di Giulio Toffoli
Viene in questo periodo riproposto il volume di Silvia Federici: Calibano e la strega. Le donne, il corpo e l’accumulazione originaria, edizione riveduta e aggiornata di Il grande Calibano – classico del femminismo marxista che la Federici scrisse con Leopoldina Fortunati negli anni Ottanta (Autonomedia 2014, ora Mimesis, pp. 234, euro 30,00). Le presentazioni critiche sono entusiaste. Ci si permetta di esprimere qualche dubbio prima di tutto metodologico e poi di merito.
Il volume usciva in una temperie culturale davvero particolare, una fase storica dove nel pullulare dei movimenti sociali e nel dibattito estremamente vivace sulla cultura dei ceti subordinati nelle varie declinazioni si era venuta verificando una vera e propria riscoperta di quello che si chiamava il “mondo alla rovescia”. Nulla è nuovo sotto il sole ma streghe, benandanti, contadini e contadine in eterna rivolta contro i soprusi del mondo feudale, le rivolte urbane che sia pure fra le righe segnavano la storia di quel medioevo che era stato codificato come stabile, rigido e certo nelle sue verità scaldavano il cuore a un’intera generazione di giovani e di studiosi. Era un pullulare di pubblicazioni, era un sentire nuovo.
Negli ultimi trent’anni molto è cambiato. E da molti punti di vista in peggio. Ciò che sicuramente ha continuato a funzionare è una critica nei confronti della elaborazione marxiana, sempre meno conosciuta ma non per questo meno presa di mira, che fa parte del festival della borghesia trionfante di questo inizio del XXI secolo. E’ proprio in questa prospettiva che ci si chiede se una pubblicazione del genere sia uno strumento utile o un altro marchingegno ideologico prodotto dalla ideologia editoriale.
Quali i dubbi? Partiamo dai primi, quelli di tipo metodologico. Avere Marx come riferimento centrale vuol dire riferirsi al capitolo XXIV del primo libro del Capitale. Come è universalmente noto si tratta di una specie di interludio all’interno di un’opera scientifica di critica dell’economia politica che ha la finalità di fornire delle linee generali per comprendere come si sia venuto costituendo quel capitale monetario che poi si trasforma, tramite modalità descritte mirabilmente, in capitale industriale. Non è un saggio storico anche se ha l’altissima dignità di un saggio storico. Ferma l’attenzione sulle dinamiche del potere che espropriarono contadini e contadine, si noti gli uni e le altre, dei diritti tradizionali nell’ottica di una costruzione più o meno consapevole di un processo produttivo che nei fatti poi giunge a realizzare la rivoluzione industriale. All’interno di questo processo ovviamente si accavallano infinite esperienze storiche che Marx ,nell’economia del suo discorso, non aveva giustamente nessun interesse a mettere in luce. Ma è certo che sia lui sia Engels più tardi illuminarono con grande forza alcune di queste tematiche, basti ricordare la rivolta dei contadini e delle contadine della Turingia guidata da Thomas Muntzer poi repressa nel sangue.
Ora il rischio che correva e corre la storiografia femminista era ed è di unire in un indissolubile viluppo storia e ideologia con l’ulteriore rischio di enfatizzare categorie che ben poco hanno di storico ma che diventano d’incanto metastoriche. Per fare un esempio, cosa vuol dire che “la caccia alle streghe espropriò le donne dal proprio corpo, liberato, a funzionare come una macchina per la produzione della forza-lavoro”? Forse che nei circa cinquemila anni di storia che possiamo percorrere a ritroso fino alla rivoluzione urbana e ancor prima a quella neolitica le donne non hanno svolto la dimensione biologica di riproduzione umana? E non solo, all’interno della dialettica dei sessi, sia chiaro ampiamente e innegabilmente sbilanciata a favore del maschio ma anche qui con la necessità di mettere in chiaro ambiguità che ogni alterità genera, non è che anche l’uomo ha svolto una funzione di macchina per la riproduzione della forza-lavoro? Solo da una indeterminata età, che corrisponderebbe con una quasi mitica “caccia alle streghe”, le donne vengono espropriate dal proprio corpo “liberato”?
La verità è esattamente l’opposta e forse rileggere seriamente Marx è ora una necessità improrogabile. Marx mette a fuoco quello che nella sua lettura, ed è una lettura potente e oggi più viva che mai, è il movimento profondo della società e non può fermarsi, proprio perché non è uno storico accademico e ha un’altra prospettiva politica, sulla serie infinita dei mutamenti, tutti indubbiamente importanti, che ovviamente accompagnano il grande sommovimento sotterraneo realizzato dal processo dell’accumulazione capitalistica. Processo di una ricchezza e una complessità che negli anni settanta aveva giustamente affascinato la mente dei lettori con quel pullulare non solo di streghe ma anche di benandanti, di eretiche e di eretici, di contadini e contadine, di artigiani e artigiane, di vagabondi e vagabonde che di fronte al rafforzarsi della forme del controllo dello stato si sono trovati sbalestrati in un altro mondo, che non conoscevano e che non gli dava quelle tradizionali, anche se minimali, garanzie che erano state rosicchiate all’interno della società feudale.
Si noti sono corpi di uomini e donne, di donne e uomini che senza pietà vengono messi in gioco nei due secoli XVI e XVII secolo in quella che è stato giustamente definita un’età di ferro. La Federici lamenta che l’indagine marxiana si basasse solo sulle categorie di ineguaglianza e di gerarchia. Su cosa si sarebbe dovuta basare? Sugli aspetti più evenemenziali, sulla dimensione folklorica, sessuale o delle mode forse. Siamo seri, quella della “caccia alle streghe”, e ribadisco anche ai benandanti, è una pagina orrenda di quella storia che Engels in modo icastico ci disse essere da sempre lastricata di sangue ma non è “una guerra di classe portata avanti con altri mezzi”.
Visto che siamo già passati nel concreto della storia continuiamo. Secondo la Federici gli uomini (ma suvvia chiediamoci quali uomini; tutti? perché si tratta di una categoria dannata?) nei secoli XVI e XVII hanno imparato a “temere il potere delle donne”? Davvero appare almeno fragile l’idea che per almeno cinque millenni di “civilizzazione” gli uomini non avessero posto attenzione su tale presunto “potere”. E’ forse solo in quel torno di tempo che gli uomini “producono la donna” scoprendola “lussuriosa e incapace di governarsi”? Difficile crederlo. Similmente chi potrebbe credere che bisogni aspettare l’età moderna perché la sessualità femminile venga sanzionata. L’opera repressiva nei confronti della prostituzione, della nudità, della danze è un prodotto solo di quella fase? Oppure da sempre la società strutturata in forme statuali, nella dura dialettica con i ceti subordinati, si è trovata a gestire questo mondo pericoloso dove donne e uomini, pur controllati, di volta in volta tendevano a infrangere le norme lasciando libero spazio a desideri, passioni, istinti. “Sovversivo” non è il sabba, ma la messa in discussione dei fondamenti logici e politici del potere feudale che avviene proprio in quella fase, la monetarizzazione della terra, il fluidificarsi dei rapporti gerarchici ed è in questo contesto che poi il potere (maschile, ma solo?) individua forme di disciplinamento sempre più rigide che colpiscono all’unisono, anche se in qualche caso con una particolare crudeltà le donne, l’intero “mondo pericoloso”.
Davvero colpisce che si situi il fatto che “il marito diventa sovrano e la moglie suddita del suo potere” all’alba dell’età moderna. E’ come se si fosse verificata una incredibile caduta della memoria storica che ha dimenticato i formidabili meccanismi ideologici che hanno lavorato per millenni mirando a creare gerarchie di potere e ineguaglianza. Ed è davvero paradossale che si parli della Chiesa cristiana, ma sia chiaro lo stesso discorso vale per le altre fedi più o meno monoteistiche, solo con l’età moderna senza ricordare il lavorio sotterraneo che sostanzialmente segna tutta la storia dell’umanità e che genera una radicale opposizione di classe fra una minoranza di privilegiati, uomini e donne, e una gran massa di espropriati di ogni diritto.
Evidentemente se si parte da posizione ideologiche si possono scrivere infinite storie che però corrono il rischio di divenire mitologie se non peggio. Altro è il terreno della scienza. Tutta la storia dell’umanità dal momento in cui un uomo “il primo che, avendo cinto un terreno, pensò di affermare: questo è mio, e trovò persone abbastanza semplici per crederlo” è storia di delitti, guerre, omicidi. Come dimenticare le parole del maestro di Ginevra quando aggiunge: “quante miserie ed orrori non avrebbe risparmiato al genere umano colui che strappando i piuoli e colmando il fossato, avesse gridato ai suoi simili: Guardatevi dall’ascoltare quell’impostore …” Ma sia chiaro quel primo uomo non era solo mentre segnava il suo pezzo di terra; era accompagnato da una donna ed è lì la dialettica originaria dei sessi, certamente del massimo interesse, che però nel XVI e nel XVII ha ormai alle spalle millenni di vicende.
Per concludere: “Federici sottolinea (che) l’accumulazione originaria è un processo che si ripete in ogni fase dello sviluppo capitalistico e dentro le sue crisi, il corpo e le attività legate alla riproduzione restano oggi, come agli albori del capitalismo, un campo di battaglia”. Come non provare qualche dubbio di fonte a questa affermazione? Innanzitutto è discutibile che il processo dell’accumulazione originaria si ripeta ciclicamente. Ben diversi sono i meccanismi messi in moto dal capitalismo dopo l’esplosione del XIX secolo e soprattutto oggi ben più che agli albori del capitalismo il corpo, sia maschile che femminile, è divenuto un terribile campo di battaglia. Una battaglia seria e tragica che ha ben poco a che fare con streghe e benandanti ma con le dialettiche della scienza e soprattutto con la sfrenata logica del profitto e dell’affermazione dell’egotismo individuale. Ogni volta che viene pubblicato un libro, anche una ristampa, è sempre un segnale positivo e forse anche l’uscita di questo Calibano e la streghe potrebbe essere utile ad esempio stimolandoci a ritornare a Marx e a rileggerlo seriamente e poi guardare al futuro forniti di una scienza storica oggettiva e aliena da ogni ideologia.
Mi pare che lo scopo principale di questo post di Giulio Toffoli sia quello di dare una mano a una specie di nuova caccia alle streghe, interpretate questa volta dalle storiche femministe: “il rischio che correva e corre la storiografia femminista era ed è di unire in un indissolubile viluppo storia e ideologia con l’ulteriore rischio di enfatizzare categorie che ben poco hanno di storico ma che diventano d’incanto metastoriche”. Tutte insieme un mazzo di citrulle, queste storiche, incapaci di uscire dal “viluppo” di storia e categorie metastoriche.
Oggi Toffoli attacca le storiche femministe mentre è prevalente una ideologia dell’Uguaglianza che si declina come Teoria dei Diritti e, per quanto riguarda la differenza tra i sessi, ideologia della Parità.
Una semplice ricerca in rete fa trovare a chiunque interviste e scritti recenti di Silvia Federici, professoressa emerita di Filosofia politica e studi internazionali all’Università Hofstra del Long Island, New York. La storica ha fatto parte negli anni ‘ 70 del movimento internazionale per il salario al lavoro domestico, e oggi è noto il suo impegno nell’area marxista dell’autonomia contro il capitalismo.
La caccia alle streghe (e agli stregoni! però, avverte Federici, “la maggior parte degli uomini che sono stati accusati e condannati per stregoneria erano parenti di donne sospettate”), dal Canon Episcopi scritto nel 906, agli ultimi processi alla fine del 1700, avviene contemporaneamente al nascere e consolidarsi della scienza, della filosofia e della teoria politica moderne. Sciamanesimo, controllo delle Chiese sulle sopravvivenze di culti pagani, l’invenzione del Sabba, entrano nella caccia alle streghe. Se l’analisi storica di “altissima dignità” sul periodo dell’accumulazione originaria di Marx ha detto poco sulla vita di uomini e donne, è certo che, man mano che si costruiva l’edificio razionale del pensiero filosofico e scientifico e la teoria dello stato, si credeva alle streghe (e agli stregoni) e ai loro poteri concessi dal diavolo. Del resto La colonna Infame di Manzoni mostra come funzionasse bene il nesso feroce tra le assurde credenze dei giudici e le fantasie del popolo su certi “poteri immaginari” per celebrare processi in cui si torturava e si irrogavano pene crudeli. Qualcosa che ricorda le odierne esecuzioni capitali in nome della religione, non solo nei territori del Daesh ma anche in stati come Iran e Arabia saudita.
Nel 1988 la studiosa marxista americana Carole Pateman scrive Il contratto sessuale, in cui spiega come si arrivi alla dicotomia tra sfera pubblica e sfera privata, la prima tra individui eguali che stipulano il Contratto Sociale. Invece le donne sono relegate nella seconda sfera, del privato, perchè, naturalmente subordinate alla forza e all’autorità maritale, hanno stipulato un “contratto sessuale”.
Silvia Federici spiega bene come attraverso la diffusione della credenza e dei processi alla stregoneria si sia esercitato un controllo sulle donne, sul loro diritto di possedere beni e sul loro corpo materno: “Credo, tuttavia, che Marx non potesse permettersi il lusso di vedere la procreazione come un momento della produzione capitalistica, perché si identificava con l’industrializzazione, le macchine e l’industria su larga scala, e la procreazione, come il lavoro domestico, sembrava essere l’opposto dell’attività industriale.” http://comune-info.net/2013/10/il-capitale-la-caccia-alle-streghe/
Nel 2013 Sinistra in rete pubblica un’intervista a Silvia Federici http://www.sinistrainrete.info/societa/2692-silvia-federici-lla-catena-di-montaggio-inizia-in-cucina-al-lavello-nei-nostri-corpir.html . Introducendo l’intervista viene notato che non si può rimanere fermi alla “bella contraddizione di classe semplice e omogenea, che – una, unica e infinitamente buona – è un po’ come il Dio dei monoteismi: da Lei proviene ogni cosa, a Lei ogni cosa deve tornare […] Si tratta di pensare, invece, il cono d’ombra della contraddizione di classe – la riproduzione della forza-lavoro, la sfera privata, la donna come principale forza produttiva – nella sua esistenza relativamente autonoma”.
Io condivido. Se si vuole poter dire che Marx è oggi “una lettura potente e più viva che mai”, ma non come formula apotropaica da ripetere in inutili celebrazioni.
…movimenti e lotte per l’uguaglianza dei diritti, contro una forma economica e sociale che discrimina e crea gerarchie e movimenti e lotte per la parità dei diritti tra i generi all’interno dell’uguaglianza dei diritti tra esseri umani: mi sembra una parabola di crescente consapevolezza, anche se stenta a decollare. Dovrebbe sfociare in un salutare travaso di contenuti, altrimenti potrebbe sembrare una guerra tra poveri o tra chi è più povero: e poi tra i due litiganti…! Lo sforzo, penso, non può che essere convergente e, trattandosi anche di costumi consolidati a cui non sono estranee le onnipresenti religioni, occorre tempo…Secondo me, un vero cambiamento della società può generarsi solo da uno sforzo comune
… “stenta a decollare”, “occorre tempo”. E’ il vecchio criterio storicistico (del PCI) per cui pian piano la storia, col tempo e la buona volontà, andrà verso il meglio.
Ma una interpretazione ideologica di parità e diritti, invece di valorizzare le differenze, riesce ad annullarle.
Nell’intervista riportata da Sinistra in rete, è appunto questo che Silvia Federici afferma: ” Il lavoro salariato contrattuale è accompagnato, nel capitalismo, da un’immensa quantità di lavoro non ‘libero’, non salariato, noncontrattuale. […] La persistenza di rapporti non liberi è qualcosa di fondamentale, che fa parte del codice genetico della società capitalista. […] Desideriamo una società dove le categorie di ‘uomo’ e ‘donna’ siano divenute obsolete? O vogliamo una società in cui continui a esistere, in una certa misura, non una specializzazione, ma una differenziazione, in ragione della capacità delle donne di procreare? A mio avviso, il problema è la gerarchizzazione delle differenze. Quest’ultima fa sì che le differenze divengano una fonte di discriminazione, di svalutazione e di subordinazione. Non è necessario costruire una società senza differenze…”
L’uguaglianza diventa ideologia, quando azzera le differenze in nome della “parità”. Bisogna pensare le differenze e, insieme, l’uguale valore di ciascuna.
…sono d’accordo, Cristiana…valorizzare le differenze esistenti tra danna e uomo in un’ottica di uguale importanza delle diverse funzioni. Altrimenti la donna, all’inseguimento dell’uomo, rischia il doppio lavoro non riconosciuto e
di allontanarsi da se stessa
Premettendo che non ho letto il libro della Federici ma solo l’articolo apparso su «il manifesto» e l’intervista alla storica su «Sinistra in rete», trovo corrette le obiezioni che Toffoli le muove sul piano storiografico a patto che siano confermate sul testo di «Calibano e la strega. Le donne, il corpo e l’accumulazione originaria».
Anche a me pare che l’espropriazione del corpo delle donne (meglio: la loro specializzazione come riproduttrici della vita umana o la loro riduzione alla «dimensione biologica di riproduzione») non sia iniziata dal Cinquecento-Seicento ma risalga ai secoli della «rivoluzione urbana e ancor prima a quella neolitica»; e se questi lunghi secoli di storia non fossero considerati a sufficienza dalla Federici, saremmo davvero, come Giulio sostiene, di fronte ad «una incredibile caduta della memoria storica che ha dimenticato i formidabili meccanismi ideologici che hanno lavorato per millenni mirando a creare gerarchie di potere e ineguaglianza». Ma è così?
Concorderei anche sulla successiva obiezione: «è discutibile che il processo dell’accumulazione originaria si ripeta ciclicamente». E sempre per le ragioni addotte da Giulio: « Ben diversi sono i meccanismi messi in moto dal capitalismo dopo l’esplosione del XIX secolo e soprattutto oggi ben più che agli albori del capitalismo il corpo, sia maschile che femminile, è divenuto un terribile campo di battaglia». Ma, ancora una volta, mi chiedo: è così (nel libro della Federici)?
La terza obiezione di Giulio mira a mettere in dubbio uno sfruttamento unilaterale dei soli corpi femminili da parte dei poteri statuali (ma in particolare da parte degli stati moderni poi borghesi che hanno preparato e guidato lo sviluppo capitalistico) : «non è che anche l’uomo [e non solo la donna] ha svolto una funzione di macchina per la riproduzione della forza-lavoro?»; « Si noti sono corpi di uomini e donne, di donne e uomini che senza pietà vengono messi in gioco nei due secoli XVI e XVII secolo in quella che è stato giustamente definita un’età di ferro».
Valida rispetto ad alcune tendenze di un femminismo “assolutista” o “totalizzante”, l’obiezione mi pare più fragile se riferita alla Federici, specie dopo che ho riletto con attenzione la sua intervista su «Sinistra in rete».
La storica, infatti, si è formata sulle opere di Marx e non prescinde affatto dalla sua visione e dai suoi temi centrali. Anzi il suo lavoro sulle streghe è avvenuto proprio sulla scia di Marx e in modi non ossequiosi o scolastici. Dichiara infatti:
« Mi è parso che questi fenomeni [massacri dei colonizzati o degli africani che hanno vissuto la tratta degli schiavi, roghi delle streghe] fossero legati, e che abbiano fatto parte dell’accumulazione capitalista, della formazione della classe operaia, ovvero della forza-lavoro. È in questa prospettiva che ho analizzato la caccia alle streghe, ciò che mi ha portato su terreni molto differenti. Ho cominciato a realizzare che lo sviluppo del capitalismo, quale fu descritto da Marx, andava non riscritto – giacché l’analisi di Marx è assai giusta e potente, oltre a essere molto utile ancora oggi – ma che c’era un’altra storia che Marx non aveva visto».
La Federici vuole da una parte integrare la scoperta di Marx sull’accumulazione capitalistica e dall’altra avanzare su terreni che Marx non aveva esplorato (o non poteva esplorare per il tipo di strumenti concettuali che usava e i fini generali – anche politici) della propria ricerca). E dall’altra procede da ricercatrice indipendente: non vuole aggiungere – dice – un capitolo al primo libro del Capitale, ma vedere lo sviluppo del capitalismo dal punto di vista delle donne; e perciò analizza l’accumulazione capitalistica dal punto di vista della riproduzione e non della produzione. Resta cioè “marxista” perché s’appoggia sui risultati di Marx, ma interroga quel fenomeno da un altro punto di vista e trova fondamentale la riproduzione invece che la produzione:
« Ripeto sempre che ciò che ho tentato di fare, non è stato di scrivere la storia delle donne nel capitalismo, ma la storia del capitalismo a partire dal punto di vista delle donne e della riproduzione – ciò che è molto differente. Se scrivi la storia delle donne nel capitalismo, è come se ci fossero due cose parallele: da una parte la storia degli uomini, e poi la storia delle donne. Al contrario, scrivere la storia del capitalismo e delle sue origini a partire da ciò che succede alle donne, da ciò che succede nella riproduzione – due cose che sono intimamente connesse l’una all’altra – permette di ripensare l’insieme a partire da una prospettiva differente. Il lavoro salariato contrattuale è accompagnato, nel capitalismo, da un’immensa quantità di lavoro non “libero”, non salariato, noncontrattuale. È tenendo conto di questo elemento che si comprende perché, attraverso tutta la storia del capitalismo, esistono persistenti forme di colonizzazione e di schiavitù.
Analizzare e comprendere il fatto che il lavoro non libero e non salariato è fondamentale, e che il suo senso non è solo l’estrazione della ricchezza dai lavoratori, ma che si tratta altrettanto di una maniera di organizzare la società, è molto importante. La persistenza di rapporti non liberi è qualcosa di fondamentale, che fa parte del codice genetico della società capitalista. Analizzare il capitalismo dal punto di vista della riproduzione, di ciò che chiamo la riproduzione della forza-lavoro, è molto importante per arrivare a comprendere il capitalismo – ed è ciò che non si può trovare in Marx».
Questa indipendenza non scolastica (che non si ferma all’«Ipse dixit») mi pare ammirevole, anche se si contrapponesse a Marx ( e perché non dovrebbe farlo, se i dati storici la sostengono?), anche se i risultati ( e gli eventuali errori delle sue ricerche) restano da valutare. (Del resto quanti “errori” hanno fruttato nuove e più interessanti piste?).
Infine, anche il modo in cui pone la questione delle differenze non mi pare cattivo:
«Ci sono stati molti dibattiti, nel movimento femminista, sul tipo di società che vorremmo. Desideriamo una società dove le categorie di “uomo” e “donna” sia divenute obsolete? O vogliamo una società in cui continui a esistere, in una certa misura, non una specializzazione, ma una differenziazione, in ragione della capacità delle donne di procreare? A mio avviso, il problema è la gerarchizzazione delle differenze. Quest’ultima fa sì che le differenze divengano una fonte di discriminazione, di svalutazione e di subordinazione. Non è necessario costruire una società senza differenze, e potremmo dire che certune siano positive.»
Anzi devo dire che, riflettendo sulla questione, io pure sento l’esigenza di liberarci dagli schemi del pensiero elitario (liberale, razzista, classista o sessista), evitando di irrigidire le differenze. E avevo guardato con simpatia a Marramao quando, anni fa, aveva parlato di una possibile «unità delle differenze» fondandola sull’ipotesi di una loro base comune.
Chiarite queste cose, quel che Giulio dice su Marx mi pare giusto, anche se rischia di sottovalutare un po’ troppo la ricerca della Federici.
È giusto, infatti, ricordare che Marx, attraverso quel suo metodo fondato sull’ «astrazione determinata» (concetto ben più chiaro negli anni Settanta, quando Marx veniva più studiato ): « mette a fuoco […] il movimento profondo della società e non può fermarsi, proprio perché non è uno storico accademico e ha un’altra prospettiva politica, sulla serie infinita dei mutamenti, tutti indubbiamente importanti, che ovviamente accompagnano il grande sommovimento sotterraneo realizzato dal processo dell’accumulazione capitalistica».
Che è come dire: se uno studioso si occupa di macrofisica sociale, non lo si può rimproverare di non occuparsi di microfisica sociale. Marx, cioè, non si poteva occupare del «pullulare non solo di streghe ma anche di benandanti, di eretiche e di eretici, di contadini e contadine, di artigiani e artigiane, di vagabondi e vagabonde che di fronte al rafforzarsi della forme del controllo dello stato si sono trovati sbalestrati in un altro mondo». E non ha senso rimproverarlo di essersi limitato solo ad alcuni scavi a carattere storico nel secondo campo. Che pur ci sono stati, come sottolinea Giulio: « sia lui sia Engels più tardi illuminarono con grande forza alcune di queste tematiche, basti ricordare la rivolta dei contadini e delle contadine della Turingia guidata da Thomas Muntzer poi repressa nel sangue».
Ma è forse la Federici che gli muove tali rimproveri o che non riconosce l’importanza della sua ricerca sull’accumulazione capitalistica? Leggendo l’intervista, non pare proprio che lei faccia questo errore.
È Cristiana Fischer ad attribuirle (erroneamente credo) certe parole di sapore antimarxista («Viceversa, i “grunf grunf della legge del valore” (noi fra di essi, all’occorrenza) sono rimasti fermi alla bella contraddizione di classe semplice e omogenea, che – una, unica e infinitamente buona – è un po’ come il Dio dei monoteismi: da Lei proviene ogni cosa, a Lei ogni cosa deve tornare.») riprese da chi su «Sinistra in rete» ha introdotto l’intervista alla Federici. (http://www.sinistrainrete.info/societa/2692-silvia-federici-lla-catena-di-montaggio-inizia-in-cucina-al-lavello-nei-nostri-corpir.html)
Passando alle critiche che Cristiana muove a Giulio, devo dire che mi paiono davvero reattive, eccessive e un po’ improprie. Che senso ha scrivere: « lo scopo principale di questo post di Giulio Toffoli [è] quello di dare una mano a una specie di nuova caccia alle streghe, interpretate questa volta dalle storiche femministe»?
E perché le critiche di Giulio alla metodologia storica della Federici (sulla quale – come detto prima – chiedo una verifica) equivarrebbe a considerare « citrulle» tutte le storiche femministe?
E poi cosa ha a che fare la rivendicazione del ritorno a Marx di Giulio con la ideologia dell’«Uguaglianza che si declina come Teoria dei Diritti e, per quanto riguarda la differenza tra i sessi, ideologia della Parità»?
O come si può dire che « l’analisi storica di “altissima dignità” sul periodo dell’accumulazione originaria di Marx ha detto poco sulla vita di uomini e donne»?
E che ha a che fare il pensiero di Marx con quello dei giudici della manzoniana «Colonna infame»?
Insomma ho tantissime perplessità su questo modo di confrontarsi che finisce per bloccare la discussione…
Per ultimo farei notare il rischio di tornare ad una contrapposizione frontale tra lascito di Marx e femminismo. Anche se è vero che c’è una bella differenza tra il tipo di ricerca ( e gli strumenti concettuali) di Marx, che mirava appunto a delineare gli eventi storici anche del passato alla luce della sua ipotesi generale (lo lotta di classe come motore della storia), e quella ad es. di un Foucault ( ma anche di molte femmniste…) che, attento alla «microfisica del potere» e in buona parte distanziandosi da Marx, aveva proprio negli anni Settanta fornito strumenti di ricerca più adatti ad indagare «sugli aspetti più evenemenziali, sulla dimensione folklorica, sessuale o delle mode». (Col rischio però di farsene completamente assorbire e perdere la visione d’insieme ben presente in Marx).
Questo anche per dire che non ho la fiducia che Giulio ripone in un risolutivo ritorno a Marx (« ritornare a Marx e a rileggerlo seriamente e poi guardare al futuro forniti di una scienza storica oggettiva e aliena da ogni ideologia)…
Sarebbero, le mie, critiche reattive, eccessive e un po’ improprie?
Allora occorre precisare.
1 “È Cristiana Fischer ad attribuirle (erroneamente credo) certe parole di sapore antimarxista («Viceversa, i “grunf grunf della legge del valore” (noi fra di essi, all’occorrenza) sono rimasti fermi alla bella contraddizione di classe semplice e omogenea, che – una, unica e infinitamente buona – è un po’ come il Dio dei monoteismi: da Lei proviene ogni cosa, a Lei ogni cosa deve tornare.») riprese da chi su «Sinistra in rete» ha introdotto l’intervista alla Federici.”
Signornò, non ho attribuito alla Federici queste parole, ma al redattore di Sinistra in rete, che ha introdotto l’intervista alla Federici. E per quanto riguarda il grunf grunf, credo che il redattore di Sinistra in rete lo riprenda da un testo di Toni Negri di cui ha scritto qualche riga prima. Per questa ragione avevo evitato di citare un grunf grunf che non appartiene né al redattore né, tanto meno, alla Federici. Rileggere, prego.
2 “Che senso ha scrivere: ‘lo scopo principale di questo post di Giulio Toffoli [è] quello di dare una mano a una specie di nuova caccia alle streghe, interpretate questa volta dalle storiche femministe’? E perché le critiche di Giulio alla metodologia storica della Federici (sulla quale – come detto prima – chiedo una verifica) equivarrebbe a considerare ‘citrulle’ tutte le storiche femministe?”
Non posso fare altro che riprendere l’inizio del mio commento 16 aprile, 11.38 al post di Toffoli.
“Mi pare che lo scopo principale di questo post di Giulio Toffoli sia quello di dare una mano a una specie di nuova caccia alle streghe, interpretate questa volta dalle storiche femministe: ‘il rischio che correva e corre la storiografia femminista era ed è di unire in un indissolubile viluppo storia e ideologia con l’ulteriore rischio di enfatizzare categorie che ben poco hanno di storico ma che diventano d’incanto metastoriche’. Tutte insieme un mazzo di citrulle, queste storiche, incapaci di uscire dal ‘viluppo’ di storia e categorie metastoriche.”
In sintesi sostenevo: lo scopo principale pare sia attaccare le storiche femministe (nessuna distinzione tra esse), incapaci di distinguere tra storia e ideologia: non sono quindi citrulle?
3 “E poi cosa ha a che fare la rivendicazione del ritorno a Marx di Giulio con la ideologia dell’«Uguaglianza che si declina come Teoria dei Diritti e, per quanto riguarda la differenza tra i sessi, ideologia della Parità»”?
Niente ha a che fare con “la rivendicazione del ritorno a Marx di Giulio”. Il post di Toffoli dà una bella mano a svalorizzare le studiose, la Federici e le “storiche femministe”, proprio in un periodo in cui le politiche dei diritti e della parità vengono torte e utilizzate a cancellare la differenza tra donne e uomini. Il richiamo all’ideologia dell’uguaglianza ha a che fare con la svalorizzazione del femminismo, non del marxismo.
4 “come si può dire che « l’analisi storica di ‘altissima dignità’ sul periodo dell’accumulazione originaria di Marx ha detto poco sulla vita di uomini e donne»?
Lo dici anche tu, “se uno studioso si occupa di macrofisica sociale, non lo si può rimproverare di non occuparsi di microfisica sociale”, e poi riporti, mi pare con approvazione, affermazioni di Federici e di Marramao su aspetti storici che Marx non ha indagato. Infatti scrivi: “Questa indipendenza non scolastica (che non si ferma all’«Ipse dixit») mi pare ammirevole, anche se si contrapponesse a Marx ( e perché non dovrebbe farlo, se i dati storici la sostengono?), anche se i risultati ( e gli eventuali errori delle sue ricerche) restano da valutare. (Del resto quanti “errori” hanno fruttato nuove e più interessanti piste?).”
5 “E che ha a che fare il pensiero di Marx con quello dei giudici della manzoniana «Colonna infame»”?
Il richiamo alla Colonna Infame da parte mia voleva significare come assurde credenze (come la caccia alle streghe) erano vivissime mentre nasceva il pensiero razionale di Cartesio, di Galilei, di Hobbes, di Spinoza… Superstizione e ragione convivono bene, ma Marx non ha colto questa contraddizione nel campo delle idee, e quindi non poteva appunto indagare certi temi, tra cui quello della Federici: “c’era un’altra storia che Marx non aveva visto”.
Nel post di Toffoli c’è invece una certa sufficienza nei confronti di quell’altra storia: “La Federici lamenta che l’indagine marxiana si basasse solo sulle categorie di ineguaglianza e di gerarchia. Su cosa si sarebbe dovuta basare? Sugli aspetti più evenemenziali, sulla dimensione folklorica, sessuale o delle mode forse.”
6 “Per ultimo farei notare il rischio di tornare ad una contrapposizione frontale tra lascito di Marx e femminismo. ”
Cosa vuol dire? Dove il rischio, in quali posizioni, in quali autrici, teorie? E rischio per chi? Specifica bene questa frase così generica. Ma di cosa stiamo parlando? Di qualcosa che Marx nemmeno immaginava. La contrapposizione l’ho vista in Toffoli, nei confronti del femminismo e della Federici. E la vedo in te, nei confronti di “alcune tendenze di un femminismo ‘assolutista’ o ‘totalizzante’” (ma chi sono costoro?) e della ricerca di “molte femministe” (ancora: chi?).
7 “Insomma ho tantissime perplessità su questo modo di confrontarsi che finisce per bloccare la discussione…”
Avrei bloccato il dibattito con le mie critiche al post di Giulio? Nel senso che cadevano le braccia a chi voleva intervenire? Per la sprovvedutezza delle mia posizione? O per la durezza della critica? Ma altre critiche avrei da fare. E che cosa dovevano temere altri che volessero intervenire?
In conclusione. Forse hai letto di fretta il mio commento, di sicuro hai equivocato sul punto 1 e ti sei contraddetto al punto 4. Non ti rimprovero perché non hai colto il senso del mio richiamo alla Colonna, ma mi chiedo se ti sei reso conto di avere citato, approvandoli, passi di Federici che avevo citato anch’io (“Non è necessario costruire una società senza differenze”) a sostegno del mio discorso. In realtà credo che il rischio di contrapposizione frontale nasca da posizioni aprioristicamente prese nei confronti del … babau femminismo.
@ Fischer
Sì, reattive, eccessive e improprie mi paiono ancora adesso le tue critiche a Toffoli.
Cosa queste (di Toffoli) hanno a che fare con una «nuova caccia alle streghe, interpretate questa volta dalle storiche femministe»? Criticare ha a che vedere con l’inquisizione o le torture?
Andiamo all’osso sugli altri punti:
1. D’accordo. Tu hai scritto: «Nel 2013 Sinistra in rete pubblica un’intervista a Silvia Federici[…]. Introducendo l’intervista viene notato che…». Quell’impersonale «viene notato» mi ha tratto in inganno. Sarebbe stato più chiaro scrivere «il redattore di Sinistra in rete, che ha introdotto l’intervista alla Federici».
2. Lascio rispondere a Toffoli, se vuole.
3. E allora? Se rivendicare la lezione di Marx non ha nulla a che fare con l’ideologia dell’Uguaglianza e con la Teoria dei Diritti, perché Toffoli svalorizzerebbe il femminismo? Soltanto perché fa il suo discorso critico in contemporanea con i sostenitori o le sostenitrici delle « politiche dei diritti e della parità»?
4. Io cito le tue parole («« l’analisi storica di ‘altissima dignità’ sul periodo dell’accumulazione originaria di Marx ha detto poco sulla vita di uomini e donne») perché non le approvo, perché sono convinto invece che il lavoro di Marx ha detto *moltissimo* sulla vita di uomini e donne (ed ha aperto la strada anche a ricerche come quelle della femminista marxista Federici) e tu usi come paravento o pezze d’appoggio alcune mie affermazioni che nulla hanno a che fare con questo punto? Ma che gioco delle tre carte è questo?
5. «Superstizione e ragione convivono bene»? Due fenomeni (le «assurde credenze» che incoraggiavano la caccia alle streghe e la nascita del « pensiero razionale di Cartesio, di Galilei, di Hobbes, di Spinoza»), per il fatto di avvenire contemporaneamente, *convivrebbero* bene insieme, senza contraddizioni? Nella testa di chi? Di Marx?
6. «“Per ultimo farei notare il rischio di tornare ad una contrapposizione frontale tra lascito di Marx e femminismo. ”
Cosa vuol dire? [1] Dove il rischio, in quali posizioni, in quali autrici, teorie? [2] E rischio per chi?[3] Specifica bene questa frase così generica. Ma di cosa stiamo parlando?[4] Di qualcosa che Marx nemmeno immaginava. La contrapposizione l’ho vista in Toffoli, nei confronti del femminismo e della Federici. E la vedo in te, nei confronti di “alcune tendenze di un femminismo ‘assolutista’ o ‘totalizzante’” (ma chi sono costoro?[5)) e della ricerca di “molte femministe” [6] (ancora: chi?)».
Rispondo telegraficamente malgrado il tono inquisitorio sgradevole con cui poni le domande:
[1] Non tutte le correnti femministe sono state o sono antimarxiste. E il lavoro della Federici mi pare un esempio.
[2] Sulla base delle mie conoscenze (modeste) del pensiero femminista farei – e con una certa approssimazione – un solo nome indicativo: Luisa Muraro.
[3] Per gli uomini e le donne pensanti, che da certe teorie/ideologie (“bau bau” appunto) sono stati incoraggiati/e a guardarsi solo più in cagnesco di prima (quando prevaleva l’ideologia melensa della Donna-Madonna o del Maschio Virile).
[4] Secondo me della *nostra* storia sconfitta degli anni Settanta: comunismo e femminismo sono (sempre *per me*) entrambi *rovine* di un fine Novecento tutto da interrogare e reinterpretare.
[5] [6] C’è un femminismo che, autonomizzatosi dalla tradizione (sconfitta) del movimento operaio, convive con il capitalismo trionfante e anzi sembra volersi presentare come Nuova Grande Narrazione del destino umano. Se fosse solo un mio personale fantasma, meglio così. (Se ne dovrebbe parlare, ma non qui improvvisando. Aggiungo: qualche eco di tale ideologia la colgo nei tuoi stessi interventi).
P.s. (rivolto a tutti/e)
Ho scritto un commento ragionato su questo post, toccando vari punti. Sarebbe bene pronunciarsi.
Prendiamo queste frasi di Silvia Federici sensatamente citate da Abate:
“Se scrivi la storia delle donne nel capitalismo, è come se ci fossero due cose parallele: da una parte la storia degli uomini, e poi la storia delle donne. Al contrario, scrivere la storia del capitalismo e delle sue origini a partire da ciò che succede alle donne, da ciò che succede nella riproduzione – due cose che sono intimamente connesse l’una all’altra – permette di ripensare l’insieme a partire da una prospettiva differente. Il lavoro salariato contrattuale è accompagnato, nel capitalismo, da un’immensa quantità di lavoro non “libero”, non salariato, noncontrattuale. È tenendo conto di questo elemento che si comprende perché, attraverso tutta la storia del capitalismo, esistono persistenti forme di colonizzazione e di schiavitù”
…e teniamo a mente questo passaggio “scrivere la storia del capitalismo e delle sue origini a partire da ciò che succede alle donne … permette di ripensare l’insieme a partire da una prospettiva differente.”
Poi quest’altro passo, che in parte ho citato anch’io:
“Desideriamo una società dove le categorie di ‘uomo’ e ‘donna’ siano divenute obsolete? O vogliamo una società in cui continui a esistere, in una certa misura, non una specializzazione, ma una differenziazione, in ragione della capacità delle donne di procreare? A mio avviso, il problema è la gerarchizzazione delle differenze. Quest’ultima fa sì che le differenze divengano una fonte di discriminazione, di svalutazione e di subordinazione. Non è necessario costruire una società senza differenze, e potremmo dire che certune siano positive.»
E’ rilevante assumere questa posizione: che cioè la vita delle donne nel tempo della storia e nel corso di periodi storici specifici che conosciamo, dell’accumulazione primitiva o il capitalismo finanziario o gli imperi orientali o il nomadismo ebraico o la società cretese… o quello che uno preferisce, è rilevante assumere che la vita delle donne e degli uomini fosse diversa, in termini di potere, di organizzazione familiare e sociale, di rilievo religioso, di libertà (e tante altre cose)?
Diversa in modo diverso in ogni fase storica, più o meno integrata con le contemporanee attività degli uomini, del potere, della guerra, del sapere, del culto, comunque sempre segnata da una reale diversità, che fosse orientata più in senso complementare, o di opposizione, o di separazione, è sensato riconoscerlo?
Il femminismo assume questo, e le donne lo hanno detto sempre, quelle che emergevano tra le altre e che hanno avuto per questo la lucidità e la possibilità di significarlo, e la cui memoria ancora si conserva, in opere degli uomini. Anche le religioni hanno tenuto memoria di questo diverso modo di stare al mondo fra uomini e donne, diverso anche nelle varie epoche: le grandi dee mesopotamiche, continuate in varie figure materne fino ad oggi, Demetra, Afrodite, Metis, Artemide non hanno certo gli stessi tratti di Apollo Efesto Ares Zeus Sole Jahvè… E nella religione cristiana – anche se è assurdo attribuire a Dio un sesso – si intende che padre figlio e spirito siano maschili, mentre l’unica figura femminile, per quanto divinizzata con l’assunzione, è indiscutibilmente umana.
Perfino la coppia archetipa Adamo ed Eva mostra la diversità tra i due, e ci sono diverse versioni del loro rapporto e del rapporto con dio, una che subordina la donna all’uomo con la costola da cui deriva la femmina, (Genesi 2,22) mentre al versetto 1,27 vengono creati insieme ambedue nella loro differenza.
Quando cominciò la riflessione delle donne sulla differente posizione materiale sociale e culturale delle donne, al presente e nelle varie epoche, cominciarono subito a fiorire studi storici, che ripercorrevano e ritrovavano il diverso articolarsi del vivere comune umano tra uomini e donne. Quindi nel femminismo la ricerca storica ha, come si può capire, una notevole importanza.
Ora torno a Calibano e al post di Giulio Toffoli. Si può ripercorrere il suo testo per notare quante volte l’intento di Toffoli sia di mettere insieme sorte maschile e femminile, *per unificare il destino comune di oppressione e attenuare in questo destino ogni diversità*. Un esempio solo, poi chi vorrà ne troverà molti altri:
” …pullulare non solo di streghe ma anche di benandanti, di eretiche e di eretici, di contadini e contadine, di artigiani e artigiane, di vagabondi e vagabonde che di fronte al rafforzarsi della forme del controllo dello stato si sono trovati sbalestrati in un altro mondo… ”
Il mainstream della cultura dominante riconosce questo diverso stare nel mondo tra uomini e donne, per lo più sotto l’aspetto di qualità avvilenti per le donne: esibizione di aspetti sessuali, oppure con immagini esagerate di sacrificio e dedizione, oppure una bisbeticità domata o meno… oggi si agita il tema della maternità surrogata, con le donne che, o vendono il corpo come puttane, o sono vittime vendute da padri e fratelli.
Di positivo, nella nostra cultura mainstream ci sarebbe l’ideologia della parità, uguale sviluppo e possibilità per i due sessi. Ma io l’ho chiamata ideologia della parità perché c’è in essa anche un intento di cancellare la differenza reale. Infatti non a caso questa parità in molti campi non si raggiunge, in molte pensiamo che le donne non la vogliano in questo modo che assimila le donne a come gli uomini sono già. Allora in politica si inventano le quote, ma si deve comunque costatare che per alcuni campi, la giustizia, la cura del corpo e l’educazione, c’è una netta opzione da parte delle donne.
Spesso si sovrappone una coloritura morale alla questione della differenza: guarda quelle donne che “così o cosà”: sono aggressive, o si vendono, o comandano… Invece le donne dovrebbero essere tutte non-aggressive oblative e pacifiche? Bah, saranno diverse tra loro come è pacifico che lo siano gli uomini. Ma questo è un altro discorso. La differenza è tra uomini e donne, e poi è tra e in ognuno di noi.
Ecco il mio insorgere sul testo di Giulio Toffoli rispetto al suo rifiuto di “ripensare l’insieme a partire da una prospettiva differente” come scrive Federici. Dopo quasi 50 anni di femminismo in Italia e nel mondo, dopo 75 anni dalle Tre ghinee e 85 dalla Stanza tutta per sé di Virginia Woolf, io spererei che gli uomini volessero accettare che uomini e donne stanno al mondo insieme in posizioni diverse tra loro, e tuttavia non esiste che le donne diventino come gli uomini per risolvere il problema.
Perché continuare a negare questi temi invece di pensarli? Credo perché l’iniziativa di pensare la differenza è stata presa dalle donne, e gli uomini, quasi cinquantanni fa e poi durante questi quasi cinquantanni, hanno subito questa iniziativa, magari con frustrazione. Tanto più i marxisti, se pensano che le analisi storiche ed economiche di Marx siano non solo una parola fondamentale, ma anche l’ultima e definiva, in campo storico sociale e culturale (se anche economico, non saprei). Ma soprattutto, per lo sfruttamento e la lotta, il solo Marx avrebbe fornito tutti gli strumenti necessari per l’analisi e la liberazione.
Non è così, credere che lo sia serve non solo a negare il bisogno di altre analisi e il riconoscimento di altre lotte, ma anche a tenere in armi una parte di uomini (e di donne) contro altri che, stando nella differenza, vivono posizioni diverse. Il campo della differenza sessuale oggi è importante perchè attiene a situazioni fondamentali della vita di uomini e donne: la riproduzione, il corpo, la morte. Sono, questi, veri campi di battaglia in cui al presente si combatte.
Il marxismo potrà mostrare chi sfrutta e chi è sfruttato, ma non basta questo per orientarci in grandi battaglie di democrazia e di religione, così vive nel nostro presente. Le discussioni sulla GPA corse poco tempo fa su LPLC lo hanno dimostrato. Che si deve pensare del marxista Vendola che ha comprato un figlio? si condanna per ragioni morali, o come tradimento di classe? Il desiderio di avere e allevare un figlio come si definisce in termini marxisti? e morali? E, ancor più, come si spiega la disponibilità di una donna a gestire dentro di sè un bambino per donarlo (anche se con un prezzo)? Occorre spostarsi sul terreno dei corpi e della differenza.
Vengo alla questione mia personale. Questo sito potrebbe anche chiamarsi Puliscritture se crede di dover sbiancare le idee diverse, accusando per di più chi le sostiene di “fare il gioco delle tre carte”. Non mi faccio misurare il tasso di marxismo da Abate o da Toffoli. Le mie idee le ho esposte e riesposte, ho argomentato perchè ho ritenuto il post di Toffoli un contributo a “una specie di nuova caccia alle streghe”, è una valutazione oggettiva, e non ci sono state ragioni per cambiarla.
A questo punto saluto i frequentatori del blog, e mi ritiro.
…c’è un detto che dice: ferisce più la lingua della spada… Qui sul blog c’è stato un confronto acceso su un tema e problematiche che, comunque la pensiamo, sono lontane da essere definitivamente chiarite e risolte. I fatti ce lo dimostrano tutti i giorni. Il confronto richiede rispetto per le idee divergenti e la volontà di riprenderlo in tempi succesivi. Se si pensa di essere misurati, a nostra volta si misura, credo, e si esasperano i toni…Cristiana, non riesco ad entrare nella discussione in maniera dettagliata, perchè non ho molte delle vostre conoscenze, ma ho cercato di esprimere la mia opinione. Secondo me, le idee possono volare, ma sono poi i fatti il banco di prova. Persino le leggi non bastano per cambiare i costumi se non cambia qualcosa dentro. Per questo parlavo di tempo per realizzare incontri e, perchè no, scontri sul tema del rapporto che intercorre oggi e nella storia tra uomo e donna…Sembrano inutili, ma non lo credo, se non altro li lasciamo in eredità a figlie e figli, come base da cui ripartire: per questo mi dispiace se ti ritirassi dal blog…
Perché è possibile parlare di migranti da accogliere o respingere esprimendo opinioni agli antipodi ma senza che si crei il gelo tra di noi; e non è invece possibile parlare di femminismo e marxismo esprimendo – ammesso che lo siano quelle finora registrate – le posizioni più estreme e antitetiche?
Il rapporto tra femminismo e marxismo (o di quel che resta oggi di entrambe queste teorie) è tabù e deve rimanere tale per Poliscritture?
E allora cosa impedisce il confronto tra quanti finora sono intervenuti e induce forse altri/e a non intervenire?
Per ora mi fermo qui…
E’ comprensibile che quando ci sono delle passioni, la forza del ‘polemos’ si accentui e le modalità di discussione si trasformino da intento dialogante all’assunzione di modalità difensive: “io ho detto”, “tu hai detto”. E lì si incomincia ad intorcolarsi, ad essere presi dentro una “Tempesta” fittizia perché, di fatto, ci sarebbero molte più cose da salvare che da rigettare.
Nello stesso tempo è evidente che non si sta ‘cinguettando’ bensì parlando di tematiche serie per affrontare le quali si richiede al commentatore un surplus di preparazione che il tempo veloce del ‘battibecco’ non permette. Per questo credo sia importante, ad un certo punto, lasciar sedimentare questi discorsi per poterci riflettere meglio sopra e passare ad altro.
Con ciò non intendo soprassedere alla polemica, come se si trattasse di qualche cosa di fittizio e cancellare quindi le tensioni che pur si sono verificate sulla scia di Prospero quando tristemente afferma : “Tutto svanirà, senza lasciare traccia. Noi siamo fatti della materia di cui sono fatti i sogni”.
Vorrei invece recuperare, condividendola in pieno, l’osservazione di Annamaria *Per questo parlavo di tempo per realizzare incontri e, perchè no, scontri sul tema del rapporto che intercorre oggi e nella storia tra uomo e donna…Sembrano inutili, ma non lo credo, se non altro li lasciamo in eredità a figlie e figli, come base da cui ripartire: per questo mi dispiace se ti ritirassi dal blog…*.
Detto questo, aspetto fiduciosa di continuare a leggere gli interventi di Cristiana che stimolano e arricchiscono le discussioni.
R.S.
“Questo è un momento terribile ma c’è anche una grossa agitazione dal basso. Credo che oggi la gran parte del mondo sappia che il capitalismo è un sistema distruttivo, orrendo. Il problema è come organizzarsi”. (Federici)
Appunto, che fare?
Stiamo continuamente a sottolineare le potenzialità di nuovi movimenti, ma poi, pur contenti che il problema sia “come organizzarsi”, non riusciamo a proporre alcunché. Perché ricompaiono i fantasmi di Lenin, di Stalin, del “totalitarismo” e il pensiero si blocca. Va bene indicare quello che Marx “non ha visto”, ma quello che noi oggi vedremmo più di lui perché non riesce a uscire dall’accademismo? [E. A.]
SEGNALAZIONE
Silvia Federici, quello che Marx non ha visto
https://ilmanifesto.it/silvia-federici-quello-che-marx-non-ha-visto/?utm_medium=Social&utm_source=Facebook&fbclid=IwAR2IeZxVYRiPSgawsxEOCi2jBqt8UX63lzL4SgLRZ_i0zQO448vlNQxC0Hg#Echobox=1580363929
Stralci:
1.
mentre negli anni Settanta la critica a Marx si concentrava sul fatto che non ha visto tutta l’area della riproduzione, quindi il lavoro delle donne, con il passare del tempo ho compreso che questa sottovalutazione è collegata anche a un limite più profondo del suo pensiero, la sopravvalutazione del capitalismo in una visione storica progressista. Marx ci dice che il capitalismo gronda sangue sporco, ma porta nel mondo una razionalità più alta. Questo è forse il peccato originale a causa del quale Marx non pensa la riproduzione, perché è un’attività irriducibile alla meccanizzazione, all’industrializzazione, soprattutto per quanto riguarda il lavoro domestico, l’allevamento dei bambini, la sessualità, l’aspetto emotivo. Il confronto allora non è più aspro, ma più profondo. A motivare questo tipo di critica, infine, è la distruzione ambientale causata dalla tecnologia e specialmente dal digitale. Se guardo a quello che succede in Congo, o in Niger, vedo la distruzione e i massacri che si stanno verificando in gran parte dell’Africa e sono dovuti a espropriazioni massicce e brutali funzionali alle compagnie minerarie e petrolifere.
Sono stata sempre polemica con l’idea che la lotta più efficace contro il capitalismo si dà ai livelli più alti dello sviluppo tecnologico, e anche con gli accelerazionisti. Che cosa acceleriamo? I massacri, lo spossessamento delle terre? Sviluppo oggi vuol dire violenza, ma in mille luoghi si sta combattendo contro lo sviluppo capitalistico. Se oggi Marx guardasse queste lotte le considererebbe arretrate?
2.
Costruisco i miei discorsi a partire dalle esperienze di lotta. Il discorso sul salario per il lavoro domestico nasceva in un contesto nel quale esistevano grandi movimenti di donne, soprattutto nere, che già parlavano di lavoro domestico in altri termini. Adesso, guardando a queste esperienze della post-globalizzazione, di milioni di persone che sono state dislocate dalle loro terre, che non sono state integrate nel lavoro salariato ma stanno costruendo qualcosa, allora il discorso si è articolato di più. I due obiettivi fondamentali rimangono il rifiuto del lavoro non pagato e il recupero della ricchezza sociale, che comunque vedo anche in esperimenti comunitari come le villas miserias argentine. C’è un momento di riappropriazione della ricchezza non solo per i terreni occupati, ma anche perché si crea un tessuto sociale più solidale che ti permette di affrontare lo Stato in modo da ottenere dei beni materiali. Questa non è un’alternativa al discorso del salario, ma è una maggiore articolazione.
3.
Per me la lotta delle lavoratrici domestiche migranti è uno dei movimenti di donne più importante di questi anni. Porta in sé tutte le rivendicazioni che riguardano sia il discorso sulla riproduzione e la valorizzazione – loro dicono «senza di noi niente si muove» – sia quello della colonialità e del razzismo. Con questo il movimento femminista non si è ancora rapportato in modo reale e decisivo. Per migrare devi sfondare mille porte, devi avere una comprensione dei rapporti internazionali, delle polizie, delle leggi, delle norme sul lavoro, è quindi un movimento molto ricco di conoscenze e di capacità di rottura.
4.
L’organizzazione del lavoro negli Stati Uniti genera violenza. È difficilissimo sfuggire alle molestie di chi controlla il posto di lavoro. Le cameriere nei ristoranti devono «vendere il corpo» per ottenere mance perché nella maggior parte dei posti di lavoro non ti danno un salario ma vivi di mance. La mancia ti obbliga a mostrare il décolleté, a sporgere i seni, soprattutto alla fine del mese. Cameriere e proletarie dicono che le attrici che hanno animato il movimento #metoo sono privilegiate. Devono combattere con quelli che le toccano, ma da loro dipende la mancia.
5.
Oggi il movimento vede come violenza lo stupro, il femminicidio, ma anche l’esproprio dalle terre, l’imposizione della miniera, la gentrificazione che ti costringe a vivere per strada, e ormai capisce che è un rapporto che si dà in forme diverse ma a livello globale. È un momento molto importante, per cui se abbiamo i Bolsonaro e i Trump, abbiamo anche una risposta. Anzi, forse i Trump e i Bolsonaro sono loro la risposta: vedo anche la fascistizzazione come una risposta a un forte movimento dal basso. Si rendono conto che il movimento delle donne sta trainando le lotte. Questo è un momento terribile ma c’è anche una grossa agitazione dal basso. Credo che oggi la gran parte del mondo sappia che il capitalismo è un sistema distruttivo, orrendo. Il problema è come organizzarsi.