di Giovanni Asmundo
Esodo
Quando i Ciclopi lasciarono l’isola
i piedi toccarono l’acqua e avanzarono
il capo basso e il cuore muto
dando le spalle all’agonia di cenere.
E quando, con mani non abituate
ebbero slegato gli ormeggi dagli scogli
in balia degli spruzzi di schiuma fumosa
e gli strilli delle capre legate alle zattere
senza voltarsi, piansero lacrime cispose.
Il saluto dell’ignoto parolaio
A metà. Un sentire rappreso.
L’Eletta, all’ora dei vespri, Alloro
alla Kalsa. Un confratello acceso
da stop d’automobile. Una bimba
curva e nascosta ride in cella
dietro a un cassonetto. Questa città
mi romperà la testa.
Un cortile di ciottoli ripreso
lama di luna, salso buio
una finestra d’osterio, un legno pinto.
Trattenere i fiumi
con le dita.
Città di spigoli e smussi
di cocente illusione
di bocca secca.
Come l’ignoto che ha scritto quell’addio.
Ogni giorno a Palermo è un giungere
e un levare.
Una speranza di scoperte e un lascito.
Nòstoi
C’erano volte che tornavamo
e trovavamo tutte cose cambiate.
Uno s’apprestava a ripartire
(la moglie, il lavoro)
un altro vagava come anima in pena
le strade rugose, la lingua aspra.
Noi lo sapevamo, che avremmo copiato
all’infinito
quei gelsomini
per poi piegarli e rassettarli
ogni tanto.
* Giovanni Asmundo Nato a Palermo nel 1987, dopo il Diploma di Maturità Classica si trasferisce a Venezia. Nel 2013 consegue la Laurea Magistrale in Architettura presso l’Università IUAV di Venezia, presso la quale attualmente lavora, collabora alla didattica e svolge ricerca nei campi della storia e della rappresentazione dell’architettura. Partecipa inoltre a un progetto di editoria integrata cartaceo-digitale in collaborazione con la Peggy Guggenheim Collection.
Tra il 2003 e il 2008 partecipa e vince alcuni concorsi letterari nella propria città e uno nazionale (Premio Pedro Poveda 2005). Dal 2013 partecipa a vari reading leggendo proprie poesie. Nel 2014 è finalista al XXVI Premio Gioachino Belli (in corso), sue poesie appaiono sulla rivista Il Babau e sulla quarta antologia “I quaderni di Èrato”. Attualmente collabora con la rivista Blare Out.
Dal 2010 lavora a un progetto di poesia dal titolo “Peripli. Topografia di uno smarrimento” che nel 2013, in collaborazione con l’amico fotografo Daniele D’Antoni, si trasforma in una mostra itinerante di poesia e fotografia tuttora in evoluzione, della quale fonda e cura anche sito e blog (http://peripli.altervista.org).
Queste poesie sono così belle da togliere la parola. Così come accade per Palermo che ti ammutolisce con la sua bellezza e la sfinente tragicità di un declino che si combatte tra *una speranza di scoperte e un lascito* : emblema il gelsomino, il cui fiore si stacca dallo stelo ancora pregno di magico profumo.
Complimenti al poeta che è riuscito ad esprimere così tanto in così dense immagini!
E’ davvero riuscito a *trattenere i fiumi con le dita*, così come faceva Orfeo che, suonando il suo strumento e cantando, faceva tornare indietro i fiumi dal loro corso!
Dalla mia bocca secca e amara, per il momento, esce solo un grazie.
R.S.
mi coinvolgono, forse avrei scritto invece del “cuore muto” il “cuore in tumulto”, ma la mia propensione conservatrice al ritmo non giustificherebbe il senso della rottura di quelle vite
Caro e giovane poeta,
grazie per averci portato queste immense poesie che ci fanno volare sopra il tuo mondo vero,amaro, splendido. Lascia che possa stringerti forte le mani insieme a un grazie forte come la tua poesia.
Nostoi, mi ha davvero commossa. Grazie anche a Ennio.
…anche a me queste tre poesie di G. Asmundo piacciono molto, come collocate in sequenza per raccontare una storia, forse quella dello stesso poeta…la prima dice quanto è costato lasciare la propria isola, quasi come, si immagina, accadrebbe ai ciclopi, esseri non fatti per affrontare la terraferma e la banalità degli uomini…la seconda è quella di un “parolaio” che non trova parole per dire la sua isola o città, Palermo, così cara e dalle immagini che scorrono veloci e misteriose, impossibili da trattenere, come “trattenere/ i fiumi con le dita”…la terza parla del ritorno fugace sulla propria isola da parte del migrante, che sempre rivive il dolore della perdita…resta intenso un profumo: da rinnovare, curare come tutto quanto è sacro, ma appartiene al passato…
…Annamaria…che bello…
…grazie Emy, intanto colgo l’occasione per augurare a voi tutti del blog i miei auguri…
Direi che potrei poco aggiungere altro rispetto a quanto commentato da Annamaria, Emy e Rita . Avendo lasciato il mio precednete commento su altro tema e altro post, trovo però connessioni fortissime di queste poesie al senso del sacro. Ovviamente non è o per via del mondo arabo la cui influenza è stata (ed è tuttora presente, spero) nell’anima della Sicilia, ma per”com”e questi versi sanno fare memoria e sanno almeno tenere in vita cosa si è perso o “smarrito”, quali le tracce da riprodurre a riflesso fra storia e paesaggi perduti. Sapere cosa si è “smarrito” ( nei paesaggi esterni) e che ancora si sta perdendo ( nei paesaggi interiori della memoria ormai quasi svuotata), è un bisogno , un pensiero e un’azione fra le piu politiche, dunque rivoluzionarie, rispetto a un passato recente , a un presente, e un futuro (?) che hanno alienato anche dalla memoria della perdita. Quante e quali ricchezze perdute , accorgendosene al massimo per un malessere diffuso, in cui più o meno tutti, chi più chi meno, siamo tutti a nostro modo “scoppiati”. Sapere invece ricostruire almeno dentro se stessi, come fa questo figlio poeta , di nome Asmundo, è quel figlio di tutti noi che nella tragedia della perdita, sa darci speranza che almeno qualcuno è rimasto a cantare da dove venivamo, cosa abbiamo perso e indirettamente come ci siamo persi.
…
mi soffermo per ultimo per un ringraziamento speciale che fra esodi e/o esodanti, ha fatto conoscere un altro esodo con questa poeta che leggo per la prima volta ora…poi un altro ringraziamento sia ad Asmundo che a D’Antoni, per avere cura nella loro memoria, dell’indimenticabile e immenso Vittorio De Seta. Un carissimo augurio ai due amici di continuare questo viaggio intimo e pubblico, esistenziale e veramente, pienamente politico sulla memoria di chi eravamo, ultimo baluardo che il potere culturale che ci ha dominato negli ultimi settanta anni, è riuscito a interrompere e cancellare, così raggiungendo il primo risultato che ogni predatore e suo delegato ( chiamandolo vuoi mafioso, vuoi anche però nostro rappresentante) avevano a cuore più di ogni altra conquista, base o muos, sviluppo o crisi.
e.c.
…con questo poeta che leggo per la prima volta ora
E io non trovo le parole per ringraziarvi, lette e rilette le vostre, per la generosità nell’avere accolto con tale “affinità” queste poesie e il loro mondo, per avere davvero compreso in modo così profondo tutto quello che di intimo e di politico esse cercano di mettere in forma, per la sincerità che mi (e ci) avete donato. Raramente mi sono sentito così compreso. Sono commosso, vi ringrazio,
Giovanni
Grazie Gianluca, le tue poesie hanno profumo di nostalgia e realismo verso una terra generosa e a volte crudele. Bisogna rileggerle più volte per sentire gli profumi e l’atmosfera che si fa tangibile. Io l’ho lasciata, come te , ma l’odore dell’aria e il colore del cielo sono sempre nel cuore e le tue poesie risvegliano ricordi e sensazioni mai dimenticate.