(da un dipinto di Ennio Abate)
di Ubaldo de Robertis
Dove fugge, di giorno, e forse, soprattutto di notte,
il giovane
favorito dalla stessa alternanza di ombre e luci,
/aspetti peculiari del ritratto/?
Ha già mercanteggiato con lo spettro
che s’ingrazia il futuro
o, sordo agli scuotimenti,
frutto di paura e sdegno,
/ma sul corpo ghermito non appaiono evidenti /
conta di emulare il mito?
Pensa di restituire la sua Kore
alla madre Demetra,
per sei mesi l’anno,
e gioire di Lei solo nel tardo autunno
e nel lascivo inverno?
Passi guardinghi quelli del rapitore,
non rifiorisce la terra
al suo passaggio.
Nessun rumore.
A lungo, l’ha percorsa, da solo, magari nel sogno,
anelando di sprigionare la propria vitalità.
La forza è il male,
le radici di un Eros difficile, sia pure sotto il velo del mito,
hanno ordinato l’azione istintiva, ottusa, primitiva
il possesso,
il dominio dell’oggetto desiderato,
che già, forse, disprezza le sue inique inclinazioni.
Cosa non daresti per meglio scandagliare il volto della rapita.
La bellezza serena, testa reclina, mite,
gambe deliziosamente nude, modellate, come i lunghi capelli,
a rivelare
l’attrito del vento che aggredisce le forme
in movimento.
Arduo penetrarne lo sguardo,
svelarne le emozioni, balzerebbero agli occhi molte cose a riguardo.
Sicuramente qualcuno dovrà sapere,
o averne notato l’assenza.
Chissà quanti altri se n’erano infatuati.
In fretta l’ha sottratta alle loro bramosie
per godere, lui soltanto,
di quella bellezza.
/nessun segno di violenza sul corpo sinuoso, intatto l’abito che veste /.
Si illude, il rapitore, di avere più spazio- tempo
intorno a sé,
che non dovrà più stremarsi nella solitudine,
mai più stancarsi della vita.
Di lei s’è già invaghita la matita,
il carboncino duro del pittore,
tratti istintivi, quasi graffiati sul foglio bianco,
macchie di nero,
segni sicuri del fatto che è andato più avanti e più in alto
tanto da farne un bel quadro d’autore
enigmatico, inquietante.
Ti hanno visto di sera, in una strada buia, rapire una fanciulla…
(Ubaldo de Robertis)
Bella e intensa la poesia.
Nel quadro vedo una grande determinazione e forza dell’uomo contrapposta ad una dolcezza arrendevole femminile.
Il rapimento , il movimento delle figure mi fa pensare più ad un accordo, ad un bisogno di entrambi di fuggire e scambiarsi la vita . Le mani dell’uomo , grandi, quasi da padre restano per me la parte più importante del disegno.
Il tratto forte ,deciso, resta impresso come in una pietra anche nella mente.
Pubblico il contenuto di due mail ricevute da Ubaldo de Robertis:
1.
Ciao, a fronte di una corsa continua, fuga del rapitore, mi sembra che la poesia proceda per scatti, come una serie di fotogrammi successivi. Lo sguardo si posa sulle tue figure e tenta di precisare via via aspetti che salgono in evidenza. Buon segno per la tua opera pittorica questa capacità di mostrarsi. Meno buono per il poeta che non ha trovato( o non ha voluto trovare) la fluidità.
2.
Ne mi consola il fatto di sapere che nel mondo (fisico) tutto procede e varia Non in maniera continua. Prima si credeva che l’energia potesse variare in maniera continua, oggi sappiamo che procede per gradini, pacchetti di energia, quelli di Planck sono reali!! Cosí é stato per la mia visione del tuo dipinto.
Bella e inquietante questa poesia di U. de Robertis ispirata all’altrettanto bello e inquietante carboncino di Ennio.
Nel susseguirsi del versi vengono di frequente contrapposte la dolce bellezza alla rapinosità rude del possesso. Affondano nelle vesti della fanciulla le istintive dita di chi vuole garantirsi *il dominio dell’oggetto desiderato*, ma ella sembra librarsi verso l’alto, imprendibile nel suo sorriso enigmatico da Gioconda*** (*Arduo penetrarne lo sguardo*), non spaventata ma serena nel suo scivolare via.
Nelle raffigurazioni mitologiche del ratto di Proserpina (penso alla rappresentazione marmorea del Bernini) la brutalità del gesto viene sottolineata dalla scompostezza delle vesti, dai gesti che a loro volta sembrano trasferire la violenza allo spazio, o dalla falcata potente del passo di Plutone. Qui invece il percorso accidentato del rapimento nelle sue motivazioni e nei suoi effetti viene tradotto nel gioco dei versi, ora brevi, ora lunghi, quasi a rappresentare, anche nella forma visiva, l’inquietante scena e l’emozione ansiosa che l’accompagna.
Ma anche U. de Robertis, nonostante tutto, si è invaghito della bella fanciulla e utilizza la dolcezza del tratto nel descriverla (* La bellezza serena, testa reclina, mite,/gambe deliziosamente nude, modellate, come i lunghi capelli,/a rivelare/l’attrito del vento che aggredisce le forme/in movimento*), così come *Di lei s’è già invaghita la matita,/il carboncino duro del pittore,/
tratti istintivi, quasi graffiati sul foglio bianco,/macchie di nero,/*.
Solo che la *fanciulla rapita* (dove il termine “rapito” può anche significare “trasecolato” o “esistente in un altro spazio, quasi mistico”) non racconta soltanto il mito di Core/Proserpina ma riguarda l’enigma, l’oscuro dalle innumerevoli pieghe, che sempre ci accompagna e che sovrasta il nostro bisogno di ‘chiarezza’ (la parte in bianco del rapitore che sta ‘sotto’, inquietante figura di giovane/vecchio), il nostro bisogno di ‘possesso’, ‘una volta per tutte’ senza dover sottostare all’alternanza dei chiaroscuri, della continuità e delle rotture critiche.
La poesia e la composizione pittorica, unite in questa particolare cooperazione, ci hanno svelato una piccola parte di quel groviglio emotivo che ci prende quando ci troviamo di fronte alla bellezza che vorremmo possedere e fare nostra per sempre.
*** In un museo di Berlino (non ricordo quale) c’è una statua di Proserpina/Gaia che ha lo stesso sorriso enigmatico della Gioconda Leonardesca.
R.S.
Ringrazio Emilia Banfi per le belle parole riguardo alla poesia, e per le acute osservazioni.
Incantato dal commento complessivo di Rita Simonitto. Mi sono innamorato della fanciulla. Ha colto nel segno!
Ubaldo de Robertis
…In questa bella poesia Ubaldo De Robertis offre la sua interpretazione del disegno a carbocino di Ennio Abate, riportandolo essenzialmente alla rappresentazione del mito di Persefone rapita da Plutone, dio degli inferi. La sua attezione sembra focalizzarsi, anche se ammira la fanciulla per la sua bellezza, soprattutto sul comportamento del giovane rapitore: ” …la forza è il male/ le radici di un Eros difficile, sia pure sotto al velo del mito,/hanno ordinato l’azione istintiva, ottusa, primitiva/ il possesso/ il dominio dell’oggetto desiderato”. Ma credo che, come certi disegni ambivalenti possono presentare visioni diverse a secondo della percezione, così questo carboncino si apre a più possibilità interpretative, arricchendosi così di fascino e di mistero. Secondo me, per esempio, potrebbe raffigurare Orfeo che strappa dalla roccia Euridice, per riportarla alla luce, per liberarla dalla sua ombra che resta sullo sfondo come una macchia informe . Il giovane procede non a “passi guardinghi …”, ma a lunghe falcate per allontanarsi il più presto possibile dal luogo mortale e tenendo le grandi mani strette sul petto dela fanciulla, per assicurarsi che sia tutta intera, nella sua essenza femminile. Forse un volersi riappropriare da parte del poeta di una parte di sè trascurata, che riguarda il cuore, la pietà. La fanciulla, invece appare rannicchiata, quasi in posizione fetale, commossa, “rapita” sembra versare delle lacrime, come chi nasce alla vita…Un animale beneaugurante li segue
Aggiungo altri due commenti in versi a “La fanciulla rapita”:
1.
Dentro di noi, davanti al tratto
di Roberto Mapelli
Le linee uterine
e le grandi mani;
nascono così gli uomini e le donne,
come per Pietà.
Come manichini che si ravvrvano
nell’azione.
La cura e la fuga,
o il progetto,
nel tema centrale
dell’abbraccio,
saputo come speranza.
Non sempre ci si guarda in faccia,
anche se ci si ama,
forse per questo.
Il volto è schivo
e gli occhi chiusi.
Occorre preservare,
stare insieme.
Dolore e unità,
come destino
di una lotta per una felicità faticosa.
Precipitiamo nel naturale
scarnificato?
O la morte insegna che non siamo soli?
Che il divino è poca cosa
rispetto alle nostre forze.
Quelle vere,
contro il frammento e l’estinzione,
in un anelito di liberazione.
“Gli uomini sono esseri mirabili”.
(1996)
2.
nel suo amore crudo e caparbio
se la portò via correndo
a braccia strette la sua fanciulla (quasi Euridice)
smettendo canto e strumenti e mito
in quel nero in quel nero scarnificatore
la capra la strada la casa abbandonata
(di E. A. maggio 2015)
La fanciulla si fece portare
dello strappo non s’avvide
l’abbraccio a lor bastava
L’amore non fu grande
come disse la vicina
L’amore sapeva della strada
di ogni curva e della pietra
in fondo.
Spontaneamente.
Emy
Ha ragione Rita Simonitto a sottolineare gli aspetti belli ma inquietanti della poesia di de Robertis e del mio carboncino. E a suggerire – tra gli altri possibili – l’accostamento con le «raffigurazioni mitologiche del ratto di Proserpina».
Ma inquietanti perché?
Perché tutti (uomini e donne) siamo rimandati – dall’immagine maschile – alla « rapinosità rude del possesso» e alla voglia di «garantirsi *il dominio dell’oggetto desiderato*», cosa che hanno sperimentato (penso) soprattutto i maschi, specie se giovani; e – da quella invece della bella fanciulla – a *qualcosa* che, per « la dolcezza del tratto nel descriverla» o nel disegnarla, ci distrae dal nucleo violento e conflittuale che accompagna *sempre* il rapporto amoroso tra uomo-donna.
Questo *qualcosa* per Rita è « quel groviglio emotivo che ci prende quando ci troviamo di fronte alla bellezza che vorremmo possedere e fare nostra per sempre».
A riprova di quanto esso sia complicato per me ( ma credo anche per altri maschi) preferisco, invece di teorizzarlo, dare solo un esempio del tentativo di *avvicinarlo* scrivendone. Si tratta di un brano che rielabora un vissuto giovanile. Lo ritengo ancora incompiuto e insoddisfacente, tant’è in una forma ancora *scomposta* (proprio nel senso di «scompostezza delle vesti» mentali e linguistiche!). Eppure credo valga la pena di pubblicarlo nel contesto della riflessione a più voci di questo post:
e vivemmo così / un po’ già spezzati / in stanze a zig-zag / una in ombra marina / l’altra tutta luce invernale / piangevi in una / passeggiavi nell’altra / oh, i tuoi residui stupori
io ero metà sotterrato dentro l’orcio del tempo antico / tra altri maschi che leccavano il corpo di Venere nuda / sudata e distesa sui fieni d’agosto / e correvano poi come vermi su erbe viscide dietro di lei / e aprivano donne noci avvolte in verde mallo / nei malori dell’adolescenza / e mordevano come predoni in angoli bui donne albicocche lamentose tra miserere provenienti da chiese
sognavo cupe ferite celate in donne / sorridenti senza malizia / o chinanti il capo e muggenti il desiderio tra labbra foglie tremanti
.. unico gesto la rinuncia .. nel riconoscerti signorina spirituale e bianca come le tende alle soglie del mio paese / assaggiarle solo la vainiglia delle labbra ma non rubarle il grembo … fermato dal suo sguardo fragile come un sorriso in pullman affollati
o come un detenuto ti chiedevo: accompagnami!/ raccogliamo insieme mastelli di pioggia, contiamo galli / parlavo da campi cintati, da orti d’approssimazione / spinto indietro fino ai filari dei pomodori rosso sangue del dopoguerra dove / se zitto giungessi – pensavo – fino al vicolo della varechina, fino al primo sapore di latte mattutino / meglio t’amerei
avevo fredde le mani / e quando ti carezzai / vendemmiai in un attimo tutta l’uva di settembre che mi portasti in regalo / sentivo la pioggia scandire il tuo batticuore su pampini spogli / il mondo morto mi conservava le sue candele e mi raccomandava/ accendile, scendi sottoterra, sotto polvere, sott’aceto! / e che fare di tutte quelle sementi partorite dai nostri silenzi in quegli incontri furtivi?
dondolavamo dal muro i nostri piedi sgominati / baciavo ogni tuo dondolio / e tu sedevi al tavolino di un bar assorta e triste / come la bevitrice di assenzio di Toulouse-Lautrec / pensatrice a gomiti stretti arrotolavi chissà quale tua benda d’alcool e veleni / e picchiavi picchiavi nei neon stanca falena / sapevi fin dove giungeva la collana del dolore / e oh! / intrecciavi le tue dita con disincanto/ mentre io addentavo / come fosse un ultimo morso di passione / la tua albicocca nascosta in sorrisi da labirinto / e poi battevi le ciglia ai dodici singhiozzi che l’assennata pendola ci mandava / avvertendoci dell’arrugginirsi del tempo / all’ultimo mettevi in bocca una liquirizia e scappavi via / non era questo l’amore rimasto affondato nella cisterna fra noci e foglie marce immaginato ragazzo
ma poi con me facevi l’amore / erano giorni buoni / ci colavano sciocche parole d’amore / e mi tiravi su con una carrucola di baci / canterellando distratta / posavi la mia stanca lussuria sulla panchina macchiata di sole / e non smettevi i tuoi occhialini di bontà / non ti guastava il mio corrucciò di disoccupato / nelle latrine meditative del bidone metropolitano / ancora spremevo un grande ideale / e racimolavo la mia animella tagliuzzata / tu mi portavi a passeggio attorno a palazzi / scovavi stradine ancora profumate di glicini / ti facevi baciare in mezzo a girotondi di studentesse in grembiuli alteri
“Tra diecimila anni/sotto gli alberi passerà/una fanciulla snella e bionda/con fiori nei capelli, e sarà ancora primavera.”
*(Par Lagerkvist)
SEGNALAZIONE
Ecco un bell’esempio di quello che si è cominciato a fare in questo post: commentare un’immagine ( nel caso “La fanciulla rapita”).
L’ho trovato sul sito di “Gli stati generali” che hanno deciso di ” ricordare Mario Dondero chiedendo ad autrici e ad autori un commento, un’analisi o anche solo la prima battuta che viene in mente osservando una delle sue fotografie”.
Si veda: 15 FOTO E 15 AUTORI, PER RACCONTARE LO SGUARDO CURIOSO DI MARIO DONDERO
http://www.glistatigenerali.com/fotografia_scienze-sociali/15-foto-e-15-autori-per-raccontare-lo-sguardo-curioso-di-mario-dondero/
…sì, davvero Ubaldo De Robertis e Rita Simonitto hanno colto bene nel carboncino di Ennio Abate “quel groviglio emotivo…”, dove l’uomo rapitore salva la fanciulla dallo tsunami nero e, nello stesso tempo, ve la avvolge e lei, nella sua bellezza inerme senza braccia sembra felice di essere stata staccata dalla roccia dal potente abbraccio di lui e, nello stesso tempo, piange per “un destino non partecipato”…Un carboncino cangiante nelle forme e nei significati. La violenza nel rapporto di coppia sembra restare nell’ambito del gioco d’amore. Così nella bellissima poesia di Ennio, dove comunque il rapporto amoroso descritto in parte è spontaneo in parte è un riflesso delle convenzioni sociali di un’epoca. Siamo, credo, nel post dopoguerra e “lui” arrivato fresco e pieno di ideali nella grande città, ma”…metà sotterrato dentro l’orcio del tempo antico”, il suo mondo contadino, ferito anche da una recente guerra, vive la donna da amare come la terra e i suoi frutti: donna-noce, donna-albicocca, donna-uva…”Lei” per rispettare una solida tradizione femminile deve mostrarsi “…signorina spirituale e bianca come le tende del mio paese…”, ma come frutto si fa cogliere (Proserpina), svelandosi. Tuttavia lei resta spesso cupa e scontenta: “…e tu sedevi al tavolino di un bar assorta e triste…”, nei suoi labirinti. La loro stagione d’amore continua, oltre i malintesi e le difficoltà concrete e contingenti.
Per quanto tempo? I rapporti umani sono basati su equilibri instabili, così come cambiano le società, uomo-donna non fanno eccezione, e la violenza può far capolino o esplodere. Tutto un campo da indagare. Comunque grazie per la poesia, ad esserne capaci!, che porta alla luce un’umanità tormentata, ma stempera i conflitti…
@ Ennio Abata
Il post con il tuo brano che tu ritieni scomposto è meraviglioso.
Una gioventù dolce e amara ma sempre piena di fervore e di vita insieme ad una natura che certamente ti sarà rimasta nel cuore e nei sensi.Non so cosa tu vorresti aggiungere o togliere, ma per me è una poesia di una bellezza direi commovente . L’impetuosità unita alla dolcezza della gioventù è esposta così bene che mi fa ripetere ancora una volta che sei un grande poeta. Un maestro.
Vorrei riportare qualche verso che mi ha particolarmente colpita, ma nessun verso può esistere senza il successivo, momenti perfettamente descritti in un solo grande atto d’amore e di sensualità che rivelano la generosa passione nei confronti di una poesia che ti ha arricchito la vita. Grazie
P.s.: mi riferisco al post del 6 febbraio ore 18.56
I volti, innanzitutto: duro, violento, ladronesco quello dell’uomo (nel naso affilato, nelle sopracciglia spinte in alto, nella bocca serrata); timido, remissivo, inutilmente doloroso quello della fanciulla. Poi il movimento, rapace: la vita sottile e indifesa abbrancata da una mano tozza, rozza; come l’altra, che chiude l’abbraccio rapinoso, sottolineato -anzi potenziato- dal corpo dell’uomo teso in balzo di corsa e dalla chioma al vento della rapita.
Dice molto il disegno di Abate, ma ancor più allude, suggerisce, accenna, ri-evoca miti e storie di ieri, di oggi, di sempre.
De Robertis osserva, annota, rielabora, gioca di fantasia, propone, inventa soluzioni, offre probabilità esegetiche, inferisce. La sua interpretazione è una ricca elaborazione poetica, divisa in quattro strofe ( con versi di varia lunghezza – l’accapo è stabilito dal ritmo interiore del poeta-) e un notevole verso di chiusura. In questa composizione la doppia spaziatura tra le strofe “rompe” più di quanto non sembri, poiché è una sorta di pausa che interrompe per qualche attimo il flusso poetico (restituito più nuovo e vivo nella strofa seguente) e segna quattro momenti (o tempi) mai unidirezionali o scontati, ma con sortite, invenzioni e divagazioni, sia che essi si aprano alla descrizione o alla domanda, al racconto o alla riflessione.
Infine, l’ultimo (e isolato) verso che conclude la poesia con un inaspettato (pur se, a ben vedere, anticipato o almeno accennato dal “Cosa non daresti…” del 1° verso della terza strofa) rovesciamento del soggetto agente: “Ti hanno visto di sera, in una strada buia, rapire una fanciulla …”, dove il “tu” si apre semanticamente a ventaglio e ognuno ci può leggere l’interpretazione che più gli piace. Si tratta certamente di una chiusa deragliante, anche straniante, se vogliamo. Un’autentica “pointe”, di rara intensità.
Complimenti all’artista e al poeta.
Pasquale Balestriere
@ Pasquale Balestriere
Intervengo soltanto sulla lettura del mio quadro. Che trovo psicologicamente interessante, perché conferma il dato su cui ho già tentato di attirare l’attenzione nel mio commento del 6 febbraio 2016 alle 18:56. Si tratta di quel « nucleo violento e conflittuale che accompagna *sempre* il rapporto amoroso tra uomo-donna». Su di esso ho insistito anche pubblicando le “immagini a parole* («in forma scomposta» ho scritto) del testo che riferiva di mie (ma credo non solo mie) esperienze amorose giovanili.
Balestriere, che a quanto vengo a sapere documentandomi su di lui (https://lombradelleparole.wordpress.com/2014/12/11/poesie-scelte-di-pasquale-balestriere-da-il-sogno-della-luce-e-ultimo-canto-per-il-padre/) ha in comune con me almeno tre cose: -essere quasi coetanei; – conterranei per nascita (io di Baronissi (SA), lui di Barano d’Ischia) e – ahi, noi! – operati per distacco di retina (se ho ben capito), evidenzia – posso dire con “sapienza mediterranea”? – «quel groviglio emotivo che ci prende quando ci troviamo di fronte alla bellezza che vorremmo possedere e fare nostra per sempre»(Simonitto).
Lo fa soffermandosi soprattutto nella polarizzazione dei due volti (« duro, violento, ladronesco quello dell’uomo (nel naso affilato, nelle sopracciglia spinte in alto, nella bocca serrata); timido, remissivo, inutilmente doloroso quello della fanciulla») e sul «movimento, rapace». (Tale movimento, tra l’altro, ritorna in vari miei disegni; e in particolare anche in un altro carboncino delle stesse dimensioni: vedi sotto, oltre che in una mia poesia di «Immigratorio», di cui cito almeno questi versi: « Greggi, casolari, tonde anfore mai più. //Nella vasta pianura mal distinguo la linea del dolore. /Qui son per caccia, migrante predone, abbandonato/su spersa traccia»).
Gli aggettivi usati da Balestriere andrebbero commentati e approfonditi uno per uno, perché davvero rimandano a sostrati mitici e storici ben individuati anche da de Robertis, Locatelli e Simonitto. Essi rendono, a mio parere, ben più drammatica e tesa la riflessione che di solito si fa oggi sull’amore e sul rapporto uomo/donna.
Prendendo spunto da questa frase di Balestriere: «Dice molto il disegno di Abate, ma ancor più allude, suggerisce, accenna», vorrei aggiungere un’altra osservazione, già che siamo tornati su questo carboncino. Quei volti sono in un contesto che richiederebbe di essere analizzato di più. In esso rientrano « la capra la strada la casa abbandonata» (Cfr. Ennio Abate 5 febbraio 2016 alle 23:08). E quell’accenno di fogliame che fa quasi da tendaggio.
Con possibili rimandi (per me) ad altri miei versi scritti in passato e indipendentemente dal disegno de “La fanciulla rapita”.
Solo per fare un esempio e sempre dallo stesso «Immigratorio»:
Mai in alberghi o nei letti sontuosi della memoria.
Mai. Pei vicoli, ti dico, fu tutta la mia trepida
lussuria. Abbandonai la gialla casa mediterranea,
palpeggiata nella malinconia degli aranceti
sotto le piogge di primavera (un vento aspro, là,
a redarguirci!).
P.s.
Ecco l’altro quadro quasi gemello de “La fanciulla rapita”