di Antonio Sagredo
Passato leccese
Lo sapevo, lo presentivo, lo sapevo.
La città scampanava di fiori le chiese,
i bambini ronzavano attorno i campanili.
Il noviziato arrossiva sotto il chiostro barocco,
i limoni scotevano l’aria dal torpore di sangue
scivolato dal turchese!
Magnifico il poeta dai balconi squillanti
imbandierati di garofani…
il gelo dei gigli salutavano madonne vogliose
i santi Cosimo e Damiano giocavano a carte
e nel destino i tarocchi assegnavano gli ex-voto.
Ma l’aria si fondeva nel verde nome della mia città,
ingiallita di pietra la sua nudità in un sole invertito.
Un triste basiliano malediceva Vanini: un Cesare – in fiamme!
Col rosario spezzato si lagnava presso i crocicchi,
dove lumicini aguzzi zebravano la nera devota,
imponendo un segno di croce che l’ubriaco scatarrava.
Le giravolte mi torcevano il collo:
un imbelle martirio!
Antonio Sagredo
Roma, 14 ottobre 1976
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Nel terzo componimento, Passato leccese, è l’architettura il motivo dominante: chiese, campanili, chiostri, balconi… è l’architettura l’arte principe del barocco, e quest’arte domina incontrastata lo spazio esterno e quello interno costruzioni ideate e realizzate per stordire l’occhio e la mente come la sinistra omelia di un arcigno gesuita!… e l’occhio non sa cosa centrare poi che le forme ubriacano persino la visione!… non sai quale la meraviglia mirare per primo.
Lo sguardo che dò alla città è realizzato non dall’alto, ma è orizzontale a 360°: io al centro e tutto che mi passa intorno circolarmente: una sequenza ossessiva che ebbra di se stessa produce suoni non affatto armoniosi, rotti da singulti si accavallano, ogni suono vorrebbe prevalere sull’altro, e tutto in una sequela che si ripete dalle prime luci leuconie fino al crepuscolo; di sera e di notte queste forme mutano: da contorte che erano divengono fisse, e sono te che mirano, non il contrario!
Il poeta magnifico come la scenografia che non si stanca di osservare ne assorbe i profumi e gli afrori di cui è pregna, tanto che la stessa pietra li tracima non potendone più di tanta copia! E il poeta annusa i vari fiori, i limoni, i garofani, i gigli che celano i ricami e le trame pietrose, le edere poi gareggiano con le trine e le contorsioni tufacee… le statuine di madonne e santi fissate nelle nicchie ti tallonano e ti inseguono e se entri in una chiesa sei assaltato da scenari truculenti: dipinti dove cristi insanguinati ti rimproverano chi sa quali colpe, statue di martiri che ti additano minacciose : davvero non se ne può più! Davvero non ne potevo più! Fuori non c’era scampo: eri investito da una atmosfera verdastra e giallastra insieme, il sole perfino s’era stranito invertendo il suo corso: non sapeva più quali anfratti della pietra doveva illuminare o oscurare!
Un religioso, un antico basiliano, precorrendo i secoli malediceva, in anticipo!, l’ateista, l’eretico Vanini, ch’era già in fiamme da secoli! Una nera divota con l’arma di un rosario nero si lamentava in chiaro-oscuro indicando un ingenuo ubriaco, incolpevole scatarrava e pisciava agli angoli non inferriati delle chiese!
E, per ultimo, era tanto frettolosa e furiosa la mia fuga traverso quei labirinti di viuzze e giravolte che il mio collo non ne poteva più d’essere girato e raggirato documentando di me un martirio non voluto, non inseguito affatto, un martirio con cui non volevo guerreggiare!
Fuggii da Lecce, letteralmente e, come Praga, questa matrigna, aveva artigli asfissianti.
a.s.
Roma, fine novembre 2014
Sagredo riesce a dare una visione, o meglio una suggestione visiva, della città storica di Lecce, abbastanza imprecisa e sfumata da farla immaginare a chi non la conosce o non c’è mai stato. Anche se non mancano colori, di forme ed emozioni, dimostra che la pittura fatta con parole riesce a far rivivere i luoghi diversamente dalla fotografia e dalla pittura stessa, e anche dal cinema. Infatti le parole scritte hanno movimento ma seguono vie immaginarie che non si potrebbero scorgere se non al prezzo di lunghissime riprese documentaristiche. Bene, complimenti a questo erede di Vanini.
…Una poesia questa di Antonio Sagredo molto intensa, dove la città barocca di Lecce viene presentata come una trappola di bellezza e di repulsione…I colori luminosissimi di fiori, di statue , di decorazioni si mescolano con quelli tenebrosi delle ombre e con il sangue di martiri. La pietra si ribella alla sua immobilità e accerchia il poeta in un delirio assoluto che induce alla fuga…”la nera devota” é una presenza che apre alla contaminazione tra cultura cristiana e quella animista dei popoli dell’america latina. Una nota misteriosa che spalanca le porte al mondo degli spiriti…
Mi associo in toto a quanto scritto da Annamaria alle 14:35; trovando altre parole, ripeterei precise precise le sue , diminuendo di conseguenza la grande capacità che anche questa volta ha trasmesso Sagredo fino alle stesse “porte” da cui va e viene come fosse un atleta allenatissimo non solo del suo spirito…