di Piergiorgio Siena
Il discorso si era protratto con vari convenevoli ma Arthur Page era impaziente di arrivare alla questione che gli premeva. Si agitava sulla sedia e le dita tamburellavano nervosamente sul tavolo.
“Senti John” sbottò infine, “scusami se vengo bruscamente all’argomento, il fatto è che dobbiamo mettere a punto una strategia e rispondere alla lettera del grande capo e non abbiamo molto tempo. Hai letto il messaggio che ti ho fatto avere?”
”L’ho letto, l’ho letto. Sintetico ma duro e deciso, non è vero?”
“Altro che duro, se lo leggi con attenzione qui tutti ci giochiamo la carriera se non la testa”.
“Addirittura?”
“Già, First non ha mai scritto con un tono così freddo. Probabilmente anche lui è sotto pressione e cerca di scaricare i suoi problemi”.
“Capisco. E voi siete, ovviamente, il suo pungiball”.
“Proprio così, Tu sai che, sin’ora, era sempre andato tutto per il meglio. Abbiamo investito bene, siamo stati aggressivi quando era il momento e prudenti quando necessario. Insomma, First non aveva mai avuto motivo per lamentarsi”.
“Immagino. Ma ora…”.
“Mm, ora le cose stanno cambiando, i margini di profitto calano e non riusciamo bene a capire dove investire né i rischi che potremmo correre e, soprattutto, come fare per evitarli”.
“Dunque è per questo che mi hai chiamato. Pensi che io possa darti dei suggerimenti”.
“Sì, proprio così. Siamo amici da tanto tempo e so che puoi darmi qualche idea. Te lo chiedo in amicizia ma, certamente, sarai ricompensato”.
“Per carità Arthur, se posso esserti utile, ben volentieri. Tengo anch’io alla tua amicizia”.
Questo dialogo stava avvenendo nell’ufficio di Arthur Page, capo di una delle più importanti società finanziarie internazionali e l’interlocutore, John Wrigley, docente universitario ed esperto di mercati internazionali, era considerato la persona più adatta a cui chiedere consigli.
La lettera di Mr. First, responsabile della Holding di controllo della società di cui Page era Direttore Generale, si lamentava per i bassi margini di profitto conseguiti negli ultimi tempi e richiedeva nuovi schemi operativi e nuove idee in grado di potersi opporre al dinamismo di altre società concorrenti.
Ricevuto il messaggio, Page aveva compreso due cose: la prima che, al di sopra della Holding di cui First era a capo, esisteva un’altra struttura, della quale nulla sapeva, ma alla quale First stesso doveva probabilmente riferire e, secondo, che stavolta le cose erano serie, e non solo per lui e la sua squadra, ma anche per lo stesso First. Il messaggio così perentorio, lasciava intendere che il grande capo, questa volta, temeva per sé stesso.
Negli anni, Page aveva scalato innumerevoli gradini passando da società industriali di tipo diverso ad altre di tipo finanziario pensando, ogni volta, di aver raggiunto il top della carriera. Era giunto infine al vertice di una società finanziaria che faceva parte di un più vasto sistema la cui “capo gruppo” controllava costantemente piani finanziari e risultati. Infine, da una decina di anni, era stato chiamato proprio a dirigere la “capo gruppo” e in essa aveva speso le sue migliori energie. Al di sopra agiva comunque un’altra holding, non operativa, ma titolare dell’intero pacchetto azionario, che si limitava al controllo, e Norman First ne era il Presidente.
Ora, il messaggio del grande capo, avvertiva che ciò che, ultimamente, i risultati non erano soddisfacenti. Si chiedeva di più: più dinamismo e maggiori margini di profitto.
Per alcuni giorni Page aveva meditato su quel messaggio e alla fine aveva deciso di chiedere un parere a John Wrigley, amico da lunga data, al quale altre volte si era rivolto. Aveva pensato di esporgli il problema per poi convocare lo staff e intavolare una discussione.
Trasferitosi con Wrigley in una delle sale riunione, Page aveva chiamato i suoi più stretti collaboratori perché ascoltassero cosa John poteva dire ed esponessero, essi stessi, le loro idee.
Quando tutti furono riuniti, Arthur tirò fuori il messaggio di First e lo lesse. Alcuni dello staff rimasero a bocca aperta. “Caspita”, fece David, “tosto!”. Altri si limitarono ad un sorrisino, o a scuotere la testa.
“Ora”, disse Arthur, “voglio dirvi una mia idea che ho meditato dopo aver ricevuto la richiesta di First e desidero che anche tu, John, mi dica cosa ne pensi”. Continuò: “In questi anni non ce la siamo cavata male. Abbiamo guadagnato bene, siamo riusciti a schivare, almeno in parte, la bolla finanziaria e tutti noi pensavamo di poter vivere giorni tranquilli. Passata la buriana, avremmo ripreso ad investire con buoni margini. La liquidità non ci manca e comunque non è un problema.
“Proprio così” disse David, che era il responsabile della Gestione Finanziaria.
“Eppure il problema è proprio questo”, continuò Arthur guardandosi intorno.
“Che intendi?” chiese Patricia alla quale competevano le Ricerche e le Analisi dei Mercati.
“Ecco”, seguitò Arthur, “Abbiamo abbondante liquidità ma non sappiamo come investirla. Per lo meno non con i margini che vorrebbero lassù.
“Beh”, fece ancora David, “finora gli abbiamo fatto guadagnare dei bei dollari, non è vero? Ma che margini vorrebbero, lassù? Certo non sono quelli di una volta, ma non mi pare siano così esigui”.
“Giusto, ma il problema, come ho detto, è un altro”, seguitò Page, “Il fatto è che siamo ormai arrivati ad uno stadio dell’economia nel quale i margini si stanno assottigliando e poi, vedi, Pat, ho letto con grande attenzione il tuo ultimo rapporto, è senz’altro ben fatto e vi ho trovato buone idee, ma qui sta succedendo qualcosa di nuovo. Le nostre ricerche su settori e nazioni dove investire sono dettagliate e precise: ci dicono i capitali necessari, i margini possibili, i tempi di ritorno degli investimenti, affrontano le situazioni politiche e sociali. A seconda dei casi possiamo intervenire operativamente ed acquistare pacchetti rilevanti di aziende, oppure limitarci a interventi spot sui vari mercati. Le informazioni le abbiamo e del resto un nostro intervento è in grado, da solo, di muovere un mercato. Insomma, apparentemente basterebbe leggere il tuo rapporto per sapere cosa fare”.
“E non è così?”, chiese Patricia un po’ risentita dal dubbio che sentiva nelle parole di Page.
“No. Ma non intendo farti un appunto. Il fatto è che ho la netta sensazione che le cose stiano cambiando. Lo vediamo tutti: i margini si stanno assottigliando mentre i rischi, al contrario, aumentano e il trend non pare proprio di breve durata. Sarà la globalizzazione, la maggiore velocità negli spostamenti dei capitali, i debiti sovrani incontrollati, la concorrenza aumentata, o altro ancora, fatto sta che oggi, col mercato mondiale praticamente unificato, succede che tutti coloro che vi operano, pare stiano elaborando dati simili e perciò, sempre più spesso, quando ci muoviamo, ci troviamo in concorrenza gli uni con gli altri. In pratica siamo noi stessi che creiamo le condizioni per bassi margini e di sovrapproduzione. Ciò fa sì che pur disponendo di grande liquidità, in questo momento, stiamo un po’ tutti alla finestra per vedere che succede. Conseguenza: la liquidità rimane inattiva e i margini bassi”.
“E’ vero”, disse David, “c’è un’incertezza diffusa che ci impedisce di operare al meglio però almeno non perdiamo e manteniamo la liquidità pronti ad intervenire. Del resto cosa potremmo fare per migliorare la situazione?”.
“Il punto è proprio questo”, disse Arthur, “Secondo me dobbiamo cercare il nuovo. Dobbiamo ‘i n n o v a r e’” disse Page con tutta l’enfasi possibile. “Occorre cercare prodotti, settori, mercati nuovi e innovativi, ricercare cosa possa essere oggi “il nuovo vincente” e puntare su quello. Mi pare di capire che sia questo ciò che First chiede. Noi possiamo investire migliaia o milioni di dollari nell’industria o nel commercio o nei servizi, possiamo anche guadagnare, ma è certo che, come ci muoviamo, corriamo il rischio di metterci in un mare nel quale altri squali sono pronti a gettarsi. In pratica”, aggiunse a mo’ di conclusione, “non possiamo più fare riferimento esclusivo ai listini di borsa dei vari paesi, ma neppure possiamo limitarci ai settori tradizionali, dobbiamo cambiare il nostro approccio ai mercati”.
“Mm e allora che suggerisci?” Chiese Steve, che dirigeva la Sala Operativa. “Però stiamo attenti”, continuò, “innovazione” è una gran bella parola, ma ai rischi ci hai pensato? e che rischi poi! Difficilmente valutabili. Certo oggi chi ha investito per primo in certi settori dell’informatica o della telefonia ha guadagnato parecchio, ma anche questi settori stanno divenendo maturi e anche la loro curva presto o tardi sarà in discesa. Investiamo nelle strat-up? In quali settori? Noi non siamo preparati a piccoli investimenti. Acquistare pacchetti di grosse società, far lievitare le quotazioni e rivendere, questo è il business che ci ha dato maggiori soddisfazioni. Sappiamo farlo bene e siamo attivi ed esperti in tutti i più importanti mercati internazionali…”
“Questo lo so bene”, interruppe Page, “finanziamo società, gonfiamo il valore delle azioni e possiamo andarcene quando ci fa comodo. Eppure io penso che possano esistere altre strade. Che ne dici John?”
Wrigley si schiarì la voce: “La tua analisi, Arthur, è corretta”, disse con annuendo col capo. “Con tutti i dollari che circolano nel mondo si possono fare investimenti di grande importanza, ma è facile correre grossi rischi e poi…”
“E poi?”
“Voglio dire,…di liquidità in giro ce n’è tanta, troppa forse, ed facile spostare capitali e investire o disinvestire ovunque. In tal modo le bolle possono gonfiarsi a dismisura e scoppiare a ripetizione in qualsiasi momento. La mia impressione è che ormai, se si continua così, le crisi si susseguiranno e potranno assumere andamenti caotici. In linea di massima, Arthur, condivido la tua idea, penso che tu abbia messo il dito nella piaga: occorre cambiare politica. Se dovete pensare a margini più elevati dovete seguire, inseguire e direi persino anticipare e creare l’innovazione”.
“Già e come?”, fece Patricia. “Ci dici tu dove la troviamo ‘l’innovazione’?”
“No, io posso dare delle linee generali. Posso focalizzare il problema e parto da una semplice considerazione. Il mondo moderno ha fame di innovazione. Anzi, per la precisione di ‘innovazioni’. Ma, attenti, l’innovazione spesso nasce spontanea e comunque ha vita propria e procede per conto suo attingendo autonomamente dallo stock di conoscenze esistenti a livello mondiale e non è facile individuarla perché spesso nasce in sordina. Poi, comunque procede a grande velocità. Come è ormai documentato nella letteratura economica, nel giro di qualche anno, dopo aver invaso i mercati, creato consumi, strutture, alimentato la concorrenza e l’occupazione, l’innovazione cessa di essere tale, i mercati si saturano e i margini di guadagno si riducono…”
“Già, sappiamo come procedono i cicli, e allora?”.
“Voglio dire che tutto avviene assai più velocemente di un tempo”.
“Ok ma, ripeto, e allora? Come possiamo agire?”.
“Beh, io vedo il fenomeno e ne seguo l’evoluzione. La società tecnologica moderna è molto rigida, deve tenere in piedi strutture complesse fatte di imprese, di lavoratori, di consumi, di garanzie sociali e per far ciò è costretta a rincorrere costantemente un equilibrio dinamico che si sposta sempre più in là, ma quando i prodotti saturano il mercato, se non ce ne sono di nuovi, si entra in stallo, gli investimenti e la rimunerazione del capitale crollano, la disoccupazione aumenta e gli Stati entrano in affanno. E’ un modello classico, ma oggi questo circuito procede ad una velocità estremamente elevata”.
“E allora?”
“E allora non può esserci tregua. Le società moderne sono costrette a rincorrere il nuovo. Una corsa continua…”
“E’ vero…ma, se è come dici, noi investiamo nell’innovazione per trovarci presto superati da altre innovazioni…”.
“E’ proprio questo il rischio. L’abilità consiste nell’entrare cogliendo l’attimo giusto ed uscire per tempo. Però non vorrei sembrarvi troppo pessimista, forse siamo alla vigilia di processi innovativi che possono durare a lungo”.
“Racconta allora”.
“Beh, anzitutto il mondo ha ancora bisogno di grandi infrastrutture specialmente localizzate in determinate aree geografiche e lì, lo sapete, fatti salvo i problemi politici e sociali, le possibilità di investimento non mancheranno per parecchio tempo. L’unico problema è il rischio paese che deve essere attentamente valutato. Ma, in realtà, non è tanto di questo che volevo parlare, probabilmente già sapete come agire in questi casi.
“Si, questo lo sappiamo”, disse Page. “Non siamo filantropi e, alla fine dell’anno, First o chi per lui, chiede un resoconto degli investimenti e dei margini di guadagno. In pratica noi possiamo investire solo se esistono solide garanzie internazionali. Ma tu volevi arrivare ad altro, dì pure”.
“Ecco, vorrei portare il discorso sullo sviluppo in atto in alcuni settori come ad esempio quello dei sistemi informatici o della robotica. Non ce ne accorgiamo, ma stiamo vivendo una rivoluzione elettronico-informatica paragonabile alla rivoluzione industriale che allora sconvolse il sistema economico e sociale. Da alcuni studi e qualificati pareri pare che nei prossimi 30–40 anni i sistemi informatici, seguendo lo sviluppo di questi ultimi anni, raggiungeranno livelli di potenzialità e di integrazione incredibile e la robotica pure. I robot saranno in grado di sostituire quasi completamente il lavoro umano e saranno capaci di autorigenerarsi e autocostruirsi. Si prevede che il loro livello di intelligenza, se si può dire così, entro quel periodo, potrà essere paragonabile a quello umano e poi potrà andare oltre. I robot potranno operare autonomamente nella produzione, nei servizi e persino nella stessa ricerca tecnica e scientifica sviluppando idee e ricerche del tutto autonome”.
“Quindi tu proponi di investire in società che operano in questi settori”?
“Certo, già nelle fabbriche attuali i robot hanno sostituito gran parte del lavoro umano ma nel prossimo futuro la sostituzione aumenterà enormemente. Dove oggi operano mille persone ne basteranno poche decine. La produzione sarà controllata e gestita quasi totalmente da robot, da computer e da sistemi informatici di nuova generazione. Le aziende di produzione opereranno come oggi i supermercati e vi si accederà direttamente dalle reti informatiche; la pletora di funzionari governativi, a qualsiasi livello, svanirà, le biblioteche e i Centri di Ricerca di tutto il mondo saranno collegati tra loro e le conoscenze saranno a disposizione di tutti”.
“Mm, ti seguo, certo”, disse Page, “ma mi pare anche di cogliere qualche problema non indifferente, ok, avremo probabilmente una produttività elevatissima ma quale sarà il costo in termini di elasticità? E il mondo non sarà pieno di disoccupati? Cosa ne sarà dei miliardi di persone senza lavoro?”.
“Beh, questo non è un nostro problema”, disse David, “ci penseranno i governi. Certo che se è come dici, John, i sistemi sociali e politici dovranno essere totalmente ristrutturati ma, ripeto, fortunatamente non è un nostro problema”.
“A dire il vero lo sarà. Sarà sicuramente anche un nostro problema”, disse Page, “non è certo possibile pensare a disoccupazione di massa senza che vi siano enormi tensioni sociali e crisi economiche. E poi, chi comprerà tutte le merci prodotte? Vi immaginate cosa succederebbe? La cosa riguarda tutti. Quella che ci indichi, John non è una prospettiva tranquilla.
“E non ho ancora finito”, continuò Wrigley. “Allo studio ed in parte già realizzati ci sono micro robot o addirittura nano robot, costituiti da pochi atomi, dalle dimensioni di una capocchia di spillo, ma dotati di grandi potenzialità di calcolo e di memoria. Questi oggetti potranno svolgere attività incredibili. Potranno essere inseriti nel corpo umano al fine di diagnosi o cure mediche, e potranno essere facilmente utilizzati per scopi militari. Si pensa che potranno persino essere integrati con i neuroni umani e potenziare le capacità intellettive dell’uomo. Tutto questo potrà avvenire entro il periodo che ho detto o poco oltre”.
“Mio Dio” intervenne ancora Page, “siamo partiti parlando di investimenti e innovazioni e siamo giunti a considerare la possibilità di creare superuomini. Ma non credi che l’uomo, l’uomo normale, intendo, e le sue istituzioni, si ribelleranno a queste innovazioni? Già oggi la scienza, a volte, è vista con sospetto e da varie parti cominciano ad affermarsi ideologie e a formarsi organizzazioni che tendono a combattere queste fughe in avanti. Senza contare le religioni che si basano soprattutto sull’uomo com’è oggi. Non accetteranno mai un superuomo tecnologicamente modificato”.
“E’ vero, sarà una bella lotta, nascerà certamente una forma di neoluddismo, come nel 19° secolo, ma perderà. E’ fatale. Qui o là, nel mondo, l’innovazione procederà indisturbata. E’ una legge di natura. Considerate i tempi dell’evoluzione: 3,5 miliardi di anni fa è nata la vita sulla terra, le prime cellule eucariote risalgono a poco più di un miliardo di anni fa, i primati a 100 milioni, l’homo sapiens a 100 mila anni fa, l’agricoltura a 10000, la rivoluzione industriale risale a 200 anni fa, le prime grandi innovazioni scientifiche a 100 anni fa e le realizzazioni ad esse legate come il computer, i viaggi spaziali ecc. a circa 50 anni fa, e in questi pochi anni siamo già giunti ai robot e ai microrobot. Si parla di intelligenza artificiale sempre più simile alla nostra e ormai sappiamo come manipolare cellule ed atomi. Già oggi sono allo studio calcolatori quantistici basati su particolari comportamenti delle particelle sub-atomiche o sul DNA, con prospettive impressionanti. Considerate la vita degli ultimi 100 anni e confrontatela con quella attuale e vi renderete conto dei mutamenti e delle conoscenze tecniche e scientifiche acquisite in questo brevissimo lasso di tempo. Insomma, pare proprio che l’evoluzione proceda in modo autonomo e, per quanto si possa cercare di frenarla, penso che continuerà con lo stesso ritmo e, anzi, con ulteriori accelerazioni”.
“Quindi, per concludere”, disse Page, ci stai consigliando di tener d’occhio l’innovazione estrema, quella che potrà modificare interamente la struttura della società attuale”.
“Già”, ribadì Wrigley, “e teniamo anche in conto che mentre sino a cinquant’anni fa noi occidentali eravamo i padroni delle tecnologie e della finanza, oggi, la globalizzazione ha diffuso le conoscenze in tutto il mondo e, in tutto il mondo, si potranno avere strumenti e conoscenze avanzate, abbondanza di intelligenza e di capitali. Da ora in poi, partiamo tutti alla pari e non ci saranno sconti per nessuno. Né diritti da poter rivendicare, né tutele da pretendere”.
“Ripeto”, disse Arthur, “se è come dici, John, nel prossimo futuro la situazione non sarà certo tranquilla”.
Page parlava con tono perplesso e sembrava spaventato delle conseguenze che gli pareva di intravedere.
“Ragazzi”, disse ai suoi. “avete sentito cosa ha detto John. Pensiamoci. Poi, comunque, dovremo fare un rapporto ed inviarlo a First. Il tutto entro 15 giorni. Grazie John, come al solito sei stato chiarissimo, ma sei fortunato a non dover trarre conseguenze operative da ciò che hai detto. Dal canto mio, al momento, non so proprio che pesci pigliare”.
Finita la riunione, Page tornò a casa. Si sentiva disorientato. Aveva impostato la sua vita e il suo lavoro come se avesse dovuto continuare costantemente con le stesse modalità, dinamiche e alle volte esasperate, ma delle quali si sentiva padrone. Già altre volte, del resto, era stato costretto a modificare i suoi schemi mentali. La prima volta era avvenuta circa 20 anni prima quando i grandi calcolatori erano stati via via soppiantati dai piccoli PC e poi, successivamente, quando i linguaggi di programmazione, che pur aveva voluto apprendere a tutti i costi, erano stati sostituiti da nuovi linguaggi grafici più potenti. La velocità di elaborazione dei computer nei venti anni trascorsi, era aumentata a dismisura e così pure la capacità e gli strumenti di memoria dinamica e di massa. A quel punto aveva dovuto cedere. Quelle innovazioni gli avevano creato problemi logici e mentali e le aveva lasciate ai più giovani. Lui era rimasto escluso dalla possibilità di maneggiare personalmente la tecnologia e il software a suo piacimento. Gli restava tuttavia l’esperienza e la conoscenza dei mercati ed in effetti, il software che usavano in società era stato costruito sulla base della sua grande esperienza, ed era quello che gli aveva consentito grande rapidità di decisione e di intervento sui mercati. Ed ora? Se lo sviluppo era quello prospettato da Wrigley, lui era fuori, ma erano fuori anche i suoi collaboratori. Un’altra generazione si sarebbe fatta avanti. “Ma”, si domandava, “come avrebbe reagito la ‘società’?” Perché, se Wrigley era nel giusto, quello che si prospettava non era un semplice aggiustamento e neppure un miglioramento dell’esistente, si trattava piuttosto di modifiche strutturali che avrebbero inciso in profondità, scombinato l’organizzazione su cui si basava l’ordine internazionale. Una transizione epocale, paragonabile solo all’avvento dell’agricoltura od alla rivoluzione industriale. Sentiva intorno a sé il buio più assoluto e comunque un fatto era certo: per se stesso doveva trovare una via d’uscita.
Che fare? Che dire a First. Per coordinare le idee Page elaborò una scaletta degli aspetti che più lo avevano colpito con l’aggiunta di alcuni valutazioni personali. Pensava così di inquadrare al meglio le idee per suggerire nuovi investimenti da proporre al gran capo.
La scaletta era semplice:
– Evoluzione dei robot dotati di enormi capacità di calcolo e di memoria.
– Loro inserimento nelle attività umane con grandi capacità di autonomia.
– Eliminazione del lavoro umano, grande disoccupazione e tensioni sociali.
– Rivoluzioni diffuse e adeguamento delle strutture della società.
-. Il reddito prodotto per mezzo dei robot è distribuito equamente tra gli umani.
– Avvento di una società ideale con gli uomini che si dedicano alle lettere e alle arti.
– Contemporanea evoluzione e diffusione dei nanobot .
– Integrazione dei nanobot con i neuroni umani e sviluppo di uomini tecnologicamente modificati dotati di capacità superiori.
– Impiego dei nanobot per scopi militari: per spionaggio e per diffusione di armi chimiche e batteriologiche.
– Duplicazione dell’intera struttura cognitiva umana all’interno di un computer con possibilità di realizzare la vita eterna.
– Lotta tra robot, umani modificati e umani tradizionali.
Stesa la scaletta la lesse e la rilesse più volte. Presentava un percorso apparentemente fantasioso ma, a detta di Wrigley possibile ed anzi, in parte, già in via di realizzazione. Si sorprese a pensare che pareva un racconto di fantascienza. Da buon lettore gli piacevano i libri e i racconti di fantasia: gialli, spionaggio, rielaborazioni di fatti storici o anche racconti gotici. La loro apparente irrealtà gli consentiva di scaricare la tensione accumulata di una lunga giornata di lavoro. Recentemente, durante una breve vacanza in Italia, aveva letto i racconti di Franco Tagliafierro che rielaboravano fatti cruenti italiani rivelando probabili verità nascoste, e poi un racconto di Ada Paizis, giovane scrittrice cimentatasi in un racconto “gotico”, ed infine, un libro di Horace Walpole, che aveva fama di essere stato il primo autore “gotico” in assoluto. Scritti che davano l’idea che, spesso, realtà e irrealtà si scambiano di stato, si sovrappongono e si confondono.
Improvvisamente gli balenò l’idea di poter risolvere i suoi problemi: doveva semplicemente dare più corpo a quegli appunti e spedirli a First come si trattasse di un report contenente le proposte per i nuovi investimenti.
Così fece. Animato da un entusiasmo che non aveva da tempo, completò il racconto-report e lo inviò al grande capo.
Il dado era stato lanciato. “Questa”, pensò “è senz’altro la mia ultima relazione”. Era convinto, infatti, che di lì a qualche giorno avrebbe ricevuto un invito a dimettersi. Pensò che, finalmente, si sarebbe sottratto a quel mondo che stava andando troppo in fretta e che non sentiva più suo, e che avrebbe potuto vivere gli ultimi anni in serenità.
Si distese finalmente rilassato.
Grande fu invece lo sconcerto quando, di lì a qualche giorno, ricevette un invito a partecipare ad un incontro ad altissimo livello dove le sue idee sarebbero state approfondite e rese operative.
…racconto molto,forse troppo, didascalico ma molto, e mai troppo, efficace per descrivere l’ incatenamento più che “scientifico”, ultra fantascientifico, del piano reale della trama post umana…ci vendono che la meccatronica e la robotica, hanno aiutato gli umani a vivere meglio, correggendo fatiche, incompletezza e disabilità, per andare tutti alle olimpiadi della felicità.Propagande. propagande per la selezione della specie tanto come quelle su le varie libertà coinvolte per la corporation di una banca speciale, diversamente finanziaria, direttamente alla fonte della moneta del se_me. Utili idioti che si bevono di tutto, eterologa si o no, matrimoni omosessuali di Marino memoria ,o sessantenni di nuovo , o per la prima volta, madri o padri…qualcuno disse loro che avrebbero sterminato l’uomo , che li avrebbero eliminati, e loro di tutto punto impettiti, ne furono anche felici , nemmeno se ne accorsero.Non poterono neppure chiedersi circa i nuovi soldati dell’accumulo, una volta chiamati kapó o un ‘altra funzionari del capitale. Per loro le cupole e i padrini erano solo questione di mafie o spaghetti e mandolino , al massimo si riempivano le labbra di bolle scoppiettante al suono di fi fí na nanza, allegramente diretti a un’altra camera di sterminio …nel tempo presente ,solo qualche pezzo di ferro,antico ma anche diversamente artificiale, come nei film di Kim ki Duk o Stanley Kubrick, cantava ” io sono stato”.
…Un racconto questo di P. Siena che apre scenari molto inquietanti. Inizia con un dialogo tutto sommato asettico, almeno dal punto di vista del lettore, tra il direttore di una società finanziaria internazionale, i suoi collaboratori e un amico accademico (?) su come risolvere la situazione di stallo negli investimenti e nei profitti. La proposta di soluzione si traduce in un progetto che comporta la disumanizzazione del pianeta.
Ecco, forse nella scaletta illustrativa manca la voce: corsa alle conquiste spaziali. Così diventerebbe un progetto interplanetario e, scoppiato il nostro pianeta, si passerebbe ai numerosissimi altri delle infinite galassie…qualche buco nero in più, ma il profitto sarebbe assicurato
Prendo lo spunto dal fatto che in questo Blog, a volte, ai testi poetici postati seguono commenti in poesia.
Qui, a questo interessante racconto, vorrei fare un commento in forma narrativa.
“In una certa parte del mondo Mr. Adams si stava aggiustando la cravatta: fra poco doveva presenziare ad un party dato in suo onore in virtù dei cospicui investimenti che le Società Finanziarie da lui controllate avevano devoluto alle nuove ricerche sulle tecnologie RFID. In particolare sulla possibilità di installare chips neurosinaptici in grado di controllare il funzionamento della memoria con rimozione degli eventi dolorosi, in particolare se connessi a traumi bellici.
Vi avrebbe trovato non solo funzionari del Ministero della Difesa (alcuni di questi si sarebbero profusi in salamelecchi fra di loro, ma in realtà non vedevano l’ora di pugnalarsi alle spalle), ma anche rappresentanti di Multinazionali, quelle che erano state favorite dal progetto di ricerca e quelle che aspiravano ad esserlo.
Dallo specchio vide entrare Eric Langdon, aveva una faccia scostante, ma Mr. Adams aveva poco tempo da dedicargli per ammorbidirgli l’umore. Con i sottoposti, poi!
“Se non ti avessi creato io, Eric, direi che sei stato proprio bravo con Charles.
Mi devi riconoscere che l’idea che ti ho inserito sul neoluddismo perdente, perché l’innovazione procederà indisturbata, è stata formidabile!
Però mi aspettavo lo stesso una qualche espressione di ribellione o di paura di fronte a prospettive apocalittiche come quelle che ti ho fatto prospettare, tutti contro tutti, in un mondo senza diritti o tutele da pretendere. Me le aspettavo, ma non perché le gradissi o le temessi – e poi, al punto in cui sono i nostri lavori sarebbero ininfluenti – ma solo in quanto indici importanti per le risposte che si andranno a dare.
Mi è parso invece di intuire, nel report che Charles mi ha inviato dopo la tua visita, la possibilità di una certa cooperazione. E la cosa mi ha stupito. Da quale sacco proviene quella farina?”
Eric l’aveva lasciato parlare: si sentiva stanco o aveva i circuiti che si stavano scaricando. Ma al fondo non faceva molta differenza, oppure, a dire meglio, non gliene ne importava granchè.
“Da Mark Twain”, rispose, buttando la testa all’indietro sullo schienale della poltrona dove si era sprofondato allungando le gambe.
“E chi è?”
“Un tuo conterraneo”, rispose tra i denti.
“Non ti ho programmato perché tu mi risponda cavolate!”
”La memoria non è solo un fatto di circuiti. E’ anche un portato emozionale!”
“Ebbene?”
“Perché ti sei stupito che Charles dimostrasse una certa cooperazione? Perché, in qualche modo, hai fatto che da lui ci andassi “io”? ovvero ciò che rappresenta quell’ “io” che Charles conosceva e stimava?
Perché ci sono delle persone che fanno volentieri certe cose quando sono convinte che queste facciano parte di una loro scelta e che non vengono loro imposte. Basta solo dare loro questa illusione! Questo voleva dire Mark Twain nel suo Tom Sawyer a proposito della pittura della staccionata!”.
Eric avrebbe voluto aggiungervi anche dell’altro, di quanto gli era costato questo tradimento, ma Mr. Adams lo guardava troppo allibito, come se si fosse trovato davanti ad un mostro che aveva creato e che non rispondeva ai suoi comandi.
Così si alzò e uscì.”
R.S.