Pubblico i primi cinque post già apparsi nel Gruppo “Poliscritture FB”. [E. A.]
di Ennio Abate
1. Appunto del 23.10.1983
I nuovi intellettuali (“di massa” o “bassi”) negli anni Ottanta
F. Fortini, Il pianeta invisibile dei Fratelli amorevoli, Corriere della sera (21 o 22 0ttobre 1983)
Leggendo questo articolo di Fortini provai a enumerare i dettagli dell’identikit che un intellettuale “tradizionale” o “universale” aveva fatto dei suoi “nipotini”:
1) sono una parte dei sopravvissuti ai movimenti del 1968 e del 1977;
2) politicizzati;
3) imbarazzati o astiosi verso i vecchi intellettuali-guida (universali, maitres à penser),
4) in rapporto professionale con i luoghi dell’informazione e del sapere (oggi li definiscono “lavoratori della conoscenza”);
5) rivolgono i loro discorsi soprattutto ad altri intellettuali addetti alla «riproduzione culturale» (scuola soprattutto);
6) non vogliono più “inquadrare” o “rappresentare”;
7) non hanno fra loro legami da “compagni”;
8) sono scontrosi ma non “villani” come i giovani della “contestazione”;
9) al mondo del potere oppongono una “non resistenza”;
10) rifiutano il “tragico” e cercano esperienze minori ma “autentiche”;
11) rifiutano l’esistenzialismo dei padri e il nichilismo dei fratelli maggiori;
12) Non sono atei, anche se non dicono di credere in Dio.
2. Due lettere del 1978
3 marzo 1978: Abate a Fortini
Caro Fortini,
sono un insegnante di lettere di un ITIS (Sesto S.Giovanni – Cinisello), immigrato, compagno dal ’68, lettore attento dei tuoi scritti.
Diversi compagni con cui ho parlato di te mi hanno confessato, assieme al rispetto per il tuo lavoro, la loro scelta di non “disturbare” la tua (pare proverbiale) riservatezza.
Ciò mi ha indotto [finora] a scartare ogni tentativo di conoscerti di persona, ma non mi fa rassegnare a questa tendenza ad imbalsamarti anzitempo nell’immagine del compagno “saggio”, di una generazione “eroica”, di levatura morale e intellettuale superiore e perciò inaccessibile.
Quindi con cautela faccio oggi, con molto ritardo, questo tentativo a distanza (sperando in un minor rischio di ambiguità) di uscire (quel tanto che basta) dall’anonimato:
- inviandoti in segno di stima questa mia poesia [1] e chiedendoti un paio di considerazioni su quanto un tuo lettore pensa/scrive, convinto che un legame tra il tuo lavoro di scrittore/compagno e quello che vado pensando e facendo si è in qualche modo stabilito;
- porti un problema meno personale: assieme ad altri (pochissimi) compagni, isolati qui a Cologno [Monzese], ci siamo posti il problema di pubblicare un Bollettino-Rivista (un primo numero è già stato prodotto [2] ma, a causa di equivoci e sobbalzi vari, ci siamo fermati e siamo in fase di ripensamento).
Vogliamo proseguire in questa forma la nostra “militanza” dopo lo sfascio di Democrazia Proletaria in una situazione che è di periferia, di sottocultura e di emarginazione sociale. Ad essa, anche per condizioni materiali, ci sentiamo vincolati. Ma abbiamo maturato anche l’esigenza di sfuggire i toni propagandistici e attivistici di questi ultimi anni e faticosamente ci poniamo quei compiti di riflessione storica e di cura dello scrivere, che abbiamo riletto nel tuo «Questioni di frontiera».
È compito eccessivamente ambizioso per le nostre scarse energie?
È ingenuo pensare che qualche buona indicazione, non generale ma rivolta proprio al nostro progetto concreto, possa venire anche da te?
Saluti
13 marzo 1978: Fortini ad Abate
Caro Abate, la mia ‘proverbiale riservatezza’ è una balla. La ‘inaccessibilità’ è semplicemente un minimo di – inefficace difesa del tempo necessario a procurarmi di che vivere. Metà del mio tempo è dedicato alla Università – che è a sei ore di treno da Milano, a Siena. Come molti, vivo in treno. Questa grafia ti dice che in treno, anche, scrivo. Docente di ruolo e sessantenne guadagno quanto un impiegato delle aziende elettriche. Ho quindi un secondo lavoro: editoriale. E scrivo libri. E crepo.
Ti ringrazio molto del tuo testo. È quanto di meglio, nel genere, si possa leggere. Solo che il genere (critica della frantumazione rappresentando la frantumazione) mi pare un po’ stanco. Alla generosità dell’impulso bisognerebbe congiungere una ‘necessità’ maggiore, far sentire che ogni parola è insostituibile. Questa non è una critica, è troppo generica per esserlo, scusami.
Quanto intendete fare mi pare assolutamente necessario, coi tempi che corrono. Per molti anni non ci sarà altro da fare, con molta pazienza.
Il consiglio che vi do è di:
– scrivere e pubblicare un bollettino destinato ad un pubblico circoscritto che magari non c’è ma che potrebbe/dovrebbe esserci, quello che avete immediatamente intorno e che parla la lingua della schiavitù di massa.
– scrivere di questioni concrete, non di teoria politica; meglio, allora, una problematica etica. Essere spietati.
– far scrivere ma riscrivere. Nessuna concessione alla immediatezza populista. Scritti brevi, temi e frasi ripetute.
– l’ideale è quello di grandissima modestia degli argomenti e grandissima ambizione ( e “distanza”) nel punto di vista, quindi nella scrittura. Voler fare qualcosa di esemplare e di ‘povero’, mettere tutto il lusso nella solidità della scrittura, nella possibilità di usarne modestamente gli elementi che abbiano fatto buona prova. Costringersi alla regolarità formale, alla periodicità rigorosa, alla pulizia.
Concludo dicendo che è una vergogna per noi e voi che a dire e a fare quanto sopra si debba provvedere in questo modo preistorico: tra il compagno della (finta) “generazione eroica” (del cazzo) e un gruppo di isolati di Cologno. Aveva proprio ragione Hegel: la sola cosa che si impara dalla storia è che la storia non insegna niente.
Vi abbraccio e vi saluto. Vostro
Note
[1] Era intitolata «Poesia della crisi lunga». L’ho poi nel tempo più volte rielaborata. L’ultima versione è in «La pòlis che non c’è», CFR, Piateda 2013.
[2] Titolo: « Bandiera rossa la vogliamo sì».
3. Appunti di lettura del 1993 su “Attraverso Pasolini” di Fortini
La poesia [per Fortini]: e` un genere da distinguere da quello degli scritti teorici e critici. Essa “non ha né torto né ragione ma presenza” [VII], mentre gli altri scritti vanno valutati secondo le categorie logiche ed etiche [“sono giudicabili in logica e in etica”].
La poesia viene cosi` sottratta alla valutazione?
Ci si puo` appellare all”irresponsabilita` del nume poetico”[XII], come faceva [secondo Fortini?..] Pasolini, che “non tollerava limiti alla legislazione del suo piacere e infuriava accusando tutti di moralismo e di intellettualismo”[XII]?
No o solo in parte, perché Fortini riconosce che la poesia [“altro sistema di segni” rispetto agli scritti teorici e critici..] e` sottoposta alla “traduzione critica che ogni recettore inevitabilmente ne compie”, e` traducibile in altri sistemi di segni e in questo ambito valutabile [XI].
Come dire: non valuto la poesia, ma la sua “traduzione”. La poesia non e` ineffabile, non e` la “santita`”[XII].
In quella di Pasolini “la forma dice alcunché di altro e di diverso da quanto intendesse dire l’intelligenza autocritica del nostro autore” [VIII]; dice cioè delle verita`[quali?] “che balenavano dentro i suoi errori logici e ideologici” [XII]. A quelle verita` si deve “atterrito rispetto”[solo?]. Agli errori logici e ideologici [ titanismo pasoliniano, vitalismo] no.
[ma il confine fra poesia-piacere e errore chi e come lo stabilisce?….]
Si deve evitare la tendenza a considerare “le affermazioni erronee (e magari le sciocchezze) ideologiche, politiche, filosofiche, critiche e cosi` via” riscattabili “dalla, e nella.. complessiva opera e biografia” [XII]
4. 9 dicembre 1991: Una visita a Franco Fortini
Appunti:
- È caduto proprio il fondale (della storia).
- Su «Allegoria». Credono di poter lottare dentro l’istituzione letteraria. Non si rendono conto di quanto immenso sia stato il crollo. Va bene Brecht (poesia anche nei tempi bui), ma a patto che la tendenza letteraria sia agganciata a un movimento sociale reale.
- Sui giovani mobilitatisi contro la guerra del Golfo: stentano a staccarsi dall’istituzione, a fare da soli con i loro strumenti di bordo.
- Sergio Bologna: fra poco farà con altri la rivista [«Altre ragioni»] e affitteranno un locale in centro. Io non ho più energie, ci vado ma seguo. C’è anche Ranchetti, così siamo due i preti. Ai giovani ho detto:«Io vi posso fare l’ora di religione!».
- La nuova bibliografia dei suoi scritti:«Vedrai che bel sepolcro!».
- Che fare in attesa che la situazione si rimetta in movimento? «Quello che già stai facendo… Rinunciare alla poesia? No. Farla nel vivo delle situazioni reali, senza rifugiarsi nelle istituzioni. Visto che non ci sei arrivato, non hai neppure il problema di mollarle!»
Abbraccio alla fine del colloquio.
5. SEGNALAZIONE DAL SITO “DOMANI E ALTRI FUTURI” DI VELIO ABATI
(http://velioabati.com/)
Leggendo Fortini
Stralcio:
Il quantum di possibilità, che l’informatizzazione di dati e di mezzi comunicativi ha dato al singolo di parlare ‘a tutti’, è insieme la carota e il bastone con cui il capitale ha distrutto prima i luoghi della manifattura poi di riproduzione della vita quotidiana nei quali le classi subalterne avevano in un secolo e mezzo costruito il proprio incontro e la propria azione di resistenza e di contrasto. Lì ci si è conosciuti come interesse comune, come soggettività capace di agire, come produzione di conoscenza, come embrione di un domani tendenzialmente alternativo. Erano i luoghi del sindacato, del partito, dell’associazione vissuti nelle articolazioni diverse del vivere comune. Intendo i luoghi e le forme che hanno storicamente fatto nascere e segnato il grado di democrazia nelle società moderne: dai puritani del Cromwell ai giacobini francesi, dai soviet del 1905-1917 ai partiti, ai sindacati e alle associazioni del secolo breve.
Non si dà democrazia se i senza potere, oltre a riconoscersi come tali, non affermano e fanno vivere forme di volontà comune, progetto comune, visibile e alternativo nelle articolazioni sociali. Fortini ha scritto e agito in un periodo in cui le sue parole e la sua azione risuonavano nei diversi luoghi aggregativi che diversamente le intendevano e diversamente se ne appropriavano, così facendole vivere, magari rifiutandole.
Oggi domina la molecolarità. L’ipertrofia dell’io, che da certa sociologia americana nei tardi anni Ottanta era stata chiamata “società narcisistica”, nel disfacimento della lunghissima crisi attuale si mostra in tutta la sua miseria e impotenza. Il godimento coattivo di quel decennio si è tramutato oggi in urla, quando non in silenti autolesioni. In tale cacofonia del caos dove le classi subalterne sono spesso ridotte al loro puro esistere sociale, deprivate come sono di propri luoghi comuni o, come si usa dire, dei “corpi intermedi”, non c’è spazio per ciò che Fortini marxianamente chiamava la “mediazione”. Tutta l’opera di lui e ogni suo gesto presuppongono un contesto e – quel che più conta – costruiscono un interlocutore che poggi e operi nella mediazione. Mediazione di organizzazioni politiche, come si diceva, e associative che degli “analfabeti al di là dei confini” interpretassero domande e silenzi, operando per una nuova forma sociale, ma mediazione anche nel senso di fatica del concetto per la conoscenza critica della totalità economico-sociale.
Nell’odierna illusione che ognuno possa parlare a tutti – prodotto diretto della convinzione trionfante che, diceva Margaret Thatcher, la “società non esiste” – solo chi possiede ricchezze, potere e strumenti può farsi sentire sopra l’immane brusio. Agli altri non rimane che l’urlo plebeo o l’applauso. Questa comunicazione verticale è fatta di slogan, non di discorsi; è una performance che costruisce una realtà virtuale, non un’argomentazione che si confronti con il principio di realtà; pertiene all’estetica dello spettacolo che comanda l’immedesimazione passiva, non all’etica della responsabilità e alla conoscenza che coltivi il passaggio all’età adulta.
Per tutto questo, dicevo, oggi Franco Fortini è rimosso.
Non sono sicuro di aver compreso bene il complesso discorso sviluppato in questo post composito, perciò le considerazioni che seguono sono solo impressioni immediate, ovvero non-mediate, che dovrebbero servire a innescare un dialogo chiarificatore. Mi sembra che il tutto si riassuma nel concetto che dare la possibilità di parola a tutti produce solo confusione della quale si avvantaggiano solo i poteri forti. Ma chi allora avrà diritto alla parola?
Inoltre la deprecata situazione attuale non è forse figlia di una storia in cui ad aver avuto voce in capitolo era solo un’intellighenzia autoreferenziale?
Lettera di Fortini ad Abate 13 marzo 1978. In quell’anno dovetti cambiare mestiere. Lavoravo in campo nucleare. Della Lettera mi rimane una grande tristezza e una direttrice che ho percorso, da quel traumatico momento in maniera individuale: “Costringersi alla pulizia( morale). E scrivo libri e …crepo.”
Ubaldo de Robertis
Appunti di lavoro che delineano alcuni nodi o temi. Ma, a mio avviso, troppo oracolare questo linguaggio fortiniano per consentire di sviluppare un ragionamento articolato
Caro Ennio, una cosa potrei obiettare al Fortini, quando ti scrive:
“guadagno quanto un impiegato delle aziende elettriche. Ho quindi un secondo lavoro: editoriale.”
Io avevo proprio il contratto elettrico(Edison Volta) e ti assicuro che era uno di quelli privilegiati all’epoca. Avrebbe potuto scrivere, se non fosse stato condizionato dall’ideologia borghese consumistica, solo per passione. Tutto sta a capire verso quale strato sociale misurava il suo reddito. Io, compagno, guardavo agli operai augurandomi che salissero di condizione. E il fallimento è stato totale, per me e per loro.
Ubaldo de Robertis
Il carattere personale, frammentario e in certi casi puramente documentale degli appunti che raccoglierò in questa rubrica (“Nei dintorni di FF”) è scontato. Per riflessioni più compiute rimando a scritti, comunque sparsi ma di certo più approfonditi, che si trovano qui su Poliscritture o su Moltinpoesia o in libretti occasionali.
Mi sono deciso a metterli comunque in circolazione anche per reagire all’interruzione (non voglio parlare ancora di completo fallimento) del tentativo di costruire assieme ad altri un «Manuale per Fortini» sicuramente più ambizioso (https://www.poliscritture.it/2014/05/10/progetto-di-un-manuale-per-fortini/).
Purtroppo mi accorgo che l’immagine per me ancora abbastanza salda di questo scrittore, che ho considerato mio «maestro a distanza», e l’uso che continuo a fare sia pur occasionalmente del suo lascito cozzano spesso contro quelle che ne hanno altri.
Un po’ come accade per quella di Marx, da cui Fortini non è separabile.
Per il momento, in assenza, come dice Roberto Bugliani di «un ragionamento articolato» ( che dovrebbe riprenderne almeno quelli sviluppati nel frattempo dai partecipanti al Centro Franco Fortini di Siena), questo è l’unico modo per me praticabile di non dimenticare le suggestioni ( e le questioni) da lui poste.
Caro Ennio ti ringrazio molto per questa tua testimonianza su Fortni ma anche su Cologno di una volta…spazi degradati e culturalmente poveri oggi a distanza di tempo vedo un’ulteriore povertà , quella della mancanza di luoghi e momenti intelligenti di mediazione fra le persone. Una metropoli più grande più servita ma molto molto più piccola.
Grazie ancora per le fonti
Angela
Vista la complessità dei messaggi che formano questo post, mi sarò senz’altro perso qualcosa e quindi sparerò un commento forse superficiale.
Qui ci vedo semplicemente – da tutte le parti coinvolte – il fallire nella ricerca di soluzioni (culturali, sociali, ecc.) basandosi su convinzioni ideologiche.
Mi fermo qui, vediamo che effetto fa.
@ Rizzi
Ma che effetto vuoi che faccia?
Io ci vedo soltanto la proclamazione della tua visione: la Fine delle Ideologie.
Bene. Per me è una favola.
Una lettura attenta degli altri (tanti) post dedicati (come ho detto) a Fortini permetterebbe di spostare il discorso dal campo “dogmatico” (per me la Fine delle Ideologie è un dogma) in cui mi pare tu intenda spingerlo.