di Giuseppe Muraca
Parliamo del tuo ultimo romanzo. Come è nato il progetto di Un amore crudele?
Con una discreta fatica, dopo il quarto uscito con Transeuropa, sono riuscito a costruire un romanzo che dava voce al mio “vissuto”, anche se Un amore crudele solo in parte vi corrisponde. Ma non c’è dubbio che René Magnani sia un mio doppio. Prima avevo costruito romanzi che ricostruivano un “simbolico” pre-psicologico e non esistenziale (La notte di Stalin –quando il comunismo finì di morire anche sessualmente, Stampa Alternativa); simbolico onirico e grottesco, direi, unito alla ricostruzione storica di un certo passato generazionale.
Ė una storia incentrata sul rapporto complesso di tipo sado-masochistico tra uno studente diciannovenne, René, e una sua professoressa quarantenne, Anna; un amore forte, intenso, pervaso di violenza e di dolore. Quali sono i temi portanti dell’opera?
In sintesi, i temi sviluppano una educazione sentimentale e intellettuale ricca di percussive varianti. Al centro c’è un ragazzo disturbato e complicato, che è piuttosto un anti-eroe a volte perfino sgradevole, e sempre al centro la sua professoressa d’inglese, a sua volta rifiutata dalla vita, e da quella travolta. C’è la provincia romagnola, ma senza ricorrere ai cliché; egualmente, la tensione intellettuale dei due personaggi non ha nulla di provinciale, anzi. Inoltre immergo questa storia piuttosto drammatica nel clima politico-culturale del 1967.
Al centro del tuo romanzo tu poni il corpo, il desiderio, il piacere. Quali sono le ragioni profonde di questa scelta?
Una buona educazione sentimentale non è tale se la sessualità non è esplorata in ogni direzione; perché, inoltre, René e la professoressa hanno entrambi avuto traumi sessuali fortemente condizionanti. Nel linguaggio adamitico del corpo e del piacere leniscono e cicatrizzano le proprie ferite interiori.
Nel libro non mancano le scene di violenza, ma sono frequenti anche i lampi di tenerezza, e nelle ultime pagine René dice ad Anna: “sei la donna che più ho amato.”
La violenza sadomasochista è in realtà uno stratagemma terapeutico che entrambi si donano e subiscono per far affiorare il nucleo argilloso dei propri traumi. Anche se il ruolo sadico del ragazzo spesso è succube alle richieste masochistiche della professoressa.
Il romanzo è ambientato alla fine degli anni sessanta, un decennio di profondi cambiamenti, da tutti i punti di vista. Sullo sfondo il colpo di stato dei colonnelli in Grecia, la rivoluzione culturale cinese, la morte di Che Guevara, la rivolta studentesca del ’68… Che cosa ti ha spinto a ritornare a quel periodo?
Un autore dovrebbe sempre fare i conti con la propria storia politica, soprattutto quando questa è stata un elemento significativo della sua esperienza. Questa storia l’ho vissuta piuttosto intensamente, partecipandovi più di quanto il romanzo racconti. Sicché, mi sento autorizzato a offrire il mio punto di vista su quegli anni; un parere non da storico che ricostruisce, ma da individuo che ripensa sulla base di una consapevolezza forse relativa, ma sempre autenticamente personale. L’immaginario politico di René, nel romanzo, rispetta la mentalità e l’innocenza di un ragazzo di venti anni.
Nel romanzo c’è anche una critica abbastanza diretta del ’68.
In un punto del romanzo René critica i leader del ’68, quando, a Bologna, si organizzavano per pretendere dai professori il 30 politico, come lo chiamavano. E ci riuscivano, sovente con minacce. Allora, io ho studiato tutti gli esami, pur essendo un “contestatore” che occupava l’Università, partecipava alle assemblee e altro, e l’escamotage del 30 politico l’ho sempre visto come un delitto contro il sapere; non solo un’astuzia per archiviare un esame senza avere mai letto i libri del corso. Questo marginale esempio di microcriminalità politica, e di furbizia, segnala qual è la differenza etica che separa René da quei leader che in seguito hanno fatto carriera nel partito socialista, sovente trovati al tempo di “mani pulite” con il materasso pieno di mazzette.
Un amore crudele non è un romanzo autobiografico, ma nel personaggio di René si può intravedere una proiezione autobiografica dell’autore, o sbaglio?
La vita di uno scrittore è un vasto bagaglio di conoscenze ed esperienze. Ma il semilavorato di questi materiali grezzi deve passare attraverso la costruzione del testo, della trama, della elaborazione dei personaggi e del linguaggio. Inoltre, la psicologia e i sentimenti, non sono mai la fotocopia di una realtà vissuta in sé, ma di una realtà che va sempre reinterpretata. Io, come narratore, spesso mi stupisco come in una riflessione possano convivere esperienze mie con altre non mie, cui ho dato voce per perfezionare e approfondire i tratti del personaggio. Inoltre, René può sì riflettere sugli stati d’animo di Anna, ma l’efficacia di queste riflessioni non sta tanto nella realtà biografica, ma nella creazione del tutto finzionale di atteggiamenti che modellano un certo tipo di donna in perenne afflizione. Gli stati d’animo “biografici” di René, o quelli di Anna, in realtà sono quasi tutti falsificati, anche se non del tutto falsificanti. Il realismo di questo romanzo è più rintracciabile negli episodi di pura invenzione; alcuni momenti critici rivelano due complesse personalità ricche di guai e timori, ferite aperte e delitti interiori.
I principali personaggi del romanzo sono nati e operano per lunghi tratti in provincia, ma non sono dei “provinciali”: Anna e René viaggiano continuamente, si recano in missione in Grecia per cospirare contro il regime dei colonnelli, vanno a Parigi…
La missione in Grecia per portare soldi e microfilm alla Resistenza e il viaggio a Parigi in Lambretta sono due momenti centrali del romanzo. Non solo dal punto di vista della narrazione, spesso avvincente, ma perché in questi due lunghi episodi i personaggi rivelano bagliori del carattere ricchi di terrori incontrollabili e narcisismi eroici.
In definitiva, io leggo il tuo romanzo come una sorta di bilancio. E’ come se tu avessi voluto fare i conti con una certa fase della tua vita (la prima giovinezza) per archiviarla.
Un romanzo è sempre un punto di approdo, dove la narrazione si esalta e archivia, movimenta e blocca. Ma René, le sue incertezze, i suoi umori, la sua propensione ai disastri esistenziali, ritorna in un romanzo che sto finendo di scrivere. Al centro di un plot, variamente articolato, i primi anni di un precario dell’università dal ’73 al ’77, il ’77 a Bologna. Cerco anche di ricostruire le dinamiche accademiche fuori dai luoghi comuni del giornalismo culturale o di certi romanzi che vivono di cliché. Non vorrei essere banale né spietato col mondo accademico, ma un microscopio e un telescopio. Né parlerò dei precari di allora come oggi si parla dell’attuale precarizzazione. Sarebbe troppo scontato.
Quali sono le peculiarità stilistiche di Un amore crudele?
Abituato come regista di teatro (ora in disarmo) a mantenere viva l’attenzione dello spettatore, per non perderlo, non annoiarlo, ho costruito il romanzo cercando di dotare il linguaggio di effetti drammatici, fantasmagorie lessicali e altro. Tuttavia, non ho adottato una scrittura sperimentale, ma una scrittura non banale al servizio del plot. Per fare un esempio, sono assenti i modi di dire del linguaggio comune; o quelli che vengono alla mente quando si parla (tipo “mi trovo in un sacco di guai”; “sono in mezzo al guado”). Per me una frase, una riflessione, una espressione deve avere una angolazione non contemplata, un lessico riconoscibile ma non prevedibile. Come Brecht, vorrei che il mio lettore leggesse e riflettesse allo stesso tempo.
Nota
Piero Pieri è nato a Cesena e vive a Cotignola, paese della Bassa Romagna. Insegna Letteratura italiana contemporanea per il Corso DAMS dell’Università di Bologna. Ha pubblicato i romanzi La morte di Stalin – Quando il Comunismo finì di morire anche sessualmente (Stampa Alternativa, 2000), Furio (Allori, 2004), Vaporidis in carcere (Fernandel, 2008, Premio Speciale al Premio Letterario Nazionale “Corrado Alvaro”), Les nouveaux anarchistes – Atti intollerabili di disperazione a Bologna (Transeuropa, 2010). Autore di numerosi saggi, nel 2008 ha vinto il Premio Nazionale “Renato Serra” per la critica letteraria. Ha scritto diverse commedie e di alcune è stato anche il regista. Di recente ha curato per l’Editore Feltrinelli un volume di racconti inediti e sconosciuti di Giorgio Bassani, pubblicato da poco, quasi contemporaneamente al suo quinto romanzo, Un amore crudele (Marsilio, 2014).
…L’intervista di G. Muraca a Piero Pieri sul suo ultimo romanzo “Un amore crudele” mi suscita la curiosità di lettura per diversi motivi. Intanto per la collocazione storica della vicenda, la fine degli anni ’60, che corrisponde anche alla mia giovinezza, con tutti i ricordi al seguito…ma soprattutto per quell’amore “fuori cliché” che può rappresentare i cambiamenti o i tentativi di cambiamento di una società ingessata. Un amore dove lo sforzo per capirsi tra i due amanti è affidato al corpo, campo di battaglia di traumi subiti, me anche il luogo affettivo per una accettazione e riconciliazione reciproca ( l’idea che mi sono fatta, ma dovrò leggerlo). E poi quello che dice l’autore delle peculiarità linguistiche del romanzo: “Come Brecht, vorrei che il mio lettore leggesse e riflettesse allo stesso tempo”…