Che cos’è la poesia? Come avvicinarla? (Lezione 2)

lezioni sulla poesia

di Ennio Abate

Ecco la seconda lezione rielaborata dai tre incontri sulla poesia che ho condotto a Saronno su invito dell’Associazione “L’isola che non c’è”. [E.A.]

Tenendo conto dell’attuale estrema problematicità degli strumenti della poesia (Lezione 1 qui), come possiamo usarli per capire o costruire un testo poetico?

Pietro Cataldi nell’ introduzione a Poeti italiani: il Novecento (Palumbo 1994) affermava: «è finita l’epoca degli storicismi a senso unico, e chi legge deve abituarsi a confrontare e a scegliere, al di là di ogni binario precostituito»(XV). E più oltre: «Si dice – la poesia del Novecento è difficile. Lo è come quella del Trecento o dell’Ottocento, non di più se non in pochi casi circoscritti. Abbisogna anch’essa di un commento che aiuti il lettore a comprenderne la lettera e lo spirito. […] Diceva Dante che il significato letterale è la premessa e la condizione di ogni altro significato. E Montale, riferendosi alla poesia contemporanea, sosteneva che esso è “in poesia sempre decisivo”. Dunque occorre porre al primo posto la parafrasi, la spiegazione parola per parola, per poi risalire a significati più complessi. Sappiamo tutti che la poesia è polisemica e che proprio nella plurisignificanza sta il suo segreto, [aggiungerei: anche la fonte di equivoci…(E.A.)] ma questo non può esonerare dalla ricostruzione precisa della lettera materiale del testo».

Anche Lorenzo Renzi («Come leggere la poesia», Il Mulino 1985) sosteneva tesi simili affermando che:
– «ci sono processi di iniziazione e di educazione alla poesia» (14);
– «il gusto poetico si educa, e si educa passando dal più facile al più difficile» (12) e, quindi, in una sequenza, per lui esemplificativa, passando da Pascoli a Carducci a  Saba a Montale (14-15);
– la progressione del gusto non va in senso storico; e bisogna distinguere educazione al gusto da educazione storica, perché la storia non spiega la poesia e nemmeno può introdurre ad essa (18); semmai storia e storia letteraria  gettano le basi per una sua migliore comprensione.

Liberata dalla gabbia dello storicismo, col tempo irrigiditasi, per almeno due decenni (anni ’60-’70) in Italia la lettura consapevole dei testi poetici incappò però in un’altra gabbia, quella dello strutturalismo. Con altri inconvenienti. Infatti, le teorie strutturaliste ma anche quelle dei formalisti russi del primo Novecento che cominciarono a essere meglio conosciute, se ebbero il merito di farci capire meglio che la forma è importante in poesia perché rafforza il significato (25) e ne aggiunge uno ulteriore; o che in poesia conta il modo in cui una cosa (il ‘contenuto’) viene detta e non la cosa in sé (per il valore che ha o che noi gli attribuiamo);  o che hanno una loro importanza sia gli aspetti fonetici [1] sia certi aspetti nascosti (magari subliminali e indagabili con certi strumenti della psicanalisi [2]), alimentarono anche l’illusione di una scientificità assoluta dell’analisi strutturalista, tale da far credere che tutte le oscurità circa  la natura della poesia fossero di lì a poco prossime a scomparire. Renzi, che pur si dichiarava epigono dello strutturalismo e riconosceva l’importanza dei nuovi strumenti d’indagine dei testi, certamente più rigorosi rispetto alle letture impressionistiche, intuitive o soggettive, perché basati sull’osservazione diretta (26), giudicava rischiose e miopi certe letture di matrice strutturalista. Che, tra l’altro, in quei decenni si erano imposte come nuova moda anche nella scuola e riscuotevano il consenso degli insegnanti al passo coi tempi. (Vale la pena di ricordare che critiche analoghe vennero pure  da Cesare Cases; e le si può leggere in un libello satirico del 1978: Il poeta e la figlia del macellaio, ora in «II boom di Roscellino»).

Aggiungeva Renzi che la stessa teoria delle funzioni linguistiche di Jakobson, capace di farci capire che la poesia è linguaggio incentrato su se stesso (quasi, egli osservava, che il linguaggio poetico stesso  dicesse: guardatemi come son fatto! mentre gli altri linguaggi sembrano dire: guardate oltre me, quello che indico) non è valida in assoluto, cioè per tutti i testi esistenti.  E – obiettava – pure il linguaggio poetico indica oltre sé (è cioè referenziale), poiché, anche se fossimo dell’opinione che non può afferrare il mondo della realtà, rimanda comunque a «un mondo secondo, finto» quanto si vuole ma niente affatto trascurabile. Nessuna teoria è, dunque, onnipotente. E pure quella di Jakobson va a rotoli – sosteneva sempre Renzi – di fronte a «un testo che, intuitivamente, riconosciamo come poetico [ma che non presenta] i caratteri [da lui] definiti per il linguaggio poetico»(117).

Conclusa da tempo quella stagione di ricerca strutturalista, sfuggiti alla trappola che indusse molti a una sorta di «contabilità grammaticale»  del testo poetico (127), consapevoli che la poesia non si coglie solo attraverso un’attenzione  più o meno scientifica, pur indispensabile, al linguaggio in sé, ai suoi aspetti linguistici formali (del significante), al numero delle sillabe, alle rime, alle assonanze, alle “figure del pensiero” (le metafore, le metonimie, ecc.), siamo rimandati ancora una volta a porci seriamente la domanda ineludibile: che cos’è la poesia.
La risposta più convincente  a me pare quella più problematica. Quella che dice cioè: la poesia  è il terreno dell’ambivalenza e della polisemicità (o pluralità dei significati possibili).

Lo chiariva assai bene Fortini in una intervista a RAI Educational nel 1993 (che  ho tante volte citata e che si legge per intero qui):

«Nel parlare comune, “poesia” significa due cose: per un verso è un discorso, o ragionamento, o una comunicazione dove prevalgono elementi di ritmo e cadenze, di ripetizioni, di immagini che alterano i significati immediati e che gli conferiscono, oltre ai primi, anche significati interiori. Per un altro verso, quando noi diciamo “questa è poesia” intendiamo in genere qualcosa di elevato e di nobile, di rassicurante o di commovente o di rasserenante, di vivace, pungente ecc.»

In una poesia i due elementi sono intrecciati, ma, quando la si legge, la si analizza, vanno distinti. Fortini ancora: «Ora qui dobbiamo decidere: ci occupiamo della poesia come oggetto di bellezza, di commozione o di espressione o ci occupiamo piuttosto della poesia come oggetto verbale, ossia come un tipo particolare di comunicazione, sospendendo per il momento ogni giudizio di valore ?». E infatti, quando avessi individuato tutti gli aspetti formali, da essi soltanto non posso dedurre automaticamente il valore poetico di un testo. Le allitterazioni, ad es., possono esserci anche in una filastrocca. Seguiamo ancora la spiegazione di Fortini: «Se io dico: “Madre dei santi, immagine della città superna, del sangue incorruttibile conservatrice eterna” ecc. – con quello che segue nella Pentecoste del Manzoni – posso dare importanza al ritmo, ai gruppi di sillabe, al sistema di accenti e di rime e naturalmente posso anche sapere, oppure qualcuno ce lo spiega, che in questo caso l’appello è diretto alla chiesa cattolica. Invece se io dico: “Trenta dì conta novembre con april, giugno e settembre, di ventotto ce ne è uno, tutti gli altri ne han trentuno“, anche qui trovo ritmo – infatti sono quattro ottonari – e trovo delle rime». E riflettiamo sulla sua conclusione: «se devo chiedermi come classificare l’inizio di una delle più famose composizioni letterarie della lingua italiana, oppure di un soccorso mnemonico come quello che ci vuole informare di quali siano i mesi che hanno trenta o trentuno giorni non c’è dubbio che l’uno e l’altro devono essere considerati in questo senso: poesie o testi poetici. E perciò: Nel primo caso c’è un oggetto sublime; si tratta niente di meno che della discesa dello Spirito Santo e poi soprattutto non ha nessun senso isolare questi primi versi che ho letto da quelli che seguono; mentre nella seconda è una canzoncina puerile con dei fini di sostegno alla memoria».

Note

[1] Ad es. Renzi così analizza il famoso verso de La quiete dopo la tempesta di Leopardi «e chiaro nella valle il fiume appare»: che esso «contenga tra le vocali 3 volte la a e una volta la u , è un fatto molto importante. Infatti al significato delle parole si aggiunge e si allea quello dei suoni. Siccome la a suggerisce chiarezza e la  u è scura, noi vediamo un  paesaggio tutto chiaro e un punto scuro, il fiume. Il significato e i suoni “‘si rispondono»(20-21).

[2] Stefano Agosti, ad es., notando che in A Silvia il poeta chiama disperatamente e ossessivamente Silvia (nell’incipit tornano con insistenza i termini: Silvia, Tua, tuoi, tu)  o individuando in salivi ( e tu, lieta e pensosa, il limitare/ di gioventù salivi)l’anagramma del nome Silvia, ha messo in luce una sorta di «libido vocativa» (23)che ci permette di cogliere un ulteriore significato di questa poesia. O almeno di fare qualche altra ipotesi sulla sua natura.

20 pensieri su “Che cos’è la poesia? Come avvicinarla? (Lezione 2)

  1. Di nuovo complimenti a Ennio per questo lavoro molto ben fatto e molto utile.
    Mi è venuto in mente – a seguito delle Note (“Infatti al significato delle parole si aggiunge e si allea quello dei suoni”) e sempre rimanendo in tema di Leopardi – che ne “La sera del dì di festa”, è presente anche una ‘sequenza armonica’ che fa sì che il verso “Dolce e chiara è la notte e senza vento” non possa scriversi come “Chiara e dolce è la notte e senza vento” (a prescindere dall’intenzione del poeta di mettere al primo posto il termine ‘dolce’ attorno al cui senso – e per contrasto – si articola la poesia). C’è in quella particolare disposizione delle parole come un canto, un lamento, che invece, nel secondo caso, spostandone i termini, non suonerebbe più così. Eppure l’endecasillabo rimane endecasillabo, le parole mantengono il loro senso, le immagini sono quelle: ciò che cambia è la loro relazione ‘musicale’.
    R.S.

  2. Cercherò: Siamo partiti parlando degli strumenti del poeta ieri e oggi, come attrezzi del mestiere che si adeguano poi al sentire personale, dove però alcune nozioni fondamentali restano invariate come un retroterra in comune con filosofi e storici. Ci siamo resi conto che oggi la società letteraria è ai margini rispetto ai max media. Seguendo anche un altro incontro, in altro contesto, si è appalesato che oggi c’è più gente che scrive, rispetto a chi poi fruisce e legge testi di letteratura e di poesia. Gli inizi del 900 hanno stravolto la metrica portandola a forme libere, precarie, liquide (Sanguinetti e Bertolucci). A me personalmente le forme libere non spiacciono anche perchè poi chi scrive, imprime una propria forma. Abbiamo visto il punto di vista di Fortini che dice “Una conchiglia dove si ode un rombo che va ascoltato perchè è il rumore della storia”. Siamo passati da Pascoli, Carducci,Saba Montale -educazione del gusto-.Poesia che deve condensare la bellezza dell’espressione verbale. Abbiamo letto La poesia di Saba “A mia Moglie” per me bellissima, dove esiste un contrasto tra la aulicità del verso e la quotidianità delle cose, l’ho trovata una ode all’amore del poeta verso la consorte, in ogni singolo verso, in ogni singolo paragone l’ha resa sublime, l’ha descritta come la Sua Donna. Negli incontri successivi si son lette poesie di Sagredo ” Potessi i mitrati inverni salmodiare e Lucini “Espettorazione di un tisico alla luna” le ho trovate veementi, dissacranti, ma bellissime con una forza espressa in tutta la potenza del verso del poeta. Abbiamo letto alcune poesie tue Ennio, le abbiamo commentata e ti faccio i miei complimenti perché son proprio belle. Abbiamo parlato anche della poesia dialettale e letto qualche testo della signora Emilia Banfi, poetessa di Saronno. Mi sarebbe piaciuto continuare ancora con altri incontri, magari improntati anche sulla lettera di altre poesie per poter commentare e rendersi conto di quanto sia vasto l’animo umano in poesia…. spero che sia possibile. grazie

    * Nota di E.A.
    Questa è la testimonianza di una partecipante ai tre incontri sulla poesia avvenuti a Saronno. Il commento è passato da FB a “Poliscritture”. Da qui il tono immediato e confidenziale.

  3. …ringrazio anch’io Ennio per queste belle e utilissime lezioni sulla poesia che mi prometto di rileggere con calma, insieme ai commenti. Vorrei esprimere qualche pensiero sull’immagine che accompagna questo post ( disegno, dipinto, fotografia, componimento artistico?) in quanto penso che voglia trasmettere un’idea sulla natura della poesia e dell’opera d’arte. Mi sembra di ravvisare il corpo di una donna nel travaglio del parto: mentre genera, a sua volta é generata per una sorta di fecondazione esterna. L’immagine, riportata alla poesia, mi suggerisce diverse riflessioni: la poesia fa riferimento al nostro “femminile”…occorre denudarsi…nasce nell’ombra… attraverso un travaglio…nasce se si accetta di nascere…il seme arriva verticale sul corpo spirito e mente, imprimendo una metamorfosi dolorosa e vitale…senza rete di protezione, caprioleggia nel vuoto, nella sorpresa…impressa nella carne, è anche trascendenza…in quanto vita è destinata alla morte…ci fa entrare nel mistero

  4. La poesia è il morto in mezzo alla casa. E il morto nessuno lo vuole. Eppure è là, in mezzo alla stanza più grande o comunque alla stanza più accogliente o anche nell’unica stanza possibile. Ma anche l’amore allo stato nascente e allo stesso tempo l’amore che sta morendo e muore d’inedia e nonostante ciò non muore perché non vuole porre la parola fine. Le cose e i corpi sono come calendari a cui togliere i fogli dei mesi che passano. La poesia è sia vita e sia morte, perciò ride e piange e quindi vive nelle cose e al di fuori delle cose. La poesia è fine e confine e illimitatamente vicinanza e lontananza. La poesia sono le parole che si scrivono per dare ordine al caos dei sentimenti. La poesia è un ingegnere senza laurea ufficiale. La poesia non è altro che un bambino che impara a fare i primi passi e che deve buttarsi nel mondo esterno a partire dal mondo interno. La poesia è parola chiusa che la bocca non pronuncia mai. Poesia è scrittura. E ancora. Possiamo aggiungere che la poesia non è devozione, almeno per me, il che è di certo secondario. E non lo è in nessun senso, persino il più puro e nobile e allo stesso tempo materialista (la poesia è un bisogno primario per dialogare con parti di sé), e anche quando essa ci piace da morire cioè da rimanerne estasiati dallo scritto, ma piuttosto rapimento e, intendo il rapimento che avviene in chi, molto prima sottopelle, s’accinge a essere trascinato per i capelli a scrivere di quello che chiamiamo poesia. Non sei tu che avvicini la poesia ma è lei che porta pazienza, goccia a goccia, sicché entra e aleggia in maniera silenziosa e dopo si mette comoda. Dopo può succedere che lei abbandoni il letto, qualunque esso sia, la casa, il palazzo pericolante, i sospiri di chi ride e di chi muore, la nave che affonda, il sole che si nasconde, l’amore che come la foglia cade sul finire di settembre quando le giornate si truccano con altri colori e si accorciano minuto dopo minuto come l’età all’imbrunire. La mano, però, non abbandona mai la poesia, e tu sai, che anche dentro il gelo dell’addio ti scalda. Si, non è molto, però, è autentica. La poesia per essere tale è animale. E non bara. Le parole muoiono giovani. La poesia è sangue.

  5. Mammamia Transit!…Ennio è andato in un paesello che se va bene, conoscono le vecchie bestie di certi liquorini e caroselli, che andavano dai carciofi agli amaretti, o al massimo da chi nasceva o (si pre)occupava la periferia e, probabilmente, di questa agonizzante campagna, solo quella di certa ferrovia (a) nord.

    Il pendolare, invece, della tua “signorina poesia” ha esploso la sua, di un abete abate, encomiabile in ciliegio inziativa da frutto, a ogni traccia ematica della sua vita e della sua scomparsa, poesia in oscillazioni e vibrazioni al di la della bassa o alta velocità, immota in moto perpetuo. Un treno di vagoni non numerabili, abbandonati fuori stazione in un binario vivo senza fine e destinazione, fatti uno a uno goccia su goccia, che ti esplodono dentro senza rotaie, traiettorie e bersagli , interminabili , senza capo né coda, senza andata e ritorno, posti al centro nel passaggio di un corridoio dove nascono gli occhi e dagli specchi intravedi il suo volto in agonia e appena nato e viceversa…

    ps
    le prime volte che leggevo Carifi , cercando di non soffermarmi troppo sul suo integralismo mistico, ho ascoltato una musica che mi ha aperto altre porte su altre gocce o vagoni, fra cui adesso di nuovo la tua carrozza, senza nemmeno pagare, un te oltre le cerimonie e i travasi. Personalmente prendo questa tua goccia e la metto nel mio alberello al finestrino di questo dicembre… e ,se posso, ti appoggio poco poco la mia sullo stesso ramo, in un abbraccio fra noi e le altre negli altri.

  6. Cos’è l’immagine in poesia se non la poesia stessa.
    Prende corpo fino quasi a toccarla ,nel suo nel suo contesto resta , per vivere un’altra vita: quella del poeta, ma anche quella del lettore .
    L’immagine senza poesia resta solo negli occhi come un fotogramma fra tanti altri da dimenticare…forse.

  7. Immagine

    Ho fotografato un cielo blu
    di quel blu che vedono i bambini
    C’era soltanto un accenno di rosa
    di giallo in fondo
    Era l’alba dopo quella notte.

    Finalmente.

    E.Banfi

  8. Jiří Orten
    (morto a 22 anni)

    La cosa chiamata poesia
    quella vorresti fare?
    In solitudine singhiozzare
    e tanto volere bene.

    Senti? È il suo ticchettio
    Così disperato giocare
    La cosa chiamata poesia
    quella vorresti fare?

    Forse lo sai che spesso
    la parola è troppo sciocca
    Ma Dio ti chiude la bocca
    e altro non ti può dare

    La cosa chiamata poesia
    quella vorresti fare?

    (La cosa chiamata poesia, Deniky J. Orten, a cura di Giovanni Giudici e Vladimir Mikes, Oscar Mondadori)

    1. a Sagredo

      Si raggruma il sangue nella vecchia poesia
      torta di compleanno
      da dividere con gli amici.

      E.Banfi

  9. …forse, fra prima e ora, ho trovato il come. C’è uno scatto , o meglio un fotogramma in una storia che sembra solo un fantasy, e che invece è un estremo che calza il piede di A.S. o Orten o Transit e altri di voi ( noi?) .

    C’è una classica teca, dove come una raccolta “d’amuro”, possono trovarsi pietre o piccole cose da collezione. In questa sono state messe in fila tante farfalle e c’è ancora qualche posto libero per i prossimi retini…sembra fissa, il tuo sguardo, al massimo della contemplazione e dell’ispirazione, può rivederle a colori volare e respirare i fiori o l’aria nelle loro forme piene, sfumate, rigate, mimetizzate ….invece, d’improvviso, mentre sei lì davanti quasi imbalsamato come loro, al catturato e ingabbiato, il vetro fra te e questi prigionieri , incomincia a scricchiolare come se dentro la teca, tante piccole pressioni, di vento? di falangi? di punte di matita?, lo stessero per infrangere senza che ti scoppi sul tuo volto però, perché devi continuare a guardare…E, una volta infranto e rinfranto, bucato e ribucato in silenzio, senza alcun rumore di cocci sgretolati ai tuoi piedi, ascolti solo un suono, un impercettibile fruscio, è il movimento delle ali? cosa è? sei morta? Erano vive e non te ne eri accorta?

    Volano dentro la stanza, dove eri entrata senza nemmeno sapere perché, forse per via di quella verticale lavanda? il tuo colore preferito alla parete insieme a loro, stese immobili in quella teca ciliegio..Forse è la mano di un signorino, addirittura di un bambino? ritornato? non vedi nemmeno un dito, un polso, un movimento di spalla , e adesso la finestra chi l’ha aperta? e tu sei viva o morta?

    Le ali si fermano, ti guardano, forse ti stanno salutando? felici? fisse, sparse, a grappolo su un altro legno e un altro vetro, è la tua teca oltre la quale il vento canta, le sta chiamando? Devono andare. Ritorneranno? saprai riconoscerle fra altre ali? ha importanza?

    1. A Ro
      hanno tolto le ali alla poesia e le hanno regalato un paracadute . Atterrerà sempre e solo in una direzione, spero su un campo di lavanda, o sull’orto quando l’orto da i migliori frutti.

  10. Tentativi di definizione

    Poesia
    sono tornei tra mare e cielo,
    sembianti esotici, geometrie terribili.
    Labirinti dove soli si azzuffano ringhiando,
    universi che imitano apocalissi.

    Poesia
    sono tornei di tenerezze inaudite,
    teatri di rugiade, prodigi evanescenti.
    Finzione dei tarocchi che sognano destini,
    immagini di fate e di leggende.

    Poesia
    sono tornei fra misteri di cristallo,
    rubini dei cristalli, disperate corone.
    Vanità delle lune dove s’indugiano i poeti,
    cavalieri erranti, antiche sinfonie.

    Poesia
    sono tornei tra cielo e terra,
    cigni in lagrime, donne innamorate.
    Rosari di canicole dove smania la tortora,
    deliri di madreperla, narcisi impazziti.

    a.s.

    Praga, 28 gennaio 1977

    1. …Poesia:
      Risuonano canti tra fumi di bombe
      I fuochi dal cuore non bruciano,
      restano, tolgono il palpito quieto
      la strage incomincia dentro i salotti.

      2014

  11. …u ncaro saluto a tutti voi, per cominciare… Ro, sai il tuo parlare di farfalle dietro una teca che si animano, riuscendo a sentirsi vive e in contatto tra loro, mi ha ricordato un gioco che si faceva da bambini: quello delle belle statuine. Lo ricordate? Un bambino cantava ad occhi chiusi ” Le belle (ma anche le brutte, le buffe, le spaventose…) statuine d’oro e d’argento, al firmamento: uno, due, tre…” nel frattempo, i rimanenti bambini, prima immobili, assumevano pose leggiadre, comiche, terribili e si immobilizzavano di nuovo(si fa per dire, tra risatine e sollazzi di compiacimento reciproco)…Il bambino riapriva gli occhi e sceglieva la statuina piu’ riuscita, va da se’ che il fattore simpatia era importante. Un gioco che se ci penso mi dice tante cose sulla vita e sulla poesia: come anche noi ci riveliamo a noi stessi, agli altri e alle stelle (il firmamento) nei nostri scambi di commenti, di sensibilità, di esperienze, di poesie, come finiamo per animarci, per “bucare” lo schermo, come pero’ la vita ci immobilizzi di nuovo, ancora nella teca,magari “immortalati” in un sorriso. Vedi le foto nei camposanti…Scusa, ho introdotto una nota un po’ malinconica, ma sarà per via del calo di luce del solstizio d’inverno…Per questo anch’io, se non ti dispiace, aggiungerei una mia piccola goccia al ramo del tuo alberello alla finestra…

  12. Ciao Annamaria ( e un bel saluto a tutte/i)….
    per dare risalto alla mia statuina ( senza darmi importanza però) sono rimasta ammutolita (con le altre nè)…dicevo, orma mi muovo e chissà che combino e così ho resistito in quasi apnea…e come può essere in poesia un’apnea ?

    …poi, però, ho pensato al nostro (mio?) alberello , doveva pur muoversi almeno almeno di un ramo, e nel gioco camminano anche loro ( non solo per questione di sé o di me, o insomma di un mese alla rovescia si radica e si innesta)…hai visto che maratone si fa il ciliegio di Sagredo? e che capriole di tronco quello di Emy?

    Adesso devo rimettermi nella teca….poi mi libero ancora , spero.

  13. sig.ra/sig.na RO ma di quali “ali” Lei parla?
    Legga i seguenti versi. (grazie):
    ——-

    la colomba eretica

    Ieri,

    hanno segato le ali alla colomba!
    ma non il volo!

    hanno spezzato le zampine!
    ma non il cammino!

    l’hanno accecata con due spilli!
    ma non la visione!

    hanno staccato la coda!
    ma non la direzione!

    la lingua,
    la lingua,
    la lingua le hanno strappato!

    ma non il canto!

    il becco le hanno troncato di netto!

    ma non il respiro!

    poi hanno mozzato il capino!

    ma non l’intelligenza!

    l’hanno bruciata!
    incenerita!
    sparse le sue ceneri !
    ma non l’Immortalità…

    …in ogni luogo… oggi – domani – sempre!

    antonio sagredo

    Vermicino, 24 settembre 2005

  14. Cara Ro… farfalline, vi prego, volate, volate…vi spiace se mi avvicino un po’ alle vostre ali? Oddio, scusate se non sono proprio leggera, ma ho già nostalgia della primavera…non ammutolite, vi prego, le statuine sono d’oro e d’argento, come il sole e le stelle, giorni brevi e notti interminabili…

  15. shhh …sh sh…. shhhhhhh

    (((gentile signorino Gretel, pardon Greto, anzi no Sagredo, parliamo piano piano, pianissimo, altrimenti al solito schifìo finisce e ci cacciano nella teca per sempre.

    Di questa parola, anzi meglio: di questa parolona, i-m-m-o-r-t-a-l-i-t-à, non si può fiatare. …è troppo troppo politica, come la parola poesia, infatti. Io, dabbasso o a parete, qui comunque di fatto grata (senza sbarre però) mi volteggio dalle sue zampine alle sue criniere, e ciò mi fa acrobata come mai, tuttavia proprio per questo non dovrei, sempre io, rammentarle quanto sia insurrezionale, per un greto della sua portata , parlare di quel po po di fiume da lei rammentato, dalle nuvole al mare e di nuovo alle nuvole, il tutto senza capo , ovviamente niente coda, quindi senza fine….Lei è un bravo signorino, si rende conto di ciò che ha detto? anche solo pensarlo, senza nemmeno poetarlo, ci rende così alati ma così alati che diamo dispiacere se va bene, e vero e proprio fasti-dio a chi deve assolutamente escludere-sia da una chiesa che all’altra, da una bocciofila a un governo e qualche altro pseudo- dio, che quelle e solo quelle ali, di ogni parte di quel corpo segreto,ne conservino le chiavi delle ceneri e delle nuvole, dalle nuvole alle nuvole del segreto stesso …shhhh shhhhhhh) shhhh shhhhhhhhhhh Signorina Annamaria

    vostra signorina Grata Hansel

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