di Roberto Marzano
Il mondo emotivo e visivo di cui si nutre la poesia di Roberto Marzano è solo un calco di quello reale dei quartieri popolari dov’è vissuto. E i suoi luoghi appaiono svuotati dall’effervescenza effimera di cui sempre la folla li riempie. I quattro testi che ho scelto danno conto di un’ansia repressa di chi li osserva. Le immagini, esterne e interiori, sono convulse, lampeggianti, rabbiose e rassegnate al contempo. Interlocutori veri qui mancano. E il poeta però testardo insiste a spiegare «la nebbia ai privi di vista / ai tavoli inclinati dei bar di terza fila /dai flipper assordanti di luci fioche». [E. A.]
A MALAPENA CAPISCO
A malapena comprendo
di accontentarmi d’un sogno
attraversato dal traffico
di aperitivi amaranto
e di demoni appesi
a un ombrello ubriaco
il cicaleccio dei clacson
folla in fretta di niente
corde tese ai tranvai
incollati alla bocca
ed il fiato che abbaia
il clamore dei taxi
non disperde l’urgenza
di cercarti e rapirci
se a malapena capisco
la mia faccia slacciata
sfilacciata di scarpa
che sta galla nel buio
della gola trafitta
da un semaforo rotto…
L’ANIMALE CHE HO IN TESTA
L’animale che ho in testa bussa forte, mi scrolla
mi fa strane proposte, mi molesta i pensieri
con visioni indecenti, tremolanti istantanee
si contorce nei gangli, ne fa scempio, sfracella
crude crune strappate da un immane fracasso
sfonda a pugni i miei freni, s’accapiglia a grovigli
di serpenti ingrippati sotto piogge di fischi
e di fiaschi sfiatati che disfano e sfanno
il tormento incessante di chi si raccomanda
di ben spegner la luce e di tirar la catena
tesa al collo di schiavi prostrati in ginocchio
che allo specchio non danno nessun peso né tregua
porgon proni la guancia agli schiaffi a capriccio
di signore indignate dalle unghie affilate
lascian graffi di smalto, bende nere sugli occhi
da veder sarà poco se non schizzi di spilli
e sudore rappreso, molto poco sul serio.
BAR CHIUSI
Bar chiusi per pura cattiveria
sotto i portici lasciano testimoni mute
saracinesche ferree a maglie strette
cigolare al vento di palude.
Risuona l’eco del tintinnio al bancone
dell’incontrarsi dei bordi dei discorsi
non più inespressi di non dati baci
in cocktail gai di cordialità diffusa…
Non resta altro nella sera piovosa
che smanacciare citofoni a caso
luminosi asterischi di esistenze a resa
per scappare dalla nostalgia che assale
certi cuori-occhi di chiocciola socchiusi…
CAMERE OSCURE
In preda al disordine, alla costernazione
spiegavo la nebbia ai privi di vista
ai tavoli inclinati dei bar di terza fila
dai flipper assordanti di luci fioche…
Bambole d’organza tribolano immobili
su copriletti ocra in finta seta
in piccole camere oscure appese a un filo
su nuove strade sei piani più in basso…
Bicchierini d’anice disincrostano accidia
ferraglia rugginosa china al tormento
calendari ingialliti da fiati grevi
gemme d’ambra corrose dal lamento
di vecchie credenze impiallacciate
infestate da fantasmi in carta crespa
con le puntine agli occhi, allo sprofondo
in cassetti pregni di pece greca…
Nota
Roberto Marzano, nato a Genova 7 marzo 1959, si autodefinisce così: poeta, narratore “senza cravatta”, chitarrista, cantautore naif e bidello giulivo. Come musicista (Roberto Marzano & gli “Ugolotti” e “Small Fair Band”) si è esibito in centinaia di concerti e come poeta collabora con varie riviste: “Prospektiva”, “Gli Altri” “Laspro”, “Diwali-Rivista Contaminata”, “Erasuperba”, “Versante Ripido”, “Rivista!unaspecie” e “La Masnada”. Tra le sue pubblicazioni: “Extracomunicante. Dov’è finita la poesia?”- De Ferrari (2012); “Senza Orto né Porto”- Edizioni di Cantarena – QP (2013); “Senza Orto né Porto”- Bel-Ami Edizioni (2013); L’Ultimo Tortellino… e altre storie” (racconti) – Matisklo Edizioni (2013); “Dialoghi Scaleni” – Matisklo Edizioni (2014); “Come un Pandoro a Ferragosto” (romanzo) – Rogas Edizioni (2015).
Caro Ennio,
finalmente un poeta che non “rompe” troppo, che parla della vita di tutti, che non vola nell’empireo, ( come certuni che ho letto qui di recente ) che mette in fila parole che esprimono il disagio anche di coloro che non sono troppo ” politicizzati ” quando leggono, e giudicano un testo.
Grazie, grazie
Grazie Luigi, sono lieto che tu abbia colto il mio “disagio” che realtà un po’ “politicizzato” lo sarebbe MA non in poesia… Cerco, e spero di riuscirci, a non fare poesie-volantino e di dare certe opinioni, o punti di vista condivisi dai più, come scontati perciò (a mio modo di vedere) poco “poetici”… Grazie ancora 🙂
“Il poeta testardo insiste a spiegare”, e fa bene ad insistere perché riesce e bene a comunicare il disagio esistenziale.
Ubaldo de Robertis
@ Paraboschi e Marzano
Ma i poeti veri dovrebbero “rompere” il più possibile. Se no, che poeti sono. Ma la vita di tutti è condizionata dall’”empireo” (sia delle ideologie che della politica). E il disagio (esistenziale, precisa De Robertis) dei non o poco ”politicizzati” *in una buona sua parte* (non nella sua totalità) è la faccia deforme dello strapotere dei pochi spudoratamente “politicizzati”. Sono costoro che con la violenza e gli intrighi impongono agli altri un buon 70% di “disagio esistenziale”. (L’altro 30% imputatelo pure alla natura, al demonio, a chi volete). Ma per il 70% – ripeto – il disagio esistenziale è l’etichetta “colta” con cui copriamo l’illibertà e la sottomissione politica nostra e altrui.
E fa bene Roberto Marzano a dire che il suo “disagio” è in realtà un po’ “politicizzato”. Ma poi – faccio il maligno ! – in omaggio al pentitismo delle generazioni “politicizzate” o per un malinteso galateo o *poetically correct* vuol tener fuori la politica (sporcacciona!) dalla Casa della Poesia ( che, si sa, è verginella e nobildonna!).
Ora io, che qualche poesia-volantino l’ho pur scritta (http://moltinpoesia.blogspot.it/2012/07/poesia-volantino-inesistenti.html) e persino una raccolta “ultra politicizzata” (http://moltinpoesia.blogspot.it/2012/09/ennio-abate-nove-poesie-da-la-polis-che.html) di cui Paraboschi è stato uno dei pochi ad accorgersi e persino a recensire, vi chiedo:
1- vi scandalizzereste se qualcuno vi dicesse che l’amore o la donna o la morte o la bellezza o le albe e i tramonti o i prati e le montagne vanno bene «MA non in poesia»? O se per uno sconvolgimento inspiegabile divenissero «poco “poetici”»?
2 – da quando e perché ci si dovrebbe “vergognare” o si dovrebbe essere prudenti nel far entrare la poesia in politica?
P.s.
Io una risposta ce l’ho, ma per ora me la tengo di riserva.
…trovo quella di Roberto Marzano una poesia urbana, a tratti malinconica o inquieta…la sua città lo circonda in tutti i modi e gli sta stretta, può solo concepire un sogno, ma non avere dei progetti: “A malapena comprendo/ di accontentarmi d’un sogno…”, l’energia vitale che dimora in lui è come una animale in catene: “L’animale che ho in testa bussa forte…”…I bar, le chiacchiere, le luci, le strade, il caos, il disordine stordiscono il poeta, quando mancano ne sente il vuoto, (“Bar chiusi”) tuttavia non possono riempirlo, c’è un non senso nell’esistere, uno scollamento da una richiesta più alta… Una musica malinconica sembra accompagnare di sottofondo, espressione di un malessere condiviso…Mi viene da pensare ai molti giovani (e non solo) disoccupati nelle nostre città, a cercare di tirar sera senza più uno scopo…Poesie tutt’altro che disimpegnate
@ Ennio :
tu hai fatto poesia che ti ostini e definire ” politicizzata ” ma come sai, io non penso che essa sia solo quello, e lo dimostrerò più sotto.
La tua è poesia che fa della storia, tua e nostra, un ritratto che sai dipingere in modo che quasi in ogni testo si sente la mano di un poeta, anche se non parli di montagne, di fiori o di albe e tramonti.
Quando plaudo alla poesia di Marzano lo faccio dopo mesi di silenzio nei quali non ho mai smesso di seguire la tua rivista, e di ” sorbirmi ( sic ) certe pizze spacciate dagli autori per ” poesia”, (ma per favore non chiedermi i nomi, li immagini anche tu, visto che li hai stigmatizzati nei commenti) che hanno anche ricevuto il plauso di alcuni lettori .
Oggi, leggendo Marzano non ho pensato , parafrasando l’autore : è arrivato qualcuno che ” spiega la nebbia ai privi di vista “.
Ma questo non è un verso politico, Ennio ?
Non devo spiegare a te che io considero veramente ” eccelso ” sul piano tecnico della critica letteraria, (e questo aggettivo non è una presa per fondelli rivolta a te, ma il riconoscimento della tua eccellente preparazione e capacità di argomentare ), dicevo, non devo spiegarti cosa sia ” la nebbia ” di cui parla Marzano e chi siano i ” privi di vista “, perché chi mastica un po’ con i versi lo intuisce d’acchito, ma se non bastasse questo, potrei aggiungere anche questi versi nei quali si vede il discorso politico che c’è nel lavoro di scrittura di questo autore
…………….
il tormento incessante di chi si raccomanda
di ben spegner la luce e di tirar la catena
tesa al collo di schiavi prostrati in ginocchio
che allo specchio non danno nessun peso né tregua
porgon proni la guancia agli schiaffi a capriccio
di signore indignate dalle unghie affilate
lascian graffi di smalto
Ora a parte l’uso dei verbi tronchi che non mi trova esteticamente d’accordo ( ma questa è una quisquiglia, termine del vecchio Totò che ti ho visto riusare da qualche parte recentemente )direi che anche in questo pezzo stralciato si deve riconoscere la zampata politica; ma ben venga questa scrittura, ben vengano questi schiaffi, e santo cielo, il nostro disagio esistenziale sarà anche per il 30 % frutto del ” demonio “, come tu ironicamente suggerisci o lasci trapelare, però c’è anche in te questo disagio anche se venato di velature politiche, c’è nei tuoi versi caro Ennio, quando scrivevi in ” Leggendo Cinema anni ’70 ” questo stralcio:
Andrò a guardare l’oceano se ci riuscirò
se………
dato che il povero ha paura,
anche quando ha studiato,
perché ha studiato anzi,
e perché è rimasto povero: e lì nell’oceano
se ne sta sempre da solo, col suo desiderio in tasca
che mai lo tira fuori,
ché coi suoi spiccioli compra cose
poche, luccicanti
e false .
E concludo quindi cercando di rispondere al tuo secondo quesito: no, non ci si deve vergognare a fare entrare la politica nella poesia, ma ” Adelante , Pedro, ma con juidicio ” scrisse qualcuno, insomma, la vita ha molte sfaccettature, non devo insegnarlo a te, e che ” tutto è politica ” appartiene ai giorni della nostra gioventù, perciò diciamo, che Marzano mi soddisfa sia sul piano poetico che su quello politico, perchè non mi vuole a tutti i costi indottrinare come in molte poesie ha fatto col lettore……….il tuo caro e indimenticato Fortini ( ahimè, cos’ho scritto !!!)
( p.. lo so, sono un Montaliano incorreggibile con l’aggiunga qualche goccia di Sereni, e una spruzzata di Raboni, per completare il cocktail )
Ciao, e grazie per lo spazio.
luigi
@ Paraboschi
Caro Luigi,
penso di poter concordare con il tuo ” Adelante , Pedro, ma con juidicio ”. La poesia non si deve appiattire sulla politica e non si fa politica scrivendo poesie. Sono però due dimensioni che s’intersecano. Il fatto è che la poesia parta necessariamente dal linguaggio che ha di per sé una sua *politicità* – sia quello socialmente usato tutti i giorni nella vita quotidiana sia quello praticato nei luoghi della “vita specializzata” (dalle scienze ai professionisti della politica). E il poeta che se ne distanzia al massimo (negli sperimentalismi più acrobatici o astrusi, comprese le “pizze” cui alludi tu), strapazzando la “lingua comune” o pretendendo di costruire un “altro linguaggio”, fa – consapevolmente o no, in modo esplicito o implicito – anche un “atto politico”. Seleziona ad es. un certo tipo di lettori, che si agganceranno facilmente al treno del poeta o rifiuteranno di corrergli dietro.
Sul Fortini indottrinatore dei lettori ovviamente non sono d’accordo. E proprio il suo motto «non parlo a tutti» ( da intendere nel senso di: parlo solo a quelli che come me hanno una certa idea critica di *questa* società e vogliono lottare con me per mutarla) esclude le spinte missionaristiche o propagandistiche o populistiche ( ma anche quelle elitarie dei “pizzaioli”). Ciò valeva per la sua saggistica. Figuriamoci se non per la poesia. Ma, se hai dei testi che secondo te provano tale indottrinamento, citali e ne discutiamo.
@Luigi, Ennio e Annamaria
Aver (perdonami il verbo tronco Luigi) stimolato tutto questo “ambaradan” di commenti e bellissime critiche con solo “quattro poesie”, mi ha fatto davvero molto piacere, grazie a tutti… E’ vero, Ennio, la poesia non può avere il tabù della politica (però mi riferivo a quelle infarcite di slogan e improperi, e l’accezione data da Luigi mi rende pienamente giustizia e illumina il mio intento) e deve essere anch’essa stessa politica, rompere, scalfire, picchiare e prendere a calci le prepotenze e i luoghi comuni propinatici dai bombardamenti catodici di “nebbia” che fanno più vittime delle guerre “privandole della vista” e della capacità di averne un punto proprio… Sì, Annamaria, la definizione di “poesia urbana” si confà a questi quattro componimenti… Malinconia, e sofferenza sono le giuste chiavi di lettura MA, in realtà, il mio registro favorito è quello dell’ironia a tutto spiano… Tanto quello sarcastico e graffiante, quanto quello surreale e divertente, dalla quinta in poi… 😉 Vi dico ancora grazie di cuore e mi fermo qui… A rileggerci, Roberto:)
Queste atmosfere sono autentiche, forti; corrispondono all’immaginario che ho elaborato e conservo di una città che non è la mia, ma con la quale ho un rapporto particolare – mi evoca uno strano mix di violenza e malinconia. Tanto che mi ha ispirato alcuni degli ultimi versi. Qualche tempo fa, quando incontrai la figura e l’opera dell’architetto De Andrade, compresi anche perché l’atmosfera astrale di Genova mi sia sempre parsa somigliante a un’altra città molto amata, Lisbona.
Grazie Alessandra, sono lieto del tuo attestato di autenticità per i miei versi… Solo che i riferimenti non sono per forza solo alla mia amata Genova, MA a una sorta di luogo onirico, magari neanche esistente, o forse una Lisbona immaginaria (non ci sono mai stato), frutto di una serie di barlumi di ricordi accavallati che provo i dipanare nella gabbia dei versi… Sono curioso, a questo punto, di leggere i tuoi…
Autenticità e stile che insegnano molto e fanno riflettere. La malinconia e la rabbia si fondono e danno una visione e un’emozione che resta impressa con la concreta forza di questo bravo poeta.
“il clamore dei taxi
non disperde l’urgenza
di cercarti e rapirci
se a malapena capisco
la mia faccia slacciata
sfilacciata di scarpa
che sta galla nel buio
della gola trafitta
da un semaforo rotto…”
Come non emozionarsi dopo questi versi, ironici sì, ma anche una confessione che dà la sensazione del danno e della forza del sentimento.
Grazie Emilia per il riconoscimento… Sono molto contento di averti emozionata con la mia ironia malinconica…