di Ennio Abate
Nei giorni scorsi ho seguito su vari siti il dibattito nato dall’articolo di Alfonso Berardinelli (qui) sulle voci circa la chiusura della collana di poesia della Mondadori. Questa la mia risposta [E.A.]
Anders als die Kämpfe der Höne sine die Kämpfe der Tiefe! (Diverse dalle lotte sulle cime sono le lotte sul fondo[1]). Sta’ nell’anonima compagnia dei molti che in sottoscala, in eremitaggio, in rivistine e siti scrivono. Sta’ in basso addosso a un mondo basso. Vivi con loro: bollette da pagare lavoretti coatti da sbrigare letture da pausa mensa e a tarda notte qualche amore d’assaggiare. Una qualsiasi vita con corpi qualsiasi. E però metrica all’ingrosso andatura sciancata scrivi scrivi non smettere non importa dove andrai a parare se le parole si dissiperanno nel Gran Vuoto. Resta in allerta nel ventre di questo Niente dove - la carne della vita freddata da mani omicide la parola congelata dagli Intellettuali - hanno condotto – scrisse uno – la mente. Le avevamo baciate quelle carni. Le avevamo amate quelle parole. E poi ci siamo chinati su corpi a botte svegliati e massacrati o in altri modi straziati. E poi cimiteri d’operai e compagni suicidati la miseria planetaria delle periferie le urla da Abu Grhaìb. Sappiamo ora quale realtà c’era stata preparata. Perciò raccogli i cocci di passato liscia le tonde parole di pochi maestri arràmpicati su pensieri scoscesi forse Storia, forse Dio, forse Nulla. E fievole e audace porta con te il talismano dei molti in poesia. Non temere la tua follia. Ascoltane il brusio. Prima o poi ritroveremo i Santi Padri di Amelia ci solleveremo al di là degli amoretti alla Nanni Moretti e questo corpaccio di un mondaccio l’abbracceremo e lo diremo in lingua semplice nuova levigata e saggia. (20-26 luglio 2015)
[1] Dal frammento La bottega del fornaio
* Rielaborazione della Introduzione alla serata del 26 marzo 2009 alla Casa della Poesia di Milano – Palazzina Liberty ((http://moltinpoesia.blogspot.it/2010/03/pochi-in-poesia-no-molti-introduzione.html)
Ennio, a parte i complimenti per la voce tua poesia che riconosco, secondo te, dei tre potenti aggettivi, nuova levigata e saggia: avresti un’idea di quel che potrebbe essere la nuova? Ma poiché se lo sapessimo non sarebbe nuova, non solo, ma già ne scriveremmo, forse varrebbe di più considerare Saggia; ma poiché il saggio non è facilmente condizionabile, è possibile che scriva a modo suo, sicuramente non a modo loro, ma nemmeno a modo nostro: più o meno come stiamo facendo. Levigata, ecco, di questo parlerei: vuol dire chiara e comprensibile?
@ Ennio
Poeta questa volta mi ha commossa. Tanto.
a Mayoor: forse levigata come una materia, pietra per esempio, lavorata, passata di mano in mano
Sì Cristiana: -Pietra-
PAROLA MIA
Dal pensiero editorio
alzami amore
al desiderio vero
della carezza
alla frase sconnessa
che tocca il petto
alla parola elévami
che non si chiude
in un significato
che non richiede
di sé una spiegazione
e poi accendimi
nella parola pura
ch’è sentimento
oltre la comprensione
brillami amore
nella parola ultima
per cui il cuore
pulsi oltre la vita
gettami infine
dentro la combustione
eterna e nuova
della parola unica,
come nel buio
il grido della luce.
@ Mayoor
Levigata nel senso di lavorata, elaborata, molto curata. Che poi da questo lavorio – io ho ricordi vivi più che della levigatura della pietra soprattutto di quella del legno nella segheria di un mio zio nel primo dopoguerra ancora a mano con la pialla – venga fuori una lingua chiara e comprensibile non è escluso, ma non è garantito. Chiarezza e comprensibilità sono anche il risultato della fatica e collaborazione del lettore, indispensabile quanto quella dell’autore.
Ma preferirei analisi anche sull’insieme del componimento non solo su un dettaglio. E sul contesto: non è una poesia di getto ma una rielaborazione di un vecchio testo alla luce di discussioni tra critici e poeti in corso.
Approfondisco a partire da “Non temere la tua follia./ Ascoltane il brusio.”
Il distico riassume -con “brusio”- il mondo basso, il vivi con loro; e -con “follia”- riassume “scrivi scrivi/non smettere/ non importa dove andrai a parare”, e ancora “allerta”, “ci siamo chinati” e “fievole e audace”.
Dopo il distico la possibile apertura, la possibilità di raggiungere, forse ancora sotto il segno della sacra follia di Amelia, i (anche i suoi) Santi Padri politici e letterari, quindi potremo abbracciare e dire “in lingua semplice nuova levigata e saggia”, forse raggiunta, il “corpaccio di un mondaccio”, peggiorativi affettivi, che smussano l’eco di un “mondaccio cane”.
Un manifesto, rabbioso, dolente e irriducibile.
…mi sono ritrovata in questa bella poesia di Ennio, scritta a pugno chiuso, dove sono delineate modalità, circostanze, intenti dei Moltinpoesia…Il tempo che viviamo urge la poesia dei molti… compressi nelle scatole che viviamo ci portiamo da sopravvissuti come pietre al fiume a consegnarci all’acqua della vita
semplici, anzi nudi…
nuovi ogni giorno …
saggi per forza…
Molti, ma non folla omologata
In questi anni ci hai abituati all’alternanza di ritmi veloci e ritmi solenni, che sono forse le due forme espressive della tua poietica. Questa è una poesia solenne, dove le parole vanno soppesate anche nella lettura. Contiene versi lapidari, amari, anche se pieni di fiducia e incoraggiamento. Fiducia e incoraggiamento che contrastano con il tema del vuoto, del nulla ( anche tu?).
non importa dove andrai a parare
se le parole si dissiperanno
nel Gran Vuoto.
Resta in allerta
nel ventre di questo Niente
Pieno e vuoto, nelle filosofie orientali, si equivalgono, sono interpretazioni dello stesso fenomeno. Non sbaglia chi parla di vuoto, né chi del pieno. Ma mentre il pieno è partecipativo, il vuoto è negativo e lascia spazio al nichilismo. Tuttavia appare chiaro che il vuoto di cui tu parli non è metafisico, e non è solo filosofico: per te è vuoto politico, è il vuoto impersonale entro cui si dibatte l’umanità, vuoto di responsabilità soggettive ( ne discutevamo commentando lo scritto di Nova). Come avessimo tutti a che fare con un semidio, una figura divenuta sempre più astratta che, in quanto Dio, rende ognuno incolpevole. Vuoto, il tuo, che fino a qualche anno fa chiamavamo Sistema, o sistema capitalistico. Però chiamandolo Gran Vuoto, non scivoliamo nel pericolo di una comprensione nichilista, in una negazione del senso che potrebbe rivelarsi inarrestabile?
Prima o poi ritroveremo
i Santi Padri di Amelia
I padri che furono anche della Rosselli. Non so quanto cambierebbe il senso se mancasse quel nostalgico prima o poi, certo andrebbe sostituito con una domanda (al lettore)… ma allora sì che saremmo nello scoramento. Insomma, malgrado la commozione, secondo me nell’epilogo la poesia non riesce a dare una soluzione inespugnabile. Da qui la mia domanda sui tre aggettivi.
… “malgrado la commozione, secondo me nell’epilogo la poesia non riesce a dare una soluzione inespugnabile”: la frase di Mayoor mi ha stupita, il richiamo a una soluzione inespugnabile.
Prima mi sono chiesta: ma chi la vuole, “inespugnabile”? Mayoor stesso?
Poi ho convenuto, nella poesia c’è solo questa indicazione
arràmpicati su pensieri scoscesi
forse Storia, forse Dio, forse Nulla.
A me era bastata. Mi sembra che riguardi color che son sospesi, in un lungo periodo di esaurimento di una cultura, senza udire eventuali richiami da donna beata e bella, ma fidando solo nel lavoro artigiano e comune, monastico benedettino, direi. Ma in fondo anche questo atteggiamento fa parte della cultura in esaurimento.
Forse l’impianto più generale potrebbe essere quello proposto da Eraclito, il continuo fluire-mutare. Potrebbe essere, questo variare che resta, la soluzione inespugnabile che sembra richiedere Mayoor?
E’ una poesia, Cristiana; per come la intendo io, pur senza evitarlo non ha il dovere di ricalcare la prassi di ogni ragionamento. Quindi la soluzione inespugnabile non può trovarsi che nell’esattezza di un verso, costasse anche il pesante giudizio del pubblico come fu nel caso di Ezra Pound. Nessuno oltre a Ennio può sapere quale sia la soluzione.
Un esempio mi viene da quell’anfitrione di Walt Whitman, ai Poeti futuri:
…
Io sono un vagabondo che non si ferma mai, che getta a
Caso uno sguardo su di voi e storna il viso,
Lasciandovi il compito di analizzarlo e definirlo,
Da voi aspettandosi cose più importanti.
OK, ho capito il tuo percorso.
…se penso a quell’animo poetico popolare che ha attraversato i secoli , sfidato le prove del tempo, credo davvero che sia inespugnabile, ma forse oggi un po’ incrostato per via di accecanti sovrastrutture, che vanno dalle trombe che promettono fama, alla “moltitudune” di immagini e rumori a deviare, seppellire lo sguardo sulle cose…E qui l’invito di Ennio alla moltitudine poetante giunge buono: “Sta’ nell’anonima compagnia dei molti/ che in sottoscala, in eremitaggio, in rivistine e siti/ scrivono…”
Non credo di contraddirmi se mi sento perfettamente d’accordo con te, Annamaria. L’invito è buono, sono uno dei molti e ne vado fiero.
… però le hai mai lette le stroncature di Ennio? Ora è da un po’ che si trattiene, l’esperimento dei Moltinpoesia è terminato. Però mi ero segnato l’argomento di un dibattito: se la poesia di Fortini fosse all’altezza dell’intellettuale, critico marxista. Per me Ennio è anche meglio, coniugando cuore e ironia ha scritto pagine bellissime da leggere. Non mi ha mai dato l’impressione di voler far pensare, eppure ci riesce sempre. Ed è per me anche un validissimo esempio di come si possa riflettere scrivendo, che è un’altra faccenda. Ma lo preferisco sui ritmi veloci, sul racconto poetico. Si può dire, no? Provenendo dagli anni dello sperimentalismo ha percorso diversi sentieri…
…certo Mayoor lo penso anch’io, il ritmo conta e come e Ennio è un vero maestro!…Gli stacchi, i distacchi, le pause, i ripensamenti, i ripensamenti dei ripensamenti ed infine si è presi in contropiede…Ovvio è un duello con le proprie ombre e con quelle degli altri. Temporanei accordi e poi si riprende quel vagabondaggio a cui accennavi tu…Così è la compagnìa, e quale altro scopo ci può essere se non quello di procedere in compagnìa?
…spero non vi dispiaccia leggere questa poesia dei molti su un’estate un tantinino esagerata…
L’uno contro l’altro armati
l’effetto serra ha scatenati
gli elementi…
Il sole adorato, or maledetto,
un mese di canicola
a povere anime arrostire
qualche ora poi
di pioggerella spiritosa
a rifare il verso alle cicale
come fischiettare
per sfidare i colossi del mare…
Provocato, il vento assassino
prende vigore, mostra i muscoli
sahariano imperversa
sino a seseccare ogni erba.
Ma il sole che fa?
Arbitro impunito se la ride
di raggi sinistri,
allora tocca alla pioggia umiliata,
“sora” acqua d’altri tempi,
a scatenare un’alluvione
senza precedenti.
In panchina sole e vento
braccia conserte e muso lungo
a guardare…folli folli tutti!
E noi umani poveri innocenti!
ciao Annamaria
Cara Annamaria, polemizzo un po’, ma non con te, con i catastrofisti punitivi
Ironizzi sui “poveri innocenti”?
I catastrofisti ci incolpano:
noi umani dilatati che modificano
un piccolo ambiente per privati.
Ma se schieriamo gli elementi
tra gli affanni e, arbitro impunito,
il sole se la ride… idolatri
diventiamo e il sole ci cucina
mente e credulità.
…Cara Cristiana, non so se ho capito del tutto le tue osservazioni, ma la mia voleva essere una favoletta in cui paradossalmente gli elementi bisticciaano tra loro…da espressione della divinità nel Cantico delle Creature a umani pieni di tutti i difetti del nostro tempo: competitivi, violenti…Certo che sotto ci sta la crititica agli uomini di potere, quelli che pensano di trasformare il territorio in “un piccolo ambiente per privati”, senza alcun rispetto per i i beni comuni, come l’acqua…E le conseguenze si vedono…