di Ennio Abate
Ho partecipato all’iniziativa di “Dedalus/Vincenzo Pezzella” con questi due disegni/poesie:
L’albero
Non fate morire quell’albero gramo
che nella mente matura ribelli semi
vermigli.
Ambascia ci porta, ma insieme
pensieri
tolti alla morte. E carezze al futuro.
L’ombra di lui mitoleggia nel tutto
del mondo
e palpita in brio in brina al buio,
fra lugubri tonfi d’eventi.
O sta nel bianco solitario
slimitato potato
dal logico gioco.
La sua radice non dice più
a che ramo conduce
ma, solo per lui, puliti miti
oscuri nostri gemelli
ancora vanno, operosi su
incerti sentieri;
e accendono luci tutto tatto
nelle celle cupe della sera
dove ondula, austera,
minacciosa, la biblica mela.
Lo scriba, arrestato da immoti
dolosi discorsi
descrive a stento un suo calco,
che subito stinge.
L’albero gli sfugge in traballanti
visioni
freme negli scarabocchi, sviene
in canti alti;
né nenia l’intrattiene. Per terra
finito,
sotterra, lui pure interrato,
sotto messo
da morte, atterrito, vien dato
da molti,
che volentieri o furenti
colmano per finta
la poderosa fossa
da lui ereditata
di gioie più prossime,
minuscoli affetti
e stenti sentimenti
senza sementi.
Ma l’albero svetta là,
sulla strada dimenticata.
Orrido non è. Alle belle onde
non cede.
Non gocciola spiccioli
d’imposti doveri.
Dà dolore vero. Poiché
innalza il conflitto
sconfitto, scorcia il nostro
sgomento
e fermo a quello lo ritorce.
(2002)
Un cane
inatteso un cane
proprio un cane
sbandando percorso
emerge nella nebbia
fioco animale
di smarrite generazioni
rassegnato agli asfalti
condannato a fidarsi
mi segue
mi sopravanzava
per una impossibile
caccia
lo raggiungo
va avanti s’illude
di fiutare
di svolgere la sua
natura
ma non suggerisce
più ira o amarezza
qui tranquillo
sotto portici luridi
spietati di spazio
è il possesso
della desolazione
[1980 circa]
Ennio Abate ©
Qui è la parola che va a cercarsi l’interlocutore / ascoltatore . La recezione è mediata dalla classicità intesa come chiarezza di significati e dalla bella-netta pulizia formale .
Due testi come quadri neorealisti – forse – o , più verosimilmente , puntigliosamente “veraci”.
grazie –
Le due poesie di Ennio mi spiazzano un po’ alla prima lettura (soprattutto la prima) perché emergono insieme due aspetti: quello serio, di preoccupato sguardo al mondo («Non fate morire quell’albero gramo») e di evidente impegno psicologico per la cura di noi e della natura dalla quale non possiamo separarci («matura ribelli semi / vermigli»; «ci porta […] / pensieri / tolti alla morte. E carezze al futuro») ecc. Però lo sguardo dell’autore si distacca poi dalla preoccupazione e dalla cura, in un velo (forse solo un velo) di non convinta adesione o, meglio, di non convinta possibilità che si possa davvero portare a compimento il compito. Qui subentrano ricerche di particolari effetti linguistici che dal pathos dello sguardo riportano ad un consumìo mentale che diventa quasi un gioco, un prendere le distanze emotivamente, un ristabilire, nello sguardo, il distacco, sofferto. Fra passione e ironia, quasi, verso/contro il proprio trasporto passionale.
Ecco allora tutto un gioco di termini inusuali, di figure retoriche e di rime interne («mitoleggia», «in brio in brina al buio», «slimitato potato», «La sua radice non dice», «puliti miti», «luci tutto tatto», « freme negli scarabocchi, sviene / in canti alti; / né nenia l’intrattiene»).
La conclusione di questo “prendere le distanze” dalla propria seria/drammatica emozione è la visione, da un lato, della difficoltà o forse impossibilità di salvare l’albero, con i suoi valori simbolici (« Per terra / finito, / sotterra, lui pure interrato, / sotto messo / da morte, atterrito»), perché sembra che troppi lascino/vogliano che muoia. Ma d’altro lato la speranza resta viva e forte («Ma l’albero svetta là, / sulla strada dimenticata»).
Mi sembra che in sostanza l’albero sia una metafora della rivoluzione («strada dimenticata»), dell’impegno e delle speranze civili e politiche dell’autore, il quale però non può sottrarsi, nel suo intimo, all’incertezza fra emozione e speranza, e dubbio e lucidità sulla realtà che osserva.
Lo stile rispecchia questo avvitarsi del significato in espressioni forti e lucide e dirette attenuate da una spirale di ricerca, quasi sperimentale, di espressioni e forme non scontate, che operano una specie di passaggio dall’attenzione ai contenuti all’attenzione per la forma che li esprime.
Indiscutibilmente Poesia
Glossolalia (per rime interne e assonanze) e invenzione di vocaboli ecoici, però su tracce tematiche precise: è in questa opposizione un nuovo senso poetico, libero? giocoso? Non credo, anzi, programmatico: al disegno si applica la strofa “L’albero gli sfugge in traballanti/visioni” ecc, e, come nel disegno, “scorcia il nostro/sgomento/e fermo a quello lo ritorce”: il tronco rettangolare, la chioma tratteggiata in sensi diversi.
La poesia sul cane, col cervello e il muso ob-nubilato (e una cacchina appena appena lasciata lì) è la scrittura in chiaro del denso albero.
Coinvolgenti, eh?
…queste due poesie di Ennio mi sembrano contenere un carico altissimo di utopia e di dolore…
L’albero
La poesia potrebbe sembrare un canto funebre, ma non lo è: quello del poeta è un amore testardo perciò non abbandona l’albero “gramo che nella mente matura i ribelli semi vermigli”, anche se resta solo la sua ombra che “mitoleggia del tutto del mondo” e ” la sua radice non dice più/ a che ramo conduce/ ma, solo per lui, puliti miti/ oscuri nostri gemelli/ ancora vanno, operosi su/ incerti sentieri…” Tutte le sue speranze sono ancora riposte in lui, per quanto da oscuri eventi atterrato…Non c’è minaccia, un’eredità non raccolta e ammutolita che possa impedire all’albero di continuare a svettare e a denunciare lo sgomento per una giusta causa sconfitta ma ancora da combattere…Una poesia che scortica e raschia, quasi a voler cercare una nuova pelle (corteccia) sotto a quella ferita
Un cane
Un cane randagio, dall’istinto per la caccia millenario, ha perso la sua identità ed ora vagabondo deve fidarsi di un passante, accodarsi a lui senza convinzione, recitare una parte…ira ed amarezza l’hanno abbandonato, mentre la sua non dimora è uno spazio di desolazione sotto luridi portici…Un essere disabitato con cui il poeta si identifica?
I disegni, particolarmente il cane, ma anche l’albero che sembra legato dai propri rami, dicono della poesia onestamente e con continuità della poetica espressa in queste due poesie. La metafora nel suo insieme esclude la necessità di ulteriori gradevolezze, fatta eccezione per l’invenzione di alcuni termini. Poesia di significato che puntando all’emozione spiazza la ragione, e perciò la ravviva. Con molta onestà, molto terra terra, vale più di tanti discorsi solidali: è poesia.
…vorrei anch’io soffermarmi un po’ sui due disegni, che mi sembrano quasi degli incompiuti. in entrambi il capo, le fronde per l’albero e il musetto ( anzi grosso muso) per il cane, sono sovraffollati di linee, una concentrazione di percorsi e pensieri, ma poi il tronco dell’albero e, in particolare, il corpo del cane appaiono più o meno disadorni, anzi solo tratteggiati per quest’ultimo…Infine le radici dell’albero sono piuttosto esili e non affondano così nella terra, come la cacchetta del cane è piccola rispetto alla dimensione dell’animale. Due disegni che commentano bene il sentimento delle poesie, come di uno stato d’animo esplosivo, quanto trattenuto e mortificato…
Più che “stato d’animo” esplosivo, nei due disegni l’opposizione tra corpo vuoto del cagnolino e testa affollata, e tronco e -poche- radici scritte e squadrate di contro alla chioma fittamente tratteggiata in più versi-sensi, questa opposizione pieno/vuoto e squadrato/di-verso mi sembra indichi tre piani in cui si collegano i significati.
Quello esistenziale “fioco, di smarrite, rassegnato”; quello storico, stato: “gramo, potato, interrato, atterrito, sconfitto”; e quello della naturalità che è volontà e vigore “la mente matura-matura ribelli semi vermigli”, “radice-ramo-puliti miti nostri gemelli-tatto”, “svetta-dolore-innalza il conflitto sconfitto (sconfitto è il conflitto)-fermo-ritorce”. Più che stato d’animo del poeta vedo una proiezione all’esterno, una organizzazione dell’esperienza non personale, dell'”albero”.
Il poeta E’ nell’albero, E’ nel cane ,tanto da renderli simili a se stesso.
Questa E’ la magìa.
@ Attolico
Neorealistici?
@ Aguzzi
Grazie. Mi ritrovo nella tua analisi. Sì, dopo aver scritto “L’albero”, anch’io mi sono detto: per me è una metafora della rivoluzione mancante. Sempre dopo però avevo letto di interpretazioni simboliche dell’immagine dell’albero (albero della Vita, ecc.) e fatto dei sogni, di cui c’è traccia in questi versi:
DEGLI ALBERI SOGNATI E SIMULATI
albero apparso in sogno /
tirato su da donne/
e che allegria la mia!/
perché d’infanzia hai radici/
tronco di giovinezza/
fogliame fangoso e affastellato
albero che hai tremenda memoria/
cosmo in rigenerazione/
unione continua
e assieme discontinua/
asse del mondo per celti
greci e yakuti siberiani/
albero della simulazione /
gonfio della poltiglia storica/
elettronico/ con fissità da museo/
venduto in distintivo/
a Roma / a Berlino
assieme a divise di Vopo/
a elmi e cinturoni SS
@ Fischer
Di «programmatico» proprio niente. Né c’è relazione diretta tra disegno e testo. L’accostamento è di adesso: in occasione dell’iniziativa di Pezzella ho scelto tra vari miei disegni, tutti nati in tempi diversi rispetto al testo.
La «cacchina appena appena lasciata lì» è, almeno nelle mie intenzioni, una pallina (a volte pare da tennis) e ricorre in moltissimi disegni, una sorta di formula riassuntiva di “qualcosa”.
@ Locatelli
Non sono ancora riuscito a decidere: sono i disegni che commentano le poesie o viceversa?
Sicuramente ci sono corrispondenze a volte puntuali altre meno. Come ho spiegato nella presentazione del blog “Narratorio grafico di Tabea Nineo”: « C’èv […] contiguità tra la mia scrittura, che mira alle parole e ai pensieri, e i grafismi che, a partire da uno “scarabocchio”, diventano figure».
@ mayoor e Banfi
Basti la poesia. Lasciamo la magia ad altri.
La magìa quando c’è, c’è.
…quindi non c’è relazione tra poesie e disegni, perché realizzati in momenti diversi, per quanto l’autore sia sempre lo stesso e qualcosa sull’idea di albero e di cane per forza si conserva nel tempo…Non sapevo (o l’ho dimenticato) che per le figure, Ennio, parti da uno “scarabocchio” e lo trovo interessante e persino divertente: è un gioco che faccio anch’io insieme ai miei nipoti…ciascuno fa lo scarabocchio di partenza per l’altro. Non intendo con ciò sminuire i tuoi lavori, anzi…