di Marcella Corsi
così sono tutti ugualmente innocenti
nell’uccidere, lui pure
che forse ti deve alla comunità da cui dipende
e ti porta, capro sacrificale che ha
forse osato
la corda intorno alle spalle – pure non fuggiresti
il deserto è un recinto chiuso dai simboli del tuo Dio –
chiusa in un abito bello che ti si fa sudario
nella tomba già scavata dove
in restituzione di ruolo ti ha trascinata quello che può
farti animale da macello
(colpevolmente forse, non so se più per te soffro
che per gli altri immaginati dietro pareti insanguinate)
da noi fanno vedere solo la prima pietra
chi la scaglia ha il volto coperto
chi guarda continua a mangiare
tutti uguali tutti terribilmente innocenti
[21 ottobre 2014]
Acuminata e molto vera , molto realistica .
Grazie a Marcella
leopoldo attolico –
Marcella colpisce .
Noi restiamo a leggere questi versi con la triste rabbia che percuote tutti coloro che comprendono e restano a guardare con la forza del desiderio di giustizia. Credo comunque che la vita prima o poi presenti il conto. Spero presto.
…grazie Marcella per questa bella poesia, pietra-memoria per tutti noi e lucciola…
mi sento anche di spezzare una lancia a favore delle pietre che sono nate per essere ascoltate, ammirate…Se scagliate, mai contro ciò che é bello…
ascoltare le pietre, ottimo suggerimento…
grazie della vostra partecipe lettura
la condizione della donna nel mondo (qui l’impulso a scrivere è partito dall’indignazione per l’ennesima uccisione ad opera dell’ISIS ma mi si è subito esteso alle molte lapidazioni di donne per legge) è argomento che meriterebbe molta più attenzione di quella che ottiene
SEGNALAZIONI
Impazza la campagna stampa mainstream (Renzi – ieri, alla Leopolda – l’ha celebrata con un minuto di silenzio) contro l’Iran colpevole di avere impiccato Reyhaneh
http://www.francescosantoianni.it/wordpress/2014/10/26/strano-caso-reyhaneh-jabbari/
http://www.francescosantoianni.it/wordpress/2014/10/28/testamento-reyhaneh-jabbari-unaltra-bufala/
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http://www.linterferenza.info/attpol/la-nuova-falsa-coscienza-delloccidente-e-del-capitale/
http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=111406&typeb=0&Il-testamento-della-condannata-a-morte-Conservate-i-fazzoletti
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ISIS???
http://www.disinformazione.it/ISIS_creatura_cia.htm
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Obama prende in giro il mondo con una guerra simulata all’ISIS (dopo Al-Qa’ida, ennesimo nemico inventato e armato per una strategia del Caos).
http://www.presstv.ir/detail/2014/08/28/376913/isil-completely-fabricated-enemy-by-us/
Gianni Petrosillo
http://www.conflittiestrategie.it/il-fantasma-dellisis
SU UNA POESIA DI MARCELLA CORSI: TUTTI UGUALMENTE INNOCENTI?
Il primo verso sembra la conclusione drammatica di un discorso tenuto dall’Io poetante (“così sono tutti ugualmente innocenti / nell’uccidere”), conclusione ribadita circolarmente nell’ultimo verso (“tutti uguali tutti terribilmente innocenti”). È chiaro che non è così. È proprio l’uccidere che toglie agli esseri umani qualsiasi condizione-rivendicazione d’innocenza. Veramente, stando al racconto biblico e per chi ci crede, l’innocenza è stata persa mangiando il frutto dell’albero della conoscenza e procurandosi la possibilità di distinguere il bene dal male. Ad ogni buon conto, innocenti sono forse solo gli infanti e gli animali. Sicuramente non i miliziani dell’ISIS e l’anziano padre di quella giovane donna siriana accusata di adulterio. È stato lui a dare il proprio consenso alla lapidazione della figlia, a stringerle una corda intorno al corpo e a trascinarla verso la tomba precedentemente scavata. Almeno, così pare di capire dal video diffuso dai miliziani e ripreso dai nostri media il 21 ottobre.
La poesia, anche con la data, richiama questo fatto di cronaca e ne fornisce alcuni dettagli: “la corda intorno alle spalle”, “chiusa in un abito bello che ti si fa sudario / nella tomba già scavata dove / in restituzione di ruolo ti ha trascinata quello che può / farti animale da macello” “da noi fanno vedere solo la prima pietra”. Per il resto il tragico episodio è abbastanza stilizzato. L’uomo non è un padre, ma è un “lui”, un “quello”, e lei è un “capro sacrificale che ha / forse osato”. Il primo “forse ti deve alla comunità da cui dipende”, pure la seconda forse non fuggirebbe il deserto, “il recinto chiuso dai simboli del tuo Dio”. Non c’è via di scampo, dunque. Uccidere è un’azione che può essere dovuta a una comunità? Sì, purtroppo. Penso alla pena di morte. Ma questo non rende quella comunità (nessuna comunità) innocente. Le dinamiche sacrificali e le ricerche di capri espiatori sono state studiate da René Girard. Smascherarle e combatterle è doveroso. La poesia credo lo faccia proprio ironizzando su questa supposta innocenza di una comunità (“tutti”, “tutti”, “tutti”) immaginata dall’Io dietro “pareti insanguinate”.
L’Io soffre per questa situazione e “colpevolmente forse” non sa se soffre più per la giovane donna lapidata o per gli altri che partecipano all’uccisione.
L’Io pure appartiene a un noi, a una comunità spettatrice del dramma: “da noi fanno vedere solo la prima pietra // chi la scaglia ha il volto coperto / chi guarda continua a mangiare”. È un noi composito: al proprio interno ci può essere chi come l’Io poetante soffre e chi, mentre il tragico evento si consuma, continua indifferente a mangiare: “tutti uguali tutti terribilmente innocenti”. Ovviamente non è così: nessuno di noi è innocente e tutti siamo colpevoli almeno quanto lo è l’Io che s‘esprime nei versi.
Che dire? È una poesia dal tono intenso e drammatico, in versi liberi, tenuti insieme da una sapiente presenza di anafore, allitterazioni, rime interne che dicono la sofferente impotenza dell’Io e testimoniano i suoi sentimenti e i suoi pensieri nei confronti di una donna (di cui neanche conosciamo il nome, una fra le tante) oppressa da una simile comunità di padri e di fratelli…Se si pensa che una sessantina d’anni fa (o giù di lì) i “delitti d’onore” venivano quasi impuniti anche nelle nostre comunità, ci si rende conto del grande cammino che l’individuo deve ancora compiere per emanciparsi e liberarsi da un Noi che, specialmente se assume la maschera di un Dio, può farsi oppressivo e violento. Altro che innocente. Assassino questo Noi. La poesia di Marcella credo coltivi la speranza di poter costruire un Noi diverso, libero, solidale, giusto e rispettoso della dignità delle singole esistenze. Grazie.
Ecco come si esercita con passione e competenza una critica. La critica culturale aggiunge sempre non sottrae. Un meraviglioso regalo.
Grazie a Marcella e grazie a Salzarulo che ci ha condotto fra le onde di questi versi
Giulia
Ecco come si esercita con passione e competenza una critica. La critica culturale aggiunge sempre non sottrae. Un meraviglioso regalo.
mi ci è voluto un po’ di tempo ma ho letto tutte le tue segnalazioni, Ro: mi hanno prospettato qualche dubbio in più di quelli che già avevo, sono state utili e te ne ringrazio.
A Donato un altro grazie per il suo contributo critico perspicace e appassionato, molto vicino alle mie intenzioni.
un abbraccio ad entrambi (e ad Ennio che mi ha convinto a postare questi versi)
Cara Marcella, apprezzo la tua scrittura e ti seguo da tempo;
comprendo i tuoi dubbi. Anche perchè quando si scrive su argomenti così drammatici è facile scivolare nell’ ” industria della coscienza”. Non siamo tutti egualmente innocenti soprattutto chi si impegna per raccontare. E’ forse meno innocente degli altri?
Marcella carissima, credimi, a me piace molto il tuo fare poesia, ed è davvero così..non era facile segnalare e segnalarti alla fin della fiera alcuni rischi fra cui una persona ,davvero per me più”innocente” di altre( quale la tua e tue simili nature, sicuramente) può incorrere contro la sua volontà. E’ molto molto facile in una colonia quale la nostra e molte altre, essere strumentalizzati, tanto più se il proprio impegno viene rivolto ad alcuni temi scottanti…non c’è migliore strategia per il nostro boia/ladrone o padrone che dir si voglia, di simulare appoggio ad ogni battaglia civile. La storia del partito radicale dovrebbe aver insegnato alla grandissima.
Ti ringrazio di aver accolto cose che definire massi o macigni è poco, dubbi e domande di ogni tipo compresi sia da una parte che l’altra che ovunque . Grazie anche di aver riportato un mio intervenire in altri “esercizi”, alla naturalezza di confronto fra coloro che fanno poesia, interrogandosi reciprocamente sulla poesia dell’altra o dell’altro…
un abbraccio forte come quello che ci fece riconoscere fra i tuoi versi sulla sottana di neve, sopra e sotto il cupolone e altre parti fuori e dentro il sacro (gra)
rò
Cara Giulia, credo che in fondo siamo tutti insieme colpevoli e innocenti, chi più chi meno in relazione alle circostanze che vengono prese in considerazione. E quanto più innocenti tanto più impotenti. Magari pieni di rabbia ma impotenti. Solo si cerca di capire, e capire in che direzione si può almeno cercare di andare.
Cara Rosanna, apprezzo molto (da parecchio ormai) la tua purezza di cuore. Immagino che ti abbia creato non poche difficoltà e dolore e che continui a condizionarti. Questo mi fa apprezzare sempre i tuoi interventi rivolti a me, anche quando sembrassero un po’ duri. Meglio verità e durezza che coccole gratuite (io però te ti sento dolcissima).
un abbraccio
marcella
Cara Marcella grazie per la tua poesia che mi coinvolto e fatto tanto pensare Nessuno può chiamarsi fuori e sentirsi innocente quando accadono certi eventi.
Ho condiviso pienamente l’analisi di Donato e anche lo sguardo problematico e interrogante di Ro.
L’aspetto formale poi di questo testo ci indica, per le scelte strutturali , come deve essere una poesia.
Maria Maddalena Monti
nel commento di Maria Maddalena, che ringrazio per la sua lettura, l’ultima affermazione mi provoca ad una domanda non provocatoria: come dev’essere per te una poesia? io so che sono diverse le forme di poesia che mi convincono (e molte non mi convincono). tu hai un ‘canone’ al quale la poesia, per come la intendi, deve uniformarsi?
A partire dalle scelte formali che hai individuato nei miei versi hai espresso un giudizio molto lusinghiero (da farmi arrossire quasi, ma ogni tanto fa pure bene). ebbene quali sono le scelte effettuate nei versi che ti hanno portato a dire “questa poesia è fatta come si deve”? insomma come dev’essere per te una poesia? (sempre che ti vada di dircelo…)
Cara Marcella rispondo alla tua domanda” non provocatoria” sinteticamente perchè non posso e non so fare in modo diverso.
La poesia dovrebbe nascere da un pensiero, da una riflessione sulla realtà esterna o interiore,fatta con sincerità e profondità.
Gli strumenti dovrebbero essere quelli propri del linguaggio poetico,allusivo,capace di aprire uno spiraglio su una realtà altra e che solo la poesia è in grado di esprimere.
Tutto questo l’ho ritrovato nel tuo testo.Ad esempio la parola “innocenti è posta alla fine del primo verso e conclude anche l’ultimo,così come uguali e ugualmente sono presenti nel primo e nell’ultimo verso.
Nell’ultimo verso inoltre l’innocenza-colpevolezza viene accentuata dall’avverbio terribilmente.
Il linguaggio poetico con la sua ambiguità e allusività fa emergere il concetto di innocenza-colpevolezza che mi sembra il tema della poesia.
cara Maddalena,
la tua risposta mi sembra centrata e utile. Te ne ringrazio.
Sono sul punto di uscire di casa per prendere un treno. Quando sarò di nuovo a Roma mi farà piacere tentare di continuare per un breve tratto il discorso che hai iniziato.
ciao
marcella
Ecco che Maria Maddalena ci porta a pensare alla poesia come frutto di esperienza e passione.
Nel testo di Marcella tutto ciò si trova e come sempre al posto giusto-
Siamo tutti colpevoli o terribilmente innocenti?
Dovremo scrivere il nostro nome anche fra i nemici, come diceva Fortini?
Pensiamoci prima di commettere quegli errori ai quali normalmente porta l’eccessiva pietà.
La poesia di Marcella Corsi, oltre ad essere bella in sé (secondo l’espressione di Fortini che cito a braccio “la poesia risponde solo a se stessa”) e coinvolgente sotto il profilo emotivo, è anche significativa, valorizzata in tutto ciò dal commento critico di Donato Salzarulo.
Essa rende evidenza di quanto Marcella in altro post scrive nel suo elenco sulle motivazioni che la portano a scrivere poesia (“Esercizi di poesia tra le pieghe della quotidianità”).
Seleziono tre punti che, per me, sono imprescindibili:
a) *Perché una poesia dice molto di più di quanto il suo autore non voglia o sappia*.
Ovvero, come scrive Ennio: * Potrei riassumere così la sua [di Fortini] posizione: “Dire tutto il dicibile e tentare, il più possibile, di scavare nell’indicibile!”*. Ovvero ancora, risponde a se stessa ma anche a qualche cosa che la trascende. Come le opere d’arte che passano i secoli.
b) *Perché amo l’intreccio di squisitamente soggettivo ed evidentemente universale che la connota*.
Ovvero la poesia che lega strettamente il personale all’universale.
Tocca quel ‘quid’ che non ha a che vedere con delle generalizzazioni (“siamo tutti essere umani”) ma con uno ‘specifico’ che ogni singola persona può percepire: “sta parlando di me e con me”. Non generalizza, ivi disperdendo e annacquando il soggetto, bensì tiene assieme delle diversità.
c) * Per consegnare qualcosa di quel che ho capito e di quanto mi è stato (o mi è) caro*.
Ovvero, far uscire il poetare dalla pura espressione soggettiva connettendolo con l’alterità. Fortini: *Una seggiola è una seggiola, anche se nessuno ci si siede sopra; ma una poesia, se nessuno la rimette in movimento, non una poesia*.
Ed è in virtù di quest’ultimo punto che la poesia di Marcella mette in moto le osservazioni di Rò, che a loro volta sono stimoli di ulteriori aperture e riflessioni. Non solo per Marcella, ma per tutti noi.
Io ho trovato particolarmente sconvolgente l’incipit:
*così sono tutti ugualmente innocenti
nell’uccidere, lui pure*
L’incipit in poesia è un momento cruciale, è una condensazione di significati ed è proprio ciò, questo ‘ventaglio’ di possibilità, che mette subito in contatto profondo chi scrive con chi legge. E’ un incontro speciale in cui due persone, pur essendone inconsapevoli, si svelano svelandosi all’altro: chi sono io? e tu, chi sei? E’ un incontro tra due desideri, due domande. Non dissimile da ciò che accade nel primo incontro tra analista e analizzando.
Veniamo al testo.
Marcella non utilizza il tempo ‘ipotetico’ del dubbio che le farebbe scrivere ‘sarebbero’. Usa il tempo presente e scrive ‘sono’. E’ un tempo ‘forte’, assertivo.
Ma dopo, come ci sbrogliamo con quel ‘sono’, quali i soggetti? Chi, i tutti? Vi appartiene anche l’Io di chi scrive e l’Io di chi legge? E in che misura? *Ugualmente*?
*L’Io pure appartiene a un noi, a una comunità spettatrice del dramma*, commenta Donato Salzarulo.
Ci potremmo allora appigliare ad una ‘necessità’ arcaica, quella dell’uccidere, che ci è venuta dai Padri, quand’anche non da Dio stesso? O dalla ideologia della ‘giusta causa’, ragion per cui si accetta la ‘guerra umanitaria’? Saremmo tutti assolti?
Ma dove ci potrebbe portare quel ‘sono tutti egualmente innocenti’? Proprio al suo opposto: non c’è nessuna colpevolezza, nessuno può essere punito. E, il danno? Chi se ne farà carico? Boh!?
Il monocolo Polifemo, privato dall’astuto Ulisse di quell’unica fessura che lo mette in contatto con il mondo, ai Ciclopi che gli chiedono il motivo di tanto gridare, risponde “Nessuno, è stato. Nessuno mi ha orbato”. Come a dire che abbiamo bisogno di una visione binoculare, non solo per quanto riguarda la nostra fisiologia sensoriale ma anche, in senso metaforico, per la nostra visione psichica. Comporre la nostra visione a quella degli altri (e che può essere anche critica) ci permette di uscire da una visione dominata dal pensiero unico.
Per ciò è importante questa poesia di Marcella perché ci pone, e d’altronde anche gli interventi fatti lo sollecitano, in particolare quelli di Rò, di fronte al nostro ‘essere nel mondo’ e alle responsabilità che ognuno di noi si assume.
Fra l’altro, come giustamente ricorda Donato, la condizione dell’innocenza è anteriore all’accesso alla conoscenza. A quest’ultima si attinge proprio cogliendo il frutto dall’albero del Bene e del Male. Ed è ciò che rende l’abitatore dell’Eden, che prima faceva un tutt’uno con Dio e la Natura, un ‘separato’, un ‘cacciato’, un umano.
Ma sperimentare questa separazione non è facile. E’ anche per questo che si preferisce, a volte, non sapere per godere di una immunità ‘innocente’. Sarà chi ‘comanda’ ad essere investito del ruolo di colui che sa; chi sta in alto si assumerà ogni onere: dal Deus vult, al Partito (o Chiesa che sia) che lo ordina, alla Nazione che lo necessita .
E, a volte, si preferisce essere sciocchi ( come *chi guarda e continua a mangiare*) per ‘non pagare dazio’. Perché, come scriveva Brecht, “Chi non conosce la verità è uno sciocco, ma chi, conoscendola, la chiama bugia, è un criminale”
Quanto alla struttura della poesia, c’è tutto un rincorrersi di tragiche immagini antifrastiche, (innocenza e uccidere; comunità e sacrificio; abito bello e sudario; attorno al collo non c’è uno scialle ma una corda), che testimonia il tumulto interiore del poeta, l’accavallarsi delle domande sulla storia e sulla memoria e che la poesia può solo accogliere ma non ‘dispiegare’. Sarà ciò il legame, il compito che si istituirà con il lettore e il critico, come abbiamo visto con il commento di Salzarulo.
Ed eccoci alla chiusura finale.
Viene sottolineato che noi vediamo solo l’oggetto, il fatto, la pietra.
E, in effetti, possiamo non conoscere a fondo tutte le dinamiche antecedenti, il primum movens. E, allora? A volte, per capire, siamo guidati dall’esperienza ma a volte dobbiamo ascoltare il dubbio e non fermarci a ciò che immediatamente ci appare.
Così scrive Marcella:
“chi la scaglia ha il volto coperto
chi guarda continua a mangiare”
Ci sarebbe un trattato da scrivere su questi due versi potentissimi che condensano la tragicità dell’essere umano, preso in mezzo tra il bisogno di sapere e la paura del sapere, tra la non-sapienza e l’insipienza.
Ma ognuno lo scriverà a modo suo.
R.S.
M’inchino a Rita.
Ahi, ahi, Emy.
Non sai che rischi corri nel metterti nella posizione dell’inchino!!!
Forse è bene che sia tu a tenere la tua nave ben governata e a non cedere al meccanismo/gioco degli scambi delle lusinghe ! (Ogni riferimento alla ‘Concordia’ è puramente casuale!)
Comunque ti ringrazio per l’attenzione che mi dai – e che apprezzo sempre – e anche per il sorriso che la tua battuta mi ha strappato: in tempi così grigi non è poco.
Un caro abbraccio.
Rita
@ Rita
Lusinghe!?!?!?
Ma se ho preso solo mazzate! Adesso sorrido io.
La terribile innocenza è il credere di essere innocenti al punto di arrivare a non vedere nella consapevolezza di uno stolto credo, l’ incapacità di capire i nostri limiti , che ci porta a ribellarci con la pietà o la rabbia , sia nei nostri confronti che in quelli degli altri escludendo in questo modo una vera riflessione e coerenza.
Cara Ro, chissà se anch’io riusciro’ a dire qualcosa di sensato…
Parlo della tua dolcezza che si fa battagliera quando ti sdegni ed é cosi’ assoluta da lasciare senza “difese”, poi vedi cosi’ in trasparenza da lasciare “scoperti”…noi oggi cosi’ impreparati agli abbracci…
Ritorno sulla potente poesia di Marcella: “siamo tutti ugualmente innocenti”, ovvero siamo tutti ugualmente colpevoli verso le vittime, da chi scaglia la prima pietra, magari una parola maldicente, a chi con indifferenza continua la sua vita…e nel terzo verso fa riferimento ad una comunità che impone ad un padre di portare al capestro la figlia, la bellezza da lui generata, quasi un gesto sadico e incestuoso…cosi’ che si possa liberare da ogni colpa: lui l’ha fatta e lui la distrugge. Ma anche lei non si ribellerebbe, potendo, succube di un credo religioso-politico…Certo quella descritta è una società particolarmente feroce, ma anche la nostra non scherza, per quanto ben mascherata…E’ cosi’ che tutti siamo a volte colpevoli, a volte innocenti…essere solo innocenti equivarrebbe ad una sola cosa, oggi difficilmente raggiungibile: libertà da ogni condizionamento…Quanti di noi? E come? Beh, la vita di tempo in tempo ci butta tutti in mare, e li’, innocenti e colpevoli, a boccheggiare, ad annaspare…quanti incontri si fanno li’ sotto che ci liberano dei nostri ruoli, quanto sale beviamo…
In questo gruppo di poeti o solo di persone ho trovato una comunità in ricerca di libertà, e cio’mi fa sentire in buona compagnia…diamoci una mano
Uccisi un giorno, un maledetto giorno di fine agosto, l’ipocrisia e la falsità. Dovevo farlo per me e la mia sopravvivenza. Tre giorni dopo uccisi il di più: l’amore non vero e il sogno. Poi uccisi me stesso. Dovevo farlo. Sono innocente.
@ Ro
Per quanto riguarda Rita Simonitto ribadisco che la sua critica è davvero molto interessante e mi insegna sempre qualcosa come del resto anche quella di Ennio. Io ho provato anche a fare critica premettendo sempre che non sono certo adatta perché non la so fare. Riesco comunque sempre ad emozionarmi e a considerare ciò che gradisco con grande entusiasmo (fa parte del mio carattere). Pe quanto riguarda le “mazzate” che poi tanto mazzate non sono
fanno male, ho ancora qualche postumo , ma grazie a dio le so curare da me.
Devo chiedere scusa se qualche volta ho voluto sdrammatizzare il tono del Blog scherzando un po’?
Il vino e i tarallucci li lascio a te , a me non piacciono. ciao
Molto articolata e perfetta come sempre , Ennio, la tua risposta riflessione, ma premesso che l’ “abatizzarmi” era ovviamente dovuto a un estremo figurativo irraggiungibile della tua capacità di mazzata maestra, un po ‘come in zen , io ho espresso una domanda piu terra terra …l’ho rivolta a Emy . Non voglio insistere perché mi presenti la sua rsposta, domanda, o pensiero ma sono come ferma al mio bisogno primario, soddisfatto il quale posso passare a un livello piu articolato di approfondimento.
Ripeto la mia domanda:
come si concilia per un poeta e la sua vita , la necessità (dichiarata in mille e piu interventi ad esempio da Emy, ma anche da altri) di avere vitale bisogno di critica sulla propria produzione e parimenti su quella altrui con sollecitazione di “baffi veri o finti” sempre sulla pelle altrui, quando, invece, da un altro lato, che cronologicamente è primo rispetto al precedente, si rifiuta tout court o ci s’inchina, ma sempre tout court, alla madre e il padre della critica poetica, che è la capacità critica , non tout court, di esaminare, analizzare, domandare, interrogare la vita nei suoi aspetti individuali, oppure collettivi, o nella storia etc etc fino agli aspetti socio politici (di questa o quella Reyhaneh, etc etc ) o peggio, si rifiuta di provare quanto appena brevemente elencato, si rigettano tout court inviti motivati a desiderare tali interrogazioni, peraltro anche vantaggiosi, proprio per quei “baffi” poetici , del secondo livello rispetto al primo, che potenzierebbero non poco anche l’attività specificamente poetica.
ps
per quanto relativo invece alla specifica situazione di (questa volta) Annamaria o (altre volte, passate o future) altri, dilettanti come lei…il mio punto di vista, del tutto relativo, è che la critica, deve avere regole sul “come” e modalità tali da distinguersi nel caso in cui si dibattano testi di grandi e testi di dilettanti, come è in tutte le altre discipline, dallo sport alla musica etc…. Tanto più questo è vero quanto più tale critica avviene da dilettanti a dilettanti.
Ho visto che un nuovo post ha ereditato parte di quanto anche qui costituiva argomento di riflessione, ma avevo promesso una prosecuzione del discorso iniziato da Maddalena e mi sembra giusto farlo.
Prima però un grazie a Rita, la cui lettura ha messo in rilievo altri aspetti della poesia dalla quale il post è partito. Tra l’altro Rita ha sottolineato l’incipit, e come esso possa essere importante e indicativo. L’inizio di una poesia dà corpo per me all’esigenza di fissare una prima acquisizione (o un dubbio doloroso o …) entro l’insieme delle elaborazioni emotive o di riflessione che si vanno facendo a partire da uno stimolo che proviene dalla realtà e coinvolge profondamente (mi riconosco in quanto affermato al proposito da Maddalena, solo aggiungerei i sentimenti a pensieri e riflessioni). L’incipit di una poesia mi si presenta spesso come una frase che si evidenzia di botto come una piccola illuminazione o una stilettata, e non posso lasciarla andare. Devo fissarla sulla carta, per me in primis e forse anche per altri. Poi il ragionamento prosegue sul foglio o al computer con i modi della poesia, che sono per me i più adatti a capire e velocemente dire/ricordare.
Nel caso di questa poesia, la piccola illuminazione di come la tecnica della lapidazione avesse anche lo scopo di suddividere al massimo la responsabilità dell’uccisione – di quanta più colpa deve caricarsi chi uccide da solo! – e l’indignazione nei confronti di tale soluzione (che alleggerisce un atto a mio parere invece pesantissimo e che tale deve rimanere) mi ha costretto a scrivere: così sono tutti ugualmente innocenti nell’uccidere.
La scelta di tagliare il verso dopo innocenti (ecco un esempio della non ‘innocenza’ o ‘ingenuità’ della scrittura poetica che ricordava Ennio riportando parole di Anna) è derivata invece dall’intenzione di introdurre, nel passaggio dal primo al secondo verso, un cambiamento di direzione del significato, una ‘sorpresa’ (nel senso indicato da Mayoor). Per di più il secondo verso così, al netto della virgola, risultava: nell’uccidere lui pure. E proprio quello volevo anche suggerire, che un uomo integro non avrebbe potuto che esser ucciso lui pure in una gran parte di sé nel momento in cui veniva uccisa sua figlia.
Non continuo in questo disvelamento delle scelte operate nei versi (e nell’accostamento al testo dell’immagine, che ho chiesto ad Ennio di scegliere in modo che non rimandasse alla lapidazione). Ma certo un testo in versi presenta molte scelte (lessicali, di punteggiatura, di fine verso, di posizionamento sul foglio, di metro, di ritmo, di assonanza/consonanza, di rima/non rima, …) che l’autore in genere fa tanto più consapevolmente quanto più ha frequentato la poesia (sua e di altri) e ha riflettuto su di esse. Questo in generale, perché ci sono a mio parere anche poesie che sono quasi ‘innocenti’, che si presentano alla penna dell’autore già nella forma migliore che possano avere.
Tuttavia, per quanta possa essere la sapienza dell’autore nell’operare le sue scelte, a mio parere nessuna poesia sarà tale se, preliminarmente al padroneggiare il linguaggio specifico, non ci sarà stata un’immersione profonda e sincera nella realtà del vivere, il proprio, di quelli che ci sono vicini e, per immedesimazione, di chi non conosciamo neppure ma sentiamo che comunque ci riguarda.
E qui mi sa che Ro ha ragione a stranirsi quando avverte una frattura tra la vita, il pensiero e il linguaggio poetico. Tuttavia credo che si possa scrivere solo di quello che si conosce. E una poesia non può dover essere. (Anche se io penso che non si conosca solo per accumulo di informazioni ma anche per appercezione emotiva, per immaginazione/deduzione antropologica, …
Sulla critica pure ci sarebbe da dire ma… magari domani a commento del nuovo post.
@ Marcella
confesso di avere letto più volte questa tua poesia nel tentativo di sincerarmi (sincerare a me stesso) che non sia l’ennesima poesia SU qualcosa, su fatti che si ritiene debbano riguardare tutti, com’è tipico della poesia sociale o politica, tanto votata al NOI da non saper vedere quanto l’area di riferimento ideologico si sia da tempo svuotata. E con chi si sta parlando, dunque, e perché? Poi alcuni commenti mi hanno aiutato, particolarmente i tuoi, Marcella, quando spieghi di quella terribile innocenza, che è tema universale, nel senso che va oltre il drammatico episodio di cui tratta. Resta dunque, sì, una poesia sociale di forte denuncia, che vorrebbe scuotere, ma si preoccupa di entrare in un dilemma esistenziale: pone una domanda, e questo a me pare più importante che cercare consenso e solidarietà. Stilisticamente riuscita (ne hanno già parlato ampiamente Salzarulo, Simonitto e Monti), soprattutto per il fatto che, a mio avviso, riesce a districarsi in un mare di significati senza che se ne senta la fatica, fatta eccezione per quel “in restituzione di ruolo” che la fatica la fa fare a me. Ma quell’Innocenti, così ben individuato, andava scritto. Complimenti.
Caro Mayoor,
la tua sensibile antenna di poeta ha colto il punto (tra i pochissimi in questo testo) che più mi ha lasciato in dubbio nella resa in parole di quanto volevo significare.
Sento l’esigenza di farmi anche capire quando scrivo versi, pur rispettando la mia soggettività espressiva. Lì la frase che, per motivi di ritmo (il testo aveva un fine-verso differente), mi veniva alle dita era “in resa di ruolo”, giacché il termine resa non mi significa solo restituzione (all’uomo del suo ruolo di padre-padrone) ma anche l’arrendersi (di un suo ruolo paterno sul versante emotivo). Temevo però che tutto ciò non sarebbe stato inteso (che in resa di ruolo non avrebbe restituito nemmeno uno dei due significati che per me erano chiari). Quindi ho preferito dare più spazio all’esigenza di far capire, ridurmi ad uno solo dei significati, modificare il fine-verso e usare restituzione, termine per il quale sentivo comunque una ‘fatica’ della frase. Proprio come hai sentito tu. Devo dire che me ne pento, però. Perché evidentemente la mia scelta linguistica non rende in modo chiaro nemmeno uno dei significati voluti. E dunque, difficoltà per difficoltà, forse era meglio dare spazio alla mia soggettività interpretativa. A parziale giustificazione posso dire che questa è una prima redazione e magari rileggendo a distanza di tempo …
Grazie della tua lettura.
Bravo Mayoor e brava Marcella in questa ri-analisi del processo poetico.
Adesso, ri-leggendo, mi accorgo quanto il termine “restituzione” non solo non rende la duplicità dell’intendimento di Marcella, ma è anche ‘cacofonico’.
Forse l’eccessivo bisogno di chiarezza, o la paura di abbandonarci, a volte ci distoglie da quell’intuito immediato e soggettivo che ci mette ‘in penna’ la parola giusta.
Grazie.
R.S.
… la ‘cacofonia’ non la colgo ma certo quel in restituzione di ruolo rimane un nodo non risolto. Anche perché con in resa di ruolo (o, poi, restituzione) volevo intendere che quel macabro rituale costringeva entrambi nel proprio ruolo codificato da cultura e istituzioni (e qui sta anche il motivo per cui ho scelto di usare quello, non un termine più specifico, ad indicare chi fa di lei animale da macello).
A questo punto dell’elaborazione del testo quei versi mi si offrono così (ma non so ancora se accettare l’offerta):
…
chiusa in un abito bello che ti si fa sudario
nella tomba già scavata dove
arresi al ruolo ti ha trascinata quello che può
farti animale da macello
…
Mayoor, se li avessi letti così avresti sentito la stessa ‘fatica’?