Uno stralcio da “Luciano Gallino, costruire le fabbriche del dissenso”
di Roberto Ciccarelli:
Sin dalla fine degli anni Novanta, Gallino ha esplicitato la tensione etico-politica, comune a molti intellettuali torinesi, che lo ha portato a intervenire nel presente con una ricchezza di posizioni tutte ispirate a un rinnovato senso della radicalità. Radicale, lo era Gallino sia nell’impietosa e spesso disperante analisi del dominio capitalistico, sia nell’evocazione degli strumenti della resistenza e dell’alternativa.
L’approccio di Gallino non si limitava all’analisi delle diseguaglianze, oggi piuttosto in voga da quando Thomas Piketty ha avuto successo con un libro pretenziosamente intitolato “Il capitale del XXI secolo”. La gigantesca espropriazione della ricchezza del lavoro avvenuta a partire dalla fine degli anni Settanta ad oggi, Gallino la chiamava “Lotta di classe”. Coniando — già dal titolo di un libro intervista — la fortunata formula di “lotta di classe dall’alto”.
In una lunga serie di volumi militanti,in cui non mancava certo il rigore inflessibile dello scienziato sociale, questa violentissima asimmetria del potere dei ricchi contro un lavoro sempre più debole e vulnerabile è stata squadernata con una perizia costante. Nel tempo Gallino ha affilato lo stile di intervento politico giungendo a rendere il suo ultimo libro Il denaro, il debito e la doppia crisi una mordace operazione di combattimento dialettico contro l’oligarchia al potere. Spietato il suo giudizio contro i “quattro governi del disastro” che hanno gestito i primi anni della crisi italiana: Berlusconi, Monti, Letta e Renzi. Sono l’espressione di un “colpo di stato delle banche e dei governi”
(da “il manifesto” qui)