di Arnaldo Éderle
Ma ti viene in aiuto la musica!
C’era proprio bisogno della grande
possibilità che abbiamo noi uomini
di affidare a questi punti con l’asta
ciò che sentiamo rimbalzare nel cuore
e nella mente senza sapere cos’è.
Ci sono necessità che non sappiamo
decifrare altrimenti che non sappiamo
dichiarare o non sappiamo esprimere
con parole precise, con i segni
della convenzione: i piccoli ragni
che significano e che ci portano
luce all’intelligenza, quella cosa
che le altre presenze terrestri
sembra non abbiano.
C’era proprio bisogno. Questi suoni o
risonanze o echi delle nostre pulsioni
che ci percuotono le tempie che solleticano
i nostri vibratili timpani come piccoli
sensibili tamburi.
La musica! (E’ vero, mi fa un po’ rabbia
questo privilegio unico inimitabile
insostituibile e bello! Mi fa un po’ rabbia).
Pare che non esista altro strumento che possa
decifrare quei messaggi la loro impronunciabilità.
Oh Debussy! Sei la pagina che precede il
discorso, la scena prima del paesaggio del
racconto il prologo del dramma.
E’ così che ogni favola prende la sua forma,
da lì nasce. Ma non so quale sia il suo
progetto non so la magia che muta il suono
in parola: la forma del cigno
nella macchia bianca nel suo fantasma,
non so la magia.
Eppure c’è, i poeti la conoscono,
poi piano piano arriva a tutti, o quasi,
e appena la vediamo diciamo: oh! era così
semplice, così facile e, come bambini
ingenui e lisci spalanchiamo la bocca apriamo
le labbra non emettiamo nessun suono ma
sgraniamo gli occhi e un grande sorriso ci
rischiara il viso e continuiamo con quella
magnifica scoperta a indorare la nostre figure
le nostre storie le favole che ci giungono
dalle grandi qualità della magia, e il mago
è lì vicino invisibile che ci osserva
sorridente e buono e pieno di buona volontà.
Il mago ci segue e piano piano ci consegna
le parole una ad una in fila e ci fa costruire
l’albero e la casa e il cane sulla soglia
e piano delicatamente posa nel cortile
vasi di fiori e disegna il profumo e i colori
dei petali. Il mago!
Ma dovremmo imparare a farle noi da soli
queste imprese, senza bisogno di sfruttare
i maghi e la loro bontà, senza
disturbarli questi buonissimi maghi.
Cos’è che trasforma i piccoli grandi suoni
la loro magica risonanza in parole altrettanto
piene di miele o di gramigna o
piene di centri colorati e di
punti e puntini che si rincorrono come ragazzi
nei giochi della giovinezza nella pace
e nella giocondità del riso e della sorpresa?
Ne vengono a migliaia di queste
calcomanie piene di disegnetti variopinti
e di figure strampalate. Che precedono altri
disegni sempre più seri irriverenti e cattivi
che stravolgono gli sguardi e pronunciano
spietate parole mentre
si odono risate sghembe e ingiurie senza
dignità e senza cuore (ma che cos’è il
cuore? Non è quella cosa che pulsa nel centro
del petto degli uomini? Non è la sua bontà
raggrumata lì dentro compatta dura per
non sfaldarsi e resistere un’intera vita?
Sembra che molti l’abbiano perduto,
e non si sa dove né in quale maledetto
frangente.)
…Molto bella e profonda questa poesia di Arnaldo Ederle, in cui mi sembra dire che non ci sia che la musica a saper interpretare “ciò che sentiamo rimbalzare nel cuore”, i suoni quali “risonanze, echi delle nostre pulsioni”. Musica che si può tradurre in parole, in poesia, e quando succede sembra di assistere ad una magia…In realtà si tratta solo della giusta immaginazione, mai disgiunta dalla realtà, che presiede all’atto creativo. Il poeta sembra poi metterci in guardia dai falsi maghi, capaci di stimolarci alle fantasie più lontane dal nostro centro…
Da dove nascono le parole?
Mi sembra questa la domanda di fondo di Arnaldo Éderle in questa bella poesia – condivido con Annamaria – che sembra muoversi su due piani, solo all’apparenza contigui. Il binomio suono/parola per mezzo del quale è possibile tradurre parole (altrimenti mute?) attraverso le note:
i piccoli ragni
che significano e che ci portano
luce all’intelligenza
La caratteristica della poesia è, da sempre, nella sua musicalità. E c’è poi la figura del “mago”, che io associo all’ispirazione, che ci fa mettere le parole “in fila”, ma che lasciare in pace sarebbe meglio, dice il poeta, per imparare da soli. Perché, in definitiva (se è così), anch’io penso che le parole occorrerebbe meditarle più profondamente (risvegliando il ‘cuore’). O, meglio, ciò che dovremmo averci messo al centro.
In questa bella poesia , completamente priva di musicalità in cui si esalta il faticoso lavoro del poeta , che, privo della magìa non potrebbe essere poeta. Il mago , quel grade mago che alleandosi allo scrittore gli lascia tutto ciò che attrae il mondo dei poeti-
Un grande esempio in questi versi e….un grande applauso, qui il mago è arrivato.
“Ne vengono a migliaia di queste
calcomanie piene di disegnetti variopinti
e di figure strampalate. Che precedono altri
disegni sempre più seri irriverenti e cattivi
che stravolgono gli sguardi e pronunciano
spietate parole mentre
si odono risate sghembe e ingiurie senza
dignità e senza cuore (ma che cos’è il
cuore? Non è quella cosa che pulsa nel centro
del petto degli uomini? Non è la sua bontà
raggrumata lì dentro compatta dura per
non sfaldarsi e resistere un’intera vita?
Sembra che molti l’abbiano perduto,
e non si sa dove né in quale maledetto
frangente.)”
Grazie Anna di aver citato quel pezzo di poemetto al quale tengo molto, e delle parole con cui lo commenti. Arnaldo Ederle
Scusami Emilia, chissà perché ho scritto “Anna”. Ancora un saluto. Arnaldo