di Franco Nova
Vide dei lumini lontani, fu incuriosito e si avviò quindi rapidamente per raggiungere il luogo. Non impiegò molto, era anzi strano come la notevole distanza fosse stata percorsa così presto; neanche avesse calzato i famosi stivali delle sette leghe. Arrivato però nel posto, dove erano sicuramente quelle luci tenui, nulla trovò se non l’oscurità più…scura. Vide però in distanza dei fuochi che ardevano e lo incuriosivano ancor di più. Si avviò a passi sempre più rapidi e ratto fu nel luogo avvistato, dove nulla c’era, nemmeno braci semispente, nemmeno mucchietti di cenere. Niente indicava che in quel luogo fosse stato acceso un qualsiasi falò.
Laggiù però in lontananza, sì proprio laggiù, uomini muniti di torce elettriche sicuramente stavano cercando qualcosa; le luci sembravano danzare. Era stanco, ma incuriosito; si mise quindi in marcia nuovamente. Questa volta, la distanza diminuiva con una lentezza esasperante; infine giunse a destinazione e quale fu la sua sorpresa nel non trovare nessuno. Il buio era sempre più fondo. Si accorse del perché: si apriva una galleria, di cui intuiva a mala pena l’entrata. E alla fine di quel lungo budello intravedeva tuttavia l’uscita, incredibilmente luminosa. Soffriva di claustrofobia, non gli erano mai piaciute le gallerie, tuttavia lo incuriosì ancora una volta il fatto che di qua fosse notte sempre più fonda, mentre tutto lasciava arguire che alla fine del tunnel si aprisse una giornata luminosa.
Si fece coraggio e s’incamminò. Fu vicino alla fine della galleria, in effetti l’apertura si era normalmente ingrandita alla vista, e chiaramente là fuori splendeva il Sole. Illuso! Sul limitare dell’uscita, ogni chiarore dileguò, fu nuovamente nel buio. Girandosi, si accorse pur nella notte così improvvisamente calata che davanti a lui esisteva soltanto una pianura deserta. Era stupefatto, incredulo, gli pareva tutto un sogno; non un incubo, nulla gli aveva procurato terrore, ma certamente era stanco, irritato di quell’inutile corsa per raggiungere delle luci mai trovate. Tastò il terreno con le mani al buio, sentì che almeno il terreno era erboso e fresco e si sedette. “Ahi” udì distintamente.
A questo punto gelò, una punta di paura s’impadronì di lui, si alzò di scatto e cercò di individuare su che cosa, o meglio su chi, si fosse seduto. Ritastò in basso, ma trovò sempre il terreno di prima. Si fece forza e chiese: “Chi ha detto ahi?”. “Sono stato io” rispose una bella voce sonora e pastosa. “Non la vedo, mi scusi”. “Non puoi certo vedermi”. Restò sorpreso ma ribatté cortesemente: “In effetti, è molto scuro qui, però la sento a qualche metro di distanza, come posso averle procurato dolore?”. Udì una sommessa risata: “Ho detto ahi solo per avvertirti della mia presenza, ma non puoi vedermi; e non certo perché è buio, semplicemente perché non sono”. A questo punto, si smarrì: “Che significa che lei non è; se non fosse, come potrebbe parlarmi?”. “Ti parlo perché in effetti sono ‘tutte le cose’, ma proprio per questo non sono ‘nulla’”.
Si sentì del tutto confuso: “E’ un rebus troppo grande per me, non si può essere nulla e, nel contempo, tutte le cose”. “Invece sì, ‘tutte le cose’ sono proprio ‘nulla’, perché dire ‘tutto’ in modo indistinto, indifferenziato, è come dire che non c’è ‘nulla’. Tu hai visto continuamente delle luci, ma non hai cercato di pensare veramente che cosa potessero essere, nemmeno ti sei soffermato sul piacere di cui avresti potuto godere nel raggiungerle e distinguerle; hai solo visto, proprio con il semplice senso apposito, che c’erano delle cose, ti ha mosso una generica curiosità; così, ogni volta non hai trovato ‘nulla’, perché in effetti è solo questo che tu hai concretamente cercato, pur credendo di cercare qualcosa”.
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Si svegliò di soprassalto e si mise a sedere sul letto. Era giorno, la sua disadorna stanza piena di luce, nulla si nascondeva ai suoi occhi. Non la guardò però distrattamente come al solito; girò lentamente gli occhi su ogni cosa che vedeva e sull’effetto che gli procurava quell’insieme di oggetti raffazzonati alla bell’e meglio. Pensò che per troppo tempo era vissuto in quella stanza senza accorgersi di quanto fosse spoglia, impersonale, fredda, straniante. “Adesso esco e compro una bella pianta fiorita e la metto su quel tavolo. E’ poco, ma è un inizio. Quando entrerò nella stanza, farò attenzione a quest’imbellimento, ne godrò, mi sembrerà d’essere meno solo”.
Si alzò, si vestì e si preparò ad uscire per tornare presto con il nuovo acquisto. Tuttavia, improvvisamente si bloccò e un pensiero diverso l’assalì. Il suo sogno, se qualcosa aveva voluto trasmettergli, non era certo l’idea di essere solo e in una stanza troppo povera e quasi priva d’arredo. Poteva anche imbellirla con qualcosa di fiorito; e tuttavia non avrebbe risolto il problema che la sua coscienza, nel sonno profondo, aveva sollevato. Intanto, era molto significativo che non si fosse mai posto espressamente quel problema; era dovuta intervenire la parziale sospensione di ogni specifica consapevolezza. Adesso gli sembrava più chiaro (appena un po’, invero) il senso di quel sogno. Egli cercava sempre di evitare qualsiasi fastidio, qualsiasi intoppo che intralciasse il suo cammino nella vita di tutti i giorni. Non voleva pensare a nulla, non intendeva desiderare nulla, aspirare a nulla; troppa fatica, che gli sembrava del tutto sprecata poiché – questa era la sua convinzione – non avrebbe mai risolto nulla anche impegnandosi, dandosi pena del tutto inutilmente.
Questo era probabilmente il Nulla di cui gli aveva parlato la voce uscita da un “signor Nessuno”, del tutto invisibile perché di fatto inesistente; aveva parlato solo la sua coscienza, approfittando dell’assenza di consapevolezza legata al sonno. Essa aveva evidentemente da rimproverargli questa sua completa inedia e disinteresse a tutto nel mentre era sveglio e viveva il suo quotidiano andare. Quel “Nessuno” gli aveva in sostanza ricordato che molte sono le vicende da affrontare invece di scansarle. Il Nulla era creato dal suo disinteresse per le molteplici contingenze che nella vita di ognuno tendono a presentarsi quasi in continuazione; e nemmeno ascoltava, se non per cortesia e con totale disattenzione, quanto gli veniva detto o chiesto dagli altri. Quindi, pur in presenza di quel Tutto rappresentato dalle vicende in cui incappiamo ogni secondo momento, vi era il Nulla del suo scartarle e volerle ignorare. Tutto e Nulla erano appunto compresenti, come gli aveva suggerito la voce di “Nessuno” mentre dormiva profondamente.
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Era proprio soltanto questo il significato del suo sogno? Cominciò a dubitarne; prima lentamente con incertezza, poi con sempre maggiore sicurezza. Anche se lui tendeva a disimpegnarsi, a non affrontare le mille questioni che si pongono sul tappeto ogni giorno, non poteva però evitare di prenderle minimamente in considerazione. Non le cancellava certamente; soltanto non le affrontava e non intendeva scontrarsi con esse. Non esisteva il Nulla, tutto era presente a lui come ad ogni altro individuo nelle sue stesse condizioni, nel suo stesso ambiente. In fondo, veniva a conoscenza delle varie eventualità che capitano nella vita; non farsene coinvolgere non era affatto annullarle. Il Nulla è nulla, non si vede, non si sente, non si tocca. Insomma si ha consapevolezza che non c’è cosa alcuna da poter prendere in considerazione; salvo ovviamente il fatto che non esiste nulla di cui prendere atto. Di conseguenza, il sogno non poteva voler inconsciamente trasmettergli un rimprovero per non aver preso di petto né risolto un bel nulla. Il signor “Nessuno” gli aveva espressamente indicato il problema: aveva in realtà “colto” tutte le vicende capitategli come un tutto indistinto, e per ciò stesso esse erano di fatto un bel nulla. Lui avrebbe piuttosto detto che formavano un ammasso informe, caotico, poco distinguibile nei suoi effettivi componenti. “Nessuno” aveva invece sostenuto che si trattava di un effettivo Nulla. Un bel rebus. Come districarlo?
Era necessario, forse, andare per gradi, non affrettarsi a trovare la soluzione. Innanzitutto, andava presa in esame la distinzione fra le varie cose, che di solito è connessa alla centralità dell’analisi nei processi di pensiero. Non si deve mai procedere ad una sorta di ammucchiata di ogni accadimento. I vari elementi presi in esame vanno poi correlati fra loro, creando così un sistema di relazioni in genere interattive. Questo era stato l’effettivo limite dell’intero suo vissuto. Prendeva atto di tutto quanto gli capitava nella sua esistenza quotidiana; come ogni altro essere vivente. Tuttavia, le diverse contingenze occorsegli erano state affastellate tutte insieme, al massimo ricordando l’ordine cronologico della loro sopravvenienza. Il significato della totalità è allora perso; egli aveva “visto” tutti gli avvenimenti in cui era incappato, senza mai trarne alcun senso complessivo, interrelazionale appunto. Si doveva dunque affermare che quel Tutto vissuto era nel contempo un Nulla. Quegli avvenimenti erano tutti presenti, ma era come se non si fossero mai verificati: tante gocce d’acqua in corsa separata su di una lastra di marmo, che mai si congiungono a formare un vero rivolo; e dunque evaporano e si essiccano in breve tempo.
In questo caso, però, il Nulla è formato dagli stessi elementi (gli eventi vissuti) che danno vita al Tutto; manca solo l’interrelazione sistemica tra di essi, quella che dà un senso al loro insieme, in qualche modo li compatta e ne forma un unico fascio. E’ allora necessario separare gli elementi costitutivi per via di analisi proprio per ritrovare poi il reale significato del loro intrecciarsi e interagire. L’analisi è sussidiaria alla sintesi; ma si tratta di una sussidiarietà sostanziale, non aggirabile tentando di arrivare d’un balzo solo al significato complessivo del Tutto. Senz’altro interessante, si disse il “nostro”; eppure qualcosa manca. Possibile che tra Tutto e Nulla, che debbono essere la stessa cosa pur essendo diversi – a detta del signor “Nessuno” a noi ben noto – ci sia soltanto la mancanza della sintesi tra i loro componenti analitici? A, B, C,…….., N sono appunto componenti del Tutto e del Nulla. Il Tutto però è anche A-B-C-…..-N, dove il trait d’union dà il significato complessivo. Ciò è molto realistico e probabilmente corretto, ma allora Tutto e Nulla sono diversi perché il trattino che unisce (cioè la relazione tra gli elementi costitutivi) è qualcosa di aggiuntivo, è un elemento in più; e di natura differente dagli altri. In definitiva, il Tutto ha un componente in più rispetto al Nulla; e che po’ po’ di componente! Attribuisce il significato complessivo al Tutto. E allora, come la mettiamo? Non riusciva proprio a venire a capo di quel maledetto sogno.
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Esisteva, forse, una sola soluzione, che però gli ripugnava un poco; anche se non comprendeva perché gli producesse tale effetto. Tutto e Nulla sono proprio lo stesso medesimo “insieme”, lo stesso “complesso” di costituenti. Il Nulla è allora esistente tanto quanto il Tutto; semplicemente non è conosciuto. E’ esistente, così come esiste il Tutto, tuttavia non si vede, non si sente, non si tocca, ecc. La sua esistenza non è esattamente la stessa del Tutto; in questo consiste la loro differenza. L’esistenza del Tutto è quella “normalmente” detta reale, in definitiva empirica, verificabile con i sensi. Sì, certamente, ai sensi si può aggiungere il concetto di quel trait d’union che attribuisce il già più volte ricordato significato complessivo agli elementi individuati tramite attenzione analitica. Io vedo Giacomo seduto al tavolo; e questo è “vero”, è sicuramente così, esiste sul serio. Appena più in là vedo Giovanni seduto ad un altro tavolo; e anche questo esiste realmente. Posso pensare al puro caso della loro compresenza (ma del caso si può spesso trovare il senso) oppure attribuisco quest’ultima ad una determinata congiuntura, di cui cerco di chiarire le motivazioni, ecc. In ogni modo, tutti i componenti di quel particolare insieme sono esistenti e visibili; al massimo debbo scoprirne, per via di ragionamenti e collegamenti vari, la relazione, il trait d’union. Questo è appunto il Tutto, nella sua “reale” (sensibile e concettuale) esistenza.
Il Nulla è altrettanto esistente, ma non visibile, non coglibile con i sensi. E nemmeno bastano i semplici collegamenti concettuali. Posso soltanto formulare varie ipotesi senza però mai poterle verificare nella realtà sensibile. Tuttavia, nemmeno è credibile attribuire a questo Nulla, almeno non per sola Ragione, una sorta di presenzialità divina, cui assegno poi tutte le varie qualità che una simile “realtà” dovrebbe avere secondo ciò che io desidero da lei. No, non è questo. Quello che chiamo Nulla è semplicemente una realtà che si manifesta, al livello dei sensi, secondo certi effetti da noi vissuti. Non sono effetti esistenti da sempre – come sarebbe se pensassi il Nulla quale divinità – né prevedibili nel loro completo, esaustivo, effettuarsi durante lo scorrere della nostra vita. Le visioni di Giacomo e Giovanni ai tavoli sono effetti di questa realtà; e così pure lo è il significato concettuale che assegno alla loro compresenza. Quando cominciano a muoversi e magari ad interagire fra loro e con me, si manifesteranno via via mille piccoli effetti che non erano previsti né prevedibili; pur se magari, alla fine del brevissimo periodo del nostro incontro, rileverò che mi sono abbastanza ben orientato circa quanto sarebbe accaduto fra noi.
Dobbiamo allora ammettere che il Nulla non è ciò che normalmente noi crediamo sia. Non è affatto una sorta di vuoto assoluto; anzi è pieno di componenti come il Tutto. Semplicemente essi hanno esistenza diversa. Il Tutto è la compresenza di n elementi conosciuti e possibilmente distinti analiticamente (dove l’analisi procede con partizione dell’insieme secondo criteri determinati in anticipo); elementi conosciuti tramite i sensi accompagnati dall’elaborazione concettuale e riuniti fra loro in una data interrelazione sistemica. Il Nulla è l’ipotesi – non verificabile empiricamente – tramite cui immaginiamo una realtà non conoscibile con certezza (o, detto meglio, tramite esperimenti nel campo dell’empirico), ma i cui effetti supposti sono proprio quel numero n di elementi di cui sopra detto con la loro specifica interrelazione nel Tutto. Sussiste però una differenza.
Si tratta, in definitiva, della differenza tra presente e futuro; dove per presente non dobbiamo intendere il solito “attimo fuggente”, bensì intervalli temporali di lunghezza diversa a seconda degli ambiti di “realtà” da noi presi in considerazione. Il Tutto esiste nel presente; nel senso che noi pensiamo (“costruiamo” via ipotesi) una data “realtà”, i cui effetti ci sembrano coincidere – e di fatto spesso coincidono come Giacomo e Giovanni seduti ai rispettivi tavoli (quanto alla loro relazione bisogna attendere i movimenti futuri di entrambi) – con quelli da noi rilevati empiricamente. Poi, man mano che si entra nel futuro, con tempi di varia ampiezza, sempre quella “realtà” costruita si dimostra insoddisfacente a spiegare quanto noi avvertiamo con i sensi ed elaboriamo concettualmente a partire da questi.
Allora la vera realtà è il Nulla che sempre si distende nel futuro. Nell’intervallo temporale pensato come presente noi “costruiamo” il Tutto a seconda delle sensazioni empiriche da noi rilevate e accompagnate da una serie (lineare o ramificata) di argomentazioni dette logiche. Questa “costruzione” ha elementi indubitabili (Giacomo e Giovanni ai tavoli) e correlazioni meno certe; in ogni caso è un Tutto che ci si presenta con l’intera sua consistenza sensoriale. Poi, il tempo passa e questo Tutto diventa assai più incerto, si va sgretolando o comunque vi si aprono crepe e vi si insinuano nuove problematiche. Ed è il Nulla, pur esso esistente e nient’affatto vuoto, che si fa presente in modo sempre più assillante fino ad annullare certezze o a modificare comunque ampiamente le nostre stesse percezioni. Anche i sensi “sentono” diversamente; almeno così noi crediamo.
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Che fosse infine questo il senso di quanto gli aveva detto il signor “Nessuno” nel sogno? Doveva ripensare la sua vita, così com’essa si era sempre svolta. In effetti, dovette ammettere che non si era mai soffermato sul futuro e sulla possibilità che questo modificasse la percezione ch’egli aveva di questa sua vita; e dunque, infine, provocasse il mutamento più o meno radicale della stessa. Aveva sempre vissuto nel presente (il Tutto) e, di conseguenza, non si era mai praticamente accorto dei cambiamenti. Beh, per la verità, qualche volta aveva avuto tale sensazione e ne era rimasto sempre insoddisfatto; ma erano state labili percezioni del tutto passeggere. Il sogno gli suggeriva, forse gli imponeva, un mutamento di “passo”; doveva vivere con più ampi orizzonti, con una qualche lungimiranza. Questo il rimprovero della sua coscienza….. incosciente. Doveva accettarlo? Si prese tempo.
Uscì di casa, tutto ben rasato e profumato come dovesse andare all’incontro con qualche persona interessante (non certo del suo sesso, perché era piuttosto “demodé” come gusti). Andò al solito bar, vide fuori del suo ingresso il solito “barbone” cui diede un euro, entrò e consumò i soliti cappuccio e brioche. Ovviamente, nessun significato nuovo si presentò a lui mentre ripeteva la sua abitudinaria giornata. Essendo uscito ad un’ora insolitamente tarda rispetto agli altri giorni, si avvide, appena appena, di incontri un po’ diversi dal solito; niente però di particolare. Così pure quando andò dal giornalaio, scambiò le usuali due parole con alcune persone conosciute ormai da chissà quanto tempo. Insomma, come tutti i giorni. Infine decise di prendere l’autobus per una località molto vicina, in cui si trovava un delizioso laghetto dalle acque blu (beh, nelle giornate serene, ovviamente).
Vi arrivò, vi era pochissima gente e così si sistemò al suo tavolo abituale sulla veranda del locale che “serviva” quel minuscolo lago. Ordinò birra e anche un buon tramezzino con uova e tonno, poiché quel lungo rimuginare gli stava facendo sentire un discreto vuoto nello stomaco. Alzò gli occhi al cielo quando glielo portarono dato che non si era ricordato che su quel tramezzino veniva messo sempre un bel pizzico di pepe; gli piaceva ma gli faceva male. Tuttavia, per una volta….. In fondo era una giornata speciale; aveva pensato quasi tanto quanto in tutto il resto della sua monotona vita. Era veramente stufo di tanti ragionamenti; aveva dato fondo ad ogni risorsa di intelligenza che aveva depositato nel suo cervello a poco a poco durante quasi cinquant’anni di superflua permanenza su questa terra, così tanto popolata da gente assai poco diversa da lui.
Senza tanto pensarci sopra decise che non avrebbe dato seguito ai più o meno impliciti suggerimenti del “signor Nessuno”. Avrebbe rifatto sogni del genere? Ne dubitava, era il primo in così tanto tempo di vita. Comunque, fosse anche accaduto, sarebbe rimasto sordo ai richiami inconsci della coscienza. Lui viveva bene così, sempre nel presente, quindi – se aveva ben capito la lezione – nel Tutto. Del Nulla non sapeva che farsene. D’accordo, sarebbe intervenuto mutando i dati della situazione presente. E allora? Tanto poi avrebbe ripetuto i soliti gesti di tutti i giorni, pronunciato le stesse frasi senza senso alcuno, e così si sarebbe ripreso in carico il Tutto. La “sonnolenza” giornaliera è così piacevole, figuriamoci se vale la pena di “svegliarsi”. Basta, basta, si sonnecchi anche in pieno giorno senza cercare alcuna novità. Va bene, poi capitano egualmente e, a volte, sono anche poco piacevoli. Ci passiamo sopra e ritorniamo sempre all’abitudinario.
Vide qualcosa che si muoveva nell’acqua azzurra (il tempo era buono). Aguzzò lo sguardo e si avvide che erano due trote che saltellavano nell’acqua e sembrava quasi che giocassero fra loro rincorrendosi. Fu sorpreso, non sapeva che nel lago ci fossero pesci. Interpellò la cameriera e chiese spiegazione del fatto. Era molto semplice: a poche decine di metri vi era un allevamento di trote; quando un certo numero d’esse era ben cresciuto, aprivano una piccola chiusa e così passavano di qua. Scivolavano dentro anche quelle non ancora abbastanza “adulte” (diciamo così), ma non era certo un problema. In genere, erano proprio le più grosse a farsi strada per prime (come nella vita degli uomini, concluse il nostro). Pensò che questa era una novità (e piacevole) che si era introdotta nel suo normale Tutto presente. Perfetto, adesso faceva parte di quest’ultimo; e non meditiamo su altro. Pienamente soddisfatto, così com’era pienamente inutile al mondo, si accomodò meglio sulla sedia e continuò a seguire il saltellio delle trote.
APPUNTI SU «C’È TUTTO E NON C’È NULLA»
1.
Dapprima una ricerca senza esito. Lumini, fuochi, torce elettriche, la luce che pare venire dal fondo di una galleria. Ma ogni cosa scompare appena ti avvicini. Buio e solitudine. Poi l’incontro con «un “signor Nessuno”, del tutto invisibile perché di fatto inesistente» – che si propone come risultato (o destino) di ogni ricerca.
2.
Seconda scena. Il risveglio del protagonista (anonimo, socialmente indefinito, senza età) in una sua stanza «spoglia, impersonale, fredda, straniante» (molto intellettuale e “tedesca”). L’intenzione di uscire per andare a «comprare una pianta fiorita da mettere sul tavolo» e abbellire la stanza (un gesto di gentilezza e di apertura la mondo, almeno a quello naturale). La rivelazione improvvisa del senso del sogno della prima scena: «Non voleva pensare a nulla, non intendeva desiderare nulla, aspirare a nulla». (Siamo nel gorgo del nichilismo filosofico).
3.
Terza scena. Un inizio di movimento (sempre mentale, di pensiero): il protagonista dubita della interpretazione che ha dato al suo sogno. No, non esiste il Nulla. Le vicende (non una nominata o precisata, però…) che gli erano capitate (quando? dove?) gli erano parse «un bel nulla» perché si erano presentate (o lui le aveva vissute: ma per quali motivi?) come «un ammasso informe, caotico, poco distinguibile». Scatta -altro movimento – il proposito attivo di analizzare quelle vicende, di metterle in relazione, di cogliervi un «senso complessivo, interrelazionale». E qui una bella immagine metaforica: prima le vedeva come « tante gocce d’acqua in corsa separata su di una lastra di marmo»; ora dovrebbero/potrebbero congiungersi fino a «formare un vero rivolo», una «sintesi», un senso. Il Tutto (le vicende) e il Nulla gli appaiono diversi ma da porre in relazione:« il trattino che unisce (cioè la relazione tra gli elementi costitutivi) è qualcosa di aggiuntivo, è un elemento in più». Sembra l’inizio di una possibile dialettica. Ma per il momento il protagonista si attesta sul terreno analitico: definire le differenze tra Nulla e Tutto:
– Il Tutto è identificato con ciò che “normalmente” chiamiamo realtà, quella empirica, verificabile con i sensi ( e siamo, direi, al saldo sensismo sette-ottocentesco); ed « esiste nel presente»; ed è nel presente che « noi “costruiamo” il Tutto a seconda delle sensazioni empiriche da noi rilevate»;
– Il Nulla (che- viene precisato – esiste come esiste il Tutto e che, tra l’altro, non è affatto « vuoto assoluto») è il non conosciuto, il non visibile, il non coglibile con i sensi. È per caso Dio? No, « è semplicemente una realtà che si manifesta, al livello dei sensi, secondo certi effetti da noi vissuti»; solo se tali effetti esistessero «da sempre» si potrebbe pensare «il Nulla quale divinità»; dunque, in fondo, «il Nulla è l’ipotesi – non verificabile empiricamente – tramite cui immaginiamo una realtà non conoscibile con certezza»; ed ha a che fare col futuro («si distende nel futuro», ma forse anche nel passato, aggiungerei io), poiché, col passare del tempo il « Tutto diventa assai più incerto, si va sgretolando» e succede che «il Nulla, pur esso esistente e nient’affatto vuoto, che si fa presente in modo sempre più assillante».
4.
A questo punto il protagonista sembra scoprire qualcosa che riguarda lui, il soggetto pensante: «s’accorge di aver escluso il Futuro, il Nulla dalla sua vita». Aveva sempre vissuto nel presente (il Tutto) e, di conseguenza, non si era mai praticamente accorto dei cambiamenti. Adesso il sogno, che nella prima interpretazione pareva solo confermargli che egli «non voleva pensare a nulla, non intendeva desiderare nulla, aspirare a nulla», sembra suggerirgli o quasi imporgli « un mutamento di “passo”». Quasi gli dicesse: dovevi «vivere con più ampi orizzonti, con una qualche lungimiranza». È il momento più drammatico del dilemma. Accettare o no questo rimprovero (o questa possibilità)?
5.
Il protagonista si prende tempo. Dopo tanti ragionamenti torna ad immergersi nella vita quotidiana e comune: esce, dà l’elemosina al barbone, va dal giornalaio, poi al bar; e infine prende l’autobus per andare a vedere « un delizioso laghetto dalle acque blu». E qui, guardando due trote che danzano nell’acqua, esce, senza dare troppe giustificazioni o motivazioni, dal dilemma e prende la sua decisione: « sarebbe rimasto sordo ai richiami inconsci della coscienza. Lui viveva bene così, sempre nel presente, quindi – se aveva ben capito la lezione – nel Tutto. Del Nulla non sapeva che farsene».
6.
Il racconto ha ben poco di narrativo. L’ambientazione è astratta e stilizzata. Tutta l’attenzione è concentrata sul dramma filosofico del protagonista ( in cinque atti, se non sbaglio). Il rigore dei ragionamenti introduce un elemento di secchezza; e anche, per la mancanza di altri personaggi, un senso di claustrofobia e solipsismo. In filigrana mi pare d’intravvedere vecchie problematiche filosofiche: – esistenza o meno di Dio; – nichilismo assoluto o relativo; – contrasto tra pensiero materialistico (o sensista) e pensiero dialettico; – contrasto tra coscienza e inconscio. Ma l’astrattezza sia pur lucida di queste problematica non mi prende. Questo Tutto e questo Nulla restano, mi pare, puri concetti. E se il Nulla in qualche modo ha una voce, un tentativo di personificazione, Il Tutto non si presenta. E la stessa cosa accade per il Futuro. Mi pare poi schivato – e invece avrebbe potuto avere effetti positivi anche sul piano narrativo – proprio il punto in cui si affaccia l’ipotesi del «mutamento di passo», che, trascurando l’elemento doveristico che pare accompagnarlo («vivere con più ampi orizzonti, con una qualche lungimiranza»), forse poteva/potrebbe indurre ad un ripensamento più pacato, concretamente biografico-storico del Tutto e del Nulla; e anche ad un movimento che non vedo nella scelta finale, decisamente contemplativa, di ammirare «il saltellio delle trote». Ma questa è forse solo indebita attesa di un lettore che non riesce ad entrare del tutto nel mondo dell’autore.
Non posso dire niente sul Nulla e sul Tutto descritto dall’autore perché non ho capito nulla del tutto. E questo pur avendo letto le note di Ennio Abate. Mi ha incuriosito la frase di James Joyce in intestazione (una traduzione in spagnolo o scritta dall’autore in spagnolo? Profondo dilemma!). Ovviamente il passato è esistito e il futuro ha una probabilità di essere e quindi, in un certo senso, esistono. Penso che anche l’autore se ne rendesse conto. Per me l’unico senso sensato di questa frase è che entrambi passato e futuro, sono elaborazioni della nostra mente che viviamo nel presente. Presente che in realtà ognuno interpreta come un intervallo temporale di durata personalizzata, perché nel momento che lo pensiamo è già passato mentre un attimo prima era futuro.
Mi ricorda un’iscrizione che vidi scritta dentro una meridiana a muro
Transeunt omnes
ultima necat
Cur petis horam?
Dum petis
ipsa fugit
Tutte trascorrono
l’ultima uccide
Perché chiedi l’ora?
Mentre la chiedi
essa è già passata
Sarà proprio questo che voleva dire Franco Nova?
in un certo senso è anche divertente. Diciamo che c’è il senso dell’umorismo. Chi scrive pensa di aver vergato cose non proprio semplicissime ma abbastanza comprensibili; e si accorge che invece non deve essersi spiegato proprio per nulla. Comunque rileggerò e poi, ma solo quando ho un po’ più di tempo e sto un po’ meglio, magari farò due linee (beh, ce ne vorrebbero quattro).
Provo a dire la mia, sinteticamente: il Nulla e il Tutto notoriamente coincidono. Sta al singolo comprendere, nella sua vita privata che continuamente egli stesso crea, cosa sia parte dell’uno e dell’altro: instaurando questa divisione fra i due concetti, che è solo personale. E che si basa sulle sua sensibilità, capacità, esperienze…
Ma questa può essere più la mia visione del problema, che la comprensione del reale contenuto del racconto.
…è un racconto-riflessione che non capisco interamente, ma mi trasmette delle suggestioni. Ad esempio il sogno, dove la luce degli occhi ( o della ragione) del protagonista si proietta come faro nel buio ad illuminare sempre qualcosa di distante e di indistinto che, una volta raggiunto, si rivela del tutto oscuro, la luce a spostarsi di nuovo e di nuovo…Mi ricorda certi giochi infantili, quando un bambino dispettoso proiettava una luce baluginante con uno specchietto rivolto ai raggi solari sulle pareti di casa ed un altro a cercare invano di afferrarla…L’arrivare sempre in ritardo nella conscenza mi ha ricordato uno scritto di G. Lagrassa dal titolo: ” Sempre in coda al flusso “reale”, incomprensibile” , cioè il nostro essere all’inseguimento continuo della conoscenza del reale, che tuttavia sempre ci sorpassa. In questo racconto forse si ripresenta il tema nel rapporto tra il “Tutto” e il “Nulla”, il primo collocato nel presente, il secondo nel futuro come ipotesi di pienezza di conoscenza…Sempre forse, il saltellare giocoso delle trote nel laghetto è come una felice ricomposizione
Brava Annamaria! Infatti il racconto fa da supporto a quello scritto da lei citato (che è messo come conclusione del libro segnalato qui sopra). Ripeto che autore del libro e protagonista del racconto (insomma un po’ poco racconto, sono d’accordo con Ennio) stanno in opposizione. Di fatto, ho antipatia per gli imbecilli che non pensano mai a nulla se non al brevissimo “tratto di strada” che stanno percorrendo in quel momento. Il sogno (che il protagonista è certo non si ripeterà più; e ha ragione) lo sveglia dall'”imbecillità” e lo spinge a pensare. Che fatica, però; in effetti, non riesce a fermarsi con sicurezza su una ipotesi interpretativa; e poi, spossato, manda al diavolo “chi” l’ha fatto sognare e sceglie ….. le “trote”
E’ però La Grassa, staccato
…mi scuso per l’errore del nome, che qualche volta mi capita
non è importante; ho fatto solo una precisazione, niente di particolare
spero che nessuno (ed Ennio in particolare) me ne voglia, ma metterei questa videointervista (è di fatto una sola) che serve a spiegare in parte il libro in questione. Quest’ultimo ha però come conclusione il pezzo su “Sempre in coda al flusso reale, ecc.”. Forse una complicazione interpretativa in più. Prima o poi prenderò in mano la penna e spiegherò meglio il senso dell’insieme.
http://www.conflittiestrategie.it/gianfranco-la-grassa-e-il-conflitto-a-creare-la-societa-parlando-del-nuovo-saggio-tarzan-vs-robinson-piazza-editore