, per la loro determinazione contenuta in mezzo al dolore, all’agonia e allo shock; la mia ammirazione per lo staff e per i volontari è illimitata, la mia vicinanza al “sumud” palestinese mi da forza, anche se ogni tanto desidero solo urlare, tenere qualcuno stretto, piangere, sentire l’odore della pelle e dei capelli del bambino caldo, coperto di sangue, proteggere noi stessi in un abbraccio senza fine – ma noi non possiamo permettercelo, né lo possono loro.
Facce grige e cinereee – Oh NO! Non un altro carico di decine di mutilati e di sanguinanti, noi abbiamo ancora laghi di sangue sul pavimento nel reparto di emergenzaq (ER), pile di bende gocciolanti, che grondano sangue da pulire – oh – gli addetti alle pulizie, ovunque, allontanano velocemente il sangue e i tessuti scartati, capellli, vestiti, cannule – i resti della morte – tutto portato via… per essere preparato di nuovo, per essere tutto ripetuto di nuovo. Più di 100 casi sono arrivati a Shifa nelle ultime 24 ore. Troppi per un grande ospedale ben attrezzato con ogni cosa, ma qui – quasi nulla: elettricità, acqua, dispositivi, medicine, OR-tables, strumenti, monitors – tutti arruginiti come se fossero stati presi da un museo degli ospedali del passato. Ma questi eroi non si lamentano. Tirano avanti in questa situazione, come guerrieri, testa in su, enormemente risoluti.
E mentre vi scrivo queste parole, da solo, in un letto, sono pieno di lacrime, le lacrime calde ma inutili di dolore e di angoscia, di collera e di paura. Questo non deve accadere!
E poi, proprio ora, l’orchestra della macchina da guerra israeliana inizia di nuovo la sua orrenda sinfonia, proprio ora: salve di artiglieria dalle navi contro le spiagge, i ruggenti F16, i droni ripugnanti (in arabo ‘Zennanis’, quelli che ronzano), e gli Apaches. Tutto fatto e pagato dagli USA.
Signor Obama – ha un cuore?
La invito – passi una sola notte – solo una notte – con noi a Shifa. Travestito come un addettoo alle pulizie.
Sono convinto, al 100%, che la storia cambierebbe.
Nessuno con un cuore E con il potere potrebbe mai andare via, passata una notte a Shifa, senza essere deciso a porre fine alla carneficina del popolo palestinese.
I fiumi di sangue continueranno a scorrere la notte prossima. Ho sentito che hanno accordato i loro strumenti di morte.
Per favore. Fate quello che potete. Questo, QUESTO non può continuare.
Mads
Gaza, Occupied Palestine
Mads Gilbert MD PhD
Professor and Clinical Head
Clinic of Emergency Medicine
University Hospital of North Norway
N-9038 Tromsø, Norway
Mobile: +4790878740
“Con tutto il rispetto per questo eroico medico, chiedere ad Obama di mettere fine al macello di Gaza è come chiedere ad un circolo di pedofili di impegnarsi contro i maltrattamenti sui minori.”
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=13669
Mi fa rabbrividire l’idea di rivolgersi al ‘cuore di Obama’. Significa non aver capito nulla di nulla di politica, come se questa si facesse con il cuore.
Sarebbe come se la vittima si rivolgesse al buon cuore del carnefice: anzi, questo riconoscimento del suo potere riempirebbe il carnefice ancor più di boria.
Sono d’accordo con l’analogia – e quindi con tutti i limiti che le analogie portano con sé – che fa Gianmario con il ghetto di Varsavia (a proposito di Gaza) proprio perché il dramma sta nel contrasto tra una apparente libertà di muoversi e il suo contrario e con un progressivo restringimento dei cerchi di libertà.
Questa analogia, purtroppo, è valida anche per noi tutti che ci troviamo ‘inermi’ a non saper che cosa fare e che cosa pensare di fronte a questa mattanza.
Siamo anche noi dentro questo amplissimo campo di raccolta.
Deferire ad una Corte Internazionale contro i crimini di guerra significherebbe, in primis, vedere da chi è composta questa corte: ogni stato ha le sue cointeressenze in questo conflitto, a volte appoggiando uno, a volte l’altro e, a volte, anche tutti e due i contendenti. Il drone di Hamas che ha colpito Israele, non proveniva certo dalla Russia!
Forse l’idea di rò, e cioè di creare una sinergia fra associati a reti dissidenti ebrei e reti palestinesi in italia, non sarebbe del tutto peregrina.
R.S.
Il prof. Mads ha ragione. Bisogna fare qualcosa. Ma che cosa?
Qualcuno ha idea di cosa si possa fare oltre a manifestare su un blog il nostro orrore e a scrivere qualche verso? pur tenendo BEN PRESENTE che le parole non servono quasi a nulla. E anche gli appelli.
Io però insisterei su quel “quasi”, altro non rimane, se non prender la valigia ed andare ad aiutare, ma temo che sia impossibile.
Forse è una sciocchezza, ma proporrei un documento alla firma di tutti coloro che lo vogliano, di solidarietà con le vittime civili e le loro famiglie e di definizione delle attuali vicende come massacro e crimine di guerra dal quale deve dissociarsi la coscienza di ogni essere umano e che deve essere deferito alla corte internazionale per i crimini di guerra.
Cosa ne pensate?
Credete che (anche) gli intellettuali lo sottoscriverebbero?
@ Gianmario
sarebbe un’ottima idea . Penso anche che ci sarebbero tantissime sottoscrizioni. Per quanto riguarda gli intellettuali….beh facciano come credono non ti pare?
Gianmario..credo che per primo il manifesto che proponi, occorra condividerlo con organizzazioni ebraiche no sioniste, che darebbero forza al dissenso di tutti ( ad esempio la rete ebrei contro l’occupazione, sul web puoi leggerli qui :
http://rete-eco.it/)
la sinergia fra associati a reti dissidenti ebrei e reti palestinesi in italia, darebbe modo di firmare un documento da inoltrare con milioni di adesioni ai vari sionisti ai vertici del governo della nostra colonia americana ex italiana e dei suoi media…
il problema enorme di inziative del genere è però ormai noto: mettono in un certo senso apposto la coscienza e non riescono mai a dimostrare il minimo che volevano esprimere, ergo che chi ci comanda, dai governi ai loro media, sono un pugno di uomini killer contro miliardi che non la pensano e vivono come loro autentici assassini travestiti coi nobel della pace e le missioni umanitarie.
poi, al di là di intellettuali e nomi dalla famosa visibilità mediatica, occorre essere molto capillari, cosa possibile dall’ unico vantaggio consentito tramite i social fesso net del tipo fessbuc…
@ Rita Simonitto
19 luglio 2014 alle 21:28
Cara Rita,
mi rivolgo a te ma anche ad altri e tenendo conto dei vari interventi di Emilia, Gianmario e ro inseriti nel frattempo.
Questa nostra divergenza nel valutare la presa di posizione di Vattimo mi pare degna d’attenzione.
Oggi , leggendo il verso di un amico su FB che diceva: «quello che fa il fiume, non lo sa nessuno» ho commentato: «Una volta, però, c’illudevamo almeno di nuotarci dentro attivamente. Ora pare siamo solo trascinati. Non è la stessa cosa, anche se pensiamo ancora. Ma di fronte a quel che succede a Gaza…».
Non credo di essere attratto da un pensiero «vincolato o azzerato» o «debole» (alla Vattimo), quando nel mio commento (19 luglio 2014 alle 18:58 ) ho scritto:
« L’assenza di progetto politico significa assenza di comprensione della realtà, incertezza nella scelta della parte con cui stare (critico le democrazie occidentali e lo Stato sionista d’Israele ma che faccio? Appoggio Hamas e condivido il suo progetto d’Islamizzazione?), impossibilità d’identificarsi con un ‘noi’ in cui riconoscersi emotivamente e intellettualmente.».
Ma, allora, in cosa si distingue il mio dal tuo (o di Vattimo o di altri) «potere di cercare, per quanto si può, di sottrarsi al potere degli indottrinamenti»? Cosa significa oggi « pensare con la propria testa» su Gaza (e tutto il resto)? E a quali conclusioni ci porta?
Direi che ci distinguiamo per il riconoscimento del grado maggiore o minore di questo “vuoto” (anche di pensiero oltre che di possibilità di fare). Lo riconosciamo in tutta la sua gravità o pensiamo che alcuni (chi?) ne sono preservati o in parte fuori?
Io credo di vedere il “vuoto” nella posizione “esagerata” di Vattimo, per cui mi sono chiesto: «critico le democrazie occidentali e lo Stato sionista d’Israele ma che faccio? Appoggio Hamas e condivido il suo progetto d’Islamizzazione?».
Lo vedo pure nelle cose sempre sincere ora aggiunte da Gianmario: « l prof. Mads ha ragione. Bisogna fare qualcosa. Ma che cosa?Qualcuno ha idea di cosa si possa fare oltre a manifestare su un blog il nostro orrore e a scrivere qualche verso? pur tenendo BEN PRESENTE che le parole non servono quasi a nulla. E anche gli appelli».
Lo vedo infine nelle puntualizzazioni “ultrarealistiche” riportate da ro: « chiedere ad Obama di mettere fine al macello di Gaza è come chiedere ad un circolo di pedofili di impegnarsi contro i maltrattamenti sui minori».
E allora, pur sapendo che Vattimo è stato il portatore di una visione “debolista” del pensiero, che «non è uno come noi» (ma io evito in questo momento di parlare di un ‘noi’, che ritengo quanto mai problematico o inesistente e preferisco parlare, come ho detto, « a titolo individuale»), ho apprezzato la sua presa di posizione e simpatizzato, come simpatizzo con Lucini, pur divergendo sul giudizio sul ruolo di Hamas o sulla “follia”, ecc.
Cosa c’è di male? In quale trappola “cascherei” col mio apprezzamento tra l’altro ben circoscritto?
Detto in altri termini: per me Vattimo – in questo momento, su questa questione – sta tra gli azzoppati, anche se in passato fosse stato tra gli azzoppatori; e perciò ho usato l’espressione: « Vattimo è, per vari aspetti, uno che come noi sta dentro questo vuoto e in questa crisi».
Se poi fosse giusto – in questo momento, su questa questione – fare distinzioni anche tra più azzoppati e meno azzoppati o tra falsi e veri azzoppati, facciamole pure.
Che Vattimo abbia *prodotto questo vuoto* mi pare cosa da discutere. La si potrebbe dare per scontato solo mostrando in qualche modo un “pieno” o un “pieno” che si va costruendo. Quale peso dare al ruolo svolto oggi dagli intellettuali? Davvero possono orientare tanto le opinioni o incrinare i nuovi poteri costituitisi a livello mondiale?
Insomma, in base a cosa li (ci) distinguiamo?
Possono sembrare questioni oziose rispetto alla tragicità degli eventi, ma è bene chiarirle.
Gli Istraeliani non vogliono i massacri?! A meno che non siano psicopatici??? Io direi assassini, ma come ho voluto esprimere nei miei versi…la vita cambia senso e così pure la morte. La pietà…oh la pietà caro Gianmario, lasciamola da parte non s’usa più, la guerra deve continuare e poi per un po’ arriveranno romanzi , i moralisti faranno cassetta, tutto insomma porta soldi! Ma la pietà , orsù non pensiamoci neppure! qualche anno di pausa e poi si ricomincia ad assassinare, ma non parliamo di cuore,pietà ,collaborazione,aiuto . Per quanto riguarda il progetto di’islamizzazione, la guerra non è certo il miglior modo per combatterlo. Intanto pensiamo alla decadenza del nostro Paese dove l’etica è cambiata definitivamente-
Attenzione: gli Israeliani inteso come “popolo” israeliano, non certo i capi e l’esercito. Gli Israeliani con i loro estremisti sanguinari ma anche quelli che hanno sempre cercato il dialogo, che si sentono in colpa, che condannano il loro governo e pagano (duramente) per questo.
Una minoranza? certamente ma credo non piccola, ma se per uno Dio avrebbe salvato Gomorra, io chi sono se non salvo Israele in nome dei giusti di Israele?
Scusa il riferimento biblico, ma qui siamo in tema, almeno logistico. Sarebbe come a dire che in Italia tutti erano fascisti nel 1930. Io non dispero nel cambiamento: sarà molto dura ma non ci sono alternative.
Si dice che in una società democratica , votante, il popolo ha il governo che si merita…anch’io spero che non sia così.
Io ad esempio, sono quasi sicuro di NON avere il governo che mi merito… 🙂
Più che quale peso dare al ruolo degli intellettuali, io rifletterei su “quale” ruolo debbano avere gli intellettuali in questo contesto e rispetto a quali obiettivi.
Ora, io chedo che, realisticamente, l’obiettivo immediato, dal quale non si può prescindere, sia almeno il “cessate il fuoco” e immagino che tutti siamo d’accordo,
Quanto al ruolo degli intellettuali, ma io credo a un dovere più che a un ruolo, sia quello di essere critici e non entrare nel conflitto essi stessi. L’intellettuale deve essere credibile, per essere creduto e la sua credibilità viene dalla capacità di starsene in una posizione non coinvolta. Questo non significa che il cuore di un intellettuale cessi di battere o che la sua pancia non si scomponga più di tanto di fronte alle carognate, non significa che debba rinunciare alle sue simpatie politiche. Significa soltanto che non deve fare sconti a nessuno, neppure a suo padre o sua madre. Questa la sua utilità, che è quella del consigliere che non lecca il culo al re, ma non lo lecca neppure ai suoi avversari. Certo, può saltare la sua testa, come accadde a Thomas More, che non cedette a Enrico VIII non per una questione di fede, come ci fanno credere alcuni storici, ma per una questione di libertà, al di là del fatto che avesse torto o ragione. Ma chi vuole dire la verità (la sua, ben inteso) mette in conto di non essere amato se non da pochissimi, magari anche avversari, ma che come lui cercano la verità.
L’intellettuale non avrà mai successo, se dice il vero, perché la verità viene sempre in seconda battuta. E quindi non mi proporrei il dilemma di quale “parte” sostenere. O meglio, una parte c’è, ed è quella che non ha voce, quella sulla quale si scarica ogni tensione: gli innocenti. Qui di innocenti non ne vedo, di interi almeno. Di fatti a pezzi ne vedo molti e molti che lo saranno. E dunque è chiaro (a me) il mio ruolo, la mia “mission”, il mio dovere morale. Israele, Hamas, Americani, Inglesi, Arabi… affanculo. Si diano appuntamento in piazza e si sparino fra di loro, ma non si qualifichino come popolo se non fanno il bene del loro popolo e non sanno proteggere i loro cuccioli.
GRAZIE Gianmario.
Udite udite
ora l’ONU CHIEDE- L’immediato cessate il fuoco-
ma pensa un po’!
gianmario
21 luglio 2014 alle 13:01
” A spanne la conosco, la storia di Israele, dal dopoguerra in poi….”
inizia prima, Gianmario, molto molto prima….scusami, non lo preciso per metterti un voto in Storia epperò è così anche per l'”olocausto”, non inizia alla fine con le “camere a gas”.
pianificano, Gianmario…hanno pianificato ogni minimo dettaglio, poi ovviamente lo aggiustano sempre meglio, in corso d’opera (criminale) ….sanno tutto della pianificazione “politica”, come noi non siamo ancora riusciti a immaginare in modo concreto e capillare così come loro hanno voluto la nostra ignoranza e il nostro oblio.
E questa è la parte utopistica/inutile, che almeno non è proprio niente.
I sottoscritti, con il presente documento, intendono esprimere a quelle vittime che non hanno nessuna responsabilità oggettiva nel fatti che stanno ora accadendo a Gaza, a seguito della escalation del conflitto fra Israeliani e Palestinesi, il più profondo cordoglio e vicinanza solidale.
I sottoscritti chiedono ai governi di tutti i Paesi che fanno parte dell’ONU:
a) di dichiarare di assumersi come responsabilità politica e morale l’impegno per la cessazione delle ostilità fra Israele e Palestina;
b) di non fornire nessun tipo di arma ai contendenti fino alla fine delle trattative di pace;
c) di fare pressione con ogni strumento pacifico sulle autorità Israeliane e sulle autorità Palestinesi perché si arrivi a un immediato “cessate il fuoco”;
d) di attivare un corridoio internazionale per aiuti umanitari a Gaza, tutelato dall’ONU e sotto la sua responsabilità, con priorità ai bisogni materiali e psicologici dei bambini e degli adolescenti;
e) di attivare una forma di sottoscrizione pubblica e libera per finanziare tali aiuti;
f) di dichiarare l’attuale massacro di civili “crimine di guerra” sanzionabile dal diritto internazionale;
g) di sanzionare come crimine di guerra l’occupazione a scopi militari difensivi o offensivi o atti bellici contro edifici non specificamente adibiti a scopi militari, in particolar modo ospedali, luoghi di culto, scuole, strutture educative per minori, abitazioni private.
I sottoscritti, firmatari di questo documento, ritengono che la ripresa delle trattative di pace possa avvenire soltanto se le parti riconoscono reciprocamente il diritto all’esistenza e all’autodeterminazione e pertanto chiedono ai governi di fare pressione in tal senso sulle parti in conflitto e di adoperarsi subito dopo perché sia costituita una delegazione di mediatori accettati dalle parti stesse, per una ripresa realistica delle trattative.
ti dico perché, Gianmario, non sottoscriverei questo tuo documento (appello o altro che dir si voglia)…te lo dico in estrema sintesi:
-adotti un linguaggio “sindacalese” distante dal tuo stesso modo di esprimerti,
– quanto sopra rende, all’apoteosi, quella spirale fra i fatti in questione, il loro continuo ripetersi, la piaga che sono di per sé (ma soprattutto di altro che viene continuamente rimosso dall’espresso) e il non saper piu trovare parole se non le solite frasi di denuncia ed esortazione che se non sono servite, non servono giammai adesso,
se vuoi denunciare , devi chiamare le cose come stanno, visto che si tratta di ” terra rubata” e di “vite rubate” devi dirlo e devi dire chi ha “armato” israele…devi far saper al mondo che sai ormai come è andata la storia, i nomi e i cognomi degli assassini e i complici bellici e mediatici uno per uno….ovviamente, non servirà nemmeno questo tipo di denuncia, pur supportata di fatti che sono tutto l’opposto di “liberali” ,”democratici”, ” di pace”, ” di crescita”, ” umanitari” …tuttavia gli farai sapere ( e così chi aderirà al tuo manifesto) che la loro battaglia “civile” contro “il terrorismo” è una menzogna criminale più grande di quelle inventate nei secoli fino al secolo scorso, persino maggiore di quelle Hitler. Menzogna nella quale tutti gli alleati sguazzano alla grandissima (dagli affari del mercato delle armi a quello energetico, compreso il mitico nucleare su cui non si è mai visto perché mettere all’indice l’iran, quando israele ne è piena zeppa così come di armi chimiche e vedi invece con la Siria il circo criminale che c’è toccato sopportare….così pure vedi gli affari sulle rotte marine etc etc)
Un ulteriore e complementare aspetto vergognoso di questo massacro è, come fa notare Abate coi suoi versi e col link qui sopra, il servilismo della stampa, delle televisioni e dei media italiani. Non mi scandalizzo per questo, perché non è la prima volta, ma l’ennesima, che i media asserviti mostrano tutto il loro zelo, quindi mi limito a registrarlo. Ogni tanto c’è tra di loro qualche voce “ufficiale” dissonante, purtroppo bisogna andarla a cercare fuori dell’Italia, come mostra questo giornalista inglese che intervista il portavoce israeliano, tratto dal blog “L’0rizzonte degli eventi”
http://ilblogdilameduck.blogspot.it/2014/07/god-mode.html#comment-form
Parto da Vattimo per approdare ad un mio pensiero sugli ‘intellettuali’ (o sedicenti tali).
Intanto sottoscrivo in pieno – e per tale ragione lo riporto per esteso di modo che il lettore non debba perdere tempo ad andarselo a cercare – quanto Gianmario ha scritto:
* Quanto al ruolo degli intellettuali, ma io credo a un dovere più che a un ruolo, sia quello di essere critici e non entrare nel conflitto essi stessi. L’intellettuale deve essere credibile, per essere creduto e la sua credibilità viene dalla capacità di starsene in una posizione non coinvolta.
Questo non significa che il cuore di un intellettuale cessi di battere o che la sua pancia non si scomponga più di tanto di fronte alle carognate, non significa che debba rinunciare alle sue simpatie politiche. Significa soltanto che non deve fare sconti a nessuno, neppure a suo padre o sua madre.
Questa la sua utilità*.
E io aggiungerei, anche la sua pesante solitudine.
Forse è ora di finirla con gli intellettuali a cui si guarda basiti come se fossero portatori del Verbo e invece sono portatori soltanto del “Verba volant”, visto i veloci voltafaccia che spesse volte fanno senza nemmeno fare un briciolo di autocritica.
Non posso accettare che un Vattimo parli di questo ‘vuoto’, o della crisi del sistema occidentale, come se il tutto gli fosse estraneo e lui cadesse in quel momento dal pero. Se deve parlare del conflitto Hamas/Israele, parli e dica la sua. Lo ascoltiamo.
Ma sul resto abbia la decenza di tacere. Lui dov’era? Lui dov’è? E’ un filosofo, vivaddio e porcaccia la miseria, non è un operaio – o altro lavoratore – che si è rotto i sissi dal mattino alla sera – e molte volte anche dalla sera alla mattina – e che si trova a fare i conti con ‘questo vuoto’ che subisce e del quale non può andare a parlare alla “Zanzara” di turno per chiedere ragione del perché e del percome!
E non solo lui, ma nessuno di noi, che almeno cerca di portare un pensiero che sia tale, e cioè critico, nessuno di noi viene convocato – ci dica Sig. Abate, ci dica Sig. Lucini – perché non abbiamo ‘audience’, e allora siamo costretti a sposare le cose che dicono quelli che la ‘audience’ ce l’hanno e magari, e per nostra fortuna, a volte dicono anche delle cose giuste, perché non riconoscergliele.
Ma intanto assieme a delle cose giuste fanno passare, oltre che alla loro immagine di ‘fama’ (e che dà fama a quello che dicono, ipse dixit, a noi invece non ci fila nessuno) , delle stronzate tremende – sapete tutti che cosa significa ‘messaggio subliminale’ – , come quella delle Brigate Internazionali che rischiano di essere ammantate di un vago sapore romantico, di un nostalgico internazionalismo. Operazione di stravolgimento storico tipica e ben rappresentata nel film “La meglio gioventù”.
E noi, ultimi testimoni di come sono andate le cose, che fine faremo noi?
Io ho scritto “ben venga la posizione di Vattimo” né più né meno di come direi ben venga l’intervento dell’ONU (pur sapendo che sono dei ‘falsoni’), se ciò mi porta a qualche risultato.
Ma il mio pensiero nei loro confronti non può cambiare perché da parte loro non c’è stato nessun ripensamento rispetto a quel vuoto di pensiero che adesso si prendono anche il lusso di criticare.
Vattimo, se davvero intende usare l’intelletto, ha il dovere di precisare come e perché il vuoto si è creato, non sta a me dirlo, non sono un filosofo praticante. Ma cerco di leggere, di documentarmi.
Ennio, è vero, come scrive il tuo amico, che “quello che fa il fiume, non lo sa nessuno” : ma noi non ci fermiamo di fronte a ciò con atteggiamento fatalista.
I quattro pirla che danno ascolto oggi a questi intellettuali ‘di fama’ e si bevono quello che dicono non hanno memoria di nulla del passato. Tanto a che serve? Il fiume fa il suo corso!
E ascolteranno non solo loro – e quelli come loro – ma le nuove leve che costoro hanno cucciolato, i nuovi maîtres à penser che sono già pronti, con le loro ‘audience’ in miniatura, ad annacquare nelle nostre ormai dissanguate vene ogni minimo sangue di pensiero.
Non è Vattimo ad essere *il vecchio leone che ruggisce male ma tocca il nodo della tragedia medio orientale*. Caro Ennio sei tu un vecchio leone che ruggisce ormai sfiancato dalle lotte e senza tana!
E tanti altri come te.
Io simpatizzo con Lucini non perché dice le cose che penso io, ma perché vedo una dinamica nel suo modo di pensare, la disponibilità ad assumere un atteggiamento critico, anche se poi, come tutti, tende a stabilizzarsi su certi punti.
p.s. Scusate se ho abbondato in parolacce, ma dopo Santa Caterina (R. Bugliani docet) si può!
R.S.
Rita evvvaiii!
SEGNALAZIONE: APPELLO INTELLETTUALI ECC.
da http://ilmanifesto.info/solidarieta-alla-palestina-premi-nobel-artisti-e-intellettuali-chiedono-un-immediato-embargo-militare-ad-israele/
[Mi pare che “la parte utopistica/inutile, che almeno non è proprio niente” proposta da Gianmario nel suo commento del 21 luglio 2014 alle 14:31 sia presente anche in questo appello (E.A.)]
Solidarietà alla Palestina, 98 premi Nobel, artisti e intellettuali chiedono un immediato embargo militare ad Israele
— *** , 21.7.2014
Appello. Da Peres Esquivel a Brian Eno, da Rigoberta Menchù a Mike Leigh e Roger Waters: “Facciamo appello alle Nazioni Unite e ai governi di tutto il mondo ad adottare misure immediate per attuare un embargo militare totale e giuridicamente vincolante verso Israele, simile a quello imposto al Sud Africa durante l’apartheid”.
“All’instaurarsi di un rapporto di oppressione, la violenza ha già avuto inizio. Mai nella storia la violenza è partita dagli oppressi. … Non ci sarebbero gli oppressi se non ci fosse stata prima una violenza per stabilire la loro sottomissione”.Paulo Freire
Israele ha ancora una volta scatenato tutta la forza del suo esercito contro la popolazione palestinese imprigionata, in particolare nella Striscia di Gaza assediata, in un disumano e illegale atto di aggressione militare. L’assalto in corso di Israele su Gaza ha finora ucciso decine di civili palestinesi, ne ha ferito centinaia e ha devastato le infrastrutture civili, compreso quelle del settore sanitario che sta affrontando gravi carenze.
La capacità di Israele di lanciare impunemente attacchi così devastanti deriva in gran parte dalla vasta cooperazione militare e compravendita internazionale di armi che Israele intrattiene con governi complici di tutto il mondo.
Nel periodo 2008–2019, gli Stati Uniti forniranno ad Israele aiuti militari per un totale di 30 miliardi di dollari, mentre le esportazioni militari israeliane verso il mondo hanno raggiunto la somma di miliardi di dollari all’anno. Negli ultimi anni, i paesi europei hanno esportato in Israele miliardi di euro in armi e l’Unione europea ha concesso alle imprese militari e alle università israeliane fondi per la ricerca militare del valore di centinaia di milioni di euro.
Le economie emergenti come India, Brasile e Cile stanno rapidamente aumentando il commercio e la cooperazione militari con Israele, nonostante il loro sostegno dichiarato per i diritti palestinesi.
Con l’importazione da e l’esportazione verso Israele di armi, insieme al sostegno allo sviluppo di tecnologie militari israeliane, i governi del mondo stanno effettivamente inviando un chiaro messaggio di approvazione per l’aggressione militare di Israele, compresi i suoi crimini di guerra e possibili crimini contro l’umanità.
Israele è uno dei principali produttori ed esportatori mondiali di droni militarizzati. La tecnologia militare di Israele, sviluppata per mantenere decenni di oppressione, è commercializzata quale «collaudata sul campo» ed esportata in tutto il mondo.
La compravendita di armi e i progetti congiunti di ricerca militare con Israele incoraggiano l’impunità israeliana nel commettere gravi violazioni del diritto internazionale e facilitano il radicamento del sistema israeliano di occupazione, colonizzazione e negazione sistematica dei diritti dei palestinesi.
Facciamo appello alle Nazioni Unite e ai governi di tutto il mondo ad adottare misure immediate per attuare un embargo militare totale e giuridicamente vincolante verso Israele, simile a quello imposto al Sud Africa durante l’apartheid.
I governi che esprimono solidarietà con il popolo palestinese a Gaza, il quale subisce il peso del militarismo, delle atrocità e dell’impunità israeliani, devono cominciare con l’interrompere tutti i rapporti militari con Israele. I palestinesi hanno bisogno oggi di solidarietà efficace, non di carità.
Firmata:
Adolfo Peres Esquivel, Nobel Peace Laureate, Argentina
Ahdaf Soueif , Author, Egypt/UK
Ahmed Abbas, Academic, France
Aki Olavi Kaurismäki , film director, Finland
Alexi Sayle, Comedian, UK
Alice Walker, Writer, US
Alison Phipps, Academic, Scotland
Andrew Ross, Academic, US
Andrew Smith, Academic, Scotland
Arch. Desmond Tutu, Nobel Peace Laureate, South Africa
Ascanio Celestini, actor and author, Italy
Betty Williams, Nobel Peace Laureate, Northern Ireland
Boots Riley, Rapper, poet, arts producer, US
Brian Eno, Composer/musician, UK
Brigid Keenan, Author, UK
Caryl Churchill, playwright, UK
China Mieville, Writer, UK
Chris Hedges , Journalist, Pulitzer Prize 2002, US
Christiane Hessel, France
Cynthia McKinney, Politician, activist, US
David Graeber, Academic, UK
David Palumbo-Liu, Academic, US
Eleni Varikas, Academic, France
Eliza Robertson, Author,
Elwira Grossman, Academic, Scotland
Etienne Balibar, philosopher, France
Federico Mayor Zaragoza, Former UNESCO Director General, Spain
Felim Egan, Painter, Ireland
Frei Betto, Liberation theologian, Brazil
Gerard Toulouse, Academic, France
Ghada Karmi , Academic , Palestine
Gillian Slovo, Writer, Former president of PEN (UK), UK/South Africa
Githa Hariharan, Writer, India
Giulio Marcon, MP (SEL), Italy
Hilary Rose, Academic, UK
Ian Shaw, Academic, Scotland
Ilan Pappe, Historian, author, Israel
Ismail Coovadia, former South African Ambassador to Israel
Ivar Ekeland, Academic, France
James Kelman, Writer, Scotland
Janne Teller, Writer, Denmark
Jeremy Corbyn, MP (Labour), UK
Joanna Rajkowska, Artist, Poland
Joao Felicio, President of ITUC, Brazil
Jody Williams, Nobel Peace Laureate, US
John Berger, artist, UK
John Dugard, Former ICJ judge, South Africa
John McDonnell, MP (Labour), UK
John Pilger, journalist and filmmaker, Australia
Judith Butler, Academic, philosopher, US
Juliane House, Academic, Germany
Karma Nabulsi, Oxford University, UK/Palestine
Keith Hammond, Academic, Scotland
Ken Loach, Filmmaker, UK
Kool A.D. (Victor Vazquez), Musician, US
Liz Lochhead, national poet for Scotland, UK
Liz Spalding, Author,
Luisa Morgantini, former vice president of the European Parliament, Italy
Mairead Maguire, Nobel Peace Laureate, Ireland
Marcia Lynx Qualey, Blogger and Critic, US
Michael Lowy, Academic, France
Michael Mansfield, Barrister, UK
Michael Ondaatje, Author, Canada/Sri Lanka
Mike Leigh, writer and director, UK
Mira Nair, filmmaker, India
Monika Strzepka, theatre director, Poland
Naomi Wallace, Playwright, screenwriter, poet, US
Nathan Hamilton, Poet ,
Noam Chomsky, Academic, author, US
Nur Masalha, Academic, UK/Palestine
Nurit Peled, Academic, Israel
Paola Bacchetta, Academic, US
Phyllis Bennis, Policy analyst, commentator, US
Prabhat Patnaik, Economist, India
Przemyslaw Wielgosz, Chief editor of Le Monde Diplomatique, Polish edition, Poland
Rachel Holmes, Author, UK
Raja Shehadeh, Author and Lawyer, Palestine
Rashid Khalidi, Academic, author, Palestine/US
Rebecca Kay, Academic, Scotland
Richard Falk, Former UN Special Rapporteur on Occupied Palestinian Territories, US
Rigoberta Menchú, Nobel Peace Laureate, Guatemala
Robin D.G. Kelley, Academic, US
Roger Waters, Musician, UK
Robin Yassin-Kassab, Writer, UK
Roman Kurkiewicz, journalist, Poland
Ronnie Kasrils, Former minister in Mandela’s gov’t, South Africa
Rose Fenton, Director, the Free Word Centre, UK
Sabrina Mahfouz, Author, UK Saleh Bakri, Actor, Palestine
Selma Dabbagh, Author, UK/Palestine
Sir Geoffrey Bindman, Lawyer, UK
Slavoj Zizek, Philosopher, author, Slovenia
Sonia Dayan-Herzbrun, Academic, France
Steven Rose, Academic, UK
Tom Leonard, Writer, Scotland
Tunde Adebimpe, Musician, US
Victoria Brittain, Playwright and journalist, UK
Willie van Peer, Academic, Germany
Zwelinzima Vavi, Secretary General of Cosatu, South Africa
@ro
Lascia perdere il linguaggio che sarebbe “sindacalese”: ho fatti il sindacalista per 12 anni, in Italia e all’estero: ti garantisco che il sindacalese è ben altro. Questo è un linguaggio che l’avversario capisce perché è chiaro, diretto e non gira intorno alla realtà: questo mi interessa, se ci voglio dialogare.
Per il resto, io non voglio denunciare né “spiegare” al mondo come sono andate le cose: non è questo il senso. Molti lo fanno meglio di me. Non mi interessa giudicare qualcuno (non sono io la storia) ma dissociarmi da quello che fanno e chiedere di fare in un altro modo. C’è il momento di fare proclami ma non è questo il momento. Le cose che scrive il comunicato più sotto, le ho lette centinaia di volte e non ha senso scriverle ancora una volta: dei nostri pensieri e delle nostre condanne se ne sbattono allegramente le palle e hanno migliaia di intellettuali prezzolati per smontare ogni nostra tesi.
Io chiedo cose che possono capire: a) finire la strage, senza condizioni b) definire crimine di guerra la strage di Gaza (non lo accetteranno mai, ma è una questione vera e spinosa per loro, buttata lì sul piatto e voglio vedere come la eludono, come la giustificano: non possono scrivere “è un massacro” come stanno scrivendo e poi rimangiarsi tutto quando è il momento di tirare le somme: si innesca uno scoglio, che si muove almeno un dibattito su coise concrete).
Quell’appello io non lo firmerò mai, perché è troppo ideologico e ha l’obiettivo di pregiudicare e umiliare Israele. Non che non sia giusto e vero molto di quello che scrive, ma innesca troppe polemiche e con le polemiche i risultati si allontanano e tutto va a finire in caciara. Dunque non servirà a convincere ma è pensato per vincere, per innescare una escalation verbale simmetrica. E’ una ostilità di parole. Non miminteressa di apostrofare qualcuno come stronzo criminale prima di sedermi al tavolo con lui e trattare, a meno che non abbia voglia di farlo. Tattica vecchio stile, vecchissimo, mi rammenta i comunicati di quando ero studente e si occupavano le scuole, nei primi anni ’70. Leggendoli ora mi dico quanto eravamo bambocci.
Certo, quello che io ho scritto in modo asciutto, non ha questo taglio, ma di proposito. Ha un taglio pragmatico.
Ma sta tranquilla, l’ho scritto perché sono abituato a metterci la faccia nelle cose, non perché mi aspettassi che venisse recepito (e peraltro così com’è non va ancora bene).
Ecco, questo è qualcosa di concreto.
Roma, 21 luglio 2014, Nena News – Mads Gilbert, medico norvegese che lavora da molto tempo presso l’ospedale Shifa (Gaza City), già da settimane ha denunciato l’uso di armi proibite, secondo il diritto internazionale, da parte dell’esercito israeliano. Gilbert, presente nella Striscia anche durante Piombo Fuso (2008-2009), ha scritto ieri una lettera aperta come testimonianza degli orrori vissuti in questi giorni nella Striscia e come denuncia delle gravi violazioni di diritti umani subite dai palestinesi.
È stato lanciato anche un appello internazionale, pubblicato sul The Guardian, per chiedere l’embargo del commercio delle armi verso Israele. Gli ospedali sono al collasso, mancano farmaci essenziali, sacche di sangue, attrezzature per le sale operatorie, ambulanze e carburante. Il PMRS (Palestinian Medical Relief Society) ha lanciato un appello urgente di raccolta fondi e per tentare l’invio immediato di medicinali: “Stiamo raccogliendo donazioni per far entrare medicine, materiali sanitari, e altri beni di primissima necessità. Qualsiasi donazione è indispensabile per salvare la vita di vittime innocenti. All’iniziativa partecipano tutte le ONG Italiane presenti in Palestina. Tuttavia, per motivi logistici, useremo il conto di Terre des Hommes Italia come canale per la raccolta. Monte dei Paschi di Siena Ag.57 Milano IBAN: IT53Z0103001650000001030344 o Via Posta c/c postale 321208 con causale ‘Medicine Gaza’ ”.
Segue la lettera di Gilbert Mads, dall’ospedale Shifa di Gaza.
“Carissimi amici,
La scorsa notte è stata terribile. La ‘grande invasione’ di Gaza ha avuto il risultato di veicoli carichi di mutilati, di persone fatte a pezzi, sanguinanti, morenti – di palestinesi feriti, di tutte le età, tutti civili, tutti innocenti.
Gli eroi nelle ambulanze di tutti gli ospedali di Gaza lavorano a turni di 12-24 ore, grigi dalla fatica e dai carichi di lavoro disumani (tutti senza salario all’ospedale Shifa negli ultimi 4 mesi), si prendono cura delle priorità, tentano di capire il caos incomprensibile dei corpi, degli arti, delle persone umane che camminano o che non camminano, che respirano o che non respirano, che sanguinano che non sanguinano. UMANI!
Ora, ancora una volta, trattati come animali ‘dall’esercito più morale del mondo’.
Il mio rispetto per i feriti è illimitato, per la loro determinazione contenuta in mezzo al dolore, all’agonia e allo shock; la mia ammirazione per lo staff e per i volontari è illimitata, la mia vicinanza al sumud palestinese mi dà forza, anche se ogni tanto desidero solo urlare, tenere qualcuno stretto, piangere, sentire l’odore della pelle e dei capelli del bambino caldo, coperto di sangue, proteggere noi stessi in un abbraccio senza fine – ma noi non possiamo permettercelo, né lo possono loro.
Facce grigie e cineree – Oh no! Non un altro carico di decine di mutilati e di persone sanguinanti, noi abbiamo ancora laghi di sangue sul pavimento nel reparto di emergenza, pile di bende gocciolanti, che grondano sangue da pulire – oh – gli addetti alle pulizie, ovunque, allontanano velocemente il sangue e i tessuti scartati, capelli, vestiti, cannule – i resti della morte – tutto portato via… per essere preparato di nuovo, per essere tutto ripetuto di nuovo. Più di 100 casi sono arrivati a Shifa nelle ultime 24 ore. Troppi per un grande ospedale ben attrezzato con ogni cosa, ma qui – quasi nulla: elettricità, acqua, dispositivi, medicine, OR-tables, strumenti, monitors – tutti arrugginiti come se fossero stati presi da un museo degli ospedali del passato. Ma questi eroi non si lamentano. Tirano avanti in questa situazione, come guerrieri, testa in su, enormemente risoluti.
E mentre vi scrivo queste parole, da solo, in un letto, sono pieno di lacrime, le lacrime calde ma inutili di dolore e di angoscia, di collera e di paura. Questo non deve accadere!
E poi, proprio ora, l’orchestra della macchina da guerra israeliana inizia di nuovo la sua orrenda sinfonia, proprio ora: salve di artiglieria dalle navi contro le spiagge, i ruggenti F16, i droni ripugnanti (in arabo ‘Zennanis’, quelli che ronzano), e gli Apaches. Tutto fatto e pagato dagli USA.
Signor Obama – ha un cuore?
La invito – passi una sola notte – solo una notte – con noi a Shifa. Travestito come un addetto alle pulizie.
Sono convinto, al 100%, che la storia cambierebbe.
Nessuno con un cuore e con il potere potrebbe mai andare via, passata una notte a Shifa, senza essere deciso a porre fine alla carneficina del popolo palestinese.
I fiumi di sangue continueranno a scorrere la notte prossima. Ho sentito che hanno accordato i loro strumenti di morte.
Per favore. Fate quello che potete. Questo non può continuare”.
@ Gianmario
Faccio notare che la lettera del dott. Gilbert Mads è già stato pubblicatoasu questo sito:
https://www.poliscritture.it/2014/07/21/punti-interrogativi/comment-page-2/#comment-2121
@ Gianmario
E’ straziante e non basta. Cosa posso fare io?Questo mi chiedo, oltre al fatto di aver mandato un contributo. Io che odio le armi , non riesco neppure a guardare un fucile o una pistola, io che per non pensare a questa guerra telefono ad una amica e parlo d’altro altrimenti di notte no dormirei, io che scrivendo qualche verso m’illudo di poter essere utile a chi a cosa? Io che so solo piagnucolare su questi morti, io che cerco di trasformare la mia rabbia in saggezza ma pensandoci è solo voglia che tutto finisca perché è troppo difficile da sopportare una simile strage. Io io io questo io che mi fa sentire così impotente anche quando prego. Guardo la natura, gli animali e penso alla loro forza e forse a quanta compassione per noi racconterebbero se potessero parlare. Sto andando fuori tema, così tanto per non perdermi di coraggio.
@ Banfi
avere il coraggio di non dire in continuazione: io…io…io…io..
Caro Ennio,
è proprio quello che vo cercando, sempre.
SEGNALAZIONE: TANTO PER FARSI UN’IDEA: COSA PENSANO I SOSTENITORI DI NETANYAHU
Shalom7
La strana guerra «mondiale» dove Israele si gioca tutto
Non è il solito conflitto mediorientale: è un laboratorio che può rompere l’equilibrio internazionale. Netanyahu rischia la fine politica se accetterà le condizioni di Hamas
di Vittorio Dan Segre *
Nessuno degli esperti politici, storici, diplomatici, ideologici si sarebbe immaginato che la battaglia di Gaza – uno dei tanti scontri fra lo Stato di Israele e le varie formazioni armate palestinesi – si sarebbe trasformata in laboratorio delle possibili conseguenze dello scontro fra un’arma nuova e le armi vecchie della Prima e della Seconda guerra mondiale. Scontro che, come tutti i precedenti di questo tipo, potrebbe oltre che rompere l’equilibrio militare anche provocare il cambiamento dell’equilibrio politico internazionale con nuove guerre ma anche possibilità di nuovi accordi politici, giuridici e sociali.
La nuova arma difensiva è quella sviluppata da Israele. Si chiama Cupola d’Acciaio. Ha provato la sua efficienza proteggendo l’intero Paese da 11mila missili lanciati da Hamas in 13 giorni, e causando due sole perdite civili. Nessun Paese la possiede, in quanto la difesa missilistica delle grandi potenze ha puntato su razzi anti razzi a lunga portata, con lo spauracchio della bomba atomica transoceanica in testa. Il Patriot, sviluppato dagli americani che hanno largamente finanziato l’ invenzione israeliana, è servito per missili a media portata, come quelli lanciati da Saddam Hussein su Tel Aviv. La Cupola d’Acciaio ha questo di speciale: ha tre secondi – dico secondi – per agire su un razzo lanciato dal vicino di casa. Uno per identificare il missile, uno per avvertire la gente della zona che mira a colpire, uno per distruggerlo. La vecchia arma usata nella Prima e nella Seconda guerra mondiale è la fanteria – più o meno corazzata -, con il carro armato, l’aereo che non resistono al missile anche portatile. La strategia di Hamas nel corso degli ultimi vent’anni è stata di costruire città sotterranee con depositi blindati per i missili. Lo scopo dell’offensiva di terra israeliana è ora di identificarli e distruggerli.
Lo scopo di Hamas è di attirare truppe in superficie a Gaza e di ucciderne il più possibile (ha già sorpreso una colonna israeliana facendo 13 morti e 20 feriti). In gioco ci sono tre cose. Primo: la capacita di Israele di trovare questi bunker, anche a costo di spianare Gaza. Se non ci riuscisse Hamas avrebbe vinto, poco importano le perdite e le pene che infligge alla sua popolazione (fra l’altro impedisce a donne e bambini di rifugiarsi nei tunnel sotterranei, dovendo servire da scudo ai suoi soldati contro gli israeliani). L’accettazione da parte israeliana delle sue condizioni di tregua scuoterebbe il governo israeliano, dividerebbe la nazione, che vuole portare alla conclusione questa battaglia in cui Hamas l’ ha intrappolato e probabilmente segnerebbe la fine politica di Netanyahu. Secondo: anche se annunciasse vittoria, una opposizione popolare a Hamas, una resa delle sue truppe di elite, la cattura o l’uccisione dei suoi governanti, o qualche avvenimento che diminuisca il potere del Comandante supremo Al Deif, rappresenterebbe uno scacco grave anche se non definitivo per questa organizzazione alimentata dall’Iran, una conferma dell’incapacità araba, non solo palestinese, di piegare Israele. Terzo, il «voltafaccia» politico di Obama. Il presidente americano da grande sostenitore della spinta diplomatica su Israele per la creazione di uno Stato palestinese (che gli eventi dimostrano sarebbe stata la fine di Israele, con la possibilità di Hamas di piazzare i suoi missili in Cisgiordania), si è trasformato, lui pacifista fautore del dialogo come solo mezzo per la soluzione dei conflitti, in sostenitore dell’azione militare di Israele, annunciando che lo Stato ebraico non ha solo il diritto a difendersi, ma di anche di combattere sino a quando i depositi di missili di Hamas non saranno individuati e distrutti. La battaglia di Gaza continuerà come è continuata la battagliad’Inghilterra contro i bombardamenti aerei tedeschi nel 1940. Netanyahu, grande ammiratore di Churchill, fa spesso riferimenti a lui nei suoi discorsi, incitando la popolazione a restare unita e a combattere sino alla totale distruzione di Hamas. Non è una esagerazione affermare che in questo momento gli occhi del mondo sono puntati su Gaza. Se Israele vincesse, non sarebbe meno odiato di ora, specie dai media di sinistra e liberali. C’è una collusione troppo forte fra anti sionismo e antisemitismo, quello che Lenin chiamava il socialismo degli imbecilli. Se perdesse, in un mondo politico in cui le relazioni di forza non sono più fra Stati, ma fra Stati e non Stati – gruppi religiosi armati in nome di Dio, mafie, tribù etc – capaci ad esempio di sgominare con 500 uomini armati (di tank e di missili) un esercito come quello iracheno di un milione di soldati, giustificherebbe la capacità dell’Isis di mettere la società occidentale, la società cristiana in particolare (in cui induce i membri alla scelta fra la conversione all’islam, il pagamento della tassa islamica per i «miscredenti» o il taglio della gola), alla sua mercé. Si tratta di una minaccia per l’Occidente ben più grave del comunismo e dell’Urss e che ha per scopo dichiarato non solo Israele, l’America, ma anche la sede della Chiesa di Roma.
*** Pubblicato su Il Giornale 22 luglio 2014
LUGLIO 2014
Adesso arriveranno anche da Gaza
i barconi che affondano nel mare
di Sicilia affogando, fatalmente
avvisati con la telefonata
che ti dà due minuti per scappare
dal razzo che fra poco esploderà.
Una notizia come un’altra, che si ascolta
guardando la televisione mentre pranzi.
Troppo lontani e già cosi vicini,
troppo vicini eppure già lontani.
Chi fermerà l’orrore? Non fai in tempo
a imprecare con un pianto in gola
che arriva dopo pranzo il giusto sonno,
mentre ricordi il verso di una volta
fatti non foste a viver come bruti
ma per seguire virtute e conoscenza.
Di già i palestinesi son fottuti
ci siamo abituati a farne senza.
E’ come diventare sordomuti,
il male della vita è l’impotenza.
SEGNALAZIONE: IL CONSIGLIO COMUNALE DI MILANO DI FRONTE A GAZA
da Anita.Sonego@comune.milano.it
Il consiglio comunale di Milano, dopo i minuti di silenzio per
ricordare le vittime dei bombardamenti israeliani, sembra non
interessato nè sconvolto da quanto accade sulle sponde orientali del
Mediterraneo. Ieri mi è arrivato il testo di un odg presentato da Sel
e Federazione della Sinistra di Trieste in Consiglio Comunale. Ho
chiesto ai compagni di Sel di riproporlo da noi ma l’hanno trovato
inadeguato nella parte in cui si chiede il ritiro
dell’ambasciatore italiano a Tel Aviv.
Ho chiesto di scriverne uno loro. Finora non è
stato proposto alcun testo….
Di fronte al genocidio in corso e spinta da un senso di impotenza e
vergogna per il silenzio assordante delle nostre istituzioni ho deciso di
fare un gesto in consiglio comunale perchè mi sembra assurdo discutere di
bilancio mentre un popolo sta per essere annientato.
Ho perciò indossato una “pettorina” con scritto:
GAZA
+ di 500 vittime civili.
Muore 1bambino ogni 90minuti.
INDIGNAMOCI
Il centrodestra si è scatenato. Il consigliere di Forza Italia Gallera ha
steso la bandiera di Israele.
Accusavano me di essere faziosa ( non avevo nemmeno scritto che gli oltre
500 morti sono Palestinesi!) e di non parlare dei cristiani ammazzati in
Africa, degli sfollati dall’Irak… E soprattutto di non parlare degli
israeliani minacciati dai razzi di Hammas.
Io li avrei provocati impedendo di parlare del bilancio!
Anche gli amici del PD e di Sel mi hanno invitato a recedere come se avere
addosso una scritta con il numero dei morti fosse un fatto illegale che non
permetteva il normale svolgimento del Consiglio Comunale….
Il problema non è la distruzione di ospedali, scuole, case, acquedotti e,
soprattutto PERSONE! ma la mia “provocazione” che turba le anime
belle.
Alla fine, dopo un brevissimo intervento in cui ho spiegato che il mio
gesto nasceva da una scelta etica e dalla necessità di non essere complice
della distruzione di un popolo, ho deciso di togliermi la “pettorina” e di
accettare la proposta del capogruppo del PD di fare un minuto di silenzio.
Ovviamente penso che sia assolutamente grave che NESSUNO si sia espresso
per la legittimità del mio gesto che non andava contro nessuna regola
formale del Consiglio Comunale.
Non ho parole! E non riesco a capire cosa sia successo alla così detta
sinistra…i valori del neoliberismo, l’egoismo proprietario,
l’individualismo e il senso di ineluttabilità di fronte alle ingiustizie
che si ritiene di non poter contestare hanno corrotto le coscienze fino a
questo punto?
Altro che ” Cambiare si può”! Qui sta imperando il “si salvi
chi può” e chi non può salvarsi ..peggio per lui..
Condivido con voi questo mio senso di impotenza e spero in un sussulto
morale della ” società civile” che , sola, potrebbe smuovere
questa ‘morta gora’ in cui siamo immersi.
Con profondo dolore, Anita
Un minuto di silenzio?!?!?! Qui ci vuole un URLO!!!
Peccato origginale
Che ce potemo fa’? Semo impotenti
si doppo un sacco d’anni in Palestina
c’è ancora n’antra stragge d’innocenti
che manco Erode uguale la combina.
Stanno a guardà da sempre li Potenti
che co le mani dietro de la schina
mai t’hanno smosso paja ch’antrimenti
da mo ch’era finita sta ruvina.
De resto nun ce so’ interessi in gioco.
Pell’Usa nun c’è odore de benzina,
l’Europa de ventotto conta poco,
la Russia sta impicciata in Ucraina
‘ndo’ c’è chi a n’aroplano ha fatto foco.
Ciavemo tutti l’anima assassina.
Sulla difficoltà di dire di Gaza in poesia (2)
di Ennio Abate
Non volete
nemmeno osservare le piccole persone
che stridono sotto le nostre scarpe?
Come l’agonizzante diventa un sasso lo sapete.
Come si butta via
Die Leiche il cadavere spezzato l’avete visto.
(F. Fortini, Perché alla fine…
da Paesaggio con serpente, p. 266,
Versi scelti (1939-1989), Einaudi 1990)
I
Sempre discutere. Ma la gente e i poeti non vollero più discutere.
La vita, la poesia, non è discussione, dicevano.
E la folla andava per le strade in silenzio.
E la poesia per boschi, per amori e per primordi.
Sempre andava la poesia coi suoi linguaggi lievi e giovani
intraducibili nei pesanti e gracchianti della politica.
In Occidente erano di moda i linguaggi della leggerezza.
E leggeri erano divenuti gli stessi detti degli uomini lupi
che allenavano giovani lupissimi all’esercizio del terrore e del progresso.
Oh, come carezzevoli le ombre delle parole poetiche!
Oh, come mordevano con dolci menzogne i lupi della politica!
II
Solo pochi, che in epoca più azzurra erano stati alleati dei poeti liberi
ed epigoni avevano visto frantumarsi il secolo della Grande Causa,
guardandosi incerti e tra loro sospettosi volevano convincerci
che, sì, i lupi potevano mordere in altri modi o solo altri lupi.
Ma i lupi mordevano sempre duro e dappertutto e
anche i poeti e a sangue soprattutto la gente comune.
E noi come piccoli kafka dallo sguardo spaurito
ma dal cuore coraggioso passando in mezzo al branco
li sentivamo ringhiare: non servono i poeti.
Subito dopo spezzavano le braccia dei combattenti appena catturati
con un colpo secco e violavano le donne lasciandole storpiate.
III
Altri, soprattutto i giovani (poeti per forza anche loro!), mangiavano assieme ai Proci
volgendo altrove lo sguardo. «Sarà stato il vento!», rispondevano.
« Il vento?». «Sì, proprio lui».[1] Sentivano « il rumore dei passi di una giovane sposa
che cerca suo figlio e chiede guardando nell’ora che si è fermata.»[2].
«Angeli che non parlano»[2] parevano. O se parlavano
raccontavano emozioni dai polpastrelli rosei
e esclamanti seppellivano sintassi e prosa di riflessione.
Non volevano più ruminare i fatti cupi, non li volevano collegare
li sputavano subito o l’ingoiavano così come apparivano….
Cullavano le loro menti color pastello nei sogni. «Come lo amavano, il niente
quelle giovani carni»[3].
IV
Non proprio a patti coi lupi, suggerivano altri, i saggi,
ma conviverci è necessario. I lupi non c’entrano nella poesia,
non puoi capirne le mosse in poesia. Per quelle la politica.
Il duello che ti dura nel petto è d’altra epoca.
Nominarli i lupi in poesia non serve. E a che pro parlarne
se tutti stanno diventando lupi e tutti li rispettano?
Vola alto con noi, impara dai giovani Telemachi [4], vecchio.
La resistenza la fecero i padri. I poeti vennero solo dopo gli spari.
Orsù, non gingillarti coi cocci. Non lustrarli. Non depositare negli appositi spazi
il tuo «risentimento imbellettato col rossetto del marxismo-leninismo»[5].
Basta accendere lumini ai santi padri scoloriti sognando irricomponibili sintesi!
V
Sì, la poesia è «un baule senza fori d’uscita» [6], lutto di sconfitta,
catacomba di martiri veri con cuori finti scolpiti su quelli veri.
Può scavare cunicoli. Non nelle cose. Soltanto nelle parole. Può svuotarle,
mostrare la falsità della guaina che ricopre l’orrore della storia
a quanti verranno dopo e se ancora s’ostineranno a non riprodurlo.
Le cose non si spostano poeticamente. E perciò i lupi silenziosi
dappertutto comandano e stritolano popoli, non rispondendo
ad appello o invettiva, lasciandoti in questo loculo di bambagia.
VI
Sei soltanto un poeta, un servo che in mezzo ai servi, trattenuto da altri servi
agisce nel tempo occidentale che gli resta, nell’io che si ritira
e medita ansioso. Non più tra i noi che assieme combattono.
E perciò Gaza è lì spoglia, in agonia, Itaca a cui nessuno vuole o può più tornare.
*Note
1. Giuseppina Di Leo, Nel non senso (pensando a Gaza) / BOZZA
2 . Mayoor, Israele.
3. Da «E questo è il sonno…», in Composita solvantur, pag 62 Einaudi 1994
4. Remo Ceserani, La generazione Telemaco e la critica letteraria. Su due libri di Stefano Ercolino
(http://www.leparoleelecose.it/?p=15700)
5. Da un commento su LE PAROLE E LE COSE (http://www.leparoleelecose.it/?p=15700#comment-256731)
6. Espressione tratta da una mail di un amico.
Grazie, Ennio.
Non so gli altri, ma io avevo proprio bisogno di una ‘poesia’ così.
Metto ‘poesia’ tra virgolette non per sottolineare che sia altro rispetto alla poesia solitamente intesa ma per sottolineare che questo può essere il ‘modello’ (qui sì le virgolette segnalano il dubbio interpretativo, su ciò che si intende per modello) di uno stile poetico adeguato alla realtà di cui si parla.
Senza birignao.
R.S.
A proposito di lupi.
Nell’orrore infinito.
*
15 lugl. 014
Chi spezza la catena si mangia il lupo nero
se non spezzi la catena sarai tu il lupo nero.
Nero, nero, nera è la notte figlio
fredda è la pace.
Su Gaza sparano ancora.
*
Quattro bambini palestinesi
correndo sulla sabbia
sfidano la guerra giocando
sulla sabbia li abbiamo visti
rincorrersi tra di loro solo un attimo
dopo, Israele li ucciderà.
Bambini, non correte!
restate lontano dall’orizzonte.
Nel mare ci sono i missili israeliani.
Figlio, scappa!
a Gaza ci uccideranno tutti!
(17 lugl. 014)
Quinto
I
Lo fa perché Dio glielo chiede
e la Patria
e forse suo padre e sua madre
i suoi fratelli, i suoi cugini
o la paura o la rabbia,
il motore d’un tank o la gola secca
il fatto che costoro gridano e puzzano
il solo fatto che esistono e il loro
Dio ha imposto di odiare
chi non lo ama e non adora
la sua possente muscolatura.
O forse perché è soltanto un servo
e per un momento potrebbe sognarsi
re, padrone o Dio stesso
al di sopra d’ogni giudizio
col cuore leggero, senza colpa
e senza assoluzione
drogarsi ai canti della pace
da perfetto coglione integrato.
II
Non mi aggrego ai cori del rancore
perché sono stanco di pietà e d’empietà
di parole che feriscono e guariscono.
Voglio sentire l’austero silenzio dei morti di Gaza
nella caverna più crudele del dolore
starmene qui con la mia collera impotente
rigirarla adagio fra le mani
appianare ogni ruga della sua pelle
perché rimanga sempre giovane
e vigile e cosciente e mi cambi lo sguardo
nello sguardo di uno che conosce
e non può dimenticare
una collera adulta che non si agiti
al primo refolo di vento
ma stia immobile a sfidare le tempeste
che verranno
e mi insegni a prevedere
le nefandezze del potere.
Dirò soltanto che i miei occhi hanno veduto
e le mie viscere hanno tremato,
che nulla ormai vi è di segreto:
il sole nero di questo secolo
da molti anni è sorto e la sua luce illumina
la sabba intorno alla piana dell’idolo d’oro.
Mosé si attarda sul monte a pregare,
il tempo è sospeso e paziente la collera
attende.
Gigi Fioravanti scrive:
Israele ha diritto di difendersi: giusto. Ma il diritto alla difesa comprende anche il diritto alle stragi dei palestinesi? Ad ucciderne cento per uno?
Israele ha il diritto alla difesa: per questo ha costruito il Muro di protezione. Ma perché ha costruito questo muro per l’80% in terra palestinese?
Israele ha diritto ad avere uno stato: giusto. Ma i palestinesi non hanno lo stesso diritto? Perché nega a loro quello che concede a se stesso?
Se Israele ha il diritto di esistere, perché non anche la Palestina?
Israele ha diritto ad una terra in Palestina. Ma i palestinesi che in quella terra vivevano e vivono non hanno lo stesso diritto? dove devono andare?
Israele ha diritto di costruire case e insediamenti per i suoi cittadini: giusto. Ma perché costruisce questi insediamenti, queste colonie, in territorio palestinese, rubando terra e acqua ai palestinesi? Perché demolisce le case dei palestinesi? Perché i palestinesi non possono costruire sulla loro terra?
Gli israeliani hanno diritto a coltivare la terra. Ma perché sradicano gli ulivi dei palestinesi in continuazione?
Gli Israeliani hanno diritto a muoversi liberamente: giusto. Perché i palestinesi non viene concesso lo stesso diritto nei loro territori, ma vengono controllati come se fossero tutti delinquenti? Perché non possono percorrere le stesse strade degli israeliani? Perché hanno chiuso gli abitanti d Gaza per terra, per mare e per cielo in un assedio che dura da sette anni?
Quelli di Hamas sono terroristi; le stragi di civili, di bambini, compiute dall’esercito israeliano a Gaza cosa sono?
Domande che i governanti americani ed europei non fanno a quelli israeliani;
risposte che gli israeliani non danno ai palestinesi, non danno a nessuno. gigifioravanti
SEGNALAZIONE: L’orrore scorre su Facebook
23 luglio 2014, da una lettera al Manifesto di Alessandro Mezzano
Una parlamentare Israeliana: uccidete tutte le madri palestinesi. Si chiama Ayelet Shaked ed è una parlamentare Israeliana, l’animale (non esiste altro termine per definirla) che ha dichiarato sulla sua pagina Facebook:
«Devono morire e le loro case devono essere demolite in modo che non possano portare alla luce altri terroristi. Loro sono tutti nostri nemici e il loro sangue deve essere versato sulle nostre mani. Ciò vale anche per le madri dei terroristi morti».
«Loro» sono, semplicemente, i palestinesi. Anzi, le madri dei palestinesi, che hanno
la colpa di dare alle luce «piccoli serpenti», cioè neonati, che un giorno potrebbero diventare nemici. Meglio quindi ucciderle tutte, le «madri palestinesi», nel corso di un
bell’attacco via terra nella Striscia di Gaza, prima che mettano al mondo altri piccoli mostri.
Questa è stata eletta nelle file del partito religioso «casa ebraica» e fa parte del parlamento di Israele. Niente male per chi, da sempre, piange e lancia anatemi contro i responsabili dell’«Olocausto» e dimentica regolarmente il genocidio cui i Palestinesi furono vittime dei sionisti .
«Parole sanguinarie, che ancora nel 2014 hanno libero corso in un paese che dopo decenni non riesce ad ammettere di essere nato, storicamente, dal «peccato originale» della pulizia etnica contro i palestinesi, come ricorda il professor Ilan Pappe, il più importante storico israeliano.
Un genocidio avviato molto prima di Auschwitz e poi rimosso dai maggiori leader, tutti ex terroristi ricercati dalle autorità coloniali inglesi prima della seconda guerra mondiale.
SEGNALAZIONE: Angelo D’Orsi
Con la guerra di Gaza va forte il «rovescismo»
Il Manifesto, 23.7.2014
Ho trascorso la settimana in Spagna, a Malaga, a una Scuola estiva della Cattedra Unesco di quella Università. Il tema della sezione a cui ho partecipato come relatore era “L’impegno degli intellettuali”.
Seguivo, naturalmente, la notizie sempre più angosciose provenienti dalla terra martire di Palestina, constatando l’assoluta “distrazione” del ceto politico, rispetto a quei fatti di sconvolgente gravità, e il totale disinteresse, salvo pochissime eccezioni, del “mondo della cultura”.
Ricordo altre stagioni, come l’invasione del Libano e la guerra contro Hezbollah, del luglio 2006, o il bombardamento di Gaza del dicembre 2008-gennaio 2009: stagioni in cui fiorirono appelli, e la mobilitazione di professori, giornalisti, letterati, scienziati,artisti fu vivace e intensa. Si denunciavano le responsabilità di Israele, la sua proterva volontà di schiacciare i palestinesi, invece di riconoscer loro il diritto non solo a una patria, ma alla vita. Oggi, silenzio. La macchina schiacciasassi di Matteo Renzi , nel suo micidiale combinato disposto con Giorgio Napolitano, si sta rivelando un efficacissimo apparato egemonico.
L’intellettualità “democratica”, facente capo per il 90% al Pd, appare allineata e coperta. I grandi giornali, a cominciare dal “quotidiano progressista” di De Benedetti, sempre in prima linea a sostenere le nuove guerre, dal Golfo alla Jugoslavia, appaiono organismi perfettamente oliati di sostegno al governo da un canto, e di adeguamento alla politica estera decisa da un pugno di signori e signore tra Washington, Londra, Bruxelles e Berlino (Parigi, caro Hollande, ne prenda atto, non conta un fico). Della radiotelevisione non vale neppure la pena parlare; come per l’Ucraina, ora, nella ennesima micidiale aggressione israeliana a Gaza, si sono raggiunti vertici non di disinformazione, ma di semplice rovesciamento della verità. La categoria del “rovescismo”, che mi vanto di aver creato, per la storiografia iper-revisionista, va ormai estesa ai media.
E devo constatare che mai in passato si erano raggiunti simili livelli: dove sono le zone franche? Fa impressione sfogliare la balbettante Unità, che un tempo non lontano, con tutti i suoi limiti, accanto a Liberazione (defunta) e al manifesto (che resiste!), era una delle poche voci critiche nel deprimente panorama all’insegna del più esangue conformismo.
Sulle pagine del manifesto (15 luglio) Manlio Dinucci (ndr già riproposto da Ennio Abate in questo stesso post) ha spiegato bene le ragioni reali del “conflitto” in corso, e non ci tornerò. Qui mi preme piuttosto evidenziare, con sgomento, che il “silenzio degli intellettuali” è divenuto non soltanto una condizione di fatto, ma una posizione “teorica” che, accanto a quella dell’equidistanza, sta trovando i suoi alfieri. Appunto, rientrando dalla mia settimana spagnola, di intense discussioni sulla necessità di impegnarsi, a cominciare dal mondo universitario, cado dalle nuvole leggendo lacerti di pensiero che configurano la nascita di una sorta di “Partito del silenzio”.
Il silenzio non viene soltanto praticato, sia «perché dovrei espormi?», sia perché la pressione della lobby sionista è fortissima e induce a tacere se proprio non vuoi esprimere la tua gioiosa adesione alla “necessità” degli israeliani “di difendersi”. Il silenzio, oggi, a quanto pare, è divenuto una divisa, una bandiera, e una ideologia.
Quei pochi che parlano, che osano aprire bocca, premettono il riconoscimento delle ragioni di Israele e condannano in primo luogo rapimento e uccisione dei tre ragazzi ebrei, poi uccisi (si tralascia di dire che si tratta di tre giovani coloni, ossia occupanti, con la violenza dell’esercito, terra palestinese), e il lancio di razzi Kassam contro le città del Sud di Israele, e cercano poi di cavarsela con un colpo al cerchio e una alla botte. Ma attenzione, se il colpo alla botte israeliana appare troppo sonoro, ecco che si scatena l’inferno, non di fuoco come su Gaza, ma di parole.
Molto praticato il genere “commenti” agli articoli on line, per esempio: sono tutti uguali, anche se variamente dosati nel tasso di violenza verbale. Mentre un gran lavorio di informazione al contrario, di diretta provenienza da fonti israeliane, viene dispiegato dagli innumerevoli piccoli dispensatori di verità nostrani.
Per esempio un pur prudente articolo di Claudio Magris sul Corriere della Sera (17 luglio) che si permetteva di accennare alle ragioni dei palestinesi, ha ricevuto la sua buona dose di ingiurie. Non c’è che dire, il sistema funziona. E finisce per indurre al silenzio, o quanto meno alla prudenza. Che è l’altro nome del silenzio.
Ma non è questo silenzio, il silenzio del ricatto, che mi preoccupa di più. È, invece, il silenzio della scelta. Il silenzio teorizzato come terza via, tra coloro che incondizionatamente sono con Israele, e gli altri, quelli che sostengono la causa palestinese. Il silenzio come rispetto del dolore, o come via della ragionevolezza: contro gli opposti estremismi. Esemplare in tal senso Roberto Saviano, che, quasi commettendo autogol, cita Euromaidan per denunciare il tardivo schierarsi anche italiano dalla parte giusta, che per lui, ovviamente, è quella dei golpisti nazisti di Kiev. E ora, a suo dire, occorre schierarsi non con gli uni né con gli altri, ma «dalla parte della pace»: i “terroristi” di Hamas sono indicati come il primo nemico della pace, ovviamente.
È la linea (solita) di Adriano Sofri (la Repubblica, 17 luglio), altro guerriero democratico, che ripartisce torti e ragioni, equiparando i razzi di Hamas alle bombe israeliane, e invoca implicitamente silenzio, discrezione, rispetto: mette sullo stesso piano tutti. Tutte le vittime innocenti. Ma si può confondere la pietà umana, doverosa, col giudizio politico? Si può trasformare l’opinione in saggezza?
Sul medesimo giornale, Michele Serra sostiene che occorre tacere, che si devono abbassare la voce e gli occhi, davanti alla “tragedia” della guerra, lo stesso termine usato da Magris. Ma quale tragedia? Qui abbiamo la politica, e la politica ha degli attori, dei responsabili: come in passato la divisione tra vittime e carnefici è netta ed evidente (so che qualche anima bella mi accuserà di semplificare: la cosa è più complessa, non si può dividere così nettamente, ciascuna delle due parti ha un pezzo di responsabilità e via di seguito). Serra scrive: «Evidentemente il ‘ciclo dell’indignazione’ è un meccanismo logoro».
«Quello che non potrò mai perdonare ai nazisti è di averci fatto diventare come loro»Primo Levi
Dal ceto intellettuale mi aspetto assai più che l’indignazione, mi aspetto una rivolta morale: tutti, se non in perfetta malafede, oggi sanno quanta verità ci sono nelle parole di Primo Levi: «Quello che non potrò mai perdonare ai nazisti è di averci fatto diventare come loro».
Quanto bisogno avremo di sentire la sua voce risuonare, pacata e ferma, scandendo le parole, a voce bassa, ma chiarissima: «La tragedia è di vedere oggi le vittime diventate carnefici». E se questo era evidente a lui negli anni Ottanta del Novecento, cosa potrebbe mai dire oggi, davanti a quei corpi straziati di bimbi, alla vita cancellata in tutta la Striscia di Gaza, davanti a quelle macerie che occupano, quartiere dopo quartiere, isolato dopo isolato, di ora in ora, lo spazio affollato di case e persone?
Se non denunciamo le menzogne dei media, le complicità dei governi occidentali, con quello di Tel Aviv, in particolare l’oscena serie di accordi (militari, innanzi tutto) dell’Italia con Israele… Se ci consegniamo al silenzio, oggi, davanti a una ingiustizia così grave,così palese, così drammatica, quando parleremo? Insomma, non intendo tacere, e ricorrendo proprio alle parole di quel grande uomo, gridare: «Se non ora, quando?».
@ ro
La parlamentare sionista israeliana è da condannare, ma è da condannare molto di più chi ha riportato in modo distorto le sue parole, con evidenti fini di fomentare ancor di più il disgusto e l’odio. La verità prima di tutto, è quello che ci devono dire, non una deformazione della verità. Le parole (orribili, ma non come scrive l’articolo citato qui sopra), recita:
«La morale della guerra accetta non solo politicamente, ma in linea di principio, che è corretto quello che l’America fa in Afghanistan, compresi i massicci bombardamenti di luoghi abitati, che spingono alla fuga, per il terrore della guerra, centinaia di migliaia di persone per le quali non c’è più ritorno.
Questo vale sette volte di più per la nostra guerra, perché il nemico si nasconde fra la popolazione e può combattere solo perché ne è protetto. Dietro ogni terrorista ci sono dozzine di uomini e donne senza i quali non potrebbe fare niente. I sobillatori sono quelli che aizzano nelle moschee, che concepiscono programmi scolastici omicidi, che forniscono rifugi, che mettono a disposizione veicoli e tutti quelli che li onorano e li sostengono moralmente. Sono tutti combattenti ed hanno del sangue sulle mani. Questo vale anche per le madri dei martiri che li accompagnano all’inferno con fiori e baci. Dovrebbero seguire i loro figli, nulla sarebbe più giusto. Dovrebbero andarci e le loro case, dove hanno allevato i loro serpenti, dovrebbero essere annientate. Altrimenti lì cresceranno altri serpenti».
Questa è la trascrizione letterale del passo più scabroso e sciovinista di quell’intervento. Le interpretazioni che girano su internet sono atroci bufale, costruite apposta per far incazzare la gente e, a mio avviso, creare muri contro muri.
Non è così che si riuscirà a far desistere Israele dal massacro e dal comportamento criminale. La verità è la prima cosa da cercare. Accondiscendere alle bufale ciniche non porta a nulla, o meglio, porta al peggio.
Vedi anche su http://www.bufale.net/home/bufala-parlamentare-israeliana-madri-dei-palestinesi-bufale-net/#
ciao Gianmario, ti suggerisco di frequentare per quanto più puoi (ergo per quanto piu resisti) ambienti integralisti sionisti, poi con molta umanità ritorni qui o altrove a parlare e precisare le bufale
Vedi, gli ambienti sionisti non sono il mio sport. Preferisco la montagna. Quello che tu hai riportato è una bufala, a quanto leggo sul sito bufale.net ma anche su qualche altro sito dedicato, che non sono certo sionisti. Io pretendo l’onestà intellettuale anche contro i nemici e non accetto che mi si tratti come un coglione che non vuole “capire” le parole di Primo Levi o fare il negazionista. Sono stato io a scrivere che l’attacco a Gaza è un crimine di guerra. Sono stato io a dire che il governo di Israele ma non il popolo di Istaele ha dei metodi nazisti e scusami tanto se non l’ho scritto sul Manifesto o su Repubblica: non sono molto conosciuto da quelle parti. E non è vero un cazzo che gli intellettuali stanno in silenzio: gli intellettuali prezzolati se ne stanno zitti, adesso, in attesa che dalla confusione emerga, non certo per merito loro, una qualche “linea” attorno alla quale aggregarsi. Non mi frega niente degli ambienti sionisti: mi basta vedere i loro atti per giudicare, non mi interessano i loro deliri e non mi interessa commentare nessun delirio. Ma perdio l’onestà intellettuale la chiedo, proprio “in casa nostra” e non dagli altri. Se vogliamo essere diversi da loro cominciamo a comportarci in modo diverso. Io non vedo molta differenza da un delirio sionista e dal delirio che è contenuto in quella bufala: tutte e due sono merda, merdaccia neanche buona per concime.
Perciò non mi frega niente neppure di qualsiasi “linea”, politica o antipolitica o pseudopolitica. Mi piace fare i conti con i dati che ho davanti, quelli concreti però, non quelli inventati per secondi fini. Questo sto dicendo, se lo vuoi capire. Se invece vuoi che io frequenti gli ambienti sionisti per imparare qualcosa… vabbé, ho altro da fare.
Io non ho odio per Israele, non ho odio per Hamas, non ho odio per il sionismo. Ho solo orrore e disgusto. E permettimi anche un po’ di dolore per una situazione fondata sul rancore, anche se i sentimenti sono fuori moda.
In ogni caso, non è fomentando il rancore che si giungerà a una giustizia (prima della pace: la pace non ci sarà mai in ME, se non sarà fatta giustizia per i diritti di tutti coloro che ci vivono. Forse quella degli eserciti, di cui parlava Tacito commentando le battaglie contro i Daci (se ben ricordo), più o meno: ammazzarono tutti e la chiamarono pace…).
Gianmario caro, hai scelto tu , anzichè concentrarti sul nodo e i vari nodi, di fare come un Paolo Attivissimo qualsiasi, tuttavia – senza citare tecnici e tecnica del debunking e dei gatekeepers fra i quali non vorresti proprio rientrare- ti suggerisco davvero, non per semplice divertimento, svago o sport, di fare esperienza diretta e indiretta per renderti conto di persona del “linguaggio” con cui certi ambienti si esprimono, identificano e tramandano e che vengono disconosciuti dagli stessi “ebrei” (in israele e nel mondo)
@ Gianmario e @ ro
Faccio notare che un po’ dappertutto gli animi si sono accesi e infuriano più del solito le prese di posizione in cui l’ideologia prevale sulla prova documentata e sul ragionamento.
E non a caso in un mio commento (https://www.poliscritture.it/2014/07/21/punti-interrogativi/#comment-1972) avevo ripreso da Conflitti e Strategie un pezzo sulla “guerra culturale”, checi coinvolge, perché non abbiamo fonti privilegiate o dirette e dobbiamo selezionare da un mare di notizie anche spazzatura.
Nel merito delle dichiarazioni della parlamentare israeliana, esse erano state riprese in termini di denuncia scandalistica anche su MEGACHIP (qui: http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=106983&typeb=0&Parlamentare-israeliana-bisogna-uccidere-tutte-le-madri-palestinesi), ma già un commentatore aveva protestato e rimandato correttamente al “testo integrale”, invitando Giulietto Chiesa a fare informazione seria:
Riccardo Nova · Top Commentator · Conservatorio G.Verdi Milano
Comunque il testo integrale non stravolto è questo : http://carlogiuliani.fr/rifondazione-comunista/?p=11526
Giulietto, almeno voi fate informazione seria : controllate le fonti e non spargete bufale al vento http://carlogiuliani.fr/rifondazione-comunista/?p=11526
In questi giorni ho letto un po’ ovunque interventi di piatta propaganda sia filopalestinesi che filoisraeliani e li ho scartati proprio perché sono un’offesa all’intelligenza. Sto cercando di segnalare prese di posizioni serie e argomentate. Invito tutti quelli che qui intervengono a fare lo stesso. Stiamo coi piedi per terra.
SEGNALAZIONE: Giulietto Chiesa, Gaza e la guerra più grande
Gaza è parte dello scatenamento del disordine mondiale. Aggiungiamo il ‘Califfato’ del Levante. Aggiungiamo la crisi ucraina. Vediamo l’insieme
(http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=107153&typeb=0&Gaza-e-la-guerra-piu-grande)
Ci sono lettori che mi chiedono di pronunciarmi sulla tragedia di Gaza.
L’ho già fatto più volte nel corso di questa crisi.
Considero altamente probabile che il rapimento e l’uccisione dei tre ragazzi israeliani sia stato una ennesima false flag operation. Cioè un pretesto per organizzare una attacco letale contro Hamas, contro la Striscia di Gaza, contro il popolo palestinese nel suo insieme. È l’ennesima prova che Israele non ha mai voluto negoziare e che il suo obiettivo immediato è di cancellare definitivamente ogni possibilità per uno stato palestinese.
Posso solo provare cordoglio – e un acuto senso di impotenza – per la vittime innocenti, per gli oltre 500 morti già contati. Saranno molti di più, temo. Posso solo aggiungere la mia vergogna di appartenere a questo “Occidente” assassino e vile, che non sa dire nulla di fronte a un tale massacro. E che quello che dice è ipocrita e falso.
Oggi ho visto la faccia di John Kerry, indignato e sconvolto per i tredici soldati israeliani uccisi nell’invasione di Gaza.
13 fanno orrore; 500 è un numero.
Questa è la nostra superbia e la nostra illusione: che le nostre vite valgano di più venti, cento volte di più, delle loro. Verrà il tempo che dovremo pagare questa superbia.
Ma questo è solo un aspetto. Ci torno ora perché mi pare che troppi non riescono a collegare i fatti.
Ciò che accade a Gaza è un tassello del mosaico che conduce a una guerra molto più grande. Stiamo tutti molto attenti. Gaza fa parte di un’operazione di scatenamento del disordine mondiale. Aggiungiamo il “Califfato” di Iraq e Siria. Aggiungiamo la crisi ucraina.
Non perdiamo di vista il quadro. Chi muove tutte queste pedine insieme vuole andare “oltre”. L’obiettivo è la Russia. Ecco perché io occupo gran parte del mio tempo a seguire questo disastro. E l’altro obiettivo (segnatamente per Israele e l’Arabia saudita) è l’Iran. Questi due obiettivi equivalgono a un salto di qualità bellico incalcolabile.
Gaza è la cartina di tornasole di un disegno apocalittico. Muoviamoci per fermarlo.
Va bene, farò un corso accelerato di tecniche dello smascheramento e del filtraggio delle notizie, magari organizzato da un seminatore di bufale e mi metterò a seminare bufale anch’io per giungere più velocemente a una pace delle tombe. Giuliatto Chiesa scrive, nell’articolo qui sopra che solo parzialmente mi pare centrato, come analisi (spero che sia sbagliato: me lo auguro): “Gaza è la cartina di tornasole di un disegno apocalittico. Muoviamoci per fermarlo.” Su questo sono d’accordo, con qualsiasi mezzo giusto. Giusto, lo sottolineo, come ho sottolineato già dal primo intervento. Tuttavia resto del parere che le bufale sono bufale e la giustizia è la giustizia. A=A e B=B: sillogismo aristotelico. Ma se C=A e C è diverso da B, allora A è diverso da B.
Io ragiono così, all’antica. Una bufala è sempre una bufala e smascheramento è, in questo caso, riconoscerla come bufala – costruita neppure tanto in buona fede direi.
Quanto al filtraggio delle notizie, è da almeno 10 anni che ogni settimana mi arrivano notizie, rassegne stampe, ecc. ecc. sui soprusi di Israele in Palestina, diffusi dal Centro Ribogerta Menchù, che non è certo un’agenzia sionista e ai tempi di Poiein le ho molto spesso rilanciate sul sito.
Mi irrita perciò il fatto che la mia posizione sia svalutata come quella di un cretinetti che poverino mica sa tutto, il buon coglione che è stato traviato dalla cattiva informazione, che è stato indotto ad esprimere quel parere perché non si è accorto che le notizie erano truccate o selezionate. L’ultima stoccata che mi attendo, se il trend è questo, è quella di accusarmi che, nonostante io sappia tutto quello che c’è da sapere sul conflitto e le sue odierne dinamiche (non parlo mi cause: in un sistema come un conflitto le cause sono infinite. Peraltro il concetto di causa dipende anche dal modo di vedere il problema: il ricercatore spesso cerca quello che gli interessa e neppure vede qualcosa se non collima con questo interesse; è un vizio che ha persino la ricerca scientifica pura e figuriamoci se non ce l’ha una ricerca su un problema come un conflitto, che riguarda le scienze umane), nonostante questo, dicevo, è quella di venir accusato di partigianeria sionista perché mi rifiuto di accettare le bufale.
Cristo Santo, ho 61 anni ed è da una vita che ragiono su queste dinamiche. E dunque chiedo di stare nel concreto e finirla con questo atteggiamento, stare nel piatto e rispondere con argomentazioni alle argomentazioni e non con spostamenti dal generale al personale. Questo, direi, è invece mascheramento della verità. Se è così, non ho più voglia di far salotto, perché questo sarebbe.
Pane azzimo palestinese, salato di lacrime.
Non esistono vere entità ma puri interessi che si spostano per vie matematiche. La guerra appartiene ai droni delle alte sfere.
Esiste di volta in volta una sola mossa vincente, ogni altra è da escludere.
Pane azzimo palestinese, salato di lacrime.
La mossa perdente di Hamas è quella di non aver sposato la causa israeliana che prevede la pace e la sicurezza del vincente. Se Hamas fosse vincente sposerebbe la causa della pace e della sicurezza. Parlerebbero un solo linguaggio.
Questo lo sanno i nostri ministri della ex sinistra: parlano da tempo il linguaggio dei loro avversari, ma si concentrano sulla sicurezza di poter governare. La sicurezza è nei programmi vincenti. A tutti dispiace sinceramente per le vittime.
Pane azzimo palestinese, salato di lacrime.
Ci sono accordi presi che non si possono divulgare, pena la perdita del consenso acquisito grazie al paziente abbattimento della sensibilità. Una sensibilità riattivata potrebbe smuovere l’intelligenza verso obiettivi che oggi non sono ritenuti interessanti.
Ma quali sono i loro obiettivi? Eliminare tutte le forme di pensiero autonomo e indipendente che potrebbero generare disobbedienza e rallentare il progresso delle forze matematiche.
Pane azzimo palestinese, salato di lacrime.
Il pensiero è invisibile. Attiviamo forme di pensiero clandestino. Non apparire, né in petizioni pubblicamente sottoscritte, né in qualsiasi altra forma di ribellione perdente.
Il pensiero è nomade, gli israeliani questo l’hanno dimenticato. Non sanno fare altro che innalzare muri, muri dovunque. Ma è il pensiero che spartirà la terra come fosse acqua.
Pane azzimo palestinese, salato di lacrime.
Aderiamo al progresso vincente del popolo palestinese, aiutiamoli a costruire una scaltra sottomissione. Sorridiamo al carnefice.
Piantiamo alberi di ulivo sulla terra bombardata di Gaza. Allah è grande.
Pane azzimo palestinese, salato di lacrime.
@ Mayoor
“La mossa perdente di Hamas è quella di non aver sposato la causa israeliana che prevede la pace e la sicurezza del vincente. Se Hamas fosse vincente sposerebbe la causa della pace e della sicurezza. Parlerebbero un solo linguaggio. ”
Trovo di un’ambiguità preoccupante queste parole. O forse non capisco il senso più profondo che gli attribuisci.
La “pace e la sicurezza del vincente” è quella imposta al vinto. Vale cioè solo per il vincente. In altre parole è pagata dal vinto.
Se Hamas “fosse vincente” ai danni di Israele, imporrebbe agli israeliani “la pace e la sicurezza del vincente”. Ma mai contemoraneamente “parlerebbero un solo linguaggio”.
Esisterebbe sempre il linguaggio del vincitore imposto al vinto e il linguaggio del vinto disprezzato dal vincitore.
Altrettanto ambigue trovo queste parole:
“Aderiamo al progresso vincente del popolo palestinese, aiutiamoli a costruire una scaltra sottomissione. Sorridiamo al carnefice. ”
Sorridere al carnefice sarà “scaltra sottomissione” ma sottomissione resta e non vedo in essa alcun “progresso vincente”.
Ma forse interpreto male in tutti e due i casi.
(del vincente): il senso deraglia a causa della parentesi mancante. E’ un espediente creativo. Ce ne sono altri in questa poesia prosastica. Non mi va di dire che è prosa poetica perché in questo caso è la poesia che interviene sorvegliando la prosa, che è volutamente lasciata a se stessa in modo da poter dire quel che si vuole. Da qui il sospetto di ambiguità che tu giustamente rilevi, che è un’ambiguità voluta. La tua traduzione filosofica me lo conferma.
Altro espediente, simile a questo per incursiva brevità, sta nell’aggettivo “scaltra” posto prima di sottomissione. Invece il “progresso vincente” è tutto semantico, e lo si capirebbe anche se avessi relazionato senza alcun mistero. Ma si può fare poesia senza mistero e senza imprevisti? si può scrivere poesia, oggi, solo con arco e frecce? non è un po’ questo il limite della poesia “politica”?
E’ preoccupante perché contenutisticamente va provocando luoghi comuni, quindi è i n e v i t a b i l m e n t e preoccupante.
La poesia tratta della disparità del linguaggio politico, tra il tono rivendicativo e vendicativo di Abele, il palestinese, e quello precauzionalmente difensivo di Caino, l’israeliano. E porto l’esempio dei “nostri ministri della ex sinistra (che) parlano da tempo il linguaggio dei loro avversari, ma si concentrano sulla sicurezza di poter governare. La sicurezza è nei programmi vincenti. A tutti dispiace sinceramente per le vittime (altra incursione poetica). Tutto questo manca nel linguaggio di Hamas.
Un’incursione è anche l’aggettivo “scaltra” posto prima di sottomissione. Cioè l’assoggettarsi strategico, che non è del vinto, anzi è del vincente agli occhi del mondo, esattamente come fu per Abele, che ne morì consegnando l’assassino al giudizio della storia. E’ una posizione discutibile, ne convengo, ma dati i rapporti di forza, anziché urlare, che è il tono di chi soccombe, sarebbe meglio adottare il linguaggio forte “del giusto”. Bada, solo il linguaggio, per dire che ci si sta legittimamente difendendo, difendendo la popolazione, anziché continuare a sostenere che Hamas vincerà (non ti ricorda, Ennio, “il popolo è unito e vincerà”? e non ti fa pensare a com’è andata?).
“Sorridiamo al carnefice. Piantiamo alberi di ulivo sulla terra bombardata di Gaza.” Mentre “Allah è grande”, a mio modo di vedere, diventa qui un puro verso poetico (incursivo). Che vorrebbe essere solidale e di incoraggiamento.
Atrocità e pensiero
null’altro nel nostro stare qui
come barca nella burrasca
senza remi senza forza
Stiamo qui a leggere parole
scontri nati e buttati là
dove lo schermo
non fa giustizia
dove non senti odore di sangue
resti a leggere dell’uomo
di quell’essere pensante che piano piano
se ne va.
Ciao emy
…da questa guerra Madre Coraggio,
Israele,
falsamente protettiva dei suoi figli
vuol trarre vegognoso vantaggio…
Ma non c’é traccia di Kattrin
la tamburina muta
l’eroina dei bambini
che perse la vita
per salvare quelle di un intero villaggio…
Il campo di battaglia
alla fine
sarà uno solo
senza confine
Decalogo sionista
per i morti di Gaza
I
Il mio Dio è solo mio
e non lo condividerò con alcuno;
il Dio è nostro
è un Dio degli eserciti
s’annuncia con squilli di tromba
e le mura sono frantumate
vi parla da un elicottero
sgombrate
perché il fuoco cadrà dal cielo
fra un minuto e mezzo
forse due.
II
Non lo chiameremo invano
ma scriveremo il suo nome
sulla fusoliera dei nostri caccia
sibilerà dai droni in un fiato di missili
a emulare il suo fiato.
Non lo chiameremo
non chiederemo il suo parere ma Egli
sappiamo, lo vuole.
III
Quando rideremo per la vittoria e piangeremo
trentadue soldati morti
santificheremo la nostra festa
per Lui tuoneranno le orchestre
Il Dio sconfitto è un’onta
per i suoi stolidi seguaci
e dunque non sarà che sia il nostro
anche se figli di Abramo.
Il nostro Dio ci chiamerà alla festa
sazio di prodigi.
La ragione sta soltanto
nella vittoria.
IV
I nostri padri e le nostre madri
ci hanno plasmato nei secoli
ci hanno plasmato nel crogiolo
e siamo oro puro, siamo
il sangue che sgorga dal fiume della storia
da sotterra dopo due millenni o forse
il Messia infine s’annuncia
e spazzerà ogni malvagio con un gesto
della sua mano terribile.
Piangono i loro padri e non sanno dove andare
non sanno come evitare la collera
del nostro Dio
le loro madri gravide di vipere
pasciute nell’odio
gridano e gridano
– non sanno far altro che gridare
e fare vipere di figli.
V
Ho ammazzato ma ho ammazzato chi ammazzava
e dunque sono lieve come un rondò mozartiano.
Non mi dispiace il nuvolo di polvere
che vedo sul monitor di servizio
dopo il lancio del missile.
Ogni cosa è fatta secondo le regole
ogni giustificazione ci è data
non ci resta che premere bottoni
valutare lo scempio annunciare
al mondo con orgoglio ma professionali
che l’obiettivo è stato raggiunto e
la locuzione d’occasione
“ci dispiace per le vittime
innocenti”.
Il resto sono chiacchiere che il tempo
da sempre ha cancellato.
VI
Non dovreste fornicare
fare troppi figli:
già lo sapete che il futuro
è degli eletti ed è crudele
seminare sangue perché sangue sia raccolto.
VII
Ho rubato soltanto quel ch’era mio
dai secoli dei secoli.
Quando Dio ricondusse i dispersi
ci sembrò di sognare
ci tornò il sorriso alle labbra
capimmo ch’era la nostra ora
riconquistammo la rocca di Sion
venimmo a piangere sul cadavere del Tempio.
Milioni di cadaveri il nostro tributo:
tanto pesano le pietre
tanto pesa il sangue versato.
VIII
Non è spergiuro infrangere i patti
se occhio è per occhio e dente
per dente, non è menzogna
quel che l’occhio vuole vedere.
Abbiamo soltanto giurato che il mostro
è immenso e minaccioso:
abbiamo soltanto giurato
la nostra verità
o la nostra paura.
IX
Che tengano le loro donne nascoste
in bendaggi di tomba o le esibiscano
nella colpevolezza del dolore
questi sacchi che camminano, queste obese
capre che belano disperazione:
siamo stanchi dei loro lamenti
e dei pugnali nascosti
siamo stanchi dei loro ventri
che partoriscono vipere.
X
Non abbiamo desiderio per ciò che ci appartiene,
ce lo prendiamo poco a poco
di giorno sotto gli occhi dei cronisti.
Ogni cosa va programmata
minuziosamente calcolata.
Ogni muro va posizionato nel giusto limite
fra mito e tragedia
fra quello che è stato e quello
che pare giusto sia.
Premiata macelleria di Stato israeliana
dal 1948
In luglio 2014
a Gaza
in 17 giorni
oltre 750 palestinesi, per 80% civili
SEGNALAZIONE: Alessandro Del Lago, Nessuno vuole davvero fermare Israele
http://ilmanifesto.info/nessuno-vuole-davvero-fermare-israele/
La striscia di Gaza è martirizzata da tredici anni, dall’inizio della seconda Intifada. Periodicamente Israele, in risposta ai lanci di razzi, al rapimento di un soldato o all’uccisione di giovani coloni, scatena offensive (dai nomi fantasiosi o truci, come “arcobaleno” o “piombo fuso” ecc.) dal cielo, dal mare e a terra.
Dall’inizio del millennio, sono morti circa 6.400 palestinesi e poco più di 1000 israeliani, senza dimenticare le centinaia di palestinesi vittime della guerra civile tra Hamas e Anp. Ogni volta, gli strateghi israeliani giurano che il conflitto in corso sarà l’ultimo, ma chiunque nel mondo sa che si tratta di una favola. Anche se la striscia di Gaza – una fascia costiera abitata da una popolazione pari a quella della Liguria, ma con una superficie quindici volte più piccola – fosse completamente ridotta in macerie, qualche razzo potrebbe essere ancora sparato e quindi il conflitto riprenderebbe…
Per comprendere il senso di una guerra apparentemente infinita, basta confrontare le carte della Palestina nel 1946 e oggi. Se allora gli insediamenti dei coloni ebrei erano una manciata, soprattutto nel nord, oggi è esattamente il contrario: una spruzzata di insediamenti palestinesi circondati da Israele e dai suoi coloni, con la striscia di Gaza isolata a sud-ovest. Non ci vuole molta fantasia per comprendere che la strategia di Israele, in nome di una sicurezza assoluta di cui non potrà mai godere, è quella di cacciare più palestinesi possibile, con le infiltrazioni dei coloni in Cisgiordania e con le azioni militari a Gaza.
Rapporti pubblicati da Human Rights Watch, agenzie Onu e Amnesty International mostrano ormai, senza possibilità di dubbio, che lo sradicamento dei palestinesi è perseguito con l’espulsione dalla terre coltivabili, l’interruzione periodica dell’energia elettrica e il blocco delle risorse idriche. D’altronde che l’esercito considerato il più “professionale” al mondo rada al suolo scuole gestite dall’Onu e uccida soprattutto civili la dice lunga sulla vera strategia di Israele verso i palestinesi.
Mai come oggi, i palestinesi di Gaza sono stati così soli. Hamas non gode della protezione dell’Egitto, a come ai tempi di Morsi, né della simpatia dei sauditi e di quasi tutti gli stati arabi. Né riceve vera solidarietà da parte di Abu Mazen. E, ovviamente, in quanto organizzazione ufficialmente definita “terrorista”, è avversata da Stati Uniti ed Europa. Ma tutto questo non spiega, né tanto meno giustifica, il silenzio ipocrita dei governi occidentali e tanto meno della cosiddetta opinione pubblica indipendente sulle stragi di Gaza.
Lasciamo stare il nostro Presidente del consiglio e l’ineffabile ministro Mogherini, la cui ascesa spiega perfettamente il ruolo trascurabile della politica estera nella cultura governativa italiana. Ma che dire dell’incredibile squilibrio politico e morale nella valutazione ufficiale del conflitto?
Basti pensare che un B.-H. Lévy, l’eroe della fasulla rivoluzione libica e il mestatore di Siria, da noi passa come un profeta della pace e della giustizia. Che centinaia o migliaia di imbecilli, in Europa o altrove, trasformino il conflitto tra palestinesi e stato d’Israele in una crociata antisemita non può essere usato come un alibi per chiudere gli occhi davanti alle stragi di bambini e di civili. In questo quadro, la palma dell’ipocrisia va al governo americano, e in particolare a Obama, che pure aveva illuso il mondo all’inizio del suo primo mandato.
La banale verità è che la differenza tra democratici e repubblicani in materia di Palestina è semplicemente di stile. Brutalmente filo-israeliani quelli della banda Bush, preoccupati un po’ più delle forme della repressione gli obamiani, come dimostrano i famosi fuori-onda di Kerry.
Ma nessuno ha veramente intenzione di fermare Israele, oggi o mai. La solitudine dei palestinesi è la vergogna del mondo, dell’occidente come dei padroni del petrolio. Per non parlare di un’Europa inetta e imbelle.
SEGNALAZIONE: Manlio Dinucci, La «soluzione» per Gaza
Il segretario-generale dell’Onu Ban Ki-moon, all’ombra del segretario di stato Usa John Kerry di cui apprezza il «dinamico impegno», sta cercando a Gerusalemme il modo di «porre fine alla crisi di Gaza». Sembra però ignorare che qualcuno l’ha già trovato. Il vicepresidente della Knesset, Moshe Feiglin, ha infatti presentato il piano per «una soluzione a Gaza».
Esso si articola in sette fasi. 1) L’ultimatum, dato alla «popolazione nemica», cui viene intimato di abbandonare le aree in cui si trovano i combattenti di Hamas, «trasferendosi nel Sinai non lontano da Gaza». 2) L’attacco, sferrato dalle forze armate israeliane «attraverso tutta Gaza con la massima forza (e non con una sua minuscola frazione)», colpendo tutti gli obiettivi militari e infrastrutturali «senza alcuna considerazione per gli scudi umani e i danni ambientali». 3) L’assedio, simultaneo all’attacco, così che «niente possa entrare a Gaza o uscire da Gaza». 4) La difesa, per «colpire con la piena forza e senza considerazione per gli scudi umani» qualsiasi luogo da cui sia partito un attacco a Israele o alle sue forze armate.
5) La conquista, attuata dalle forze armate israeliane che, dopo aver «ammorbidito» gli obiettivi con la loro potenza di fuoco, «conquisteranno l’intera Gaza, usando tutti i mezzi necessari per minimizzare qualsiasi danno ai nostri soldati, senza alcun’altra considerazione». 6) L’eliminazione, attuata dalle forze armate israeliane, che «annienteranno a Gaza tutti i nemici armati» e «tratteranno in accordo col diritto internazionale la popolazione nemica che non ha commesso malefatti e si è separata dai terroristi armati, alla quale sarà permesso di lasciare Gaza». 7) La sovranità su Gaza, «che diverrà per sempre parte di Israele e sarà popolata da ebrei», contribuendo ad «alleviare la crisi abitativa in Israele».
Agli abitanti arabi, che «secondo i sondaggi desiderano per la maggior parte lasciare Gaza», sarà offerto «un generoso aiuto per l’emigrazione internazionale», che verrà però concesso solo a «quelli non coinvolti in attività anti-israeliane». Gli arabi che sceglieranno di restare a Gaza riceveranno un permesso di soggiorno in Israele e, dopo un certo numero di anni, «coloro che accettano il dominio, le regole e il modo di vita dello Stato ebraico sulla propria terra» potranno divenire cittadini israeliani.
Questo piano non è frutto della mente di un singolo fanatico, ma di un uomo politico che sta raccogliendo crescenti consensi in Israele. Moshe Feiglin è il capo della Manhigut Yehudit (Leadership ebraica), la maggiore fazione all’interno del Comitato centrale del Likud, ossia del partito di governo. Nell’elezione della leadership del Likud nel 2012, ha corso contro Netanyahu, ottenendo il 23% dei voti. Da allora la sua ascesa è continuata, tanto che in luglio ha aggiunto alla carica di vicepresidente della Knesset quella di membro della influente Commissione affari esteri e difesa.
Esaminando il piano che Feiglin sta attivamente promovendo, sia in Israele che all’estero (soprattutto negli Stati uniti e in Canada), si vede che l’attuale operazione militare israeliana contro Gaza comprende quasi per intero le prime quattro delle sette fasi previste. Sotto questa luce, si capisce che la rimozione dei coloni israeliani da Gaza nel 2005 aveva lo scopo di lasciare alle forze armate mano libera nell’operazione «Piombo fuso» del 2008/2009.
Si capisce che l’attuale operazione «Margine difensivo» non è contingente ma, come le altre, parte organica di un preciso piano (sostenuto per lo meno da una consistente parte del Likud) per occupare permanentemente e colonizzare Gaza, espellendo la popolazione palestinese.
E sicuramente Feiglin ha già pronto anche il piano per «una soluzione in Cisgiordania».
(il manifesto, 25 luglio 2014)
SEGNALAZIONE: Chi sta vincendo tra Israele e Hamas? In esclusiva il punto di vista di Uri Avnery
da http://www.lantidiplomatico.it/dettnews.php?idx=6&pg=8431
‘Quale sarà la fine? Non ci sarà fine, round dopo round, a meno che non venga adottata una soluzione politica’
Contattato per un’intervista, Uri Avnery, noto giornalista e pacifista israeliano, fondatore del movimento pacifista Gush Shalom, ha concesso in esclusiva a L’AntiDiplomatico la pubblicazione del suo ultimo articolo, ribadendo, ancora una volta, l’inutilità di questa guerra e lanciando l’ennesimo, accorato appello alla pace.
(traduzione di Mara Carro)
Come sarebbe la storia se fosse scritta nello stile dell’operazione “Margine di protezione”?
Per esempio:
Winston Churchill era un mascalzone.
Per cinque anni ha tenuto la popolazione di Londra sotto il fuoco incessante della Luftwaffe tedesca. Ha usato gli abitanti di Londra come scudo umano nella sua folle guerra. Mentre la popolazione civile era esposta alle bombe e razzi, senza la protezione di una “cupola di ferro”, lui era nascosto nel suo bunker sotto il 10 di Downing Street.
Ha usato tutti gli abitanti di Londra come ostaggi. Quando i dirigenti tedeschi hanno avanzato una generosa proposta di pace, ha rifiutato per folli motivi ideologici. Così egli ha condannato il suo popolo ad una sofferenza inimmaginabile.
Di tanto in tanto riemergeva dal suo nascondiglio sotterraneo per farsi fotografare di fronte alle rovine per poi tornare alla sicurezza della sua tana di ratto. Ma alla popolazione di Londra diceva: “Le generazioni future diranno che questo è stato il vostro momento migliore!”
La Luftwaffe tedesca non aveva altra alternativa che continuare a bombardare la città. I suoi comandanti avevano annunciato che avrebbero colpito solo obiettivi militari, come le case dei soldati britannici o i luoghi dove si stavano tenendo le consultazioni militari.
La Luftwaffe tedesca aveva invitato gli abitanti di Londra a lasciare la città, e molti bambini sono stati effettivamente allontanati. Ma la maggior parte dei londinesi aveva assecondato l’invito di Churchill a rimanere, condannandosi così al destino di “danni collaterali”.
Le speranze dell’alto comando tedesco che la distruzione delle loro case e l’uccisione delle loro famiglie avrebbe indotto il popolo di Londra a insorgere, cacciare Churchill e la sua banda guerrafondaia, venivano dal nulla.
I londinesi, il cui odio per i tedeschi superava la logica, avevano perversamente seguito le istruzioni del codardo di Churchill. La loro ammirazione nei suoi confronti cresceva di giorno in giorno, ed entro la fine della guerra era diventato quasi un dio.
Una statua di Churchill si trova ancora oggi di fronte al Parlamento a Westminster.
Quattro anni più tardi la situazione era diversa. Le forze aeree britanniche e americane bombardavano le città tedesche, distruggendole completamente. Non era rimasta pietra su pietra, palazzi gloriosi erano stati appiattiti, tesori culturali erano stati distrutti. “Civili non coinvolti” erano stati spazzati via, bruciati a morte o semplicemente scomparsi. Dresda, una delle più belle città d’Europa, è stata completamente distrutta nel giro di poche ore da una “tempesta di fuoco”.
L’obiettivo ufficiale era quello di distruggere l’industria bellica tedesca, ma questo obiettivo non è stato raggiunto. Il vero obiettivo era quello di terrorizzare la popolazione civile, al fine di indurli a rimuovere i loro capi e capitolare.
Ciò non è accaduto. Infatti, l’unica rivolta seria contro Hitler è stata organizzata da alti ufficiali dell’esercito (ed è fallita). La popolazione civile non si è sollevata. Anzi. In una delle sue diatribe contro i “piloti terrore” Goebbels ha dichiarato: “Possono distruggere le nostre case, ma non possono spezzare il nostro spirito!”
La Germania non è capitolata se non all’ultimo momento. Milioni di tonnellate di bombe non sono state sufficienti. Hanno solo rafforzato il morale della popolazione e la sua fedeltà nei confronti del Führer.
E così, per Gaza.
Tutti si chiedono: chi sta vincendo questo round?
Ma qui dovrebbe seguire un’altra domanda: chi è a giudicare?
La definizione classica della vittoria è: la parte che rimane sul campo di battaglia ha vinto la battaglia. Ma qui nessuno si è mosso. Hamas è ancora lì. Così come Israele.
Carl von Clausewitz, il teorico della guerra prussiana, ha notoriamente dichiarato che la guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi. Ma in questa guerra, nessuna delle due parti ha un qualche obiettivo politico chiaro. Quindi, la vittoria non può essere giudicata in questo modo.
Il bombardamento intensivo della Striscia di Gaza non ha prodotto una capitolazione di Hamas. D’altra parte, nemmeno la campagna di razzi di Hamas ha avuto successo. L’incredibile successo dei razzi nel colpire ovunque in Israele è stato accolto con l’incredibile successo di “Iron Dome”.
Quindi, fino ad ora, è un pareggio.
Ma quando una piccola forza di combattimento, in un piccolo territorio, raggiunge una situazione di stallo con uno degli eserciti più potenti del mondo, può essere considerata una vittoria.
La mancanza di un obiettivo politico israeliano è il risultato di un pensiero confuso. La leadership israeliana, sia politica che militare, in realtà non sa come trattare con Hamas.
Potrebbe già essere stato dimenticato che Hamas è in gran parte una creazione israeliana. Durante i primi anni dell’occupazione, quando qualsiasi attività politica in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza era brutalmente repressa, l’unico posto dove i palestinesi potevano incontrarsi e organizzare era la moschea.
A quel tempo, Fatah era considerato acerrimo nemico di Israele. La leadership israeliana demonizzava Yasser Arafat, l’arci-arci-terrorista. Gli islamisti, che odiavano Arafat, erano considerati il male minore, anche gli alleati segreti.
Una volta ho chiesto al capo dello Shin-Bet dell’epoca se la sua organizzazione aveva creato Hamas. La sua risposta: “Non li abbiamo creati. Li abbiamo tollerati.”
La situazione è cambiata solo un anno dopo l’inizio della prima intifada, quando il leader di Hamas, lo sceicco Ahmad Yassin, è stato arrestato. Da allora, ovviamente, la realtà è stata completate invertita: Fatah è ora un alleato di Israele, dal punto di vista della sicurezza, e Hamas l’arci-arci-terrorista.
Ma è vero?
Alcuni ufficiali israeliani dicono che se Hamas non esistesse, avrebbe dovuto essere inventata. Hamas controlla la Striscia di Gaza. Essa può essere ritenuta responsabile per ciò che accade lì. Essa provvede alla legge e all’ordine. Si tratta di un partner affidabile per un cessate il fuoco.
Le ultime elezioni palestinesi, tenute sotto monitoraggio internazionale, si sono concluse con una vittoria di Hamas, sia in Cisgiordania che nella Striscia di Gaza. Quando ad Hamas è stato negato il potere, lo ha preso nella striscia di Gaza con la forza e ora gode della fedeltà della grande maggioranza del territorio.
Tutti gli esperti israeliani concordano sul fatto che, se il regime di Hamas a Gaza dovesse cadere, gruppuscoli islamici molto più estremi prenderebbero il sopravvento e farebbero sprofondare la Striscia, con i suoi 1,8 milioni di abitanti, nel caos completo. Agli esperti militari questa prospettiva non piace.
Così lo scopo della guerra, se si può nobilitare come tale, non è quello di distruggere Hamas, ma di lasciarla al potere, sebbene molto indebolita.
Ma come, per l’amor di Dio, si fa a farlo?
Un modo, chiesto oggi dall’ ultra- destra al governo, è quello di occupare tutta la Striscia di Gaza.
Qui i leader militari di nuovo avanzano un’altra domanda: E poi?
Una nuova occupazione permanente della Striscia sarebbe un incubo militare. Ciò significherebbe che Israele dovrebbe assumersi la responsabilità di pacificare e nutrire 1,8 milioni di persone (la maggior parte dei quali, tra l’altro, sono i rifugiati del 1948 provenienti da Israele e i loro discendenti). Una guerra di guerriglia permanente ne deriverebbe. Nessuno in Israele vuole questo.
Occupare e poi lasciare? Facile a dirsi. L’occupazione in sé sarebbe una sanguinosa operazione. Se si adotta la dottrina “Piombo Fuso”, vorrebbe dire più di mille, forse diverse migliaia di morti palestinesi. Questa dottrina dice che se un centinaio di palestinesi devono essere uccisi per salvare la vita di un soldato israeliano, così sia. Ma se le vittime israeliane dovessero arrivare a qualche decina, lo stato d’animo del paese cambierebbe completamente. L’esercito non vuole rischiare.
Per un attimo martedì è sembrato che un cessate il fuoco fosse stato raggiunto, con grande sollievo di Benyamin Netanyahu e dei suoi generali.
Ma era un’illusione ottica. Il mediatore era il nuovo dittatore egiziano, una persona odiata dagli islamisti di tutto il mondo. Lui è un uomo che ha ucciso e imprigionato molte centinaia di Fratelli musulmani. Lui è un aperto alleato militare di Israele. Lui è un cliente della generosità americana. Inoltre, dal momento che Hamas è nata da una costola della Fratellanza musulmana egiziana, il generale Abd-al-Fatah Al-Sisi la odia con tutto il cuore, e non lo nasconde.
Così, invece di negoziare con Hamas, ha fatto qualcosa di estremamente stupido: ha dettato un cessate il fuoco a condizioni israeliane senza consultare Hamas. I leader di Hamas hanno appreso la proposta del cessate il fuoco dai media e l’hanno respinta.
La mia opinione è che sarebbe stato meglio se l’esercito israeliano e Hamas avessero negoziato direttamente. Nel corso della storia militare, i cessate il fuoco sono stati organizzati dai comandanti militari. Un lato invia un ufficiale con una bandiera bianca al comandante dell’altro lato, e un cessate il fuoco viene concordato – o meno.
Nella guerra del 1948, un breve cessate il fuoco è stato organizzato dal maggiore Yerucham Cohen e un giovane ufficiale egiziano chiamato Gamal Abd-al-Nasser.
Dal momento che questo sembra essere impossibile con gli attuali partiti, andrebbe individuato un mediatore veramente onesto.
Nel frattempo, Netanyahu è stato spinto dai suoi colleghi/rivali ad inviare truppe nella Striscia, per cercare almeno di individuare e distruggere i tunnel scavati da Hamas per mettere in atto attacchi a sorpresa sugli insediamenti di frontiera.
Quale sarà la fine? Non ci sarà fine, round dopo round, a meno che non venga adottata una soluzione politica.
Questo significherebbe: fermare i razzi e le bombe, porre fine al blocco israeliano, permettere alla popolazione di Gaza di vivere una vita normale, incoraggiare l’unità palestinese sotto un governo di unità nazionale reale, condurre seri negoziati di pace, FARE LA PACE.
Letto articolo e commenti, tutti interessanti. Segnalo a margine due cose:
1) Sul piano strategico, la posizione più forte è quella di Hamas.
a) L’obiettivo bellico dichiarato da Israele, far cessare i lanci di missili sul suo territorio, NON può essere raggiunto, neanche occupando in permanenza la stricia di Gaza, perchè richiederebbe una numerosissima guarnigione permanente che Israele non può permettersi: le mancano sia i soldi sia gli uomini.
b)Hamas ha cercato, voluto e ottenuto l’invasione delle forze terrestri israeliane per due ragioni: 1) per causare perdite agli israeliani (si rammenti che sono soldati di leva, per ogni caduto ci sono famiglie che reagiscono anche politicamente) 2) ottenere una trattativa sulla cessazione del blocco della striscia di Gaza in cambio della cessazione dei lanci di missili.
c)Ora, siccome Israele non può far cessare i lanci di missili con la forza(v. punto a) ha di fronte a sè due opzioni: I) continuare con la punizione collettiva dei civili (crimine di guerra sanzionato dal diritto internazionale), e poi ritirarsi senza aver ottenuto niente, tranne la riprovazione dell’opinione pubblica mondiale II) intavolare una trattativa con Hamas. In entrambi i casi, Israele perde, anzi ha già perso, anche se dalla eventuale trattativa Hamas non ricava nulla di solido.
d) Lascio la valutazione politica ed etica della politica di Hamas al lettore. E’ senz’altro una linea politica estrema, adottata in una situazione altrettanto estrema. Giudicata politicamente: se funziona (se gli israeliani levano il blocco a Gaza) è giustificabile, altrimenti no (secondo me non funziona, Israele e in particolare il suo governo non può permettersi una disfatta così enorme). Giudicata eticamente: la trovo terrificante. Mi ricorda il brano del “De Bello gallico” in cui, in Alesia affamata assediata da Cesare, un capo Gallo propone di uccidere i figli e gli anziani e di mangiarli per guadagnare il tempo necessario all’arrivo dei rinforzi: tanto di figli se ne possono sempre fare degli altri, mentre la libertà, una volta persa non si recupera più. In quell’occasione, i Galli non se la sentirono (e persero). Non trovandomi ad Alesia, sospendo il giudizio. Se ci fossi stato, probabilmente avrei votato contro anche io.
2) Guardate che in Ucraina si stanno consumando massacri PEGGIORI di quelli di Gaza, solo che non ne parla nessuno, e in Occidente nessuno ha un’idea sparata della situazione, mentre sulla Palestina, dài e dài, qualcosetta si sa anche qui.
Inoltre, l’importanza dello scontro in Ucraina è infinitamente maggiore sul piano storico: ci si sta giocando l’ordine del mondo per le prossime generazioni, e ci si rischia uno scontro diretto fra NATO e Russia, con eventuali funghi nucleari.
Ho iniziato a scrivere queste sette poesie, organizzate sulle sette lettere del nome Israele e utilizzando versetti tratti dalla Bibbia, nel 2006, ai tempi dell’invasione israeliana del Libano e ne ho continuato la stesura durante i giorni dell’operazione “Piombo fuso” a Gaza nel 2009.
Speravo di non dover più usare queste parole, ma di fronte all’indicibile orrore del massacro perpetrato in questi giorni dal governo israeliano, mi vedo costretto a riproporle alla vostra attenzione, sapendo che esse sono non solo espressione del nostro sdegno, ma anche, purtroppo, della nostra impotenza.
ISRAELE
Sono consapevole che molti ravviseranno, in ciò che vi apprestate a leggere, una bestemmia.
La bestemmia non è però mia.
Bestemmia è la politica del Governo dello Stato di Israele e di tutti coloro che la sostengono.
I
Il Libano arde: è tutto un fuoco
Si pervertono in pece i suoi fiumi-
Radiosi di qua uscirete -e in zolfo le sue creature
Arde la notte arde di giorno
Erba si secca fiore si piega
La terra guscio sgusciato spogliata spoglia
E spinto è il giusto nel baratro
Fonti:
I mio
S Isaia, 34, 9
R Isaia, 55, 12, 34, 9
A Isaia, 34, 10
E Isaia, 40, 7
L Isaia, 24, 3
E Isaia, 29, 21
S
Infamie l’empio diffonde
Striscia di Gaza catino di sangue
Ride il deserto e la terra spenta
Abitatori di questo mondo mai più usciranno da noi
E il nostro frutto è il vento
La luce ti darà la sua rugiada
E la terra dei puri insozzerà di crimini
Fonti:
I Isaia, 32, 6
S mio
R Isaia, 35, 10
A Isaia, 26, 18
E Isaia, 26, 18
L Isaia, 26, 12
E Isaia, 26, 10
R
I miei occhi si consumano per tanto lacrimare
Sotto le verga del suo furore
Ritta la Signora Multiforme Morte
Abita in mezzo alle nazioni non trova riposo
E m’ha circondato d’un muro perché non esca
Levatevi gridate di notte spandete come acqua il vostro cuore
E vecchi giacciono e fanciulli per terra nelle vie sotto la verga del suo furore
Fonti:
I Lamentazioni, 2, 11
S Lamentazioni, 3, 1
R mio
A Lamentazioni, 1, 3
E Lamentazioni, 7, 3
L Lamentazioni, 2, 19
E Lamentazioni, 2, 21, 3, 1
A
Iddio creò nel principio il cielo e la terra
Segno mio sarà nell’alto dei cieli un arco
Raccolte delle nuvole l’arco apparirà
Allora precipitò dagli aerei sulla terra il cielo
Ed ecco un fumo levarsi dalla terra come il fumo d’una fornace
La pianura e gli abitanti delle città e tutto ciò che cresceva sul suolo distrusse
E vide Iddio che ciò era buono
Fonti:
I Genesi, 1, 1
S Genesi, 9, 13
R Genesi, 9, 14
A mio
E Genesi, 19, 28
L Genesi, 19, 25
E Genesi, 1, 11
E
Io imploro una giustizia che non c’è
Sappiate: chi vendica la colpa ha una spada
Radici divelte sotto di lui in alto rami spezzati
Anche l’albero però ha una speranza: se è tagliato rinverdirà
E dunque si ponga io grido alla conta dei morti fine
L’uomo disteso non si rialza più
E dal suo sonno non si riscuoterà
Fonti:
I Giobbe, 19, 7
S Giobbe, 19, 29
R Giobbe, 18, 16
A Giobbe, 14, 7
E mio
L Giobbe, 14, 12
E Giobbe, 14, 12
L
Insistete non stancatevi tornate domandate
Sentinella a che punto è la notte? La notte sta per finire
Ruggito immane riempie le montagne come un popolo immenso in marcia
Ancora però l’alba non viene. Non stancatevi
E la mia casa sarà chiamata la casa di tutti i popoli
Lo zoppo di Dio tornerà a camminare diritto
E il fiore della vigna sarà tra poco grappolo maturo
Fonti:
I Isaia, 21, 12
S Isaia, 21, 11
R Isaia, 13, 4
A Isaia, 21, 11
E Isaia, 56, 7
L mio
E Isaia, 18, 6
E
I fiori sono apparsi sulla terra l’inverno è ormai passato è tempo di cantare
Sei bella amica mia come sei bella vieni a me dal Libano
Ridono i tuoi riccioli fra le guance vieni bocca di fonte
Apri amica mia o tuttabella pozzo d’acque vive che sgorgano dal Libano
E scenderemo all’alba nei vigneti a vedere se mignola la vite se è fiorito il melograno
La mandragola caccia i suoi profumi l’amore è più forte della morte
E sarà la terra per tutti promessa per tutti speranza
Fonti:
I Cantico dei cantici, 2, 12, 11, 12
S Cantico dei cantici, 1, 15 – 4, 8
R Cantico dei cantici, 1, 1 – 4, 15
A Cantico dei cantici, 5, 2 – 4, 15
E Cantico dei cantici, 6, 13
L Cantico dei cantici, 6, 14 – 8, 6
E mio
Giulio Stocchi
SEGNALAZIONE: LA POSIZIONE DI FREUD NEI CONFRONTI DEL SIONISMO (1930)
tramite Attilio Mangano su FB
Negli anni Trenta si ebbero le prime rivolte ebraiche in Palestina, ed
anche Freud, come altri ebrei noti al gran pubblico, ricevette
dall’Agenzia Ebraica Internazionale la richiesta di partecipare alla
pubblica critica verso l’autorità britannica che aveva cominciato a
limitare l’immigrazione di ebrei in quel territorio. Poco tempo dopo
l’alto dirigente sionista ricevette in risposta questa lettera di
Freud:
“Non posso fare ciò che ella mi chiede, perché non riesco a superare
l’avversione per l’idea d’imporre al pubblico il mio nome. Neanche il
momento così critico, mi sembra sufficiente a poterlo fare. Chiunque
voglia infiammare le masse di persone, credo lo debba fare con
qualcosa di esaltante, mentre la mia opinione moderata sul Sionismo
non mi consente di far nulla di simile. Approvo sicuramente i suoi
scopi, sono fiero della nostra Università di Gerusalemme, mi fa
immenso piacere la prosperità del nostro insediamento. D’altro canto,
però, io non penso che la Palestina possa mai diventare uno Stato
ebraico, né che il mondo cristiano e il mondo islamico sarebbero
disposti a vedere i loro luoghi sacri in mano agli ebrei. A mio avviso
sarebbe stato più sensato fondare una patria ebrea in una terra con
meno gravami storici. Sono però consapevole che questa mia opinione
razionale non avrebbe mai suscitato l’entusiasmo delle masse né
ottenuto l’appoggio finanziario dei ricchi. Devo tristemente
riconoscere che l’infondato fanatismo della nostra gente è in parte
colpevole di aver suscitato la diffidenza araba. Non provo alcuna
simpatia per una religiosità ebraica mal diretta, che trasforma un
pezzo di mura erodiane in cimelio nazionale, offendendo così i
sentimenti della gente del luogo. Giudichi dunque lei se io, avendo
simili opinioni critiche, possa essere la persona giusta per farsi
avanti e confortare un Popolo deluso da speranze ingiustificate”.
Lettera scritta a Vienna nel 1930 e indirizzata al Dr. Chaim
Koffler. Documento tratto dall’Archivio Freud che raccoglie i carteggi
messi a disposizione da Anna Freud ed Eredi.
Fonte: Ariel Levi di Gualdo, Erbe amare, Bonanno Editore, Acireale-
Roma, 2007, pp. 61-62
“A mio avviso sarebbe stato più sensato fondare una patria ebrea in una terra con
meno gravami storici.”
Semplice, chiara e coraggiosa l’opinione di Freud. Hai fatto bene a postarla, Ennio, perché oggi ha il significato di una interpretazione storica corretta. I fatti lo dimostrano. E un po’ avvalora il pensiero di chi, nell’incertezza di saper trovare il rimedio di una giusta soluzione, si trovi nell’imbarazzante posizione di essere tacciato di qualunquismo.
SEGNALAZIONE: UNA NORIMBERGA PER ISRAELE?
Lo storico Angelo d’Orsi sta conducendo una coraggiosa campagna contro i bombardamenti su Gaza voluti nuvamente dallo Stato d’Israele. E ho condiviso e ripreso varie volte le sue posizioni. Adesso però ha proposta questo Appello, che mi lascia perplesso (sotto una mia prima obiezione che gli ho lasciato su FB). Lo pubblico sul nostro sito per raccogliere i vostri pareri e ragionarci su assieme con mente critica (E. A.)
Angelo d’Orsi
25 luglio alle ore 22.49 •
NOI ACCUSIAMO
Noi firmatari di questo Appello, sgomenti per gli avvenimenti in corso nella “Striscia di Gaza”,
accusiamo i governanti attuali di Israele, che nei confronti del popolo palestinese stanno portando avanti una politica all’insegna dell’espansionismo coloniale, della pulizia etnica, del massacro;
noi accusiamo i precedenti governanti dello Stato di Israele, i quali hanno avviato la spoliazione della terra, dei beni, della stessa memoria di un popolo vivente nella Palestina da millenni;
noi accusiamo l’esercito israeliano, e tutti gli altri corpi armati di quello Stato, che fanno ricorso ai metodi più infami del colonialismo (quelli non a caso ereditati dal Terzo Reich), usano armi proibite dalle convenzioni internazionali, e si comportano come una forza coloniale di occupazione, trattando i palestinesi da esseri inferiori, da espellere, e quando possibile, con il minimo pretesto, da eliminare;
noi accusiamo la classe politica, imprenditoriale e finanziaria degli Stati Uniti d’America, senza il cui sostegno costante Israele non potrebbe neppure esistere, e che garantisce l’impunità di cui lo Stato israeliano gode;
noi accusiamo governi e parlamenti degli Stati aderenti all’Unione Europea, e il Parlamento e la Commissione Europea, per complicità attiva o passiva con l’espansionismo coloniale, la pulizia etnica, e massacri inferti popolo palestinese;
noi accusiamo l’ONU per la sua incapacità di bloccare Israele, di fermare la sua arroganza, di applicare le sanzioni di condanna (ad oggi 73) che nel corso degli anni sono state promulgate dal Consiglio di Sicurezza, contro Israele, in particolare quelle che impongono il rientro di Israele nei confini ante-1967 e il ritorno dei 700.000 profughi palestinesi;
noi accusiamo il sistema dei media occidentale, del tutto succube a Stati Uniti e Israele, che fornisce una volta di più una rappresentazione falsa e addirittura rovesciata della realtà, presentando l’azione militare israeliana come una “legittima difesa”, tutt’al più talora “sproporzionata”;
noi accusiamo il ceto intellettuale internazionale troppo sordo e lento davanti al massacro in atto;
noi accusiamo le autorità religiose del cristianesimo internazionale, a partire dalla Chiesa di Roma, che non riescono a dire se non qualche flebile parola “per la pace”, trascurando di dire chi sono le vittime e chi i carnefici;
noi accusiamo la società israeliana nel suo complesso che, avvelenata dallo sciovinismo e dal razzismo, mostra indifferenza o peggio nei confronti della tragedia del popolo palestinese e fa pesare una grave minaccia sulla stessa minoranza araba;
mentre esprimiamo la nostra solidarietà e ammirazione per le personalità della cultura e cittadini e cittadine del mondo ebraico che, nonostante il clima di intimidazione, condannano le infamie inflitte al popolo palestinese, noi accusiamo i gruppi dirigenti delle Comunità israelitiche sparse per il mondo che spesso diventano complici del governo di Tel Aviv, il quale è la principale fonte di una nuova, preoccupante ondata di antisemitismo, che, nondimeno, noi respingiamo e condanniamo in modo categorico, in qualsiasi forma esso si presenti. Esprimiamo il nostro più grande apprezzamento per quelle organizzazioni come la Rete “ECO (Ebrei contro l’occupazione), che svolgono il difficile ma fondamentale compito di dimostrare che non tutti gli ebrei condividono le scellerate politiche dei governi israeliani e lottano per la libertà del popolo palestinese.
Perciò noi chiediamo che il mondo si mobiliti contro Israele: non basta la pur importante e lodevole campagna BDS (“Boycott Disinvestment Sanctions”); riteniamo che si debba portare lo Stato di Israele davanti a un Tribunale speciale internazionale per la distruzione della Palestina. Non singoli esponenti militari o politici, ma un intero Stato, (e i suoi complici): il suo passato, il suo presente e il suo presumibile futuro. Se vogliamo salvare con il popolo palestinese, la giustizia e la verità, dobbiamo agire ora, fermando non solo il massacro a Gaza, ma il lento genocidio di un popolo. Noi vogliamo lottare per la pacifica convivenza di arabi, ebrei, cristiani e cittadini di qualsiasi confessione religiosa o provenienza etnica, respingendo le pretese di qualsiasi Stato “etnicamente puro”.
Noi chiediamo
UNA NORIMBERGA PER ISRAELE
25 luglio 2014
Per adesioni: info@historiamagistra.it (Nome – Cognome – Professione – Città – Stato)
* Commento mio (di E.A.)
Però come si fa a chiedere “Una Norimberga”? A me pare una richiesta storicamente equivoca e – mi permetta – inquinata da una sorta di megalomania lirico-poetica. Quella fu la resa dei conti tra i vincitori di una guerra che punendo alcuni dei vinti creavano l’esempio del Male assoluto da sbandierare poi nei decenni avvenire e coprivano così le loro malefatte non inferiori (Dresda, atomiche). Evocarla come esempio valido di giustizia mi pare un errore. Quasi quasi meglio il solito Giudizio Universale…
Ringrazio sia Attilio Mangano che Ennio Abate per la segnalazione della lettera di Freud.
Non ho commenti se non sottolineature che ci dovrebbero dare da pensare al di là del contesto specifico per cui quel documento fu stilato.
Può essere anche letto come una specie di protocollo in merito a come si pone la figura di un intellettuale che non vuole apparire a tutti i costi a dire la sua (*… non riesco a superare l’avversione per l’idea d’imporre al pubblico il mio nome…*) e ha la consapevolezza dei suoi limiti (*se io, avendo simili opinioni critiche, possa essere la persona giusta per farsi avanti e confortare un Popolo deluso da speranze ingiustificate”*).
Nello stesso tempo non si astiene dall’esprimere le sue valutazioni critiche in merito alla pericolosità delle ideologie (*un Popolo deluso da speranze ingiustificate*) e alle modalità che spesso, alla gestione di queste, si accompagnano (*Chiunque voglia infiammare le masse di persone, credo lo debba fare con qualcosa di esaltante, mentre la mia opinione moderata sul Sionismo non mi consente di far nulla di simile*).
E nemmeno evita di esprimere un suo pensiero, per quanto ostico possa essere:
a) * A mio avviso sarebbe stato più sensato fondare una patria ebrea in una terra con
meno gravami storici. Sono però consapevole che questa mia opinione
razionale non avrebbe mai suscitato l’entusiasmo delle masse né
ottenuto l’appoggio finanziario dei ricchi.*
b) * Non provo alcuna simpatia per una religiosità ebraica mal diretta, che trasforma un pezzo di mura erodiane in cimelio nazionale, offendendo così i
sentimenti della gente del luogo.*
In questi due ultimi punti, Freud ci fa toccare con mano quanto sia difficile gestire l’irrazionalità delle masse, le ideologie religiose e gli interessi finanziari.
R.S.
Rita ha ragione, ma Freud è Freud e va preso in considerazione, seriamente, qualunque cosa abbia detto, almeno così pare che sia, ma io penso cheil pensiero di questa lettera si alquanto riduttivo…direi una scappatoia.
Li Yu e i nuovi iloti
Alle genti di Gaza
“Ragazzi – disse Li Yu rivolgendosi ai suoi studenti – oggi vorrei narrarvi una pagina di storia. Avrei potuto scegliere un qualche esempio più vicino a noi, non ne mancano certo, ma come vi è ben noto credo che una qualche forma di estraniazione sia utile a liberare la mente dai preconcetti che come tarli si celano nelle dimensioni profonde del nostro sentire. Vi invito a spostarvi con la mente nell’estremo Occidente. La zona su cui fermeremo la nostra attenzione è una landa del Peloponneso, l’estrema propaggine della penisola greca. In quelle terre intorno al VII secolo prima dell’E. V. [1] convivevano due popolazioni, l’una autoctona, stanziata da tempi immemorabili, l’altra costituita da una razza bellicosa di invasori che aveva imposto il suo dominio col ferro e col fuoco. I primi erano chiamati, con un qualche accento di disprezzo, iloti, erano gli sconfitti, i servi senza diritti, i secondi erano i signori di Sparta, gli orgogliosi Lacedemoni. Le fonti testimoniano in modo irrefutabile come i Lacedemoni gestissero un potere fondato sullo sfruttamento e il terrore nei confronti dei loro servi. Di tanto in tanto avvenivano delle “spedizioni punitive”, oggi le chiameremo “azioni di polizia”, che si concludevano con il massacro di coloro che sembravano voler mettere in discussione il dominio della élite militare. Coloro che avevano osato opporsi erano non solo eliminati ma subivano una vera e propria condanna postuma, infatti si affermava che altro non erano se non “criminali”, anzi per essere più esatti “terroristi” …
Non mancarono nel corso del tempo occasionali sollevazioni. In alcuni casi nel seno degli iloti emersero gruppi capaci di stimolare lo spirito di rivolta e guidare gli sfortunati fratelli in movimenti di protesta tanto violenti quanto disperati. La disparità militare era tale da trasformare tali sollevazioni in brevi fiammate che le spade dei signori rapidamente spegnevano in un bagno di sangue.
Quello che gli iloti non sapevano – devo ammettere che le fonti tendono ad oscurare questo aspetto, ma se si legge fra le righe ciò che vi dirò pare del tutto evidente – è che gli attacchi dei Lacedemoni non avvenivano a caso, per semplice sete di sangue. Coloro che dovevano essere colpiti erano individuati con un certo anticipo e, se assieme a loro morivano tanti altri poveri contadini, donne e bambini, che vivevano una vita modestissima e senza alcuna intenzione di alzare la voce contro la loro condizione di servaggio, queste vittime “collaterali” erano considerate incidenti di percorso, perdite necessarie quanto inevitabili.
I signori di Sparta le informazioni le ottenevano con una certa facilità grazie alla collaborazione di un settore degli iloti costituito da individui relativamente benestanti, che per proteggere i loro interessi si erano trasformati, quasi senza rendersene conto, in veri e propri paladini dello status quo. Sia chiaro non che fossero dei sanguinari, animati da uno spirito violento, desiderosi di tradire e voler vedere morire i loro confratelli. Pensavano solo che il mantenimento della stabilità politica garantisse gli iloti da peggiori eccessi da parte dei dominatori. D’altronde era da generazioni che i rapporti di forza si erano consolidati e non vi era una ragionevole certezza che il quadro potesse mutare. Qualcuno fra di loro andava ripetendo l’eterna filastrocca che è servita a garantire il primato dei despoti di sempre: “Il meglio è spesso nemico del bene.”
E’ vero che gli iloti erano privi della libertà ma lavoravano le terre in modo abbastanza autonomo, il controllo dei signori di Sparta, presi nei loro giochi di guerra, non era particolarmente asfissiante e anche le tasse lasciavano di che vivere: “Cosa volere di meglio?” In questo modo il tempo passava, scandito dall’eterno ritmo delle stagioni e da qualche funesta pagina di sangue.
Questo fino a quando i Lacedemoni, che si erano andati esaurendo logorati dai loro giochi di dominio e dalla decadenza della loro società trasformata in una miserabile macchina da guerra priva di ogni legittimità se non l’arrogante affermazione del proprio diritto alla supremazia, vennero a loro volta sommersi in un’ultima pagina di sangue. Gli iloti, guidati da un capo carismatico e da una organizzazione militare vigorosa infransero il dominio dei loro aguzzini.
Non riuscirono invece ad aver ragione di quel settore di abili mediatori, pizzicagnoli ed artigiani, che avevano a suo tempo collaborato con i signori, e che con grande lungimiranza al momento opportuno si erano schierati con i rivoltosi salvando così i propri privilegi e consolidando nella nuova realtà una posizione di indiscussa eccellenza.”
Ciò detto Li Yu si fermò e prese fra le mani una tazza di tè.
Gli studenti apparivano disorientati e Yong Xuan si fece portavoce di questo sentimento: “Storie di questo tipo ne abbiamo sentite innumerevoli. Non capiamo però quale possa essere il loro significato per noi oggi. Si spieghi meglio …”
“Speravo – riprese a dire Li Yu – che fosse in qualche misura chiaro il parallelo con quello che sta succedendo in questi giorni in Medio Oriente. C’è un popolo senza terra, senza diritti, che è sottoposto, anno dopo anno da oltre settant’anni, alle violenze di una potenza regionale che ha occupato quelle terre e che utilizza lo strumento di spietate “spedizioni punitive” per mantenere il proprio illegale status di dominio. Si tratta di violenze intollerabili che vengono perpetrate grazie alla tacita acquiescenza dei padroni del mondo, quelle potenze che fanno di una presunta “legalità internazionale” lo scudo per affermare la propria supremazia. La striscia di Gaza è il luogo in cui oggi questa insultante tragedia giunge alla sua espressione più chiara. D’un lato si ha la violenza manifesta del potere dall’altro una resistenza, non priva a sua volta di momenti di ferocia irrazionale, che non accetta di sottostare all’ordine stabilito.
Il quadro da questo punto di vista sembrerebbe limpidamente privo di contraddizioni, il diritto alla libertà contrapposto alla violenza più manifesta. Ma attenzione quello che desideravo farvi notare è che questo modello logico, così lineare e astrattamente perfetto , in cui giustizia e ingiustizia appaiono divise da un confine netto, è invece fondato su presupposti assai fragili.
Solo quando fra i dominatori si affermeranno coloro che vedono l’irrazionalità di una ostentazione della forza sempre più criminale potrà fermarsi la spirale di decadenza che sta lentamente soffocando quella società sempre più violenta e alla fine destinata a percorrere una spirale autodistruttiva. Non diversamente chi combatte per la liberazione dovrà imparare a riconoscere i propri nemici non solo fra coloro che gli stanno di fronte armati ma anche nella tela di ragno che si estende alle loro stesse spalle e che si fonda su irrazionalismo, superstizione, fondamentalismo e servilismo nei confronti dell’imperialismo. Solo allora gli uni e gli altri si libereranno dalle catene del passato e quelle genti potranno avviarsi verso un nuovo avvenire emancipato da odi, guerre, violenze e forse anche dalla logica dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
Lasciatemi aggiungere che il maestro Fu-en ci ha insegnato che “le strade della storia sono lastricate di sangue”. E’ una verità terribile ma è una verità. Abbiate sempre timore di coloro che si strappano le vesti di fronte al sangue versato delle ultime “vittime innocenti” e il giorno dopo hanno tutto dimenticato, senza mai rammentarsi che le armi che hanno massacrato quelle genti sono prodotte a ciclo continuo dalle industrie del capitale e rappresentano uno fra i più grandi businnes dell’occidente imperiale. I “master of war”, di cui cantava decenni fa Bob Dylan in una sua epica ballata, hanno bisogno di veder accrescere i loro profitti ed è il numero dei morti che rafforza i loro listini di borsa.
Come negarlo? La situazione è difficile. Quella che vi ho presentato per uscire da questa tragedia è una via stretta e piena di insidie. Mi domando e vi domando però: esiste un’altra strada per liberare l’umanità da questo strascico di infiniti orrori?”
[1] Li Yu è uso palare di Era Volgare perché prova disagio a seguire la datazione introdotta dal monaco bizantino Dionigi il Piccolo notoriamente errata oltre che fondata su un presupposto ideologico che è necessario superare.
SEGNALAZIONE: JEWISH VOICE FOR PEACE
Ebrei che vogliono veramente la pace
(tramite Luigi Consonni)
Per porre fine alla violenza e per piangere sinceramente le sue vittime dobbiamo riconoscere e sfidare le cause che stanno al di sotto di questa.
Le ultime 24 ore sono state devastanti. Orribili le settimane che le hanno precedute.
Abbiamo assistito con tristezza e rabbia all’aumentare delle morti tra i bambini, al divampare della furia razzista, alla
paura della gente che in Israele come in Palestina ha raggiunto livelli intollerabili, all’intensificarsi della punizione
collettiva nei confronti del popolo palestinese.
Non possiamo attendere un istante di più per levare le nostri voci. In un momento terribile come questo dobbiamo
congiungere quello che sentiamo a quello che sappiamo.
Per favore unisciti a me nel firmare la lettera aperta che dice:
Solo ponendo fine all’occupazione e abbracciando l’eguaglianza questo terribile bagno di sangue può cessare.
La nostra incrollabile fede nella giustizia – come Ebrei e come esseri umani – ci obbliga a riconoscere che le radici di
questa violenza stanno nella scelta israeliana di posporre il benessere di Palestinesi ed Israeliani all’occupazione. Se i
nostri leaders hanno rifiutato questa verità, è nostra responsabilità proclamarla.
Così, quando raggiungeremo 18.000 firme, pubblicheremo la lettera in Haaretz e in The Forward” e chiameremo le
nostre comunità a levarsi con noi.
Solo negli ultimi due giorni dozzine di Palestinesi che non avevano alcun luogo in cui nascondersi sono stati uccisi
mentre l’intera popolazione di Gaza ha sperimentato il terrore dei bombardamenti a tappeto. Gli Israeliani hanno dovuto
sopportare la paura di non sapere mai quando e dove sarebbe caduto il prossimo missile.
Dobbiamo prendere la parola ora.
Per favore unisciti a me e firma questa urgente lettera aperta che dice che l’occupazione deve cessare. E inoltrala ai tuoi
amici così che facciano lo stesso.
Niente di tutto ciò dovrebbe accadere. Mentre piangiamo tutti coloro che sono morti, riaffermiamo che tutti i Palestinesi e
gli Israeliani meritano sicurezza, giustizia ed uguaglianza.
L’occupazione, con il sostegno militare e finanziario degli Stati Uniti, è la causa. E nega sistematicamente l’umanità degli
Arabi, valutando le vite di cittadini ebrei a spese di altre vite.
Il fanatismo anti-palestinese non è solo uno strumento politico accettabile in Israele ma è uno strumento politico potente.
Molto tempo prima di quest’ultima escalation, la vita quotidiana dei Palestinesi significava un crescente numero di
insediamenti che si impadronivano delle loro terre e delle loro case e una rete di violenza e controllo che permeava ogni
singolo aspetto della loro esistenza, semplicemente perché non sono Ebrei. La recente ed eclatante violenza contro i
Palestinesi nelle strade di Gerusalemme e altrove non ha avuto luogo nel vuoto.
Troppo è troppo. Non dobbiamo sottrarci.
Quei pochi coraggiosi Israeliani che prendono posizione contro le inumane politiche del loro governo devono sapere che
hanno il nostro sostegno. Quei Palestinesi che sono quotidianamente sotto assalto devono sapere che i nostri occhi
sono puntati su di loro.
Come parte di una vasta rete di persone in tutto il mondo abbiamo più potere di quanto immaginiamo. Ma dobbiamo
agire.
Appello : Israeliani e Palestinesi. Due popoli, un futuro
In questo tempo di tremende sofferenze e paure, da Gerusalenmme a Gaza, e da Hebron a Beersheva, riaffermiamo
che tutti gli Israeliani e i Palestinesi meritano sicurezza, giustizia e uguaglianza, e piangiamo tutti coloro che sono morti.
Il nostro incrollabile impegno per libertà e giustizia per tutti ci impone di riconoscere che questa violenza si è riversata
prevalentemente sui Palestinesi. E ci obbliga ad affermare che questa violenza ha una causa: l’occupazione illegale dei
territori palestinesi da parte di Israele.
Siamo uniti nella convinzione che:
La negazione dei diritti umani dei Palestinesi deve cessare.
La colonizzazione illegale deve cessare.
Il bombardamento dei civili deve cessare.
L’uccisione dei bambini deve cessare.
Il considerare le vite di Ebrei a spese di altre vite deve cessare.
Soltanto abbracciando l’uguaglianza per tutti i popoli questo terribile bagno di sangue potrà cessare.
Jewish Voice for Peace
(pubblicato in http://www.noisiamochiesa.org/?p=3454 il 25 luglio 2014)