di Italo Lo Vecchio
La Troika, che non è il traino a tre cavalli delle carrozze russe e nemmeno una signora della steppa kazaka nota per i facili costumi, ma il Trio di potentati che dà ordini all’Europa (per gli amanti degli acronimi: FMI, BCE, CE), è di nuovo in Grecia (1° febbraio 2016). A darle manforte s’è aggiunto il Fondo Salva-Stati (per quelli di sopra: ESM). In ballo: la verifica dell’attuazione del programma economico (secondo il nuovo Memorandum: neolingua). Nel mirino: la riforma delle pensioni che ha in animo di varare il governo greco. In soldoni: ulteriore taglio alla spesa previdenziale di 1,8 miliardi di euri, ulteriore riduzione del 15% sugli assegni pensionistici, pensione minima stabilita a 348 euri mensili, e via troikando nello sport preferito da Lorsignori: cavare il sangue ai cittadini greci già abbondantemente vampirizzati. A fare gli onori di casa stavolta è Alexis Tsipras (spero si noti la finezza dell’aver espunto dal nome l’appellativo “compagno”).
“Questo a me non compete”, è solito rispondere lo specialista interpellato su una materia che esuli dal suo ambito di competenza. E giustamente. Il ricercatore che studia i balani ha tutto il diritto di rifiutarsi a dire la sua su un’ipotesi interpretativa, che so, di Montale.
Però, c’è un però. Ci sono nelle scienze umane discipline che hanno un’importanza sociale ben maggiore di altre perché sono in relazione con la qualità della vita, col benessere e l’equità sociali, con, spariamola grossa, la felicità.
In questo caso, lo stesso intellettuale specialista di Montale o dei balani avrebbe dunque lo stesso diritto di sottrarsi a intervenire in merito, adducendo a motivo l’obiezione precedente: “Questo a me non compete”?
O non dovrebbe invece accettare la sfida conoscitiva inerente a tale presa di parola politica, ossia rivendicare la sua natura di zoon politikon e insieme il suo status di citoyen, anziché quello conferito dall’accademia? Ma l’intellettuale specialista continua a rimanere fedele (lui che con tradimenti e abiure ha coltivato il proprio orticello) alla reductio jakobsoniana (“Parafrasando Terenzio dirò: linguista sum: linguistici nihili a me alienum puto”), e di ritornare alla versione originale: “Homo sum, humani nihil a me alienum puto”, colla fatica del dover-essere in luogo della dipendenza alla routine di ciò che è a forza di prebende & merende elargite generosamente dal pusher dei pusher: il Potere, se ne batte, diciamolo senza latinorum, altamente le balle.
L’intellettuale, dunque? R.I.P.
Nel suo coccodrillo su Umberto Eco (La Repubblica, 21/02/16), Alessandro Baricco scrive: “Era il più grande. Lo era in uno sport molto particolare, che a molti può sembrare un lusso noioso come il Polo, e che invece può essere incantevole, e lo dico senza vergogna: fare gli intellettuali. Forse ad alcuni ne sono sfuggite le regole, quindi le ricordo: si vince quando si comprende, racconta o nomina il mondo. Punto”. Ora, questa “incantevole” figura dell’intellettuale sportivo affrescata da Baricco, che sarebbe poi l’intellettuale che eccelle nello sport di fare l’intellettuale, merita almeno un’occhiata, magari di sguincio.
Tra le tante qualità dell’intellettuale sportivo che “comprende-racconta-nomina il mondo” (tutto purché non lo critichi), si annovera quella d’aver elogiato per primo, in uno dei suoi irresistibili sprint, la “generazione Erasmus”, portarice (sana) dello “spirito” europeo e delle sue conquiste “rivoluzionarie”. La narrazione grosso modo è questa: Miguel, studente erasmus spagnolo, conosce ad Amburgo la studentessa erasmus finlandese Hannele. I due si frequentano, parte il colpo di fulmine e a Parigi decidono di mettersi insieme. Trascorsi alcuni mesi di felice convivenza a Coimbra, a Rotterdam coronano il loro sogno d’amore. Morale della fiaba: con l’Erasmus nulla è più come prima. Può darsi, ma come sarà il dopo? L’intellettuale sportivo non ne fa parola, mica è affar suo raccontare in che modo quei giovani sfangheranno le loro vite al termine dell’Erasmus, se da disoccupati, da sottoccupati o da flessibilizzati ad aeternum, a contatto in ogni modo con la “durezza del vivere” di padoaschioppana memoria. Molto meglio lasciare scolpita nella fantasia collettiva l’immagine consolante di due cuori erasmini trafitti dalla freccetta della multiculturalità.
Un’altra caratteristica dell’intellettuale sportivo è quella di non entrare mai in campo indossando la maglietta della squadra d’appartenenza. Non ne ha bisogno, è talmente sportivo che con lui non c’è partita perché non sta da nessuna parte, ma commercia con il tutto: è il suo modo di vincere, da cosmopolita.
Riporta Vittorio Sereni, nella sezione V del suo poemetto Un posto di vacanza, la conversazione onirica avuta con Vittorini su Bocca di Magra, divenuta, nel giudizio dello scrittore siciliano, una “bagnarola”. “‘Ma tu’ insiste ‘tu che ci fai in questa bagnarola?’. / ‘Ho un lungo conto aperto’ gli rispondo. / ‘Un conto aperto? di parole?’. ‘Spero non di sole parole'”. (V, vv. 39-41).
Ai miei occhi giovanili, invece, e siccome in vacanza già c’ero, nella campagna a pochi chilometri di distanza da lì, la “bagnarola” vittoriniana racchiudeva un’opportunità: quella di rimorchiare una “foresta”, come da quelle parti s’usa dire, ossia una villeggiante straniera.
A Bocca di Magra andavo, certe volte a piedi, data la vicinanza, altre volte in corriera. Giunto in spiaggia m’inerpicavo sui massi della diga alla ricerca d’uno scoglio, il più piatto possibile, dove sdraiarmi al sole, di fronte ai Bagni DeBiRoss. Da quell’osservatorio puntavo, con la timidezza d’un’adolescenza introversa, la fauna femminile circostante. A onor del vero, mi tocca dire che mai alcun trofeo “foresto” ingentilì la parete della mia camera amegliese, ma l’illusione si rinnovava, caparbia, a ogni estate, allorché m’inoltravo nella confluenza di fiume e mare e sbirciavo apprensivo intorno a me a valutare le ospiti di sdraie e ombrelloni.
Eoni dopo, ci scrissi su una poesia:
Le gambe della bionda
Le gambe della bionda, niente male
per questo scorcio di stagione al mare.
Ben tornite Duilio dice, pari a quelle
solenni al sole di chi abile era
nel riso e nei dinieghi, su croccante
resa stese dei
——————giovanili anni.
Fin sulla diga, quest’anno, i bagnanti
come formiche – io tra loro, obliquo
traverso, a svelto passo, il crocchio
d’umori e unguenti, il ronzio del borgo
ridotto al rango – oramai, di bagnarola
dove nasse e tramagli sono un ricordo.
Era meglio forse – dubbioso, sulla spiaggia
circondato da schiamazzi e tuffi in coppia
fermarsi al monte, nella campagna aperta?
Le faccende domestiche ci espongono, gli dico
o credo di dirgli, farfugliando dentro
le ferite del tempo, le
abitudini piano si scontano, non si mutano
in oracoli sprezzanti, tantomeno in giudici.
Le razze, accorti pesci, già da tempo
hanno lasciato questi fondali chiari
queste acque trapestate da foresti.
Incurante a ipotesi
di scirocco o di libeccio tarda trascina
l’onda agostana ciuffi
policromi di alghe, ricciuti ingorghi
di luce alla foce, allegri sprazzi
marmorati d’azzurro, si direbbe
l’ora propizia al ricordo... Terse di fronte
le cave di Carrara mordono i monti
marezzati di neve che non è, divaga
lo sguardo ai margini del bosco, assale
i primi sassi della diga l’onda, offusca
lo spruzzo della palla i miei occhiali…
Più non lambisce le sabbiose dune il fiume.
Hanno dragato – compiacenti, il fondo
e un porticciolo è sorto di rimpetto.
Il rifugio fresco del bar, scoppi di risa, bagarre di voci, ai vetri
uno scafo s’incunea là, verso Versilia, oltre i confini
della stagione data, a raffrontare.
C’erano canneti, lungo le rive, e gabbiani, e barche.
Provvidi sipari agitati dal vento
a far barriera a occhi, curiosi nella sera.
Erano i primi
anni cinquanta, dalla spiaggia si tornava all’imbrunire
io sulla canna della bicicletta, quando
lo incrociavano solitario al bivio
per Punta Bianca, e la voce
di mio padre spiccava nel saluto
coll’onda che canuta s’increspa
mansueta, senza pretese
di parere idillio a fine mese
M’era dunque un’abitudine, una meta
Non un progetto di cui essere parte
a orari precisi, di andata e ritorno.
tantomeno un posto, da cui mappare il mondo.
Non ha referti la memoria, solo
sentenze in scampoli, chiacchiericci
tra birra e dischi, al DeBiRoss le mosse
d’un gioco cortese: Niente male
le gambe della bionda, anche Duilio
da esperto lo dice – forse meglio…
Confessione di strenua fedeltà a Bocca di Magra, il “lungo conto aperto”, e “non di sole parole“, opposto da Sereni allo stupore di Vittorini nel ri-trovare l’amico ancora in quella “bagnarola”, da un lato attesta l’irridicibilità del sereniano posto di vacanza al contingente e all’occasionale, confermata peraltro dal rifiuto di ricorrere a tramature d’ordine sineddotico: “non una storia mia o di altri / non un amore nemmeno una poesia” (VII, vv. 21-2).
Dall’altro, il debito contratto da Sereni col suo posto di vacanza, frutto d’una scelta confermata negli anni e contrapposta alla rinuncia di Vittorini[1], che pure glielo aveva fatto conoscere (“Un fiume negro – aveva promesso l’amico – / un bel fiume negro d’America. / Questo era il dato invogliante”; I, vv.18-20), è inestinguibile, perché inestinguibile è la funzione di continua progettualità, alla volta esistenziale e politica (“ma un progetto / sempre in divenire sempre / ‘in fieri’ di cui essere parte”; VII, vv. 23-5), detenuta dal posto.
Soltanto a queste condizioni è concesso all’io poetante interrogare la propria soggettività (“Ma uno di sinistra / di autentica sinistra (mi sorprendevo a domandarmi) / come ci sta, come ci vive al mare?”, I, vv. 33-5), e nel contempo trasformare un microscosmo balneare, affrescato per dettagli e notazioni cronachistiche, in osservatorio speciale della storia mondiale: “Anno: il ’51. Tempo del mondo: la Corea” (I, 37). Dal ’51 al ’71, l’anno in cui nelle spiagge imperversava la “sparatoria dei clic-clac” (V, 7; “premonitrice di non tante immaginarie guerriglie urbane”; Vittorio Sereni), è la cornice temporale in cui si colloca l’azione a più risvolti, a più misure frante, della poesia.
Se Sereni, dopo lunga esitazione (“Non scriverò questa storia”; I, 30; e ancora: “Non scriverò questa storia – mi ripeto, se mai / una storia c’era da raccontare”; II, 12-3) si risolverà ad allacciare “nome a cosa” (I, 25) e scrivere Un posto di vacanza (legame precario sempre sul punto di “rompersi”, “travolto da tanto mare”; II, 68-9), regalandoci uno dei più bei poemetti del secondo Novecento, è perché sa che l’ottemperare al pagamento degli interessi – che rappresenta, per così dire, il suo “servizio del debito” en poète, si rende necessario per esporre (nel senso di ex-ponĕre: offrire alla vista) il capitale umano da lui investito nel posto di vacanza. Pur essendo perfettamente consapevole che quel “lungo conto aperto”, rinnnovato a ogni ritorno (sia estivo, sia “sul rovescio dell’estate”, dov’è “la chiave dell’estate”; I, 4), si potrà chiudere per insolvenza soltanto con la sua morte.
“Sereni esile mito / filo di fedeltà non sempre giovinezza è verità / Strappalo quel foglio bianco che tieni in mano” (II, 13-5).
E’ Franco Fortini l’interlocutore che invia a Sereni “spifferi in carta dall’altra riva” (I, 12), la “riva sinistra” del fiume Magra. (En passant, sintomatica è la contrapposizione spifferi VS strappalo, che caratterizza e la parola ingiuntiva di Fortini, e la ricezione sereniana).
Attorno al decennio 1945-55 s’era andato formando un sodalizio di scrittori e artisti soliti trascorrere le vacanze estive a Bocca di Magra e negli “immediati dintorni”, luoghi che già vantavano una tradizione letteraria nella storia delle vacanze letterarie da D’Annunzio in poi.
Tra costoro si contavano Fortini e la moglie Ruth Leiser, che “sulla riva di là”, a Fiumaretta, avevano affittato, a partire dal ’46, una casa, “una minuscola casa, un dado” (h), per le vacanze.
Il ponte della Colombiera, che nel 1961 congiungerà le due rive del Magra unendo Liguria e Toscana, non era ancora stato costruito e un servizio di barche traghettava foresti e locali dall’una all’altra riva. Il decano poetico di quei barcaioli è il montaliano “Duilio che traversa / in lotta sui suoi remi” (Il ritorno, 1940; vv. 5-6), da Sereni “conosciuto in carne e ossa”, e nell’agosto 1976 (anno della sereniana “verifica a distanza” della poesia di Montale), “morto da molti anni”.
Ma nel 1954, data di composizione dell’epigramma fortiniano, a sua volta debitore alla poesia di Sereni “Italiano in Grecia” (in Diario d’Algeria) del sintagma “esile mito”, è possibile ipotizzare che il pertinace Fortini non scegliesse altri che il tenace Duilio “in lotta coi suoi remi” cui affidare le sue prescrizioni per il dirimpettaio Sereni. E la risposta di Sereni arriverà puntuale: “A mani vuote / senza messaggio di risposta tornava dall’altra parte il traghettatore” (I, 17-8).
“Era un piccolo paese in riva al mare, a quel vecchio mare occidentale, il più chiuso, il più torrido, il più greve di storie che ci sia al mondo e sulle cui rive c’era appena allora stata la guerra.”
“Trenta case ai piedi di questo monte, lungo il fiume, separate dal resto del paese da una strada polverosa e lunga sette chilometri che si arrestava lì in riva al mare. Ecco cos’era quel posto. Le trenta case ogni estate si riempivano di villeggianti di ogni nazionalità, di gente che aveva in comune il fatto che la presenza di Ludi li attirava lì, convinti che a a tutti loro piacesse nello stesso modo passare le vacanze in luoghi del genere, così selvaggi”
“Ludi ci veniva con Gina, sua moglie, da dodici anni. Anzi, era proprio lì che l’aveva conosciuta, saranno stati più di dodici anni da allora”.
Così Marguerite Duras, che a Bocca di Magra si recava nei periodi estivi in compagnia di Dyonis Mascolo e del marito Robert Antelme, rievoca nel suo romanzo I cavallini di Tarquinia (1953) quel luogo “selvaggio” com’era nell’immediato dopoguerra, dove Ludi, al secolo Elio Vittorini, convocava gli amici, “quei signori benvestiti e ancor meglio nutriti”, scrive Marta Morelli nel suo articolo “Intellettuali e scrittori a Bocca di Magra”, “che restavano chiusi nel loro mondo di discorsi importanti”, e “forse guardati con sospetto” dalla popolazione locale, sospetto che a suo modo la Duras, espulsa dal PCF nel 1950 per “immoralità” (si sa che i partiti comunisti europei facevano a gara in quel tempo per bigottaggine), provvedeva ad alimentare.
Dopo gli anni di Fiumaretta e della casa somigliante a un dado grigio, nel 1964 Fortini e la moglie si trasferirono nella villetta che fecero costruire in località Bavognano d’Ameglia, la zona collinare in linea d’aria distante un paio di chilometri da Bocca di Magra.
In quel “luogo dell’anima” Fortini ha ambientato molte sue poesie, incluse in massima parte nella raccolta Una volta per sempre (1978).
Una di esse è Agli dèi della mattinata.
Il vento scuote allori e pini. Ai vetri, giù acqua.
Tra fumi e luci la costa la vedi a tratti, poi nulla.
La mattinata si affina nella stanza tranquilla.
Un filo di musica rock, le matite, le carte.
Sono felice della pioggia. O dèi inesistenti,
proteggete l’idillio, vi prego. E che altro potete,
o dèi dell’autunno indulgenti dormenti,
meste di frasche le tempie? Come maestosi quei vostri
luminosi cumuli! Quante ansiose formiche nell’ombra!
Composta durante una mattinata temporalesca di fine estate, presumibilmente nel 1970, la poesia presenta un impianto metrico di tipo classicheggiante, irregolare per l’alternanza e la varietà dei ritmi adottati. Il movimento dello sguardo fortiniano è emblematico nel suo duplice orientamento. Impedito dai “fumi” e dalla foschia temporalesca a riconoscere ciò che l’osservazione quotidiana ha reso al poeta familiare, lo sguardo, inizialmente tentando verso oriente, si ritrae, rifluendo dalla costa tirrenica vista “a tratti” alla “stanza tranquilla”, allo spazio rassicurante dell’intérieur, ravvolto da suoni discreti, concilianti (il “filo di musica rock” della radio), e presidiato da oggetti fidati, “le matite, le carte”, che sono gli strumenti basilari del lavoro intellettuale.
A compimento del dettato di forte sapore classicheggiante, il poeta invoca gli dèi pregandoli manieristicamente di proteggere l’idillio. Ma si tratta d’una preghiera alquanto sui generis, che anziché sostenere, pare contraddire le ragioni stesse per le quali è nata. Se la mattinata temporalesca ha influito profondamente sull’animo del poeta al punto di suscitare un sentimento idilliaco, a tale verità della rappresentazione, a tale mimesis, non corrisponde la verità dell’eloquio lirico.
Partendo, come parrebbe, da lontano (e nulla è più lontano di una forma classicheggiante, di una invocazione di maniera, di una poesia come idillio), Agli dèi giunge a proporre in tutta la sua aperta problematicità la dialettica di vero e falso, di realtà e finzione, di dire e non dire congeniale al testo letterario, per quanto chiuso sia. Ciò che ha reso possibile il cammino testuale dall’idillio della vita campestre tranquilla e felice in cui l’io lirico trova protezione e riparo, alla sua negazione radicale che rimette in gioco il soggetto poetico attraverso l’improvviso straniamento dovuto a una percezione “seconda” (e le “ansiose formiche” in chiusura fanno parte di tale percezione), è appunto il ricorso alla verità metatestuale, nel contempo interna ed esterna al discorso poetico, la quale trasforma lo sguardo naturalistico sul paesaggio in sguardo di parte, soggetto alla mediazione politica. Di questa parte (anche testuale) è componente determinante il giudizio, la valutazione conseguente la messa in relazione del dato poetico naturalistico-espressivo con quello a valenza storica della rielaborazione intellettuale e conoscitiva che perviene alla denuncia dell’artificio lirico: gli “dèi inesistenti”.
Ricorrendo a un minimalismo descrittivo, lo sguardo fortiniano, estraniandosi da manieristiche visioni del mondo, ha contrassegnato con una forte valenza politica quel suo paesaggio goduto e sofferto in una lunga fedeltà alla sua casa di Bavognano di Ameglia.
Un editore decide di licenziare una giornalista sua dipendente, caporedattrice del mensile XY. La Federazione nazionale della stampa italiana (FNSI), in data 17 gennaio 2016, emette un comunicato di protesta (è il suo mestiere), contestando “le motivazioni addotte dall’azienda” e denunciandone “le modalità, irrispettose del contratto nazionale di lavoro”. Nel mirino è “l’utilizzo strumentale della legge Fornero” – e qui la cosa assume una piega interessante. “L’assoluta contrarietà al licenziamento”, spiega la FNSI, è dovuta al fatto che “con questo licenziamento, si procede all’utilizzo di una legge – la cosiddetta “Fornero” – che è pericolosissima da usare nelle redazioni”. Ed ecco la ciliegina messa sulla torta del comunicato della FNSI: “Non è un caso che la legge Fornero sia stata finora usata di più in altre categorie e quasi mai in quella dei giornalisti”.
Cioè… cioè… mi si faccia capire. La FNSI protesta perché la cosiddetta legge Fornero ha toccato uno di loro? Cioè… cioè… quando il suo “utilizzo strumentale” veniva fatto per licenziare lavoratori di “altre categorie”, la cosiddetta legge Fornero andava bene? E che soltanto quando viene impiegata contro la categoria “delicata e fondamentale per la democrazia” dei giornalisti, allora comincia a esserci un problema?
Ma laudata si’ cosiddetta legge Fornero, se hai fatto capire alla FNSI che la perdita del posto di lavoro non riguarda più solo gli altri!
[1] Unicamente sul piano estetico si colloca invece il rapporto di Vittorini con Bocca di Magra. "Un bel fiume negro d'America" (I, 19), aveva descritto Vittorini a Sereni il fiume Magra. E con queste parole Sereni rammenterà all'amico "immemore" d'aver definito il luogo: "Ma l'hai amato / anche tu questo posto se dicevi: una grande cucina, / o una grande sartoria bruegheliana..." (V, 30-2). Venute meno le originarie suggestioni estetiche ("Ma" dice "dove ce le vedi adesso?"; V, 36), senza alcun rimpianto Vittorini dirigerà altrove i suoi passi ("e dai belvederi ventosi / [Vittorini] non mi risparmia, già lontano, l'irrisione / di paesi gridati cone in sonno, irraggiungibili"; V, 43-5).
La captatio benevolentiae iniziale “la Troika, che non è”… annuncia che Italo Lo Vecchio si vorrà divertire, e lo farà, ma con giochi ben più raffinati, in cui la sua immaginazione compositiva assortirà elementi rari e pregiati con la stessa libertà seria e giocosa. Contemporaneamente, la gravezza del gioco di parole annuncia che Lo Vecchio non farà sconti, non si tratterrà dall’esporre le sue considerazioni su ciò che corre nel comune sentire e parlare.
Questo non è propriamente un racconto, perché non segue lo sviluppo di vicende dell’eroe, anche se ci sono dei personaggi e la morale, è piuttosto la radiografia di un racconto, lo scheletro, la Composizione, che del racconto è l’anima, ciò che non lascia annoiare.
La composizione mette in rapporto l’amicalita letteraria degli anni ’50 e ’60, fino ai ’70 – ci sono confessioni e testi di Sereni, Vittorini, Fortini e Duras – con i birignao giornalistici di personaggi di oggi sui loro diritti corporativi. E la Morale è assicurata!
E’ vero, “la morale è assicurata”. Il suo commento mi ha fatto riflettere su questo, e mi sono “scoperto” nell’esprit un po’ nostalgico dei moralistes, specie di quelli Ancien Régime. E, lo spero proprio, senza sottoporli allo schiacciasassi del c.d. postmoderno
…al terzo appuntamento con il Diario di Italo Lo Vecchio, esso si rivela come l’interessantissimo diario politico-filosofoco-sentimentale (quindi anche autobiografico) di un citoyen del mondo, pensante a tutto tondo…In particolare molto intensa la pagina dedicata ad un luogo e ad un fiume, Bocca di Magra, dato che lo scrittore, trascorrendovi le vacanze, fu testimone di tutte le sue trasformazioni nel tempo, parallelamente alle sue. Un ecosistema, di acque, pietre e piante, ma anche di genti provenienti da ogni dove, insieme a poeti e scrittori…Come una civiltà fluviale all’apice del suo successo vitale, ma poi, per il “progresso” necessariamente in declino…ma non per chi ha continuato a sentire per quei luoghi un debito di ricordi, vi riconosce la sua culla, la voce del padre, i primi amori…La poesia di I. L. V. , molto bella, si dispiega come un canto d’acqua, non interrotto nonostante gli sfregi impressi dall’uomo tecnologico… Anche la poesia di Franco Fortini, frequentatore fedele di questo luogo ancora selvaggio, è molto bella e il commento dello scrittore sa evidenziare l’anima tormentata del poeta…