Apprendo della morte a 88 anni di Renato Solmi. Non so quanti oggi conoscano il suo nome o si ricordano del fondamentale ruolo culturale che ebbe traducendo per primo tra il 1953 e il 1959 in Italia opere di Adorno e Benjamin. Ho avuto con lui una corrispondenza attorno al 2001-2002 e ne riferirò più avanti. Per ora pubblico la copertina del libro che raccoglie i suoi scritti e segnalo il ricordo di Luca Lenzini “Renato Solmi, l’elegante stile critico che si fa militanza” apparso su “il manifesto” di oggi qui e un’intervista del 2007 sul sito de “L’ospite ingrato” qui [E.A.]
Ho solo «intravisto» Renato Solmi in qualche conferenza e dibattito, ma conosco le sue principali traduzioni dal tedesco, diversi suoi contributi sparsi su riviste e la vicenda, di cui i giornali hanno parlato più volte e a lungo, della sua rottura con Einaudi. Nato ad Aosta nel 1927, figlio del più noto poeta Sergio, Renato si era laureato a Milano in storia greca con una tesi su Platone. Giovanissimo aveva lavorato all’Istituto di Studi Storici di Napoli quando Benedetto Croce, il fondatore, era ancora vivo. Nel 1951 entrò nell’Einaudi, fra il 1956 e il 1959 fu a Francoforte dove conobbe Adorno, Horkheimer e altri intellettuali della loro “scuola”. Nel 1959 riprese il lavoro presso Einaudi, per il quale tradusse opere di Adorno, di Walter Benjamin, di Seymour Melman, Marcuse, Brecht, Lukács, Günther Anders, Noam Chomsky e altri. nel 1963 fu licenziato in seguito al dissidio sorto sul «caso Fofi». Renato Solmi si schierò a favore della pubblicazione del libro «L’immigrazione meridionale a Torino», di Goffredo Fofi (poi pubblicato da Feltrinelli), mentre lo stesso Giulio Einaudi, Franco Venturi, Corrado Vivanti, Italo Calvino, Norberto Bobbio, Giulio Bollati e Delio Cantimori furono contrari. Non si trattava di una polemica interna alla casa editrice sull’opportunità o meno di pubblicare un libro, ma di due diversi modi di concepire la classe operaia e la fabbrica, e sul ruolo della Fiat e del quotidiano «La Stampa» a Torino. Fofi, appoggiato soprattutto da Raniero Panzieri (da Massimo Mila, da Vittorio Strada e qualche altro), era autore di un’analisi a suo modo innovativa e di rottura nei confronti degli equilibri, non privi di aspetti “diplomatici” e di “opportunismo”, che parte della cultura di sinistra torinese, compresa la Einaudi, osservavano nei confronti della Fiat. In sostanza fu uno scontro fra la vecchia sinistra e le istanze di rinnovamento della nuova, rappresentata in particolare da Panzieri. Al di là di chi avesse, retrospettivamente, torto o ragione, la posizione assunta allora da Solmi fu coraggiosa e significativa di una nuova stagione di fermenti e lotte operaie che si avvicinava rapidamente. Più tardi lo stesso Solmi, Luca Baranelli e altri racconteranno quello scontro e le giustificazioni di Einaudi a proposito dell’inopportunità politica di attaccare la Fiat, «La Stampa», e gli stessi Pci e Cgil di Torino.
Nonostante quella rottura, e le punte polemiche a cui si arrivò, con qualche parola di troppo, anche offensiva, Renato Solmi continuò il suo lavoro di traduttore per la Einaudi, con nel cuore le passioni di sempre: Platone e Brecht e la “cultura critica”, con la rispettiva “critica della cultura”. Germanista tra i migliori, saggista militante, Solmi fu sostanzialmente un emarginato perché le sue posizioni furono sempre coraggiose, personali e poco “trattabili”.