Non è svalutativo il titolo sotto il quale raccolgo alcuni dei testi inviatimi negli ultimi tempi da amici/che del giro di “Poliscritture”. Da una parte mi pare ancora necessario rendere conto almeno di tanto in tanto su questo sito, come feci in passato ai tempi del “Laboratorio Moltinpoesia” (2006-2012), delle tante e disperse ricerche individuali che testardamente insistono a oltrepassare, spostare o allargare i “confini della poesia”. Dall’altra, pur simpatizzando con questo caotico “contrabbando” tra i territori della poesia e della non poesia, sempre instabili e di difficile definizione, mi pare che continui a mancare o è del tutto insufficiente l’indispensabile lavoro critico sui tantissimi testi prodotti e pubblicati (in cartaceo e ora soprattutto sul Web) e letti (distrattamente) da un pubblico di bocca buona che, non avendo più criteri validi per distinguere, ragionando e faticando, tra poesia e non poesia, consuma di tutto e tutti per qualche minuto applaude. Secondo me non resta, per ora, che mantenere la porta aperta al “contrabbando” senza però mai rinunciare al lavoro critico, fosse pure quello minimo che si può e si deve fare negli spazi commenti di questo sito. [E. A.]
Emilia Banfi
SOFFITTE
Il guscio scuro della memoria
rompe la luce di un momento di gioia
sacrifica le piccole vesti dentro il baule
e il pettine con la spazzola un capello
i guanti da ferroviere e il giubbotto
fischiava il treno ancora lento
gli occhi vedevano favole di fumo
sembrava non finisse mai il colore dei nastri
ai capelli racchiusi come tesori
Un lume da comodino una cassettina di legno
una scritta dieci e lode smunto quel lode
dentro al piumino della cipria un anello
l’odore di vecchio resta ma non fa male
sembra voler finire dentro il camino
là sì che si stava allegri vero Ful?
la tua coda sapeva quanto era bello
*
Resta sopra un coperchio sgangherato
troppe volte aperto
troppe volte richiuso.
Uno e poi un altro
Sotterriamo tutto che ne facciamo della storia
come sangue infetto viene gettata
sopra la ruggine dimenticata al sole
alla pioggia di mille primavere
sono giorni sfogliati alle parole
al protagonista dei tempi
scherzando sulla fine s’incupisce il giorno
Il lavoratore s’è perso in un sogno d’operaio
quando bastava una stretta di mano
una pasta insieme alla mensa per chiarire
il futuro senza preamboli grida forse
quelli sì bandiere annodate mai strappate
come un tesoro che nessuno ormai cerca
eppure è ancora in quel luogo dentro
ogni speranza ogni rata da pagare
nel piatto vuoto di casa oggi
Domani apriranno un nuovo supermercato
un resort per andarci col suv avanti prego
accomodatevi qui si sta bene si ride
nella conchiglia trovi un tappo
è lo spumante quello caro del Roberto
che ha lasciato la Polly ubriaca dietro una tenda
Qualcuno legge della disfatta non crede non può
resta a guardare e comincia a cercare
il tesoro dentro la casa dietro la porta
le tracce paiono chiare chiama qualcuno
e l’altro s’affaccia poi una donna una madre
un cuoco un cameriere la vedova del muratore
un bimbo dal sorriso dei bimbi
e il vento comincia a cantare una rotta la forza
di chi non riesce a capire ma sa che deve finire.
Luca Chiarei
*
E’ un come e un quando chiedi la strada
quella che avevi nella tasca e ora
si disfa e chiedimi se
andare
fino in fondo svoltare alla seconda
frase guardare podcast restare
su una panchina per
farsi dare atto
respirare anidridi atomo per atomo
e mi spiace molto ma non so più
cosa posso fare
neanche un semaforo per capire
di essersi fermati a ricordare
*
In grumi di mani salgono
su questo paese a gambe aperte lungo
nostre scorie da riciclare
lungo fili di penisola e lidi
bevono il sale che ristagna
aprono cavità dorsali
monti traversati in gallerie
sfilano
ombre su massicciate in cerca
di cavità di pietre per dormire
ora grumi umani vengono
a prenderci in testa ai binari morti
verminali a rifornirci ancora
a riscuotere caparre
*
il consumo della veste sta sotto
la barba appesa l’attrito tra le ossa
e l’aria e pavè lucidato a cera d’api
ad ogni sguardo cade un lembo
ogni giorno striscia dopo
striscia nuda fino a pelle
è la nuova lebbra essere poveri
aureola – vapore odore e nausea
per cantarne poi alla fine
nell’ombra serale
nella valle in fondo a sinistra – ancora a sinistra
dove sfigurano le orme sui prati
e non avanza luna da guardare
*
quali feste aspettiamo oggi per
la torsione cervicale e finger food
per svoltare gli occhi dall’altra parte un altra volta
video del lato scuro quello che
a gocce taglia le radici
avere acqua nelle scarpe per avere qualcosa da dire
aprire il frigo con la schiena
scaldarsi al tepore della pietra
Annamaria Locatelli
Domande per un senso
Cari grilli, perché voi avete le antennine
e noi no?
Perché il millepiedi ha tutti quei piedi
e non ha mai vinto la maratona di New York?
La luna è fissata lassù…
ma qualche volta scendi giù!
Perché i prati sono verdi e non blu?
La lumaca lenta lenta va,
una sveltita, prego, su.
Le lepre corre corre via,
ma che bisogno c’è di tanta fretta?
Tutto questo senso
non se ne può più,
arruffato è l’universo
il diritto col rovescio…
L’uomo e la sua verità,
all’inseguimento,
ma per carità!
Che turbinio, ragazzi,
finita son nel mulinello.
Fermatemi, vi prego,… le coordinate!
E arrivano trafelati-beh, si fa per dire-
due amici ghiri della “bassa”
“Signur, piangem! Ma lasa perd!”
Ora, acciambellata, riposo la terra
l’ho scampata bella
Il popolo delle monetine…
Silenzioso, dignitoso
é tra noi,
spesso l’incrocio.
L’altro giorno
nel santuario della finanza,
la banca,
entrò una giovane scura
la gonna lunga lunga…
Nella mano teneva,
debordante,
di monetine una manciata,
1-2-5 centesimi, per intendersi,
e, gentilissima,
si avvicinò alla cassa
“Son 50 centesimi… qui all’angolo
il panettiere non li ha presi,
posso avere un pezzo intero?”
E la cassiera, se avesse visto il demonio,
scattò in piedi
“Non appoggi, non appoggi…se na vada”
Chi maneggia i milioni
-non suoi, d’accordo-
crede di sporcarsi le mani con gli spiccioli…
E poi al supermercato
nonna e nipote giovinetta,
questa con un bel fiocco in testa
ma con l’aria molto mesta
la vecchia seria seria.
Tenevan due sacchetti
facevan la spesa anche per i vicini,
pane, insalata
e salame, dei più scadenti.
Totale: due euro e mezzo
scrupolosamente contati
un centesimo per volta.
La fila s’attardava, si allungava…
Tra segni di impazienza.
E poi…e poi
I poveri tra noi
I poveri siamo noi
Se fossi una poeta
un vero poeta
un poeta da ascoltare
un poeta da rubare
un poeta da invidiare
avrei la vita complicata
da una critica educata
Ma son poeta solo con la pancia
mi accontento caro Ennio
il resto: Mancia!
Un abbraccio
…mi sento davver contrabbandiera
io che spesso passo la frontiera,
certo se mi frughi nel fagotto
trovi lacrime, sia di qua
quanto di là,
non trasporto alcun tesoro
ma sul fondo, doppio fondo
c’é pur un talismano
Seri! Non ridete,
se volete toccar con mano
avanzate, voi signori…
Non é mio, non mi appartiene
é prezioso, antico assai
chi sa mai
un dono, un ricordo
di poveri poeti giramondo…
Annamaria
Non commenterò le poesie qui proposte, cosa “mi gusta” e cosa no, causa la premessa alle stesse. Spiego il perché del mio punto di vista, non soggetto a critiche poiché i punti di altri, diversi dal mio, si aggiungono a moltiplicare il mio semplicemente riportandolo a quello che è e vuole essere. Un semplice punto di vista.
Pur immedesimandomi in coloro che come Abate , dopo tante fatiche, hanno sviluppato una molteplicità di strumenti sul piano tecnico, estetico, critico etc , ossia pur comprendendo che umanamente questi “addetti” possano avere aspettative sugli altri, scrittori e lettori nessuno escluso, direi che c’è spazio e spazio in cui pretendere un commentario adeguato alle caratteristiche richieste da Abate e c’è invito e invito a cercarlo per evadere aspettative e richieste…
Ovviamente, se questo luogo fosse frequentato da un insieme preponderante di “addetti ai lavori”, insieme che peraltro Ennio stesso spesso ripete non ritenere possa avere l’esclusiva sui lavori in questione, allora si produrebbe quella selezione naturale per cui non ci sarebbe neppure bisogno di fare quella premessa a queste poesie di questi tre autori. Queste poesie tuttavia vengono chiamate esercizi, e se fossimo in altra disciplina che ha a che fare sempre con il mondo dei suoni più ampio, comprese dunque le parole di questo contesto, tale denominazione non risuonerebbe svilente come è il titolo di questa pagina, ma alla pari di tutto ciò che ne segue, senza i quali non sarebbe possibile alcun “programma”
Sempre dal mio punto di vista, non credo che offendere i propri scrittori/poeti o i propri lettori, prendendoli a pre-testo liturgico ergo pre-messa, continuandogli a ripetere che sono di bocca buona e di conseguenza guidati da un applausametro, possa produrre un lavoro critico rispettoso del lavoro/esercizio poetico proposto, anzi ristabilisce che c’è poesia di serie “a” e di serie “zeta”, quando forse quella di serie zeta è, o dovrebbe essere, già consapevole del suo aspetto estremamente ludico rispetto alla prima. E quando dico ludico, ciò non significa che i lavori di serie zeta non siano sofferti, tanto come infatti è la vita stessa che glieli suggerisce.
Poesia è, per questa moltitudine poetante invisibile e ultramillenaria, almeno per come la leggo io, come un dialetto estremamente vitale a chi sente, nelle sue corde, di esprimersi con questo “linguaggio”, tanto come per un altro è vitale cantare o recitare, dipingere o ballare.
La Serie “A” , inoltre, rispetto al passato, può addirittura essere “poesia” sempre meno tale, e neanche ludica, visto che vende tanto di più, sempre relativamente, dato che poesia è stata più frequentata da chi “la lavora”, rispetto a chi” la compra” o ha bisogno di leggerla.
E, allora, mi domando perché, questa di serie zeta, che mai vorrebbe un posto in vetrina almeno a leggere dai suoi contenuti ( di questi tre autori qui proposti, come in passato altri), ha bisogno comunque di sentirsi messa sotto vetro, sezionata,analizzata dai suoi ufficiali o pretesi tali e non vedo perché avrebbe bisogno di essere smontata e/o rimontata pezzo a pezzo da chiunque passi di qua, sprovveduto o meno , addetto o meno, etc etc..se il poeta ha bisogno di ispirazione, sensibilità, educazione e studio, la stessa cosa deve valere per chi lo ascolta, a qualunque serie appartenga. A maggior ragione, visto che questa regola è saltata per il grande mercato di serie “a” (altrimenti non si sarebbe prodotta la mutazione dei gusti in tanti campi artistici, dal cinema alla poesia, dalla musica etc etc) non c’è da augurarsi che salti per chi critica le conseguenze di questa mutazione. “Dare confidenza” alla forza bassa di questi apprendisti giocolieri significa tenerli a sè in un tuttuno di bocca nutrendosi e allattando per il movimento richiesto dalle ascese e discese delle maree in questione. Ho usato la parola forza bassa, non per svilirla nei confronti di una forza alta, ma per parallelo a quanto avviene da secoli in altri ambiti “lavorativi”, in cui è stato ed è veramente eccezionale che chi guida e chi è trasportato, condividano veramente i prodotti per farne ancora e vieppiù funamboli degli stessi. Basta vedere su altri piani lavorativi rispetto a quelli poetici, che più è stata sbandierato il proclama del merito (e della meritocrazia), più questa è stata solo una recita per svuotare la qualità dei servizi e dei prodotti.
@Ro
La critica è importante per crescere e bisogna saperla fare, sapersela fare e saperla accettare. Sono sempre stata dell’idea che colui che critica dovrebbe essere poeta o pittore nel caso della pittura, ma siccome spessissimo non è così ma è fatta di gente più o meno preparata, capace e si spera appassionata di arte è giusto che facciano il loro lavoro si spera con serietà. Insomma il santo dovrebbe santificarlo un santo, ma non è così da sempre. Il poeta resta comunque legato alla sua esistenza , alla sua storia, al suo presente e al suo carattere e penso che qualsiasi cosa faccia per migliorare la sua scrittura o la sua idea di poesia resti sempre e solo unico nel provare mentre scrive ciò che vuole trasmettere a tutti noi. Altrimenti che poeta sarebbe? Leggere poesia e aprire la mente a tutti quei “grandi” che si sono impegnati a farla in modo serio e onesto resta sempre il migliore dei modi per imparare. Ciao Ro!
Ciao Emilia, il mio punto di vista guardava al come, non al cosa. La “cosa” chiamata “critica” è fuori di dubbio ; se appunto fatta con determinate modalità, è evidente che aumenta la capacità di lavoro, in questo caso del poeta a tutto vantaggio del “prodotto finale” ( che poi finale o definitivo non è mai) e che al massimo, se ha una linea di produzione, questa non dovrebbe corripsondere a qualcosa di industriale in termini di standard e quantità, ma semmai allo stile di quel poeta e solo di quel poeta tanto di serie a che di serie zeta.
Poesia di Mario Luzi
Vola alta, parola
Vola alta, parola, cresci in profondità,
tocca nadir e zenith della tua significazione,
giacché talvolta lo puoi – sogno che la cosa esclami
nel buio della mente
però non separarti
da me, non arrivare,
ti prego, a quel celestiale appuntamento
da sola, senza il caldo di me
o almeno il mio ricordo sii
luce, non disabitata trasparenza…
Questa poesia proviene da: Poesia di Mario Luzi – Vola alta, parola | Poesie di Mario Luzi | Poeti Moderni – Poesie Report On Line http://www.poesie.reportonline.it/poesie-di-mario-luzi/poesia-di-mario-luzi-vola-alta-parola.html#ixzz3FLh6s45n
(lo zenit)
ad oriente la costa
permette di albeggiare
legando un fiore rosa
e se il giorno maturo
coglie il tramonto
in altra costa dove
il sole lascia sperdere
la sera – sfalciandosi
in purpurea digitale –
in arco-ponte allora
– d’ora in ora –
tuffàti ad est uscire
in occidente e rivarcare
il giallo chiaro oriente
mentre altrove e in altri
luoghi le ampie stelle
raggiungono il sommo
del possibile e il nascosto
nadir ci ricomprende –
*** *** ***
In “Incisioni (2006-2008)”, in “Tutte le poesie (1973-2009)”, 2011
MERAVIGLIOSA!
…mi piacerebbe sapere chi é il poeta (immagino) dal profilo così inciso e bello che guarda con tanta tenerezza i due canarini in gabbia, due canterini per l’appunto, Ro…mi sento così gratificata dalla vostra simpatia e compagnia…
@ Annamaria Locatelli
Si tratta di Umberto Saba.
…grazie Annamaria
Ben venga la critica se fatta con onestà fuori da ogni pregiudizio e “consorterie”.
Serve a migliorare e a far crescere.
A volte ,però, anche sui blog più impegnati e sui siti più seri compaiono testi di poeti “accreditati” che non hanno niente di poetico e si esauriscono in esercizi di tecnica di scrittura.
Giusto, come dice Ennio,anche dopo l’esperienza del Laboratorio, lasciare la porta aperta ai ” contrabbandieri”.
Chissà . nelle loro ” bricolle” forse sarà possibile trovare qualche piccolo tesoro.
In queste poesie ne ho trovato più di uno.
Maria Maddalena Monti
La foto che accompagna questo post è di una forza e di una dolcezza infinite-
Emy che ne dici di provare questa prova “critica”…solo un esperimento libero, libera tu o altri di aderire o meno. Mi spiego in due parole: prima che commentatori come me, o ben più esperti di critica, o altri, rilascino i loro strumenti, potresti avviare i giochi incominciando una tua riflessione critica, su stile e contenuti, tesori e non, forme e contenuti nella poesia degli altri due autori. Così loro viceversa, escludere i loro testi e porgere la critica ai tuoi tesori e non ( e quelli dell’altra/e o altro) , alle tue potenzialità, supportate dalla tecnica o migliorabili su questo piano o altri .
Che ne dici?
…Ro, accetto la tua sfida, ma é solo per qualche commento, anche se é vero che quello che la poesia dice é molto di più di quanto si possa portare a galla, che a volte é anche alquanto soggettivo…ma mi aiuta, non so voi…per sentirvi vicini.
Nella prima poesia di Emy sono introdotta in una atmosfera soffusa di vecchie soffitte, dove sfilano polverosi e caldi oggetti che vagheggiano momenti e momenti del passato, in tutta la loro semplicità e quasi sacralità, di persone o di età ormai scomparse…Il gatto, con la sua viva e non immota presenza, sembra resuscitare le cose dal lungo sonno, con la sua coda-bacchetta magica…Nella seconda poesia, il ritmo é più veloce e in crescendo, la storia collettiva, la storia del passato operaio, di una coppia necessariamente in crisi incalzano il lettore coinvolgendolo nella delusione, nell’inseguimento vano di un passato che non può ritornare, nell’incredulità, nella inevitabile sconfitta…Queste poesie mi dicono molto…
Le poesie di Luca Chiarei le ho trovate davvero choccanti, il ritmo é spezzato e lo spazio tra parole spesso allungato, a restituire quasi l’idea di un ansito, di una fatica di respiro…La tecnologia e la modernità incalzano l’uomo d’oggi, tra strade inospitali, assenza di semafori dove soffermarsi a ricordare…permane un senso di totale estraneità. E poi, nella prima poesia, a me sembra avvertire la presenza di una persona, credo cara, una testimone di tanto smarrimento, a cui chiedere scusa per non riuscire in nessun modo ad uscirne…Di altre calamità di oggi parla ancora il poeta…che dire: é davvero uno specchio fedele e sconfortante
Annamaria carissima, vedo di rimediare subito al tuo slancio, offrendoti il mio in cui verso, visto che non sono una/o dei tre autori, anche qualche fiato sui tuoi versi. Non ho la veste per proporre ai tre, fra cui tu, una guida a sostegno degli “esercizi” per sciogliere meglio la mano sia tua che degli altri, quindi lascio il compito a chi , nell’assoluta “vicinanza” che ci è sacra, sappia i luoghi e i modi per ottenere i vostri occhi nello sguardo attento alle vostre mani.
Ciò che hai scritto in questo tuo commento, mi ha fatto associare la prima impressione, adesione, riflessione avvenuta dopo la mia lettura. Ho percepito una sola trilogia sebbene sviluppata su (s)oggetti, tem(p)i e voci in contrappunto fra voi tre. In quelle di Emy ci sono le cose, sono le cose del passato e sono situate in alto, rispetto al basso opprimente del presente incastrato nell’affanno di Chiarei. Le voci di Emy sono indirette, lascia parlare le cose o gli animali e attraverso loro indirettamente il mitico sapiens sapiens. Le voci di Chiarei sono in prima persona. Un nudismo poetico contagioso nell’affanno perché in ognuno di noi il presente, chi piu chi meno, toglie il respiro. Dei tre è quello che in assoluto ho sentito piu la mancanza di una lettura dei suoi versi dal vivo. Non so se in voi tre c’è il desiderio di far respirare i vostri versi, sia mentre li studiate / scrivete o ristudiate / riscrivete, ma di quelle di Chiarei mi è venuto automatico pnesare come li avrebbe letti davanti a noi.
Il filo continuo con le tue , di un futuro anteriore e presente, la fantascienza fra noi. Sei parrecchio talentuosa nel tuo cogliere il surreale della quotidianità, sia in prosa che in verso si percepisce una vicinanza all’altro proprio per il tuo sguardo sulla goffagine dell’azione. Mentre gli altri due autori si potrebbero dire statici, sempre al mio sguardo, tu scateni i loro oggetti, animandoli e rendendoli in azione. Dal grottesco cartone animato della società di cartone in cui viviamo ( Chiarei), o ricordiamo ( Banfi) , tu cerchi la tridimensionalità del senso dai temi e dai tempi. La vicinanza procurata dal respiro di voi tre fa sorgere un desiderio, non certo un invito o una proposta (che solo le vostre guide, fra cui Abate, possono farvi), il desiderio di leggervi in un altro “esercizio” magari a tema, che so su un gatto o giocoliere al semaforo ….
ciao 🙂
rò
…sì, Ro, quei giovani giocolieri al semaforo mi hanno davvero colpito…se io, che sono avanti negli anni, a volte mi sento priva di ogni senso e arruffo la realtà in ogni direzione, compresa la follia, finchè non arriva l’amico sornione, ghiro o gatto o cane che sia, a farmi rientrare…penso che per i nostri giovani c’é altro che non senso e quel loro far volare le palline in aria, universi scompigliati in ogni dove, per poi riprenderle con maestria, sia una denuncia, un programma, una preghiera…Anzichè tragedia, che sia un movimento per cambiare il mondo?
Oh, non oso fare critica per il semplice motivo che non ho capacità per farlo. Posso dire che l’impronta giocosa delle poesie di Annamaria mi ha molto colpita ed entusiasmata.
Anche la tragica povertà ci viene descritta in una chiave leggera, quasi un non voler offendere chi è dentro di essa , ma resta incisa fortemente in un quadro che tutti noi purtroppo conosciamo , basta guardarsi intorno senza girare lo sguardo.
Anche quel mischiarsi con la natura, con gli animali per trovare il senso della nostra vita, per riuscire ad uscire da un caos che solo attraverso gli umili gesti e le espressioni degli animaletti riesce a fornirci un elemento di chiara e grande umanità.
Per quanto riguarda le metafore dei versi di Luca , direi che spiegano molto bene un disagio legato al nostro tempo dove mi pare che tutto sia il contrario di tutto, sguardi freddi e staccati dall’illusione. L’uso del corpo , dei suoi limiti, dei suoi malanni per descrivere una realtà che non lascia spazio alla spiritualità né alla compassione. Il suo stile è asciutto dentro un’area che conosce molto bene i limiti da non superare.
Sono più vicina ai versi di Annamaria, Luca è bravo ma mi crea problemi di comprensione che peraltro riesco piano piano a risolvere. Grazie ai poeti e ad Ennio che, come al solito, ci costringe a pensare(per nostra fortuna!)
Contenta Ro? Ce l’ho messa tutta!!!
Ciao Emy, non so se si tratta di essere “contenta”…ieri sera ho solo tentato con un piccolo invito per sbloccare una situazione di stallo che anche questa volta potrebbe confermare al curatore /motore delle proposte , in questo caso dei vostri testi, ciò che lo allontana da un certo nostro modo di porsi di fronte ai testi. Sarebbe bello sbloccare il tutto con fatica unita a naturalezza. La mia non era una sfida, quindi mettercela tutta o far contente/i altri non è il movente, perlomeno non è il mio. Grazie del tuo intervento (*_*)
Chi sa perché ho pensato che “Ful” – nella poesia di Emilia Banfi -, fosse un cane, e non un gatto (eppure so che i gatti amano il caldo. Ne ho avuto più d’uno, in casa, nell’arco di venticinque anni).
“Ful”, un bellissimo nome – in una poesia bella – in chiusa, aprendosi, per rimandi e assonanze, a “full”, a “fool”, a un possibile – anche – colore fulvo, e al full delle carte da gioco.
Cane o gatto che sia stato – ma sicuramente gatto – è il colpo di coda che chiude – gentilmente – la poesia.
Sì sì Ful è un cane ma anche un gatto o un ghiro , in somma una codina felice. Grazie alle poetesse che mi hanno letto e voluto darmi il loro parere. Un abbraccio
No – ghiro non ero
ero solo un cane –
e il pane della vita
mi piaceva – e felice
ero di star con voi
la sera – con voi
tutti che foste –
*** *** ***
(in risposta a Emilia Banfi)
*** *** ***
(Se poi, Ful è ancora vivo, se le “Soffitte” sono di un’altra casa – di campagna o di infanzia – o magari immaginate, inventate, per me, Ful, nella pienezza dei suoi significati, è un cane. È che avendo scritto Annamaria Locatelli, con grande sicurezza, “Il gatto, con la sua viva e non immota presenza …”, mi son fatta convincere).
…Anna Cascella Luciani, che ti scaldi alla sera con i versi e le presenze di questo blog e ci lasci la tua bellissima poesia…grazie
Il video lasciato – con un link – da Ciriachi, per Kobane, si apre. Ha riprovato, cara Annamaria? Ragazze sorridenti, armate. Ragazze sorridenti, armate, in piedi o in momenti di riposo. I campi sono fioriti. Una ragazza si pettina. Due leggono, appoggiate a degli alberi. Armate. Alcune madri piangono i figli morti. Alcuni padri. Alcuni ragazzi armati. Degli enormi involucri di plastica nera, a terra, contengono le salme delle persone uccise. Una ragazza, armata, guarda fuori, da un foro di una parete. Chi di loro, oggi, 10 ottobre, sarà ancora vivo? Infine, un bambino apre le dita, nel segno della sperata vittoria. Di lato, seminascosta, l’impugnatura di una stampella. Sembra l’impugnatura di una stampella. Credo gli involucri neri di plastica contengano i morti. O forse dotazioni di armi, per salvarsi, per tentare di salvare se stesse, se stessi, il loro luogo. Libertà, paese, convivenza: odiate, tutte, da chi invade, stermina, uccide. Come a Sarajevo, che fu fatta a pezzi, e dove, prima, ho letto che vivevano, e convivevano, etnie diverse, religioni diverse, tradizioni diverse, culture diverse, senza invasioni, bombe, cecchini, eserciti. Un caro saluto, gentile Annamaria. Anna
…gentile Anna, ci ho riprovato e, in effeti, sono riuscita ad aprire la foto, ma mi appare solo per qualche frazione di secondo e, vedi come la mente seleziona, ho trattenuto solo l’immagine “alcune madri piangono i bambini morti”…ma dopo la tua particolareggiata descrizione, se non altro, adesso so che ci sono le armi, ma anche campi fioriti, una ragazza che si pettina…tutta una vita e speriamo si preservi. Grazie Annamaria
Roooo! la mia era una battuta!!!
C’è differenza tra dipingere un serramento e fare un ritratto. E anche nel caso tutti sapessero fare tutto non basterebbe all’eccellenza. Comunque l’università ti dà serenamente il lasciapassare se sai scrivere; poi se poesia c’è o non c’è, questo lo sanno tutti e non lo sa nessuno: prima non c’era, adesso c’è, o c’è qui e là, o pare che ci sia, (e chi la vede ovunque). Inoltre saper scrivere non è saper scrivere poesia, e saperlo fare non garantisce che si sappia andare oltre i tecnicismi di questa particolare scrittura. Dunque chi si mette in questa avventura non può che essere un eroe solitario, votato a salvare se stesso e il mondo, nell’ingratitudine, esattamente come fanno i fiori di serra e quelli di campo. Mi pare che non ci sia altro canone che quello di saper scrivere, e non è poco di questi tempi, almeno si salvano gli accenti e le virgole.
Leggo qui tre modi diversi di fare poesia, e siccome io più che altro sono un cacciatore di versi, mi limito a far questo.
Banfi: “Il guscio scuro della memoria/rompe la luce di un momento di gioia”
mi sembra fuoriesca dal resto, ma basta l’indeterminativo rimettere le cose a posto.
Di Luca Chiarei : “E’ un come e un quando chiedi la strada”, qui invece gli indeterminativi giocano a favore, ma poi tutto si complica, e a tratti mi pare di scorgere la fatica di scrivere; per quanto a richiederla sembrano essere proprio i temi del suo particolare esistenzialismo.
Annamaria Locatelli, con quel suo fiabesco-illustrativo, mi giunge inattesa. “I poveri siamo noi”, chiude come si usa con la morale/sentenza. Ma senza pedanterie.
Vi leggo sempre. Con amicizia. .
Ennio sta zitto. Dai Ennio fatti sentire. Siamo contrabbandieri disarmati.Dicci dove dobbiamo andare per non farci braccare. Il sentiero è duro lo sappiamo. ma tu dacci una mano la zavorra pesa. Ciao
Ma braccare da chi? Questo è stupefacente. È un’altra battuta?
Gentile Emilia Banfi, sono in disaccordissimo.
Che sia una battuta, o non lo sia. Che sia un gentile invito ad Abate, o un affettuoso richiedere la presenza.
“La zavorra pesa”? Ma quale zavorra? Lei ha inviato a “La recherche.it” un video – immagino che sia suo, l’ho visto ieri sera -, con una poesia, non con una zavorra.
Mi pare che un verso – o una parte di verso – dicesse “L’arancio della rosa”.
Andrò a rileggere.
Ma sì era una battuta per sentire la risposta di Abate visto che parlava di contrabbando e si sa i contrabbandieri portano sempre pesi . Io scrivo moltissimo e spesso mi chiedo se questo bagaglio prima o poi non diventi troppo pesante , infatti mi piace che la lettura dei miei versi venga a soccorrere i miei sforzi (non sempre uguali ) e che possa essere oggetto di critica . Sono come ho già detto molto dipendente dalle emozioni e questo in poesia non va molto bene, sto imparando a scrivere e voglio dare il massimo e non mi scoraggio, purtroppo (forse) Abate lo sa…
A lei gent. ma Anna Cascella mando un caloroso grazie per avermi letta , cosa che mi interessa molto in quanto le sue poesie le trovo molto belle e le sento scorrere sulle mie corde.
@ Anna Cascella
vedo solo ora il mio video su La Recherche.it. La cosa mi ha piacevolmente sorpresa. Avevo mandato alcune mie poesie ad un concorso dell’Aletti editrice che mi fece l’omaggio di questo video, ora me lo trovo nel sito suddeto…l’Aletti poi pubblicò i miei versi. Beh …. grazie!
…a proposito di contrabbando vi mando questa meraviglia :
di Wislawa Szymborska
Salmo
Oh, come sono permeabili le frontiere umane!
quante nuvole vi scorrono sopra impunemente,
quanta sabbia del deserto passa da un paese all’altro,
quanti ciottoli di montagna rotolano su terre altrui
con provocanti saltelli!
Devo menzionare qui uno a uno gli uccelli che trasvolano
che si posano sulla sbarra abbassata?
Foss’anche un passero-la sua coda è già all’estero,
benché il becco sia ancora in patria. E per giunta, quanto si agita!
Tra gli innumerevoli insetti mi limiterò alla formica,
che tra la scarpa sinistra e la destra del doganiere
non si sente tenuta a rispondere alle domande “ Da dove? ” e “ Dove? ”
Oh , afferrare con un solo sguardo tutta questa confusione,
su tutti i continenti!
Non è forse il ligustro che dalla sponda opposta
contrabbanda attraverso il fiume la sua centomillesima foglia?
E chi se non la piovra, con le lunghe braccia sfrontate,
viola i sacri limiti delle acque territoriali?
Come si può parlare di un qualche ordine,
se non è nemmeno possibile scostare le stelle
e sapere per chi brilla ciascuna?
E poi questo riprovevole diffondersi della nebbia!
E la polvere che si posa su tutta la steppa,
come se non fosse affatto divisa a metà!
E il risuonare delle voci sulle servizievoli onde dell’aria:
quei pigolii seducenti e gorgoglii allusivi!
Solo ciò che è umano può essere davvero straniero.
Il resto è bosco misto, lavorio di talpa e vento.
Wislawa Szymborska
…grazie Emy per avercela inviata: é davvero l’ottava meraviglia…
Il titolo, il contesto e l’introduzione che Ennio ha voluto dare alle mie poesie come alle altre di Emilia e Annamaria, non lo trovo affatto né degradante né fuori luogo. Direi che come al solito è una fotografia reale sia della situazione della poesia “dei molti”, sia della qualità dei testi proposti. La discussione che poteva nascere sarebbe stata interessante se si fosse effettivamente avviata. Mi pare che solo Mayoor l’abbia in qualche modo colta con l’efficace metafora dei serramenti e dei quadri che tradotto (spero senza forzatura ma solo per essere chiari), sta a significare che i serramenti sono le cose scritte da noi (o perlomeno quelle che scrivo io) e i quadri sono altre poesie che si possono leggere su questo blog. Basta andare al post successivo con le poesie di Nadia Campana, di ben altro spessore e densità, per trovarle. Un giudizio che ci sta tutto, che né mi offende né mi umilia anzi. Rendersi conto serenamente dei limiti, anche rilevanti, di quello che scriviamo penso sia la condizione per qualsiasi processo di crescita.
Possiamo concordare che la critica non può avere, trattandosi di “scienza umana”, una unità di misura oggettiva come l’abbiamo per misurare le distanze o i liquidi, ma questo non vuol dire che non sia possibile dare un opinabile, ovviamente, giudizio di valore; e si deve prendere atto che intorno ad alcuni giudizi di valore su un poeta o su una poesia si aggregano maggiori consensi che su altri, e dunque che si possa dire che c’è poesia di qualità o meno, che c’è poesia e in alcuni casi non c’è proprio…
Dunque in antitesi alle opinabilissime opinioni di Ro, sempre che abbia capito bene naturalmente, credo che certamente esiste poesia di serie A e B e magari anche zeta, come nella realtà ci sono i serramenti, alcuni più belli di altri ma sempre serramenti sono, ed i quadri. Per quale motivo non si debba riflettere sul risultato finale del “prodotto” poesia, chiunque sia stato a realizzarlo, in nome del rispetto dovuto allo sforzo che il poeta ha fatto per crearlo – e per il quale nessuno lo ha obbligato – sinceramente non riesco a capirlo. Mi auguro che la discussione, la critica dialogante come si usa dire in questo blog, che ne fa la sua caratteristica principale e quasi unica nel panorama italiano, possa riprendere su queste come su altre poesie.
Ciao Luca, di norma quando viene del tutta stravolta la mia posizione, o opinione o riflessione, a meno che io conosca chi mi sta di fronte, e possa intuirne la malafede, mi addosso per default la responsabilità di non essermi espressa sufficientemente limpida all’altro. Mi spiace quindi che le conseguenze del mio pensiero non siano state da te colte, non tanto in quel gioco che avevo lanciato, cosa del tutto incidentale, ma soprattutto quelle attorno al mercato poetico di cosiddetta serie “A”, pieno zeppo di “prodotti” di scarsa qualità, scarsa critica, etc etc idoneo a modificare e appiattire “i gusti”, che mai questo gruppo di lavoro, a cui tieni, vorrebbe appunto annoverare fra i suoi modi per (non) crescere.
La premessa di Abate non l’ho condivisa nella parte in cui calcava la mano su atteggiamenti, quali quelli facilmente indentificabili in questa o quella Emy o “bambino” dentro ognuno di noi, che per slancio o natura o battuta adottano più facilmente un pollice in sù (socialfessowork antropologicamente modificato) che un pollice in giù (i.c.s.) , ma non mi sono limitata a questa mia obiezione pur specificando che occorre essere ben preparati per poter “far crescere”, appunto con la critica, questa o quella poesia e duqnue questo o quel poeta.
Infine, non io, e non solo Lucio, abbiamo conversato anche sulla tua “Poesia”, tanto come tu non hai per ora dato le tue riflessioni , critiche, o letture su queste vostre proposte. Questo non è un rilievo opinabile o relativo a un’ altrui , tua o mia opinione, ma un fatto oggettivo da prendere in esame, chiedendomi e chiedendoti/vi perché hai preferito intervenire ribadendo quanto sia importante la critica e tuttavia sottraendotene non solo per le tue ma anche per le altre due. A questo punto dunque, visto che l’ingombro o ostacolo a tale vostro e solo vostro gruppo di lavoro, “apparre” ogni due per tre essere la sottoscritta “ro”, è sicuramente più produttivo che mi limiti a leggere come già faccio con i libri , quindi, soprattutto, come i molti a cui a questo punto sono appartenuta, e appartengo, sicuramente di più rispetto ad altre “comunità”.
Buon lavoro
rò
…cara Ro, a me le tue opinioni interessano moltissimo e penso che qualsiasi pensiero degli altri, come il mio, non siano mai conclusi, non scriviamo trattati in cui siamo tenuti a presentare la “verità”, ma barlumi di piccole “verità” sempre in fieri, come un fuoco in continuo movimento e senza contorni precisi…perchè é proprio nel contagio dei pensieri che cresciamo, ma é spesso tortuoso il cammino…Qui si parla di poesia, ma anche di avventura umana, e siamo tutti addetti ai lavori…ciao Annamaria
…ciao Luca, sono assolutamente d’accordo su quanto dici nella prima parte del tuo discorso: sia che non c’é nulla di svalutativo nell’introduzione di Ennio alle nostre poesie, sia che dobbiamo renderci conto dei limiti presenti nella nostra scrittura…ma questo, per quanto riguarda noi tre, penso almeno che sia scontato…un percorso di consapevolezza ciascuno lo deve aver pur fatto…i confronti li sappiamo fare tutti. Ma poi dissento quando dici essere necessaria la critica valutativa per tutti i testi…Penso che i lavori dei Moltinpoesia meritino un approccio a parte, per niente svalutativo, anzi improntato alla curiosità e all’interesse per quello che in genere si riserva alla ricerca umana fuori frontiera, ad un linguaggio più vicino alla quotidianità o comunque al sentire di oggi, ad una tradizione espressiva che si é sempre mossa anche fuori dai contesti riconosciuti…la serie non mi interessa. Poi ovviamente i percorsi sono sempre aperti e comunque intorno a noi ci sarà sempre qualche bella poesia da ammirare, se davvero si ama non importa chi la scrive, appartiene a tutti…persino gli uccellini hanno diritto alla parola…grazie di averci fatto sentire la tua voce
@ Annamaria Luca e Abate
Certo è che se davvero leggiamo poesia quella chiamiamola di serie”A”, come possiamo non accorgerci di quanto noi abbiamo da imparare e da discutere. Sarebbe come scalare l’Everest senza sapere come fare o senza l’equipaggiamento adatto. Poi (qui mi permetto di dare un parere) sarebbe molto interessante se qualche critico si facesse avanti, per dare il suo parere sulle poesie in questione . Pare che questo non abbia interessato nessuno. Perciò a che serve pubblicarle nel Blog con una nota (giustissima) di Abate, per poi lasciarle lì come caramelle che si danno ai bambini per consolarli. Sarà perché il Blog ha altre intenzioni , oppure si pensa che la critica possa offendere (e spesso è vero), ma penso che se il post avesse avuto almeno il parere di un critico, avrebbe avuto maggiore utilità . Un grande saluto a tutti.
@ ro
Sei una delle più assidue commentatrici di questo blog. Ti piace fare l'”alternativa”. Ti piace ogni tanto sbattere la porta dicendo: basta, siete come tutti gli altri! Torni – come una cometa – dopo un certo periodo d’assenza. Dialoghi con quelle/i che ti aggradano e azzanni quelli (di rado quelle) che non ti aggradano. Stabilisci tu quando questo sito è il “vostro e solo vostro gruppo di lavoro” e quando non lo è. Gli “ingombri” e gli “ostacoli” li costruisci e li disfi tutta da sola.
@ Emilia
Questo blog non può avere più la funzione che ebbe il “gruppo critici” ai tempi del Laboratorio Moltinpoesia. Chi ha voglia di dire la sua opinione (critico o semplice lettore) sui testi che si pubblicano già lo fa. Per il resto si continua da soli e da sole. Ognuno faccia quel che può. Maestri o guide per scalare l’Everest o la collinetta di S. Siro della poesia non se ne vedono in giro. Anche perché in giro ci sono troppi maestri e discepoli finti. (E poi molti altri post, non questo in particolare, non hanno ricevuto commenti adeguati).
a Abate
Ora è tutto chiaro, non ero sicura del fatto che il Blog avesse cambiato faccia.
Grazie per la risposta.
Il treno passa
fra i campi appena verdi
torrenti dentro periferie abbandonate
qualche fiore qua e là giallo viola
La meta non è più la stessa
si deve scendere e aspettare
il lungo tragitto è da fare
Qualcuno si accosta
mi guarda anch’io vado
dove vai tu e poi un altro
un gruppo esodati li chiamano
son forti e non vedono la lontananza
incoscienti impreparati
un chiacchierìo sommesso
resta la loro compagnia
il loro difetto
Son scesi se ne vanno a piedi
senza pagare il biglietto.
Byemy
@ Emila Banfi
Avrebbe dovuto esserti chiaro almeno dal 18 febbraio 2013, se le cose scritte venissero lette attentamente:
http://moltinpoesia.blogspot.it/2013/02/ennio-abate-laboratorio-moltinpoesia-di.html
P.s.
In particolare per chi ha fretta:
12. Il punto di dissidio più forte ha però riguardato proprio il ruolo della critica. Qui (sempre dal mio punto di vista) una serie di dilemmi. I poeti/aspiranti poeti che approdavano al «Laboratorio Moltinpoesia di Milano» o s’iscrivevano alla mailing list erano o no rappresentativi dell’ipotetico soggetto moltinpoesia? Arrivavano al Laboratorio attirati dal nome «Moltinpoesia», intuendo grosso modo il discorso che tentavo di fare o ci giungevano per sbaglio, solo per uscire dalla solitudine o per tanti altri motivi, tanto che per loro un qualsiasi altro circolo poetico sarebbe andato bene? E il nome moltinpoesia non alimentava forse un equivoco: che ogni testo andasse bene e dovesse essere solo applaudito? Se passava il principio che ogni testo scritto o letto è comunque poesia perché chi lo propone lo vive come poesia, lo crede poesia, qualsiasi critica o la figura del critico o del lettore-critico dovevano semplicemente scomparire. Anzi in base a questa logica, che scova poesia dappertutto e elimina ogni distinzione o confine, tutto diventerebbe poesia. E più che un Laboratorio sarebbe stato meglio costruire un Registro, un Catalogo, un Dizionario. E da diligenti scienziati positivisti o sociologi catalogare i testi (in teoria tutti i testi, orali o scritti); e magari anche le espressioni delle rudimentali poetiche e visioni del mondo degli «scriventi versi». Così come erano. Estremizzo, ma si profilava l’incubo di gestire un perenne microfono aperto, o di stilare un catalogo neutro e acritico di tutte le voci percepibili. O si doveva, ottimisticamente, considerare tutte quelle voci come frammenti di un discorso dei molti che, prima o poi, si sarebbe costruito da solo, progressivamente e spontaneamente?
13. Mi è parso politicamente ed eticamente sbagliato alimentare un ginepraio di equivoci e di false attese; e coprire un fenomeno estetico-sociologico ambivalente e lutulento con una sigla in cui il molti diventava tutti. Non mi sono tuttavia mai convinto che al fenomeno dei poeti-massa si possa/si debba rispondere, come dice Linguaglossa, “alzando l’asticella” (di quanto poi?) o usando forme di respingimento indirette e mascherate. Ad esempio, proponendo di discutere e commentare soltanto testi di poeti “classici” o “riconosciuti” o di trattare soltanto problemi “generali”, tornando di fatto alla formula della “scuola di poesia” e ristabilendo un chiaro rapporto tra maestri e discenti. Oppure selezionando in anticipo il pubblico con cui dialogare ricorrendo al filtro del denaro (corsi a pagamento, ecc.).
14. Per non rimanere schiacciati tra due spinte inconciliabili (quelle degli «scriventi versi» che si presumono senza alcuna verifica poeti; quelle delle élite che adottano canoni più o meno restrittivi e spesso non dichiarati), bisogna riconoscere in via ipotetica l’esistenza di buone ragioni (da verificare!) in entrambi questi “partiti” contrapposti. (Chi, senza verifica, può escludere che dei “principianti” siano o diventino poeti? O che dei poeti “coronati” siano delle patacche?). L’unica faticosa strada da imboccare era/è quella della mediazione, della critica dialogante, del fare laboratorio critico reciproco sia inter nos che extra nos, quindi anche nei confronti dei principianti o dei “dannati della poesia”. (Non mi sono mai rifiutato – per principio o accampando scuse false (ovviamente ci sono limiti fisici…) – di leggere qualsiasi testo propostomi come poesia e di dare un parere-giudizio sintetico). Resto convinto che si debbano contrastare sia i ghetti degli esclusi che si sentono “incompresi” sia i circoli riservati che si sentono “eletti”. Non si può mettere alla porta il fenomeno degli «scriventi versi». O abbandonarsi alla tentazione autoritaria di bloccarlo, suggerendo che si trasformino in “leggenti versi” degli autori per noi validi. Insomma, non si può rispondere a questo problema come Maria Antonietta, invitando a dare brioches al popolo affamato. All’inizio dell’esperienza del Laboratorio e in particolare nel 2010, con il lavoro del Gruppo Critici, costituitosi al suo interno, era parso che ci si avviasse in questa direzione, puntando appunto a una reciprocità del lavoro critico sui testi (nostri e d’altri) e a una discussione franca, che evidenziasse i dislivelli di qualità dei testi invece di nasconderli o di liquidarli come spazzatura. Poi, come ho detto, la dialettica si è bloccata. Non credo perciò che ci sia stata troppa critica nel «Laboratorio Moltinpoesia di Milano». Semmai poca. E a volte cattiva critica (sleale, non argomentata e fastidiosamente personalizzata). Poi se qualcuno ha confuso la critica col litigio e si e si è chiuso in un diplomatico silenzio, dovrebbe chiedersi lui quanto il suo atteggiamento sia stato costruttivo. Ipotizzando che l’intolleranza alla critica in poesia venga da posizioni più moderate e concilianti e di segno etico-politico diverse o opposte alle mie, ho scelto, con le dimissioni, la via del chiarimento. Così ciascuno può ridefinire le proprie esigenze, riconoscere i suoi, evitare di ridurre chi fa critica a un fantasma repressore e dimostrare nei fatti cosa sa fare e vuol fare. Questa la mia visione della vicenda.
18 febbraio 2013
..notevoli queste tue , Ennio, soprattutto per via di quel pianeta che chiami sola, solo, sole e soli che si fanno e metti alternativamente a disprezzo, ma perché no anche a gradimento, a prezzo e a peso e a due e più misure, e che sono a chiusura e a resto fra quanto inviato a me e quanto a Emy. Credo a questo punto che Emy e tutti (noi, voi, loro) abbia(mo/no) tanto da imparare dalle tue cattedre, zanne, morsi , alternative e battute…
@ Ennio
“Arrivavano al Laboratorio attirati dal nome «Moltinpoesia», intuendo grosso modo il discorso che tentavo di fare o ci giungevano per sbaglio, solo per uscire dalla solitudine o per tanti altri motivi, tanto che per loro un qualsiasi altro circolo poetico sarebbe andato bene? “.
Questa è forte Ennio , molto forte. Poi chi ha mai detto “che qualsiasi testo andasse bene e dovesse essere applaudito,.” io no di certo. Comunque era colui o colei che pensava che la critica non fosse costruttiva che avrebbe dovuto andarsene… . Mi rendo conto che il compito che avevi nel Laboratorio era difficile, come la poesia del resto, ma le cose facili non hanno bisogno di laboratorio. Diciamo che le emozioni hanno preso il sopravvento su tutto e questo non va mai bene. auguri comunque e grazie per i chiarimenti. Le nostre riunioni alla Libreria Linea d’Ombra continuano e se qualche volta vorrai farci l’onore di partecipare ne sarei molto lieta e non solo io. Tutti prima o poi siamo soli , forse i “poeti”un po’ di più. ciao
…Ciao Emy, i poeti un po’ di più
Il monte Solitudine
Scalava un monte
con vasta compagnia
di amici compagni familiari
condivideva valori e svaghi…
Saliva saliva
già un po’ faticava
la compagnia si assottigliava
le rocce più impervie
a trattenere il cammino
l’aria leggera
tra eriche e pietre
saliva saliva
là la chiamavan il vento ed il ghiaccio
tagliente la lama sul viso
or alcuna persona seguiva
gli stambecchi soltanto…
Arrivata vedeva
vedeva
il cielo e la terra incontrarsi
sulla punta dei piedi
in un bacio.
…cerco di riordinarmi le idee su quanto detto da tutti, perchè sono alquanto confusa sull’argomento e sulle posizioni…
-Emy mi sembra che chieda due cose: un intervento da parte di un critico sulle poesie pubblicate e un aiuto per migliorare l’espressione poetica
-il critico, cioè Ennio, presenta una posizione sfumata: accoglie da sempre i testi degli scriventi versi, ai quali attribuisce un loro valore, ma, senza per questo svalutarli, li chiama esercizi. Con ciò, penso, che non voglia scoraggiare i Moltinpoesia, ma invitarli sia ad accogliere e a portare avanti una critica dialogante, che la consapevolezza del far parte di un popolo poetante. Non si propone come maestro, ciascuno deve trovare un percorso…
-Ro é favorevole ad un commento sui testi, che dia a chi scrive un senso positivo alla propria scrittura e afferma che il linguaggio poetico ha un’ antica tradizione che non necessita di difese…
-Luca accoglie la distinzione tra poeti e popolo poetante e la necessità della critica dialogante, ma poi sembra irrigidirsi sulle classifiche e non esprime commenti…
-Annamaria…e qua sta il difficile. Cosa penso? Ci provo, ma non é l’ultima parola…Sono sempre favorevole ad una critica competente e dialogante, anzi é necessaria per far emergere alcune voci…Tuttavia qualche volta anche i commenti fuori dalle righe possono avvicinare l’autore, magari su un piano solo soggettivo, ma si spera in una interazione…
La solitudine sta nella poesia come l’acqua nel letto di un fiume. Scorre.
…nelle pieghe della quotidianità
La verità, vi prego,
sulla solitudine
di giovani donne,
belle e non malvestite,
a mendicare per terra.
Qualcosa stride…
Pantaloni rossi bianchi
linde camicette stirate
le acconciature curate.
Immaginiamo la povertà
vecchia malata stracciona.
Qualcosa sride…
Sento il commento dei passanti
“Ma va a lavorare
al mercato ortofrutticolo,
i muscoli li tieni
per trasportare cassette”
Però, penso, potrebbe anche
battere certi angoli di via
a notte fonda,
non le mancherebbero corteggiatori clienti
e così via.
Qualcosa stride…
Un’altra senza terra, penso,
o delle terre di mezzo
ospite della Casa dell’Accoglienza
là non mancano le docce, la mensa, la lavanderia
…e persino la maglieria.
Ma l’arcolaio
per ritessere un’esistenza?
Dopo i giocolieri, anche le belle statuine d’oro e d’argento: come si divertono i nostri giovani!
Il motivo per cui non mi sono esercitato fino ad ora come critico all’interno di questa discussione è stato semplicemente perchè ritenevo che la finalità del post stesso fosse che a farlo fossero altri. Non certo gli autori stessi. Vuoi per lo “spessore” dei testi stessi, vuoi forse per l’incipit di Ro, così non è stato e questo dovrebbe fare riflettere gli autori invece di farli invocare il giudizio dei critici. Si dovrebbe capire che non riceverli, i giudizi, o riceverli solo da alcuni e non da altri è già un giudizio di per sé. Io ne prendo atto e mi interrogo sulle ragioni.
Credo inoltre che la critica letteraria sia una disciplina estremamente complessa alla quale solo ora mi accosto, anche con lo studio, e pertanto non penso di avere gli strumenti corretti per praticarla. Ma visto che analoga preparazione dovrebbe esserci anche per la scrittura della poesia, senza che fino ad oggi mi sia impedito di scriverla (ammesso che sia effettivamente così…), continuare ad eludere questo aspetto, nascondermi forse, non sarebbe particolarmente corretto.
Nelle poesie di Emy, queste come altre, sinceramente non trovo niente di interessante né nella forma (il verso libero del primo 900? i crepuscolari…?), caratterizzata da questo sforzo di costruire per ogni verso una immagine, con il risultato finale che chi legge (almeno io…) perde il filo del discorso; né per i contenuti nel senso che il vissuto personale è il punto centrale, senza però che si aggiunga niente ad analoghe esperienze personali di altri. Quando poi si vogliono affrontare temi generali, politici, il risultato finale per me è retorico: “Il lavoratore s’è perso in un sogno d’operaio/quando bastava una stretta di mano”(quando bastava una stretta di mano? per fare che cosa?) oppure: “bandiere annodate mai strappate/come un tesoro che nessuno ormai cerca”…
Per le poesie di Annamaria non avrei da dire cose molto diverse. Queste poesie poi mi appaiono nella loro forma lo “spontaneismo” del neofita, con i contenuti declinati in maniera retorica e banale. La chiusa finale “E poi…e poi/I poveri tra noi/I poveri siamo noi” per me non funziona assolutamente.
A me pare che la loro scrittura si collochi esattamente in quel filone della poesia dei molti animata dall’ispirazione emotiva, dalla “pancia” – come rivendica poi non a caso Emy – e ben descritta nell’intervento di Ennio, la tesi 12, riportato nuovamente in questo post.
Io non posso dire di conoscere personalmente né Emy né Annamaria, né loro conoscono me, per cui quanto scritto non ha alcuna valenza personale. Non credo che la loro ricerca non sia sincera e autentica. Ho solo letto quello che è stato scritto, che è il risultato finale, e la mia opinione è questa. Io faccio di meglio? non lo so, non credo, penso solo di essere orientato in un altra direzione.
“Che cos’è che spinge una persona a scrivere usando il linguaggio poetico?
I moventi sono vari. Bisogna che ci sia una forma, per dir così, di richiesta indiretta, sociale. Non è che il mondo abbia bisogno delle tue poesie, però il mondo può considerare valore il fare poesie. Quindi uno dei moventi è che la società conferisce un valore alla poesia. Poi c’è un movente psicologico: una certa forma di insicurezza e l’esigenza di oggettivare un altro se stesso, che sia lo specchio di se stesso. Quando si è adolescenti, molti scrivono poesie; poi, crescendo, può venir meno il movente psicologico, la possibi1ità di continuare a fare poesia. Una delle caratteristiche della poesia è che nessuno ti dà mai la garanzia di quello che fai. Cerchi continuamente il conforto di qualche amico, di qualche critico, di qualcuno che ti dica: “Ma si, sei bravo…” Eppure questa garanzia non ce l’avrai mai. Muori senza sapere mai esattamente che cosa hai scritto. Hai fabbricato un personaggio che scrive le tue poesie. Poi ci sono dei periodi in cui non riesci a scrivere niente, perchè sei senza quell’ “altro” che tu hai fabbricato. Ti sei aderito. La maggior parte delle persone è così: sta dentro la propria pelle. Oppure, se non ci sta, magari ha dei disturbi psicologici, di carattere. Il poeta è uno che riesce a stabilire una specie di strano rapporto fra se stesso e quell’altro se stesso che lui ha fabbricato. Io francamente non so come funziona questa cosa, qual è il meccanismo.”
(Risposta di Franco Fortini ad un’intervista fattagli nella classe III A della Scuola media statale “Gianni Rodari” di Crusinallo – Omegna (Verbania) 11 marzo 1982. Il testo completo a questo link:http://lapresenzadierato.com/2014/05/06/intervista-a-franco-fortini-il-poeta-italiano-risponde-alle-domande-su-poesia-e-musica/)
…”Il poeta è uno che riesce a stabilire una specie di strano rapporto fra se stesso e quell’altro se stesso che lui ha fabbricato” mi sembra interessantissimo quanto dice F. Fortini sull’argomento e consolante che se lo sia posto riguardo a se stesso…Mi invoglia a interrogarmi sul perchè a un certo punto della vita ho incominciato a ricorrere al linguaggio poetico, cioè a fare esercizi di poesia…Non è certo per l’approvazione sociale, anzi c’è da nasconderlo perchè in genere suscito qualche risatina…allora per un motivo di comunicazione diversa tra me e me e tra me e gli altri, in genere poeti o amanti del linguaggio poetico. Sto parlando su un piano molto soggettivo, di possibilità di esprimermi con la massima vicinanza e lontananza da me stessa, in uno spoazio protetto, dove posso raccogliere coraggio, dare voce a paure, sentimenti, esprimere idee…forse lo faccio con troppa disinvoltura, ma poi penso ai miei amici dell’osteria che improvvisavano il racconto di sè, storie, filastrocche, quasi sempre musicate, con un linguaggio simile a quello poetico…Frequentando poi questo blog ho avuto modo di leggere ed apprezzare pagine dove la ricerca della forma, del contenuto e l’ispirazione poetica erano molto alti…Spero comunque che l’essere umano sia sempre il centro della nostra attenzione
Leggendo Fortini, un mio pensiero
Al poeta
Scrivi poesie?
Allora sei poeta, dissero
con il sorriso di sbieco
di chi imbroglia
Furono giorni accesi,
al niente che rende muti
Celebrarono la storia
con un bicchier di vino.
Il poeta scostatosi,
scrisse di una lotta
senz’affari da proteggere
scrisse della vita così com’è
come la vorrebbe e se così non fosse
imparare a farla.
E.Banfi
… preziosa questa conoscenza approfondita di Fortini di cui Ennio dispone (e ce ne dà un pezzetto, quello giusto, al momento opportuno). Fortini era anche una persona simpatica, e questa risposta lo dice. E’ sicuramente vero che da adolescenti il meccanismo più probabile all’origine dello scrivere versi sia quello da lui descritto. In età adulta però, almeno per me, è diverso, quasi opposto.
Una volta nel laboratorio dei Moltinpoesia (mi sembra) ci chiedemmo perché facevamo poesia. Molti mandarono le loro risposte. Non io, che però mi risposi nel modo che segue (come può dedursi, sento la poesia come uno strumento per recuperare interezza).
Perché scrivo/faccio poesia
Per riflettere intimamente su me stessa e il mondo
Per capire quel che non mi direi altrimenti e farlo capire (ché altrimenti non saprei come)
Per riprogettarmi
Per produrre bellezza che attivi e duri
Per amore di chi amo e di quel che amo
Per cambiare il mondo (il mio e quello più ampio)
Per sopravvivere anche da sola (in comunicazione con i poeti i cui versi mi parlano)
Perché più di una volta la poesia scritta da altri mi ha affascinato
Per sentirmi in comunicazione con il passato dei migliori e contribuire a pensare un futuro migliore
Per nostalgia di quel che non vivo (o non ho vissuto)
Per rabbia di ciò che accade e desiderio di cambiamento nella percezione di chi legga
Per ricordare e immaginare
Per consegnare qualcosa di quel che ho capito e di quanto mi è stato (o mi è) caro
Perché non ho il tempo di scrivere (forse? per ora?) testi meno sintetici
Perché amo l’intreccio di squisitamente soggettivo ed evidentemente universale che la connota
Perché sono stata una bambina solitaria e curiosa, appassionata e sensitiva, un poco visionaria
Perché sento l’esigenza della vigile solitudine che attira e attiva la poesia
Perché l’arte dello scrivere versi mi affascina nella sua necessità di disciplina, libertà, apertura emotiva e relazionale, intimità, attenzione all’essenziale, sincerità, ricerca formale, sintesi , …
Per il senso di interezza che sento quando riesco ad esprimermi in versi che mi paiono significativi
Perché una poesia dice molto di più di quanto il suo autore non voglia o sappia
Perché una poesia che riconosco significativa è un regalo in sé, e non si sa dove possa arrivare
Perché vivere il mondo da poeta (cercare verità e modo efficace di dirla) è quello che mi dà senso e forza e quando questo sguardo, questo gesto mi sfuggono il mondo mi pare un deserto sconosciuto
Perché non posso fare a meno di farlo
Un’ultima cosa. Quando in Moltinpoesia tentammo l’esperimento del gruppo critici, chiesi ed ottenni che (i testi da ‘criticare’ fossero anonimi e soprattutto che) la critica si esercitasse, con il giusto tempo a disposizione, su un insieme di poesie dello stesso autore: non una o due poesie ma 8, 10, anche di più. Perché ci s’impegni nel commento critico di un solo testo bisogna che scatti una sorta di identificazione nel testo e che l’impulso parta da un terreno già molto ben nutrito di esperienza nel percepire e valutare versi. Per questo forse non si riesce qui ad andar oltre quanto si è già detto (sebbene il meccanismo messo in moto da Ro mi sia sembrato apprezzabile).
PS: contenta di leggerti in questo blog, Anna. un caro saluto
@ Marcella
Sono d’accordo con tutto ciò che ha scritto Marcella.
L’unica differenza che sento profonda (purtroppo per me), sta nel fatto che lei ha una cultura molto più vasta della mia. I motivi che mi spingono a scrivere sono gli stessi e sento profondamente come mie le sue parole. Ciao Marcella un caro saluto.
Più che esercizi nelle pieghe e contrabbando molti fanno della scrittura di poesia un filo di Arianna quotidiano, e per me è sicuramente così:
prima di dormire leggo i testi
che alimentano la fantasia
cosmologia filosofia teologia
e qualche storia truce allucinata
che orienta il male della vita mia
accesa e desolata
mi auguro sogni come storie
da raccontare in poesia e di svegliarmi
presto col buio (o con l’alba fulgente
e cinguettante di uccelli migranti)
per tremare di attesa all’avvento
di un germe di poesia da sfogliare
poi nel giorno raccolgo strumenti
le voci i fermenti e i necessari
profondi avvertimenti di umani
desideri e intendimenti atroci
di predatori d’anime e non scrivo
resto stupita annichilita e bevo
vino per non pensare e acqua per lavare
il corpo dall’orrore
poi ricomincio a collegare
approfondire e spiegare
a me prima di tutto le ragioni
un filo di discorso che solleva
il piacere ai legami e collega
un’esatta poesia al domani