di Ennio Abate
Ho saputo della morte di Tiziano Salari e il fatto m’addolora. Se penso in questo momento ad un omaggio alla sua figura, non posso trascurare la distanza dalle sue posizioni. Ebbi con lui qualche scambio di mail che presto s’interruppe. E quando uscì “Le tentazioni di Marsia. Su quel che resta da fare ai poeti e ai loro critici” (Nuova Frontiera, Salerno 2007), il pamphet scritto da lui e da Mario Fresa, fui l’unico forse tra gli intervenuti ad esprimere lealmente il mio dissenso. Tuttavia ritenni utile nel rispetto di quella loro intelligenza e passione che le tesi circolassero; e, non per mera diplomazia, essendo difficilmente reperibili nell’edizione cartacea, le ospitai assieme a vari interventi ad esse favorevoli sul sito (ora vecchio) di POLISCRITTURE (qui). A una rilettura di quelle e agli appunti critici (qui) che scrissi allora rimando oggi. E’ questo per me l’unico modo onesto di ricordare Tiziano Salari.
Letto e riletto,pensato e ripensato: non sarò mai poeta finalmente la decisione!…………………..Ma giacchè si dice mai dire mai, lascerei acceso un lumicino di speranza che col vento che tira sarà difficile tenere acceso.
Poeta affonda la tua vanga
al fondo più fondo
dove neppure Dio arriva
alla fine delle radici e oltre
e non offendere le Grandezze
quando troverai il segreto
portalo all’aria e aspetta
i ciechi vedranno
i muti parleranno
gli umili godranno
e tu con calli alle mani
stordito attento a non cadere
in quella buca di cui tu solo
conosci la faticosa fine.
Ciao poeta .Emy
@ Emilia Banfi
Nell’essenza stessa della poesia c’è qualcosa di indecente:
sorge da noi qualcosa che non sapevamo ci fosse,
sbattiamo quindi gli occhi come se fosse sbalzata fuori una tigre,
ferma nella luce, sferzando la coda sui fianchi.
Perciò giustamente si dice che la poesia è dettata da un daimon,
benché sia esagerato sostenere che debba trattarsi di un angelo.
È difficile comprendere da dove venga quest’orgoglio dei poeti,
se sovente si vergognano che appaia la loro debolezza.
Quale uomo ragionevole vuole essere dominio dei demoni
che si comportano in lui come in casa propria, parlano molte lingue,
e quasi non contenti di rubargli le labbra e la mano
cercano per proprio comodo di cambiarne il destino?
(…)
L’utilità della poesia sta nel ricordarci
quanto sia difficile rimanere la stessa persona,
perché la nostra casa è aperta, la porta senza chiave
e ospiti invisibili entrano ed escono.
Ciò di cui parlo non è, d’accordo, poesia,
perché è lecito scrivere versi di rado e controvoglia,
spinti da una costrizione insopportabile e solo con la speranza
che spiriti buoni, non maligni, facciano di noi il loro strumento.
(Czesław Miłosz, Poesie, Milano, Adelphi, 1983, p. 118 [traduzione di Pietro Marchesani])
a Ennio:
Meravigliosamente consolatoria.