Senza fragole

coubert 1

di Lucio Mayoor Tosi (con una nota dell’autore)

a Gustave Courbet

E’ pace Fatta al cimitero di zanne del Ministero
degli Esteri. Una stretta di mano. Buoni affari.

Subito una mandria di automobili oltrepassa il confine
e si richiude il borsellino. Le mucche Stanno a Guardare.

Da qualche parte, all’ultimo piano
di un grande magazzino, il sapore dell’Erba
si perde in Una mousse.

Nei campi di riso un Carico di parole deragliato
un fortilizio, il rudere di un appostamento.

Il mondo nel vicolo, le mani in tasca, muove
i panni stesi Un mezzo vento.

 

 

Nota dell’autore

E’ sempre difficile commentare una propria poesia, specialmente se non è ancora passato lo stato confusionale che segue, dopo averla scritta. Molti elementi convergono, a partire da un primo verso: l’inizio che diventerà la fine, la sensazione di aver dipinto inglobando diverse immagini; l’aver trovato il ritratto di Courbet, come commento per il mio blog, con quell’espressione che dice tutto della sua storia di ribelle, di artista irriverente; ma soprattutto un suo paesaggio, che vidi anni fa alla Pinacoteca di Brera, o forse al Santa Giulia di Brescia, non ricordo, dove raffigurava delle mucche: a prima vista un soggetto tradizionale, solo che le mucche, invece di starsene in posa, mostravano il fondoschiena. Sembra un dettaglio trascurabile ma mi fece ridere e lo dissi agli amici con cui m’ero trovato quel giorno: ecco, questo è Courbet!
In effetti, fatte le dovute distanze, dopo più di cent’anni credo di aver dipinto con questa poesia qualcosa di simile. Cambiano i luoghi, cambiano le tiritere funeste della politica; gli entusiasmi della modernità mostrano l’affanno nel tempo di crisi; con la rinuncia, quel che contava poco diventa prezioso: il pane torna a essere pane, gli spiccioli diventano moneta, chi non ha lavoro s’intende meglio con chi si trova nella stessa condizione; la pubblicità stenta a rinnovare i propri messaggi che hanno perso d’impatto, e si spera che tutto torni presto come prima… e questo pensiero mi fa paura ancor più della fame!
Tutto questo non è detto nella poesia perché non ho raccontato ma ho mostrato con immagini. Infine, quel che mi unisce a Courbet, forse è solo un mezzo vento, una metafora per pochi, come il fondoschiena di quelle sue mucche.
(Da https://mayoorblog.wordpress.com/2015/03/31/senza-fragole/)

15 pensieri su “Senza fragole

  1. oltre a confermare l’impatto forte con la parola così equilibratamente espressa noto un particolare che mi incuriosisce…l’uso delle maiuscole anche in assenza del punto.
    Un controllo voluto, un ordine regolato, si respira in questa poesia.
    La lettura ad alta voce incoronerebbe le pause (soprattutto dopo la parola Guardare):

    1. Mayoor(poeta e pittore), con questa poesia ci offre molta semplicità e maestria.
      Courbet dichiarava:””Ho studiato l’arte degli antichi e quella dei moderni. Non ho voluto né imitare gli uni, né copiare gli altri. Ho voluto essere capace di rappresentare i costumi, le idee, l’aspetto della mia epoca secondo il mio modo di vedere,fare dell’arte viva, questo è il mio scopo”.
      Mayoor con la stessa caparbietà di Courbet riporta il passato solo per evidenziare un presente, che, come sempre nelle poesie di Lucio Mayoor Tosi è molto deludente , incapace di cambiamenti, ma il poeta-pittore si dà molto da fare per offrirci novità sia dal punto di vista pittorico che poetico, usando metafore spesso legate ad animali, che purtroppo, anch’essi subiscono le sorti di questo triste tempo. Resta da considerare lo stile di questa ed altre poesie che si addice perfettamente alla freddezza ,direi indispensabile per Mayoor, per descrivere situazioni sconfortanti ma che alla fine, diventano ciniche direi un poco grottesche ma molto convincenti. Grazie per avermi aiutato a leggerti attraverso il tuo commento e complimenti per il coraggio che accompagna sempre le tue opere. Penso di esserci alla mostra ad aprile…al tuo paese ma non ricordo la data …il 14? se puoi mandami una mail o locandina. Grazie

  2. …ogni strofa sembra presentarci il dopo di una esplosione (o implosione), quando tutto si ricompone in una sorta di calma piatta: “una stretta di mano”, l’equilibrio del non senso (o del sopruso ormai digerito), …Gli animali buoni, come le mucche, stanno a guardare (incassano tutto), le parole sono fuori uso come vagoni deragliati, l’erba omogenizzata, anche il vento è dimezzato e riduce il mondo in un vicolo…Grazie Mayoor: una poesia ma anche un puzzle da ricostruire o da disfare del tutto…
    Ultimamente mi eri sembrato più ottimista

  3. Di questa poesia mi hanno sorpresa la brevità e una certa liricità, perché è diversa dalle altre tue piene di ‘salti’ di parole .
    Come allegoria del potere scegli le mucche di Courbet, Lucio, e direi che ci stanno, anche in quella che appare la parafrasi del romanzo di Cronin, “E le stelle stanno a guardare”. Ma il messaggio che colgo qui è quello della inconciliabilità tra ‘arte’ e ‘vita’, una specie di ‘non c’è campo’ / non c’è scampo.

  4. Cinque situazioni con un mutamento, che può essere un movimento con una successiva stasi. Come dice l’autore nella Nota: “Cambiano i luoghi, ecc…” Ma: “Tutto questo non è detto nella poesia perché non ho raccontato ma ho mostrato con immagini”. E il distico finale lo suggella “… Un mezzo vento”.
    Passaggi.
    Mi è piaciuta.

  5. La poesia ci abitua (beneficamente per lo più) a uscire dalla logica di un discorso o da un insieme di frasi con una loro linearità e coerenza rassicurante. E però, invece di accogliere come ovvia quest’operazione, mi pare utile segnalare con precisione in questa poesia di Lucio i punti dove, secondo me, c’è rottura della logica; e quindi sorpresa, spiazzamento dell’attesa del lettore (che è poi, credo, il nocciolo della sua ricerca poetica di matrice surrealista). Ed ecco il mio tentativo.

    Nel primo distico la rottura la vedo in quel ‘di zanne’. Altrimenti – parafrasando – che una pace venga fatta (pattuita, stabilita) in un cimitero di un non identificabile Ministero degli Esteri può apparire un po’ strano, far sorridere, ma non più di tanto. È l’immagine di un ‘cimitero di zanne’ (di elefanti viene subito da pensare; ma, in senso figurato, si potrebbe pensare alle zanne dei politici d’assalto) che uno non s’aspetta.

    Nel secondo la rottura la vedo in ‘e si richiude il borsellino’. Accostare l’immagine televisivamente ormai abituale per noi di una colonna di automobili in fila a quella di una mandria di animali (potrebbe essere di mucche, che vengono nominate subito dopo) e, quindi, dire ‘una mandria di automobili’ non desta tanto stupore. È invece quell’ ‘e si chiude il borsellino’ che incuriosisce e sorprende: è il confine che si apre e chiude come un borsellino? potrebbe essere la mandria di automobili (o di automobilisti) che si richiude il borsellino dopo aver pagato il pedaggio? (E già che ci sono: se Lucio, come ci ha spiegato in nota, non avesse illustrato il legame tra l’immagine di Coubert, scelta come accompagnamento della sua poesia, e il paesaggio con mucche del pittore francese visto in una pinacoteca, quel ‘Le mucche Stanno a Guardare’ sarebbe rimasto più impenetrabile e collegabile forse solo all’immagine della mandria di automobili, per vicinanza di significato).

    Nella terzina che viene subito dopo non mi pare di trovare rottura. Sembra descritta in modo vago una sensazione di qualcuno/a all’ultimo piano, che so, della Rinascente di Milano. Mi può incuriosire ( ma non più di tanto) quel ‘il sapore dell’Erba’.

    Invece nel successivo distico una prima rottura sta in quel ‘Carico di parole deragliato’ e per giunta ‘Nei campi di riso’ e una seconda in quel’’ ‘un fortilizio, il rudere di un appostamento’. Chi è in grado di far deragliare un carico di parole in quei luoghi? E i campi di riso in senso figurato non potrebbero essere anche ‘i campi dove si ride’? Mentre restano carichi di mistero le immagini del fortilizio o del rudere (di tempi di guerra?).

    L’ultimo distico mi pare composto con tre frammenti abbastanza semplici: due statici (‘Il mondo [sta] nel vicolo [cieco?]; ‘le mani [stanno impotenti?] in tasca) e uno dinamico: ‘Un mezzo vento (un vento leggero…) muove i panni stesi’.

  6. La poesia è simile al circuito di un GP di motociclismo, dove autori e lettori corrono con le stesse possibilità di vincita: nessuna, ma tutti arriveranno al traguardo. Quindi anch’io che l’ho scritta. Ma come il GP è composto di tanti circuiti differenti, così sono anche le poesie (forse per questo, chi abbia letto altre mie poesia, la sentirà differente). “Senza fragole” è una poesia estroversa, sociale, che non necessita dell’io; ed è simile a un quadro perché composta da un paesaggio di significati. Dico un paesaggio perché i significati sono contenuti nelle immagini, non nei concetti. Se c’è una novità, sempre che di novità si tratti, credo stia tutta qui: nel fatto che una poesia sociale, che voglia darsi un contenuto anche politico, punti a mostrare invece di dire.
    In sintesi questa poesia tratta del rapporto tra natura e commercio, dove natura risulta svilita, impoverita (mousse senza fragole), ridotta a buon affare . Ma non mancano riferimenti personali: vivo nel cuore della pianura Padana, tra campi di riso, e il mezzo vento è quello che vedevo dalla finestra, un vento che sul finire dell’inverno annuncia bel tempo. Non è una poesia triste, se mai annichilita… post bellica, dopo le illusioni del consumismo e l’aria che tira, già con promesse restaurative dello stesso. I ruderi di parole sono di chi aveva avvertito inutilmente, criticando, denunciando, chi ha tentato di ragionare invece di cercare soltanto il modo migliore per adattarsi e sopravvivere. E’ pace fatta e c’è un mezzo vento, dinamiche della stasi, dell’attesa. Concetti che si possono tradurre osservando un quadro.

  7. Quest’anno mi sono dedicato allo studio di due autori che ammiro tantissimo: Tranströmer e Milosz. Tranströmer è poeta, autore di metafore ineguagliabili, Milosz è invece poeta di grandi vedute e contenuto, umanistico e sociale. Non sono accostabili, ma per me sono diventate le alte sponde all’ombra delle quali vorrei poter scorrere per lungo tempo. Il mio umile tentativo è quello di cercare una risultante, beninteso se riesco ad oltrepassare l’ombra che si sta presentando, altissima anch’essa, della filosofia. Ma io sono sannyasin, vicino alla cultura zen, quindi ho altri strumenti e chissà che non ci riesca ugualmente. Invece, la lettura di autori italiani mi sta aiutando a migliorare la scrittura, a pulirla ma senza dover ricorrere alle preziosità del libro dei sinonimi.
    @ carla
    le maiuscole fuori luogo sono figure retoriche di mia invenzione, non fanno riferimento alla recitazione, e non hanno lo scopo di evidenziare alcunché. Sono errori utili a destare l’attenzione del lettore ( ho constatato – sì, anche dalle chat – che la maiuscola, se intercalata senza motivo apparente, diventa accentuativa).

  8. La mia massima ambizione è quella di vincere il premio Nobel, ma in una categoria che non è ancora stata trovata: quella dell’uomo più felice al mondo!

  9. Poesia di immagini, ma non ermetica. Io la leggo come lo scorrere dello sguardo (e insieme, ovviamente, del sentimento/percezione e del pensiero) in diversi luoghi e momenti collegati fra loro da personali richiami. Gli «spazi saltati» si depositano come sottintesi, ma non scompaiono.
    In quanto alle «maiuscole fuori luogo» come «figure retoriche di mia invenzione», devo osservare che hanno molti precedenti, anche se poi ogni poeta le usa e sente in modo personale. Il Futurismo ne è pieno e ne ha fatto anche abuso. Ma tutti i tipi di semantizzazione di forme grafiche delle parole, con la poesia grafica e/o disegnata al massimo grado, usano accorgimenti per caricare le parole di ulteriori significati. Nel romanzo «La Storia» Elsa Morante, pur scrivendo in prosa, per certe parole usa ben quattro forme grafiche: carattere tondo tutto minuscolo (storia), carattere tondo con iniziale maiuscola (Storia), carattere corsivo (storia : ma come si fa il corsivo qui nel blog? non trovo i comandi di formattazione!!) , carattere tutto maiuscolo (STORIA).
    Si tratta di un espediente espressivo, analogo a quelli di omettere la punteggiatura o di farne usi particolari non previsti dalla grammatica normale. Insomma, non solo il significato delle parole, la loro sintassi, la loro musicalità, la loro disposizione nei versi, ma anche la loro forma grafica e quella presente/assente della punteggiatura contribuiscono a dare senso, un senso per accumulo di segnali di diverso tipo, che è proprio dello stile della poesia.

    1. Le maiuscole sono un espediente formale successivo alla nascita della poesia, che in sé non avrebbe alcun bisogno di caricarsi d’altri significati. Non si tratta quindi di espediente “espressivo”, ma di una cosa se vogliamo più sciocca: sono errori posti per la lettura silenziosa, segnali che nella mia fantasia sarebbero guasti della tastiera, presenze meccaniche di derivazione fantascientifica. Nel caso di questa poesia, la migliore è senz’altro “si perde in Una mousse” perché qui la maiuscola non ha davvero alcun senso. Però, un errore vero c’è: ho posto le altre maiuscole con troppa attenzione, tanto che pare abbiano significato. Pazienza, non si può essere sempre irragionevoli.
      La ringrazio per l’attenta lettura.

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