Rileggere “La metamorfosi” cambia qualcosa?

metamorfosi di Kafka

di Franco Nova

Aveva appena finito di leggere “La metamorfosi” e si accorse di essersi pure lui tramutato in insetto. Tuttavia, guardandosi in mezzo alle gambe dove avvertiva un certo prurito, non le vide più; salvo alcuni filamenti sottili simili a zampette di vespa. Era invece molto visibile una grossa protuberanza e da questa spuntava una sorta di scalpello; ma no, assomigliava più ad un ferro di quelli usati per tessere le maglie. Non riusciva a realizzare quali trasformazioni avesse subito. Avvertiva un certo malessere, si sentiva stretto in vita e gonfio in basso. Ma anche sulle spalle qualcosa era andato via e qualcosa d’altro era cresciuto: le braccia erano sparite, vedeva al loro posto una sorta di ali di uccello. No, ancora una volta, si sbagliava; gli uccelli non hanno ali simili e poi trasparenti. Ma che stava accadendogli? Non riusciva a girare bene il collo, gli occhi sporgevano un po’ ma non avevano un sufficiente giro di visuale.
Per farla breve, passarono almeno un paio d’ore di forte imbarazzo e di disagio, sempre accompagnato da quel genere di malessere da cui ci si sente aggrediti quando l’organismo non funziona secondo il suo solito regime. Infine si ricordò che aveva una grande specchiera in un angolo della camera. Si mosse quindi per andarvi. I filamenti, che ormai sostituivano le gambe, erano corti e sottili; poteva fare passetti brevi brevi. Insomma, la situazione creatasi era proprio sgradevole; maledetta la lettura di quel racconto! Infine fu davanti alla specchiera e rimase di sasso: nello specchio era riflesso un grosso vespone, quello che da noi si chiama garlòn (il calabrone insomma). Era incredulo, ma non c’era nulla da fare. Era proprio un garlòn. Un insopportabile e crescente ronzio lo distrasse. Guardò da dove veniva: dalla finestra ormai tutta nera di vespe che si affollavano e pretendevano di entrare. Non gli piacque il loro comportamento smodato e rumoroso. Voleva stare tranquillo e pensare un po’ a come adattarsi alla sua nuova situazione animalesca.
Comunque, essendo ancora ipocritamente cortese come quando era un umano, aprì la finestra e le fece entrare. Si ammassarono sui vari mobili, alcune finirono anche sulla specchiera, ma le fece subito sloggiare perché voleva guardarsi ancora bene, non avendo mai osservato da vicino e con attenzione i calabroni. Non sapeva quindi com’era fatto né di quali prerogative potesse fregiarsi. Guardò meglio quello che aveva preso per un ferro da maglia. Adesso vedeva che era invece un pungiglione estremamente ingombrante. Tuttavia, rientrò nell’addome e si sentì più a suo agio. In effetti non voleva rischiare di pungere nessuno, in particolare la padrona di casa che gli aveva dato in affitto – un affitto veramente di favore – la stanza in cui alloggiava.
Decise di riposare un po’, approfittando della quiete delle vespe ora molto simpaticamente tranquille e quasi silenziose. Dormendo, forse tutto sarebbe rientrato nella normalità. Sapeva molto bene che non si trattava di un semplice sogno. Tuttavia, l’epoca in cui si vive è così strana, ormai totalmente divisa tra reale e virtuale, con connessi effetti speciali del tutto invasivi e stravolgenti ogni consuetudine dotata di buon senso comune. Dormendo un po’, l’intera realtà si sarebbe acquietata e forse avrebbe ripreso quell’abituale andamento che di un essere umano fa…..un essere umano e non lo trasforma in animale. Si addormentò senza sogni e si svegliò dopo un altro paio d’ore. Si guardò allo specchio, poiché vi si era addormentato davanti: niente da fare, restava un garlòn.
Chiamò a raccolta le vespe e chiese loro se dalle loro parti vi fosse un nido abbastanza grande per ospitarlo. Avrebbe anche pagato un affitto, ma non aveva la più pallida idea di come ci si paga nel mondo degli imenotteri (almeno gli sembrava di ricordare che tali fossero). Riuscì a vedere o almeno a intuire l’espressione degli occhi di quelle che però ritenne delle sprovvedute poiché fecero chiara mostra di non aver capito la sua domanda. La ripeté, ma la risposta fu la ripresa di un ronzio crescente, che interpretò come confusione mentale delle sue mancate interlocutrici. Alla fine, però, dovette capire che le vespe non avevano in comune con lui nessuna forma possibile di linguaggio. Gli animaletti ronzanti sembravano riconoscere la sua forma, simile alla loro seppure in dimensioni di grandezza inusitata, ma il linguaggio era quello specifico di tale genere animale e lui nemmeno lo udiva.
A questo punto, aprì la porta della camera – e non capì come vi fosse riuscito con le sue alette e zampette – e provò a chiamare la padrona di casa che sentiva cantare in cucina. Stranissimo: la donna sentì la voce, capì che era lei ad essere chiamata e accorse subito. E qui un’altra sorpresa per il neo-calabrone, che si apprestava a veder svenire la donna. Questa invece lo riconobbe come il solito inquilino e gentilmente gli chiese se magari desiderava un caffè e anche qualcosa per accompagnarlo. Non ci capiva proprio più nulla. Disse comunque che un fatto imprevisto lo chiamava per un tempo indeterminato in altra città; una voce interna gli suggerì di non disdire l’affitto. Si disse disposto a regolare intanto in anticipo ben sei mesi di locazione; la donna sorrise tutta contenta pur se leggermente sorpresa di tale vantaggiosa proposta. Nello stesso tempo pensò che doveva essergli occorso qualcosa di grave. Lo guardò quindi con maggiore attenzione ed un pizzico di curiosità, educatamente repressa. Lui si accorse dello sguardo, si sorprese della sorpresa della donna, ma non notò in lei proprio alcun sintomo di riconoscimento del suo mutato stato. Che fosse molto miope? Non portava occhiali; appunto, poteva essere per quello che non si accorgeva della sua trasformazione.
Le domandò dunque: “non nota cambiamenti in me?”. La donna questa volta non nascose d’essere un po’ stupefatta e anche interdetta. Rispose però con il suo più bonario sorriso: “no, nulla, mi sembra proprio il solito; semmai fa delle domande che non mi ha mai rivolto. Sono comunque lieta che per una volta si accorga che sono una donna e non soltanto una affittacamere”. Sorrise anche lui, le batté sulla spalla per osservare la sua reazione a sentirsi toccare da quel disgustoso filamento. Nulla di nulla. Beh, insomma basta far prove. No, ne aveva ancora una. Disse alla donna: “quando sarò uscito, la prego di provvedere lei a sbattere fuori tutte queste vespe che hanno voluto per forza entrare nella stanza”. Questa volta la donna manifestò un briciolo di sgomento e lo guardò piuttosto sbigottita: “qui non ci sono vespe, ma è sicuro di essersi svegliato completamente?”. Bene, proprio non vedevano la stessa realtà; non riusciva a capirci nulla, ma ormai era assodato che vivevano in universi differenti. Sorrise ancora, pur se un po’ di malavoglia, ma non seppe cosa rispondere. Meglio lasciar cadere il colloquio. La donna salutò e tornò in cucina. Lui di apprestò alla partenza.
Per dove? Sarebbe ovviamente andato alla ricerca di un nido appropriato; però….. eh già però, non sapeva per nulla ancora che poteva accadergli uscendo da quell’abitazione sdoppiatasi in due luoghi diversi. Si guardò in giro e continuò a vedere le vespe, che erano però come trasformate in piccoli aggeggi in vetro colorato. Ne toccò una e poi un’altra e un’altra ancora; era proprio così, erano di vetro. Francamente cominciava ad irritarsi e maledì questo mondo moderno, adatto a giovinastri in cerca di burlarsi di lui, rimasto ad altra epoca. Appena in strada, intendeva attaccare briga con qualcuno di loro. Era abbastanza robusto, bastava scegliersi l’avversario adatto e lo avrebbe menato; ma che fosse sotto i vent’anni!
Con quel maledetto corpo inadatto era inutile cercare di preparare la valigia. Riuscì solo, chissà come, ad aprire una piccola cassaforte portatile che aveva in camera e prese tutti soldi che vi erano, un bel gruzzolo. Incredibilmente, nemmeno li aveva prelevati che si aprì un largo squarcio nel suo grosso addome e cacciò tutto il malloppo nella sacca che vi si trovava. Una sorpresa dietro l’altra. Tolse comunque il necessario per anticipare i sei mesi d’affitto come aveva promesso e li posò sul comodino. Riguardò il suo addome, ma nessuno squarcio era visibile, dove fosse il rimanente della somma appena riposta non si capiva affatto. Uscì di soppiatto senza nemmeno farsi sentire dalla donna. Era effettivamente maleducato, ma pazienza, voleva affrontare infine il mondo nella sua nuova veste.

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Era in strada, nell’uscire dall’immobile in cui aveva affittato la camera non aveva incontrato nessuno; evento nient’affatto sorprendente poiché era abitato da gente molto anziana che se ne stava assai più volentieri rinchiusa in casa. Cosa facesse tutto il giorno se l’era chiesto più volte, aveva talvolta attaccato discorso con qualcuno di loro tentando di portare il discorso sul come passavano le giornate. Il solito trantranare degli anziani: mangiare, riposare, un po’ di TV, faccende domestiche (le donne quasi sempre), un po’ d’aria sul terrazzo (chi ce l’aveva). Nulla di che, una noia mortale della quale non si accorgevano minimamente. Era la loro vita. Magari, chissà, forse quella sua nuova, da calabrone, sarebbe stata più vivace e divertente. Beh…..vivace forse sì, divertente ne dubitava fortemente. Avrebbe avuto molti guai, nessuno ama quegli insettoni con pungiglione simile ad una spada, e per di più abbastanza velenoso; non tale da uccidere, ci mancherebbe altro, ma certamente capace di infliggere una puntura dolorosa e con un bel gonfiore per qualche ora. Non pensiamoci, si disse, dobbiamo schivare adesso le insidie degli umani, che si metteranno in allarme.
Era in strada, pochi i passanti ma frettolosi. Nessuno lo guardò; o meglio qualcuno sì, un tipo con vestito a giacca e cravatta, uno in maniche di camicia che sbuffava per il caldo essendo troppo grosso e grasso, una donna piuttosto vecchia e scialba che gli sorrise senza una punta di spavento. Camminava piano con quelle zampette sempre più ingombranti; eppure più o meno teneva la stessa posizione in rapporto a quelli che andavano nel suo stesso senso e che a lui sembrava camminassero speditamente e con andamento assai sostenuto. Si fermò davanti ad un negozio di bigiotteria; non distinse nulla di particolare salvo una ragazza di notevole bellezza, con vestito leggero generosamente scollato e accovacciata in modo tale che le corte gonne lasciavano vedere due cosce tonde e sode e il biancore delle mutandine. Le accennò un sorriso e subito si pentì ricordandosi del suo nuovo stato. La ragazza gli lanciò un’occhiata severa e poi distolse lo sguardo e si concentrò sul lavoro di sistemazione di quella paccottiglia in vetrina. Non aveva però certo preso paura, era chiaro che l’aveva visto come uomo.
Arrivò ad un alberghetto che ben conosceva poiché non troppi anni fa vi andava a ore con qualche femmina di non massima avvenenza e dunque nemmeno ben pagata. Era squallido, un due stelle di singolare miseria e bruttezza. Anche il portiere lo riconobbe quale essere umano e gli diede una camera, borbottando che finalmente era arrivato un cliente perché “con questa crisi non se ne vede più nessuno”. Salì in camera. Ecco lo specchio sopra il mobile posto a lato del letto. Vi si precipitò:…..nulla da fare, davanti a sé stava il calabrone! Decise di riposare un po’. Non riusciva affatto a stendersi sul letto come un uomo; inoltre non poteva assolutamente mettersi sotto le lenzuola perché queste gli davano sommo fastidio. Quanto alla testa, poggiata sul cuscino di lato (lui aveva sempre dormito sui fianchi), gli comincio a dolere in un punto, ma non capiva bene il motivo di simile dolenzia e che cosa la provocasse. Si alzò e decise che era meglio girovagare per le strade. Scese, depositò la chiave e stavolta il portiere lo guardò; ecco adesso si era arrivati al dunque! Il portiere gli disse: “si è ferito una guancia, sanguina un po’, vuole alcol e cotone?”. Bofonchiò: “non ce n’è bisogno; sono i vostri cuscini che sono troppo ruvidi”. “Mi dispiace, però finora nessuno se ne era lamentato; quanto a ferirsi, non credo proprio sia accaduto a nessuno”. L’uomo calabrone – ormai doveva considerarsi tale – pensò che a nessuno era mai capitata un’avventura simile. “Eppure qualcuno leggerà ancora ‘La metamorfosi’ di quel maledetto scrittore!” rimuginò tra sé e sé. Uscì e nuovamente si aggirò per le strade senza che nessuno notasse in lui qualcosa di strano.
Si sentiva comunque infelice. Entrò anche in un bar, si sedette accavallando le gambe che in realtà si intrecciarono come quelle di un insetto. Nessuno notò nulla. Il guaio fu la consumazione. Ordinò una Coca Cola, ma come fare per prenderla; la urtò e la rovesciò, per fortuna senza che nulla si rompesse. Il cameriere si offerse di sostituirla, ma rifiutò. Non sapeva come pagare. Il cameriere era esterrefatto della sua goffaggine, chiese permesso ed estrasse un portafogli. Il “nostro” fu oltremodo sorpreso poiché ricordava di avere ammassato la somma in biglietti quando nel suo corpo si era aperta una sorta di sacca poi subito richiusasi e sparita. Il cameriere ne estrasse un biglietto dandogli in resto alcune monete e rimise il tutto al …. suo posto. Già ma dov’era quel posto? Mica lui riusciva a sentirsi addosso un portafogli e nemmeno un qualsiasi indumento dove fosse possibile deporlo. Uscì dal locale, riprese a camminare con i suoi passettini da calabrone; e ancora una volta vide i passanti camminare in fretta, ma non andare, almeno mediamente, più veloci di lui.

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Bighellonò a lungo ed era piuttosto stanco. Infine un avvenimento diverso. Sul marciapiedi ad un incrocio tra due strade stava seduta una mendicante con il suo vasetto per i soldi dei viandanti. Era anziana, oltre i sessanta e fors’anche settanta, ma si notava l’antica bellezza; soprattutto era di aspetto signorile, vi era finezza, perfino classe nel portamento malgrado il suo chiedere l’elemosina con voce però non lamentosa, si oserebbe dire quasi fiera. Appena lo vide sgranò gli occhi e le apparve un’espressione di forte timore: “Chi sei tu? Vedo che sei in fondo un uomo, eppure ti sei trasformato in un brutto e grande vespone; non pungerai mica? Stai un po’ lontano e dimmi di te, che ti è accaduto?”. “Allora tu mi vedi come calabrone, tutti gli altri mi considerano semplicemente un uomo, mentre io mi sono accorto di essermi trasformato”. “Ti vedono come uomo?” – disse sorpresa l’altera mendicante – “mi meraviglia un po’ perché il tuo aspetto è ben definito a mio avviso; tuttavia, tutt’intorno vedo la figura, quasi l’ombra del tuo essere uomo. Comunque mi sembra chiaro che non pungi, vieni pure vicino”. L’uomo calabrone si sedette presso di lei e stettero per un po’ in silenzio.
Riprese la donna: “Vorrei spiegarmi come mai tutti gli altri vedono quello che per me è soltanto l’alone di un uomo, qualcosa che contorna certo ed in un certo senso avvolge e forse persino penetra nel tuo essere un bel vespone”; “Precisamente un calabrone – disse lui – è stato l’effetto della lettura di un racconto evidentemente scritto da un malvagio o da un folle. Non so se lo conosci: ‘La Metamorfosi’ di Kafka”. Lo guardò e scosse la testa perplessa: “Lo conosco solo di nome. Secondo me quella lettura è stata esclusivamente una spinta ed anche assai modesta. Hai provato timore o repulsione o qualche altra sensazione insolita leggendolo?”. Rifletté abbastanza a lungo: “Solo un fastidio, ma quasi più fisico che mentale. Il cervello pensava che non era poi un gran male trasformarsi così e rendersi diversi dagli umani; ma sulla pelle avvertivo prurito e perdita di sensibilità. E pure l’impressione che una spazzola mi stesse grattando fortemente per togliermi il prurito e ridarmi la sensazione del dolore”.
“E’ quel che stavo già pensando – riprese la signorile mendicante – ti è sopravvenuta, in forma assai diversa, la smania che prese me. Ad un certo punto non ne ho proprio potuto più dei miei simili, non li sopportavo, ero quasi decisa ad eliminarmi. Poi ho avuto l’idea di eclissarmi, di abbandonare il palazzo dove vivevo ricca e pienamente servita. E ho iniziato questa vita, di cui sono però stanca; ma non posso più tornare indietro, sento che non potrei riprendere la vita di prima, troppo tempo è passato ormai. E così sono qui scontenta tanto quanto lo ero da signora: riverita e obbedita ad ogni mio minimo gesto. Ma devo andare fino in fondo lungo una via che porta soltanto alla solita conclusione di tutti gli esseri viventi; nulla può più cambiare. Per te è stato diverso, non avevi il coraggio di cambiare vita. La lettura ti ha solo suggerito di trasformarti per nasconderti comunque agli esseri umani di cui pure tu, povero amico mio non negarlo, non ne potevi più. E hai scelto la forma animale, e le sembianze di uno di quelli che incutono timore ai tuoi simili per il pungiglione che possiedono. Mi dispiace per te, ma i tuoi simili se ne infischiano di essere da te aborriti, non hanno tempo di sentire la tua nausea per la loro dilagante stupidità e cattivo gusto. Quindi ti vedono com’eri prima. Solo gli altri animali, che hanno una diversa sensibilità e forte intuizione, pur non pensata né razionalizzata, forse si accorgeranno di ciò che sei diventato; o meglio, che volevi diventare. Non ti conviene restare così; non sfuggi ai tuoi simili e potresti incontrare un animale, ad es. un uccello o altro, che veramente ti riconosce nel tuo nuovo stato e ti mangia”.
Lui rimase di sasso! Rifletté a lungo: “Dio mio, temo tu abbia ragione. In ogni caso, è vero che odio gli esseri umani, sia maschi che femmine. Tu solo mi rendi tranquillo e mi fai rinascere dei sentimenti positivi nell’animo. L’ho avvertito immediatamente, appena incontrata. Ma non ce la faccio a tornare uomo, cioè a sentirmi di nuovo uomo, a vedermi come tale. Avverto pienamente il terribile disagio di questa condizione; eppure ammetto di provare nausea al pensiero di essere nuovamente uomo, di rivedermi ancora in mezzo a loro, alle loro inutili e meschine pantomime. E comunque, in un certo senso, ci ho provato, ma ho continuato a vedermi calabrone”. Lei gli sorrise e per un attimo i suoi occhi sembrarono riacquistare il brillio, che dovevano avere avuto quelli della ricca giovane di un tempo lontano: “Non avevi coscienza di quel che ti era accaduto. Non è facile tornare indietro, lo ammetto, ma più tempo aspetti e più complicato sarà. Dovrai soffrire: non per la trasformazione all’indietro, ma perché dovrai poi nuovamente sopportare i tuoi simili. Ma tanto hai provato e hai constatato che non cambi nulla nei rapporti con loro, pur cambiando radicalmente te stesso. Se resti così, avrai tutti gli svantaggi di quest’animale e gli uomini ti resteranno disgustosi come prima; con però alcune eccezioni, suvvia non imbarchiamo tutti sulla stessa nave. Scegli meglio, seleziona i tuoi simili; e vivi come puoi, ma ritorna uomo. Se io potessi, tornerei nel mio palazzo e riprenderei quelle abitudini. Così non sto meglio per nulla”.

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L’abbracciò stretta stretta: “E’ stato bellissimo l’averti incontrata, cercherò di fare come tu dici. Vorrei però incontrarmi spesso con te, altrimenti mi sentirò veramente svuotato d’ogni voglia di ritentare la vita umana”. “Sarò qui ogni lunedì nel primo pomeriggio; staremo insieme fino a sera e parleremo di quanto via via ci accadrà. Anche per me è stato un incontro fortunato, il primo e unico da quando, anni e anni fa, ma tanti da non dirsi, ho fatto la scelta che mi ha in definitiva resa infelice”. Le diede anche un bacio e si girò per andare a prendere quella poca roba che aveva lasciato, da calabrone, nel piccolo albergo da dove era uscito ….. non riusciva a calcolare quanto tempo prima. Sarebbe tornato a casa sua, avrebbe stracciato l’accordo. La pigione era pagata già per sei mesi, tutto sarebbe tornato come prima. Forse, non poteva esserne sicuro. Per il momento sentiva di sgambettare come prima, con le sue gracili zampette. E gli sovvenne improvviso un pensiero che lo fece ridere: ma era un calabrone, aveva le ali, poteva volare. Ed infatti sentì che le sbatteva, ma l’insuccesso fu strepitoso, non si sollevò da terra nemmeno di un millimetro. Un bel fallimento quella trasformazione. Ma come aveva fatto quel pazzo di Kafka a immaginare che Gregor Samsa si fosse veramente trasformato in uno scarafaggio? Bisogna dirlo alto e forte: questa letteratura è di una falsità invereconda, si inventa storielle senza senso alcuno. L’avrebbe scritta lui, se tutto fosse tornato come prima, la reale storia di una trasformazione. Altro che quel cecoslovacco dal cervello bacato!
Finalmente si sentì sereno. Comunque sia, qualcosa era cambiato con il suo fortunato incontro. Avrebbe tentato e ritentato. Adesso voleva ritrasformarsi in uomo. Avrebbe sempre avuto la compagnia di quella donna meravigliosa, ogni settimana. Nella sua pensione sarebbe certo soltanto sopravvissuto. Comunque, chissà, avrebbe cercato qualche amicizia; aveva ragione la mendicante signora, non tutti sono da buttare via. Era stato anche lui troppo scorbutico. Il problema, adesso, era ridiventare uomo a tutti gli effetti. La volontà c’era, ma anche qui aveva ragione la donna: non era stata la lettura a trasformarlo. Soltanto un modesto impulso. Per troppo tempo si era isolato, aveva solo odiato i suoi simili, non aveva cercato di distinguere gli individui, si era immaginato solo esseri umani disgustosi, simili a quelli orrendi che ti mostra la TV, che vedi nei film, di cui leggi nei libri. Bisognava cambiare atteggiamento, un po’ più di tolleranza, ma soprattutto di distinzione. Non esistono gli “esseri umani” generici, tutti ammucchiati sotto questa indistinta denominazione. Esistono gli individui, con la loro singola personalità che rende ognuno differente dagli altri. E allora ripensò anche a Gregor Samsa. Poveraccio, solo sfortunato; chissà forse anche con lui avrebbe stretto amicizia. Si fermò: beh, calma, non ripensiamo alle altre metamorfosi, bisognava prima di tutto risolvere la sua e tornare indietro.

20 pensieri su “Rileggere “La metamorfosi” cambia qualcosa?

  1. …una donna e un uomo si incontrano sulla nuda terra durante un loro percorso di trasformazione: la prima per scelta fin da giovane aveva abbandonato gli agi e si era fatta mendicante, il secondo, dopo la lettura non casuale di “La metamorfosi” di Kafka, assiste alla sua metamorfosi da uomo in un grande calabrone, con pungiglione avvelenato e tutto. E’ come una trasformazione imperfetta: gli altri continuano a vederlo sotto l’aspetto umano, ma lui assume più di una caratteristica fisica dell’animale: diventa imbranato nell’uso degli arti, ha una visione parziale…D’altra parte lui, calabrone, conserva verso gli altri quei modi educati che rivelavano una natura fondamentalmente gentile ( davvero ipocrita?)… Durante l’incontro l’uomo e la donna scoprono come a spingerli su quel cammino fosse stato vuoi una scelta, vuoi un impulso ad allontanarsi dal consesso umano, che entrambi erano arrivati a disprezzare fortemente. Ma la loro trasformazione aveva cambiato in qualche modo gli uomini? Per nulla…In cambio loro erano molto infelici. Perciò decidono di darsi una mano a vicenda per ritornare sui propri passi, anche attraverso una certa autocritica…Non un lieto fine, ma una svolta positiva in un percorso. Ancora grazie a Franco Nova, che ne sveglia di cose…

  2. “Specchio delle mie brame” e lo specchio lo ha assecondato, gli ha mostrato il calabrone. Anche il denaro lo asseconda, sparisce nell’addome! Quindi l’immagine e il denaro sono il vero uomo interiore, il suo io nascosto agli occhi del mondo!
    Lo stimolo di Kafka provoca un insight nel protagonista, ora sa chi è veramente. (Un poveraccio, Kafka, forse ci credeva davvero allo scarafaggio che avevano proiettato in lui. Ma qui l’io è più forte, se si ravvede potrà tornare indietro.)
    Infatti e per fortuna una Beatrice sotto forma di Madonna Povertà lo salva dalla visione diabolica dello specchio, bisogna pentirsi: gli altri esseri umani non sono “disgustosi, simili a quelli orrendi che ti mostra la TV, che vedi nei film, di cui leggi nei libri. Bisognava cambiare atteggiamento, un po’ più di tolleranza, ma soprattutto di distinzione”.
    “Voleva ritrasformarsi in uomo” e avrebbe anche potuto riconoscere gli altri.
    Un bell’apologo, sull’immagine feroce e spregevole che il mondo propone agli umani per identificarsi e che li isola.

  3. …alcune riflessioni, forse un po’ divaganti, e mi scuso con F. Nova, sul rapporto (nella scrittura e non) che l’uomo intrattiene a volte con gli animali…A parte il loro rappresentare i vizi e le virtù umane nelle favole antiche e moderne, attraverso modelli stereotipati…lo scrittore Kafka si trasforma in uno scarafaggio per materializzare l’orrore verso se stesso che la società gli aveva inculcato…il personaggio di Franco Nova accetta più disinvoltamente, anche se con un certo imbarazzo, la sua trasformazione in calabrone, “immagine feroce e spregevole”, perché così vorrebbe dissociarsi da una società che disprezza profondamente (ma nello stesso tempo asseconda, portando con sé molto denaro)…Per fortuna una trasformazione reversibile…Ora, invece. vado con il pensiero, su scritture, credenze e terapie dove gli animali sono scelti come alleati dell’uomo, anche in temporanee identificazioni, per risvegliare vitalità e naturalezza, per superare o compensare traumi o stati di abbandono o di malattia…Tarzan, che “abbandonato dalla civiltà” viene adottato dalle scimmie…i nativi americani che ricercano in ogni animale una manifestazione del “Grande Spirito”…la pet therapy sui bambini e i malati, cioè tutti noi…

  4. Fin dal titolo Nova sembra svelare scetticismo e un pizzico di antipatia nei confronti del (troppo famoso?) racconto e di Kafka stesso.
    Stando infatti al testo, che pensare di battute sia pur ironiche come queste: «Ma come aveva fatto quel pazzo di Kafka a immaginare che Gregor Samsa si fosse veramente trasformato in uno scarafaggio? Bisogna dirlo alto e forte: questa letteratura è di una falsità invereconda, si inventa storielle senza senso alcuno. L’avrebbe scritta lui, se tutto fosse tornato come prima, la reale storia di una trasformazione. Altro che quel cecoslovacco dal cervello bacato! ».
    E, dunque, è vero: il libro di Kafka è solo un pretesto e non svolge una funzione importante nella struttura del racconto di Nova. Lo si dice chiaramente: «non era stata la lettura a trasformarlo. Soltanto un modesto impulso».
    Più che la metamorfosi, il punto cruciale del racconto pare invece l’incontro rivelatore, pacificante e rianimante con la donna mendicante, che pare svolgere la funzione abbastanza tradizionale di una Beatrice che se non lo conduce a Dio gli fa accettare la (prima insopportabile) condizione umana: «Finalmente si sentì sereno. Comunque sia, qualcosa era cambiato con il suo fortunato incontro. Avrebbe tentato e ritentato. Adesso voleva ritrasformarsi in uomo. Avrebbe sempre avuto la compagnia di quella donna meravigliosa».
    Conferma a questa mia ipotesi le trovo anche nei differenti tratti dei protagonisti di questo racconto e de «La metamorfosi» di Kafka.
    Infatti, Samsa è un giovane impiegato interamente invischiato nei rapporti di odio/amore con i membri della sua famiglia (madre, padre e sorella) e con l’autorità persecutoria, rappresentata dal suo capufficio, che arriva in casa per capire il motivo dell’assenza ingiustificata del suo sottoposto. Il personaggio sul quale ruota il racconto di Nova è un adulto, un “single” indipendente e disinvolto.
    Samsa cerca di nascondere la sua metamorfosi, vissuta colpevolmente agli occhi degli altri, i “normali” che se ne scandalizzano, non l’accettano e alla fine lo inducono al rifiuto del cibo e al suo lento suicidio. Nel racconto di Nova i “normali” non s’avvedono della metamorfosi. Sono dei ciechi. Di essa sono consapevoli solo il protagonista e la signora declassatasi a mendicante.
    Samsa poi s’adatta alla sua nuova condizione (alla sua animalizzazione): più il tempo passa e più pare trovarsi a proprio agio dentro al suo nuovo corpo, tanto che inizia a scalare le pareti e correre sul soffitto allegramente. Il personaggio di Nova, pur se è portato a idealizzare gli animali nel confronto con gli umani che lo nauseano (gli animali « hanno una diversa sensibilità e forte intuizione, pur non pensata né razionalizzata»), non si decide ad accettarsi come calabrone. E, appena la mendicante gli fa notare i rischi che potrebbe correre (altri animali più forti lo potrebbero ferire o eliminare, a riprova che anche quel mondo è caratterizzato da una ferocia forse non dissimile da quella presente tra gli umani), accoglie alla fine il suo consiglio: « Scegli meglio, seleziona i tuoi simili; e vivi come puoi, ma ritorna uomo». E infatti ritorna tra gli uomini. Ma, direi, solo perché rasserenato dal contatto con la donna e dalla possibilità di conservarlo: «Avrebbe sempre avuto la compagnia di quella donna meravigliosa». Ed è sempre lei a garantire la metamorfosi effettiva, che nel suo caso riguarda il suo precedente modo di pensare:« Per troppo tempo si era isolato, aveva solo odiato i suoi simili, non aveva cercato di distinguere gli individui, si era immaginato solo esseri umani disgustosi, simili a quelli orrendi che ti mostra la TV, che vedi nei film, di cui leggi nei libri. Bisognava cambiare atteggiamento, un po’ più di tolleranza, ma soprattutto di distinzione».
    Con questo non dico che il racconto non regge e non faccia pensare, ma solo che il suo asse mi sembra spostato e il confronto con il mondo kafkiano in fondo eluso.

  5. non mi è antipatico Kafka che è uno dei miei autori amati (anche se il “mio” romanzo è il “Don Chisciotte”). Invece, è vero che l’atmosfera del racconto non ha pressoché nulla della “Metamorfosi”. C’è un lato che credo non sia stato colto; ma ho fatto di tutto per nasconderlo. Salvo che in un punto: l’uomo che si ritiene divenuto calabrone (e con quel pungiglione odioso che può richiamare “qualcos’altro”) era abituato ad andare in un alberghetto miserabile con donne a pagamento. Mai andato in vita mia con prostitute; e mi mettono in difficoltà le donne che non hanno rispetto per il proprio corpo. Non mi piacciono gli uomini che hanno solo bisogno di sentire il calorino del corpo di una donna e poi….. ecc. ecc. Quindi il protagonista del racconto non mi sta per nulla simpatico. Questa scarsa simpatia si riverbera sulla donna. Qui l’ho resa mendicante perché non sopportava gli esseri umani che la circondavano. Io avevo però in testa certi sessantottardi “di famiglia agiata” che si rendevano “proletari” perché volevano diventare come gli operai, come i mitici “redentori” dalla società capitalistica e per ciò stesso infame, ingiusta, sporca e …. non so quante altre cose laide. Sono divenuto comunista nel 1953 (e non posso qui raccontare le contingenze specifiche) senza nutrire grandi illusioni sui redentori di un qualsiasi genere. Inoltre ero figlio di medio-alta borghesia industriale, giravo senza rimorsi e pentimenti con belle auto, andavo nei migliori ristoranti, conducevo una vita più che decente. Non mai però il lusso sfrenato (che odiavo tuttavia per semplici ragioni “estetiche”); mi piaceva molto lo studio e il pensare. Non pagavo, come facevano allora gli uomini “abbienti”, qualche abito o calze di seta o profumi o, nei casi “migliori”, alberghi e una brevissima vacanza alle “banconiere” (quelle dei bar), alle “sartine” (ragazze nelle sartorie), alle “barbierette” (le inservienti dai parrucchieri), ecc. per avere facili “amori” (che parola inappropriata!). Poi ho scelto l’Università, abbandonando l’industria, e così mi sono un po’ impoverito (cioè non ero più pieno di “schei”). Non ero portato all’industria e al commercio, mi sentivo fortemente interessato, come già detto, agli studi ecc. Gli esseri umani non mi sono mai stati insopportabili (salvo i fessi, i presuntuosi, gli arroganti, ecc.); ed infatti ho sempre socializzato e conosciuto centinaia di persone con grande mio piacere e gusto dello stare insieme. Quindi…. se ne traggano le conclusioni.

  6. Alcune riflessioni sul commento di Nava. Ho creduto anch’io di riconoscere delle sessantottarde di famiglia agiata in quella che forse non può aspirare a essere Madonna Povertà. Ma ho cercato di trasferirle in Madonna Povertà perché credo che l’intenzione fosse buona: la misericordia è infinita, e la ragione prevalente.
    Anche nella “spiega” Nava [Nova] ha le sue contraddizioni: con le donne si va negli alberghetti “per qualcos’altro”.
    Le donne? Alcune donne? Quali donne?
    Allora voglio occuparmi solo di questo, se ci sia ancora necessità del detto femminista: “non streghe né madonne, solo donne”. Mi sembrava, allora, una banalità.
    Ma Nava infila una serie di considerazioni: “mi mettono in difficoltà le donne che non hanno rispetto per il proprio corpo” alcune banconiere (quelle dei bar), sartine (ragazze nelle sartorie), barbierette (le inservienti dai parrucchieri)! Mica lavoratrici a portata di pizzicotto e di spiccioli dei clienti!
    Molti e molte si vendono, chi un poco chi di più.
    Ma soprattutto: qual è il rapporto di questo commento di Nava con il racconto (di Nava [Nova]!) ?

  7. il rapporto ho cercato appunto di nasconderlo, ma c’è. Oggi quelle figure di povere ragazze non ci sono proprio più, almeno io non ne vedo. Mentre gli uomini odiosi di quel tipo permangono, ma usano altri sistemi con donne molto più “emancipate” e certo non deboli come allora (deboli per bisogno). Spetta alle donne di mandarli al diavolo e non fare concessioni a personaggi di cotale stupidità oltre che banalità e aridità. Altrimenti è proprio in loro che manca il rispetto di se stesse. Non c’è più la debolezza come scusante.

    1. …sì le ricordo anch’io quelle ragazze, qualche anno dopo e non solo dalla lettura di Italo Svevo…Tuttavia penso che ancora oggi molte siano le ragazze sulla strada, dai Paesi dell’est o dalla Nigeria, che si umiliano per bisogno o per costrizione…

  8. Quando incontro un garlòn con pungiglione velenoso, e mi capita spesso, evito di parlarci perché so che può bastare ch’io dica una parola sbagliata, o mostri un’espressione ironica, dubbiosa, anche se involontariamente, che subito verrei punto. E se non ne morissi è solo perché il loro veleno, tutto sommato, non è letale. Però fa male! Quindi evito, e aspetto serenamente che la metamorfosi si compia: che tornino umani o definitivamente calabroni. Strano che la bella signora del racconto queste cose non le sappia: eh già, l’avesse capito mica si sarebbe ridotta a chiedere l’elemosina.
    Il racconto di Franco Nova potrebbe essere la continuazione inaspettata della Metamorfosi di kafka, in chiave luciferina: l’uomo, divenuto insetto per aver ingoiato troppo veleno nella vita, si trasforma in Ironman; solo che invece di correre in soccorso dei deboli si tiene a distanza. Un po’ come faccio io con i garlòn. Gli animali della specie a cui appartengo imparano presto a loro spese che, ad esempio, le dipendenze affettive possono creare pericolosi mutamenti, quindi non ci cadono; e quando crescono imparano anche che non basta sottrarsi alle dipendenze affettive ma che non bisogna crearne. Questo è più difficile, ma si può se ci si sta attenti.
    Complimenti a Franco Nova, si legge sempre volentieri.

  9. quelle ragazze di cui parlo sono esistite fino a metà anni ’60. E soprattutto prima del boom (1958-62 all’incirca)

  10. …dopo i vari racconti che ho letto con piacere di Franco Nova, dopo questo suo semi-raccontarsi, mi va di paragonare la lente dei suoi scritti a un grande specchio a sfera a tasselli irregolari nella forma, ma intatto, che ruota su se stesso, riflettendo della realtà (vera come immaginata) centinaia di ritratti e di sentimenti umani, da diritto e da rovescio, e dentro c’è di sicuro, ben mimetizzato e spesso dietro a paraventi e a frammenti, quello dello stesso Franco… Il “grande mio piacere e gusto dello stare insieme” ci assicura che il suo sguardo sull’umanità può essere ironico, a tratti disincantato o spietato, ma anche di grande simpatia

  11. …sicuramente se in altri racconti avevo già richiamato accostamento franz-franco, in questo il ribaltamento “visionario” aumenta la specifica anima.lità di supernova avvicinandolo più a un mattino di quasi primavera come willy al più noto notturno di mezza estate.Meriterebbe di far riaprire la mostra di Lucca dedicata a Cronenberg, incorniciando il suo racconto nelle promesse anti assassino. Un bacione a lui e a tutte/i

  12. Chiedo scusa a Nova di averlo trasformato in Nava: navigante? e misi me per l’alto mare aperto…

  13. Un testo letterario (la cosa non vale per quelli scientifici) provoca sempre nei lettori delle reazioni/interpretazioni. Tutte hanno una loro consistenza, perché in effetti scaturiscono dall’incontro tra il mondo che l’autore crede di aver trasferito nel testo (perché a volte ci mette anche dell’”altro” più o meno a sua insaputa ed è questo che rende ancora più complicata la faccenda) e quello del lettore ( anch’esso in parte consapevole, in parte no). In sostanza è come se attorno al testo oggettivo ( le parole scritte, la lettera del testo) si creasse una nebbiolina – affascinante e distorcente – che ha a che fare e non ha a che fare col testo, l’autore e il lettore. Da qui le discussioni che possono prolungarsi all’infinito ( e durare nei secoli se l’opera ha un suo valore intrinseco o successive generazioni di lettori glielo attribuiscono o sono indotti a farlo per formazione scolastica, ecc. Si veda ad es. quanto ha scritto nlla parte finale di un suo saggio pochi giorni fa Mengaldo su Tolstoj, che ho già segnalato in scrap-book, qui:http://www.leparoleelecose.it/?p=18211 ).
    Da qui la tendenza alle interpretazioni più capricciose, fantasiose o arbitrarie (per taluni) e il richiamo spesso severo o ritenuto pedante di altri, che circoscrivono solo quelle che a loro avviso il testo giustifica e respingere le altre.
    La mia lettura si muoveva in questa seconda direzione. Ma non per questo sottovaluto le reazioni/interpretazioni degli altri/e, comprese quelle dell’autore stesso.
    Per es. Cristiana Fischer (20 marzo 2015 alle 7:42 ) ha visto ( e io pure…) nella mendicante « una Beatrice sotto forma di Madonna Povertà», una figura femminile di donna “salvatrice”. Annamaria Locatelli (20 marzo 2015 alle 11:03 ) è più attirata dal processo di “animalizzazione positiva” ( e di “fuga dalla civiltà” o dal suo disagio) che il racconto evoca. Per me – insisto – andrebbe capito meglio se tali interpretazioni “stanno nel testo” o dicono di più del modo di pensare o d’immaginare del lettore. (Che pure è importante: rimando a Jauss che ha sottolineato l’ importanza della ricezione del lettore nella fortuna di un’opera …).
    Interessante ma problematico è quanto Nova stesso aggiunge sull’abitudine del protagonista « ad andare in un alberghetto miserabile con donne a pagamento», per lui centrale, ma per un altro lettore magari secondario. ( Si pensi anche alle trasformazioni di mentalità che intervengono col tempo per cui certi aspetti no ndicono quasi più nulla a lettori di generazioni successive…). Ma questo vale anche per quel che scrive sulla donna-mendicante: « Qui l’ho resa mendicante perché non sopportava gli esseri umani che la circondavano. Io avevo però in testa certi sessantottardi “di famiglia agiata” che si rendevano “proletari” perché volevano diventare come gli operai, come i mitici “redentori” dalla società capitalistica e per ciò stesso infame, ingiusta, sporca e …. non so quante altre cose laide».
    Interessante perché svela le intenzioni dell’autore. Problematico perché non mi pare ci siano elementi sufficienti nel testo per riferire questo “declassamento” al periodo storico attorno al ’68. Né si può escludere che in quella figura si nascondano archetipi letterari danteschi: quelli della donna salvifica ( Beatrice appunto o la francescana Madonna Povertà). Ma problematico anche per altri due motivi: – quello che la “malizia” femminista di Cristiana Fischer coglie a volo: « Anche nella “spiega” Nova ha le sue contraddizioni: con le donne si va negli alberghetti “per qualcos’altro”. Le donne? Alcune donne? Quali donne?»; – e quello che ripropone il rapporto tra biografia dell’autore e costruzione dell’opera (del racconto in questo caso), quando chiede: « qual è il rapporto di questo commento di Nava con il racconto (di Nava!)?».
    In effetti a me pare che l’attenzione si sposti tropp dal racconto alle storie da cui veniamo e alle opinioni che noi abbiamo sul rapporto uomo/donna. Può anche andare, ma vorrei che non si perdesse di vista il racconto…( e Kafka…!)

    1. Il “secondo motivo” di cui scrive Ennio: “quello che ripropone il rapporto tra biografia dell’autore e costruzione dell’opera” era del tutto estraneo alla mia intenzione. Non alla biografia (come avrei potuto saperne alcunche?) di Nova intendevo mirare, ma all’immaginario, suo e non solo (circoscritto a prima del boom o “nav-igante” nel senso comune tuttora).
      La signora del racconto è davvero interessante, infelice prima e dopo, benefica e dipendente dalla carità. Indica una indipendenza e dipendenza radicale dagli altri, riverita, e poi mantenuta da poche monete. Altra, altrove.
      Non ho inteso dire che Nova si riferisse a tutte le donne come o a quelle degli alberghetti o a quella Beatrice lì (né puttana né madonna…).
      Solo che è difficile immaginare (calare nell’immaginario) donne vere e qualunque, che c’è sempre qualche schema, figura, irreale, antica, che ci (noi) assume tutte. Déja vu, veçu…
      Ma sempre stimolante, Nova.

  14. …secondo me è piuttosto difficile esprimere interpretazioni corrette dei personaggi e delle situazioni presenti nei racconti di Franco Nova, evitando quelle “fantasiose, capricciose, arbitrarie”, come dice Ennio. Ancora più difficile riportare i personaggi al gradimento o meno dell’autore, perché è talmente bravo e convincente a tessere trame coerenti che sembrano avere il pieno assenso dell’autore stesso (un lieto fine, una morale…)…Penso invece che franco Nova sappia nascondere bene il suo reale pensiero; solo alcune contraddizioni lo possono tradire ( Ammesso che qualcosa non sfugga alla consapevolezza dello stesso autore)…Ad esempio nel racconto letto il personaggio protagonista incoraggia la sua trasformazione da uomo in calabrone per -dice- sfuggire ad una società che disprezza ma, a voler ben vedere, della stessa accoglie senza critiche la presenza di molto denaro e il sesso a pagamento…anche la donna mendicante che lo invita a ritornare uomo non lo fa sulla base di grandi valori- lei stessa si pente soprattutto di aver lasciato una vita di agi- e lo invita a fare ritorno nella stessa immutata società…Nella prima lettura ti affezioni ai personaggi e vivi la loro ri-metamorfosi come un cammino di redenzione…Ma poi l’autore, raccontandosi, delinea un sé completamente diverso: non aveva mai, pur possedendolo,idolatrato il denaro e aveva scelto una carriera poco redditizia per seguire i suoi interessi di studio…inoltre si era sempre rifiutato di avere rapporti con donne a pagamento e disprezzato quegli uomini che, approfittando della debolezza femminile assai presente all’epoca, cercavano di sedurre le ragazze più povere con regali svilenti… Insomma entrare in questi racconti è come entrare in un enigma, i loro volti cambiano continuamente. Un altro modo per seminare la signora ?

  15. ” Scegli meglio, seleziona i tuoi simili; e vivi come puoi, ma ritorna uomo”

    ho scelto queste parole della mendicante perchè mi sembra che rappresentino una specie di suggerimento che mi sento di poter trarre da questo racconto apologo, nel quale ho visto raffigurato un difetto che spesso è in tanti : “il sentirsi diverso” e di conseguenza l’assumere un atteggiamento isolazionista con la maggior parte dell’umanità.

    Credo che per non sentirsi trasformati in esseri ripugnanti come quel calabrone, pur vivendo in mezzo agli altri, occorra ” selezionare ” le nostre frequentazioni umane, e non ci sia nulla di meglio da fare per risparmiarci inutili sofferenze.

    Sul piano stilistico, per tornare al racconto, l’ho apprezzato ; però, la necessità di contenere il messaggio in poche pagine di scrittura, mi sembra che abbia costretto l’autore ad una conclusione un po’ affrettata, mentre invece il senso della tesi sostenuta e della quale ho fatto cenno, avrebbe bisogno di un maggior sviluppo e preparazione.
    Con questo taglio, si giunge alla conclusione forse in modo troppo didascalico, ma magari questa è solo una mia impressione della quale mi scuso in anticipo con l’autore.

  16. …spesso proveniamo da storie personali diverse, continenti diversi…tra di noi deserti e oceani eppure abbiamo in comune il sentirci diversi. Può già costituire un’uguaglianza…la patria degli stranieri

    1. Nessuno è straniero .
      io ero rondine e un giorno mi son trovata donna.
      Continuo ora a sentire quel pizzicore alle scapole
      là dove avevo le ali.
      Ora la terra mi ospita e il cielo mi attira .
      Forse tutti eravamo….

      Rileggere Nova cambia qualcosa ,accidenti se cambia! Ciao bravo!

  17. …ma, Emy, dipende…ci si può addirittura sentire stranieri a se stessi se nel tuo stesso corpo coabita un inquilino molesto, come nei racconti: l’uomo-scarafaggio, l’uomo-calabrone. Allora diventa più complicato…In parte, poi, siamo già donne e uomini robot e liberarci di metallo, viti, connessioni sembra ancora più difficile…Del resto riflettiamo quello che sta fuori

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