Cosa non mostreranno stasera alla TV?
I massacri dal vero a Kobane…
Redazione 7 ottobre 2014
Notizie dell’ultima ora rivelano che i militanti dell’ ISIS sono entrati a Kobane, prendendo il controllo di tre distretti dopo una lunga difesa da parte dei combattenti curdi.
La presa di Kobane significa il controllo, da parte dell’ISIS di un lungo tratto del confine siro-turco, ma significa soprattutto più di 160.000 siriani (soprattutto curdi) sfollati, donne e bambini caricati su camion che scappano dalle loro case, dalla loro vita, verso il confine Turco. Uomini massacrati.
E la Turchia guarda.E le (finte) coalizioni guardano.
Oggi vi aspettiamo in Piazza Duomo, alle ore 17 per mostrare la nostra vicinanza a Kobane, ai partigiani curdi che lottano per difendere uomini, donne e bambini dalla mattanza dell’ISIS, lottando per evitare un genocidio di fronte al quale il mondo sembra paralizzato.
Per mostrare la nostra vicinanza a Kobane, ai partigiani curdi che lottano per difendere uomini, donne e bambini dalla mattanza dell’ISIS, lottando per evitare un genocidio di fronte al quale il mondo sembra paralizzato.
Tutti noi siamo Kobane.
Vi aspettiamo.
Comunità curda di Milano-Rete Kurdistan italia
https://www.facebook.com/video.php?v=938159759534761
…purtroppo non mi riesce di aprire il video
Nei giorni scorsi H&M ha lanciato per l’autunno una linea di capi d’abbigliamento femminili chiaramente ispirata alla tenuta delle guerrigliere kurde le cui immagini sono circolate nei media di tutto il mondo. Più o meno nelle stesse ore, le forze di sicurezza turche caricavano i kurdi che, sul confine con la Siria, esprimevano la propria solidarietà a Kobane, che da settimane resiste all’assedio dello Stato islamico (Is). Quel confine che nei mesi scorsi è stato così poroso per i miliziani jihadisti oggi è ermeticamente chiuso per i combattenti del Pkk, che premono per raggiungere Kobane. E la città kurda siriana è sola di fronte all’avanzata dell’Is.
A difenderla un pugno di guerriglieri e guerrigliere delle forze popolari di autodifesa (Ypg/Ypj), armati di kalashnikov di fronte ai mezzi corazzati e all’artiglieria pesante dell’Is. Gli interventi della «coalizione anti-terrorismo» a guida americana sono stati – almeno fino a ieri – sporadici e del tutto inefficaci. Già qualche bandiera nera sventola su Kobane.
Ma chi sono i guerriglieri e le guerrigliere delle Ypg/Ypj? Qui da noi i media li chiamano spesso peshmerga, termine che evidentemente piace per il suo “esotismo”. Peccato che i peshmerga siano i membri delle milizie del Kdp (Partito democratico del Kurdistan) di Barzani, capo del governo della regione autonoma del Kurdistan iracheno: ovvero di quelle milizie che hanno abbandonato le loro posizioni attorno a Sinjar, all’inizio di agosto, lasciando campo libero all’Is e mettendo a repentaglio le vite di migliaia di yazidi e di appartenenti ad altre minoranze religiose. Sono state le unità di combattimento del Pkk e delle Ypg/Ypj a varcare i confini e a intervenire con formidabile efficacia, proseguendo la lotta che da mesi conducono contro il fascismo dello Stato islamico.
Sì, perché è pur vero che l’Is è stato “inventato” e favorito da emirati, petromonarchie, turchi e americani: ma sul terreno non è altro che fascismo. Ce lo ricorda l’ultima pallottola con cui si è uccisa l’altro giorno a Kobane la diciannovenne Ceylan Ozalp, pur di non cadere nelle mani degli aguzzini dell’Is.
Qualcuno l’ha chiamata kamikaze: ma come non vedere il nesso tra quella pallottola (tra quell’estremo gesto di libertà) e la pastiglia di cianuro che, dall’Italia all’Algeria e all’Argentina, hanno portato in tasca generazioni di partigiani e combattenti contro il fascismo e il colonialismo?
E come non vedere le ragioni per cui l’Is ha concentrato le proprie forze su Kobane? La città è il centro di uno dei tre cantoni (gli altri due sono Afrin e Cizre) che si sono costituiti in «regioni autonome democratiche» di una confederazione di «kurdi, arabi, assiri, caldei, turcomanni, armeni e ceceni», come recita il preambolo della straordinaria Carta della Rojava (come si chiama il Kurdistan occidentale o siriano). È un testo che parla di libertà, giustizia, dignità e democrazia; di uguaglianza e di «ricerca di un equilibrio ecologico». Nella Rojava il femminismo è incarnato non soltanto nei corpi delle guerrigliere in armi, ma anche nel principio della partecipazione paritaria a ogni istituto di autogoverno, che quotidianamente mette in discussione il patriarcato. E l’autogoverno, pur tra mille contraddizioni e in condizioni durissime, esprime davvero un principio comune di cooperazione, tra liberi e uguali. E ancora: coerentemente con la svolta anti-nazionalista del Pkk di Öcalan, a cui le Ypg/Ypj sono collegate, netto è il rifiuto non solo di ogni assolutismo etnico e di ogni fondamentalismo religioso, ma della stessa declinazione nazionalistica della lotta del popolo kurdo. E questo nel Medio Oriente di oggi, dove per ragioni confessionali o etniche semplicemente si scanna e si è scannati.
Basta ascoltare le parole dei guerriglieri e delle guerrigliere dell’Ypg/Ypj, che non è difficile trovare in rete, per capire che questi ragazzi e queste ragazze hanno preso le armi per affermare e difendere questo modo di vivere e di cooperare. È facile allora capire le ragioni dell’offensiva dell’Is contro Kobane. Ma è facile anche capire perché non intervengano a sua difesa i turchi, colonna della Nato nella regione, e perché sia così “timido” l’appoggio della «coalizione anti-terrorismo». Vi immaginate che cosa possono pensare gli emiri del Golfo dell’esperimento della Rojava e del principio della parità di genere? E gli “occidentali”? Be’, le ragazze che sorridono con il kalashnikov in mano saranno pure glamour, ma per gli Usa e per la Ue il Pkk è pur sempre un’organizzazione «terroristica», il cui leader è stato consegnato alle galere turche dall’astuzia della «volpe del tavoliere» (Massimo D’Alema, per chi non ricordasse). E d’altronde: non è nato come organizzazione marxista-leninista, il Pkk? Dunque, si tratta pur sempre di comunisti.
E allora? (…) La guerra lambisce oggi i confini dell’Europa, entra nelle nostre città attraverso i movimenti di donne e uomini in fuga, quando non restano sui fondali del Mediterraneo. Ma, dentro la crisi, la guerra minaccia anche di saldarsi con l’irrigidimento dei rapporti sociali e con il governo autoritario della povertà. Guerra e crisi: non è un binomio nuovo. Ma nuove sono le forme con cui si presenta: nella relativa crisi dell’egemonia statunitense, che costituisce un tratto saliente di questa fase della globalizzazione, la guerra dispiega la propria violenza “destituente” senza che all’orizzonte si profilino scenari realistici – fossero pure a noi avversi – di “ricostruzione”. Le vicende della «coalizione anti-terrorismo» sono una plastica illustrazione di questa impasse.
Rompere l’impasse è una condizione necessaria perché le stesse lotte contro l’austerity in Europa abbiano successo. Ed è possibile soltanto affermando in modo del tutto materiale principi di organizzazione della vita e rapporti sociali radicalmente inconciliabili con le ragioni della guerra: è per questo che l’esperienza della Rojava assume per noi caratteri esemplari. Mentre a Kobane si combatte casa per casa, migliaia di persone manifestano a Istanbul e in altre città turche, scontrandosi con la polizia, e centinaia di kurdi hanno fatto irruzione nel Parlamento europeo. Si sente spesso dire che chi parla di un’azione politica a livello europeo pecca d’astrazione. Ma provate a immaginare quale sarebbe la situazione in questi giorni se a fianco dei kurdi ci fosse un movimento europeo contro la guerra
Sandro Mezzadra
Guerra al califfato. Il vero bersaglio dell’Is, inventato da occidente e petromonarchie, è la straordinaria Carta della Rojava. E i combattenti kurdi sul terreno lottano contro il fascismo puro
http://www.euronomade.info/
SEGNALAZIONE: Solo disperazione.
http://ilmanifesto.info/kobane-scaricabarile-tra-usa-e-turchia/
…ho sempre pensato che là dove il peggio, qui in questa regione medio-orientale in fatto di divisioni etniche, di scontri, di guerre, di di interessi nascosti vicini e lontani, spesso si fa strada il meglio…Sarà per la forza che ci vuole per contrapporsi in termini di chiarezza e di riorganizzazione…e qui, e non altrove, é nata la “Carta della Royava” del Kurdistan occidentale, una confederazione di “Kurdi, arabi, assiri, caldei, turcomanni, armeni, ceceni” ( faccio quasi fatica a snocciolare tutti questi nomi, come penso loro i nostri della vecchia Europa: così vicini e così lontani…) che parla di libertà,giustizia, dignità e democrazia, di uguaglianza e di ricerca di un equilibrio ecologico, nonchè della partecipazione paritaria di uomini e donne alla vita pubblica…Perchè allora reprimere questa esperienza, quasi utopia concreta? Mi vien da pensare che gli uomini hanno paura degli “dei”, ma ancor di più gli “dei” degli uomini…
leggo solo ora questo post
grazie, grazie di cuore a Rosanna che ci ha proposto questo articolo di Sandro Mezzadra: ne sentivo il bisogno e ne apprezzo tutta l’utilità
un caro saluto
marcella