Dialogando con il Tonto (3)
Sono a casa, è sera. E’ stata una giornata faticosa. Ho dovuto fra l’altro resistere a un assalto del mio amico Tony che, può sembrare incredibile, è riuscito a scovarmi anche una delle poche volte che ho messo piede in un supermercato.
Tornato a casa ho svolto il mio lavoro usuale, leggere e così sono riuscito a tirar sera senza altre sgradevoli sorprese. Sono seduto sulla mia Monk, ma sì l’avvolgente poltrona inglese che ti da l’idea di essere una specie di nobile d’altri tempi, con fra le mani uno di quegli affascinanti volumi che ti permettono di vivere un quarto d’ora di sogno. Si tratta di un catalogo d’arte dedicato a , Hiroshige. Il maestro della natura, uno dei massimi interpreti dell’ukiyoe, attivo nel Giappone della prima metà del XIX secolo.
Che dire, mentre ti passano fra le mani immagini fatate, fiori ed animali che nei loro colori rutilante offrono un senso di una vitalità che sembra trascendere la stessa forza della natura. La mano di Hiroshige è riuscita a dare vita a uccelli che appaiono paradisiaci nella libertà dei loro movimenti. Mi passano fra le mani immagini di falchi pieni di fiera nobiltà, di fagiani beati nello splendore dei loro colori e rimango senza parole mentre guardo un Gufo su un acero sotto la luna piena. E’ un’immagine talmente bella da lasciare senza respiro, il gufo è accovacciato, una vera e propria palla di piume, con gli occhi chiusi ma con una posa talmente nobile e dignitosa da sembrare quasi una divinità …
Sono lì che lo guardo rapito e non riesco a decidermi di andare a sfogliare le altre pagine quasi mi fossi liberato, almeno per un attimo, da quel vincolo di materialità che ci lega indissolubilmente ai ritmi del quotidiano quando … vengo risvegliato dal trillio del telefonino, il solito Samsung a cui sono indissolubilmente legato da un rapporto di servaggio.
Rispondo o non rispondo?
Ma alla fine cedo e schiaccio il fatidico tastino virtuale:
“Ti disturbo – mi dice una voce dall’altro capo del telefono – Lo so che è un pochetto tardi e oggi ho già superato la dose che sei disposto ad accettare ma … è cosa urgente, almeno dal punto di vista della mia spiritualità…”.
“Non sapevo Tony – gli rispondo – che tu avessi una spiritualità e poi sì, ti sembrerà incredibile ma mi rompi proprio. Ero quasi in uno stato di estasi e non avevo proprio bisogno di sentire ancora la tua voce. Poiché, nonostante tutto, non ho dimenticato le regole dell’amicizia, anche se la tua è qualche volta pesante … dimmi qual buon vento ti spinge a telefonarmi la sera quando dovresti ben sapere che non voglio proprio essere disturbato?”
“Ricordi che oggi abbiamo parlato del caso Brievick. Bene destino vuole che nel pomeriggio mi sia imbattuto in una petizione scritta da Ilaria Cucchi e la cosa mi ha molto turbato. Cosa vuoi non sapendo cosa fare ho deciso di chiederti un parere. Intanto non mi costa nulla e in più ti offrivo l’occasione per continuare la tua opera pedagogica … Unendo in tal modo due buone azioni …”.
Lo sentivo ridacchiare al telefono e avrei volentieri inveito ma ormai è troppo di moda e allora ho cercato di trattenermi: “Cosa c’è di particolare nel caso Cucchi, i fatti sono noti e non mi pare vi siano novità … Se non lo conosci basta che vada su Wikipedia e ci sono tutte le informazioni anche quelle adeguate per una intelligenza da falco come la tua …”
“Fosse tutto così semplice – mi aggiunge e qui inizio a soffrire perché mi rendo conto che mi sta incastrando – La signora Cucchi dopo aver ricordato suo fratello «”famoso” perché morto tra sofferenze disumane quando era nelle mani dello Stato e, soprattutto, per mano dello Stato» ha ribadito la sua richiesta che è in sé semplice: introdurre anche in Italia il reato di tortura. A suo dire siamo il solo paese d’Europa, in barba alla legislazione comunitaria, che non riconosce tale reato; lei parla esplicitamente di “brutalità di Stato” che bisogna impedire che si ripeta. Fin qui tutto normale se non fosse per il rosario di nomi che ha poi presentato: Giuseppe Uva, Federico Aldrovandi, Riccardo Magherini. Tutti morti in circostanze se non altro grandemente sospette e con le istituzioni che hanno svolto il solito lavoro di insabbiamento. E’ qui che mi vengono i dubbi e sono due. Il primo è banale: sono tutte persone normali, mica casi politici, non sono dei Giuseppe Pinelli o casi eclatanti di conflittualità fra stato e società. E’ proprio la forma più intollerabile di violenza di Stato, e mi è tornato in mente il tuo Jean Calas … Poi ciò che mi ha colpito è il parallelo che Ilaria Cucchi ha fatto con il caso Regeni … E ciò mi ha turbato. Ho forse torto?”.
“Che dire caro Tonto questo è un paese strano, miseria e nobiltà in un intrico indissolubile, storicamente indissolubile. Cosa vuoi la violenza di Stato contro i ceti subordinati è stata fin dal 1861 caratteristica peculiare di questo Stato. E’ cambiata la forma istituzionale, dalla monarchia alla repubblica, ma mai la sostanza, almeno fino in fondo. Alla liceità per le forme più incredibili di corruzione e di malversazione compiute dalle classi dirigenti, nei confronti delle quali lo Stato è sempre stato indulgente, è corrisposta una violenza manifesta nei confronti del mondo popolare. I ceti subordinati sono sempre stati trattati con violenza, sia per ciò che riguarda la dimensione del confronto politico-sociale sia per ciò che riguarda il rapporto con il singolo individuo che non segua le norme statuite, fino a giungere a forme di violenza personale gravissime e gratuite come quelle citate dalla signora Cucchi che sembrano voler riaffermare una funzione di disciplinamento di cui lo Stato si erge a custode. Perciò nulla di particolarmente nuovo … Una tragedia che continua e che forse è insita nelle regole di uno Stato che in molti casi dell’abuso delle polizie fa una sua regola di vita”.
“Ok, potrei fin comprenderlo – insinua il Tonto con dire mellifluo – accettarlo mai. Potrei cercare di intendere la logica hobbesiana dello Stato pur rifiutandola, ma il caso Regeni?”
Il vigliacco ha capito che è la nota dolente … E’ intuitivo e sempre pronto a fiocinarmi come Acab ma io sono a mio modo la Balena Bianca e non sono disposto a arrendermi, allora gliela dico tutta:
“La vuoi sapere? E’ davvero un caso interessante, anche perché mettersi a livello dell’Egitto e poi fare la voce grossa è qualche cosa che sa di XIX secolo, di colonialismo bello e buono. Ma le cose stanno purtroppo proprio così. Chiediamo giustizia, ed è doveroso che lo si chieda, a un paese che consideriamo chiaramente inferiore a noi per livello di «civilizzazione» e poi a casa nostra ci comportiamo fin peggio. Bell’esempio della nostra civiltà giuridica … Ma come ho già detto nobiltà e miseria di una grande cultura, perché nonostante tutto la nostra rimane una grande cultura. Potrei fin aggiungere che anche con l’introduzione di un nuovo reato il rischio è che poco cambi. Lo Stato non si autocondanna se non in casi estremi e di fronte a forze che glielo impongono. Solo in una nuova società più alta, se così possiamo dire, le cose potrebbero mutare ma è un discorso a venire. Hiroshige e il suo meravigliosi lavori mi attendono.
Piuttosto calma i tuoi dispiaceri andando a guardare una selezione di ukiyoe … nell’arte troverai forme di appagamento che certo non ridaranno vita a quei poveretti ma consentono di continuare a sperare nella vita”.
“Accetto il tuo consiglio, firmo l’appello di Ilaria Cucchi e poi vado a vedere su internet qualcuno di quei disegni che darebbero, a tuo dire, tanta pace d’animo … Alla prossima e non sperare di salvarti, ti sono alle costole”.
Finita la telefonata ho ripreso fra le mani il libro. Certo guardare con calma, sfogliando una pagina dopo l’altra, ti da una sensazione che mai si potrà provare davanti a uno schermo. Guardo Le vie di Tokyo, La via verso Kyoto, mille altre vedute di quella terra lontana e quasi mi dondolo in un sogno, un sogno di vita e di speranza.
(28 aprile 2016)
*Questo articolo è già apparso su “POLISCRITTURE FB”
…possiamo immergerci nella considerazione degli orrori, senza uno scudo, un riscatto che ci convinca a sperare ancora nella vita? Il prof. sta ammirando le meravigliose opere d’arte di un maestro della natura giapponese, nelle ore precedenti il sonno…Così Tony il Tonto, solitamente inopportuno ed invadente, questa volta sembra aver scelto il momento giusto per sottoporre al professore un argomento davvero terribile ed inquietante: la tortura da parte della polizia nel nostro paese, che si dichiara stato di diritto, nei confronti di “persone normali, mica casi politici”, come Stefano Cucchi…e come non si differenzi il comportamento criminale di stato in Italia o in Egitto, se si pensa a Giulio Regeni, per il quale qua da noi si parla giustamente di barbarie e si chiede chiarezza e giustizia…Un paese strano il nostro, commenta il prof., dove si dimostra la massima indulgenza per i politici indecenti e corrotti e la più crudele spietatezza nei confronti di persone del popolo…
Quest’ultima considerazione mi ha ricordato che già A. Manzoni nei Promessi Sposi riferiva alla dominazione spagnola in Italia del ‘seicento le stesse caratteristiche: debole verso i prepotenti e prepotente verso i deboli…Non un passo avanti?