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di Ennio Abate
Questo post inaugura una nuova rubrica “Immagine ↔ Parola”. (Il segno ↔ indica moto reciproco e distinzione). In essa, come già accade per la rubrica “Lettura d’autore” destinata ai testi scritti, verranno ospitate delle ‘letture d’immagini’. Era un’idea che avevamo pensato di realizzareagli inizi di “Poliscritture” ma che poi non ha avuto seguito. Tuttavia almeno una volta pubblicammo una bella lettura de “La Madonna del solletico” (qui) di Augusto Vegezzi, che è in piena sintonia con questo progetto e aiuta a precisarlo. Altri aspetti saranno vagliati mano mano su questo sito ma anche in un altro Gruppo FB che si chiamerà anch’esso, come questa rubrica, “Immagine ↔ Parola”. Spero di trovare qui e su FB persone motivate a collaborare. Per ora pubblico i commenti arrivati finora su “Poliscritture FB” che mi hanno incoraggiato a rilanciare quell’idea. In ‘Appendice’ altre due immagini citate nella discussione. [E. A.]
Commenti
Paolo Ottaviani Come nella teoria della deriva dei continenti si immagina una unitaria, compatta Pangea, così in alcuni disegni e in alcuni quadri di Ennio Abate si realizza, pur nel perenne movimento, una straordinaria, originale, statica e dinamica insieme, unità di uomini e di animali, di natura e di storia… essere e divenire miracolosamente convivono pacificati nella maestria della sua arte… ed è proprio in questa nobilissima attività artigianale fatta di linee e di colori che, a mio parere, meglio si chiude e trova il suo più naturale compimento lo iato che dilania l’Ennio Abate scrittore e saggista…qui infatti, vergati da matite e pennelli, ci vengono elargiti i suoi doni più preziosi…
Lucio Mayoor Tosi Malgrado le giuste osservazioni di Paolo Ottaviani, da astrattista dico che la mia attenzione è qui richiamata sulla finissima trama di linee che stanno sul fondo; una ragnatela che pare fatta d sottili fili di ferro – che nella parte bassa mi fanno pensare ai tratti di Licini. In questo fare non ci trovo il pensamento che segue, quel figurativi stilizzato che pur tuttavia Paolo ha così bene interpretato. Preferirei che le figure nascssero da quel disegno, non ricavate da un pennello-forbice, attraverso il segno libero portato a oltranza finché le figure appaiono: e lì tirarle fuori. Il mix non mi convince, anche se riconosco la buona impaginazione; e qui anche una maggiore libertà. O forse si tratta solo di questo, di libertà: caos che cerca il proprio equilibrio. Ma forse Ennio ha iniziato il disegno avendo in mente un ricordo, una scena campestre di donne e animali, e di alberi. Però, in questo caso, si è un po’ illustratori. Intendiamoci, è solo il mio punto di vista, come ho detto, quello di un astrattista.
Annamaria Locatelli …un disegno dove emerge una trama in formazione ma anche in disfacimento: i fili sono tessuti da mani sapienti, ma timorose di una vita che si forma, cellula su cellula, ma già si disgrega davanti ai proopri occhi…c’è pietà e disperazione. Come una vetrofania in un luogo sacro, lo sfondo di una luce primordiale, la donna sfiora ma non arriva ad accarezzare l’animale, forse un tempo feroce, come il lupo di Gubbio…Tra loro una tensione incolmabile, che tutto comprende del paesaggio
Lucio Mayoor Tosi Analizzando invece le figure, a me piace la mano sul grembo della donna che accarezza il cane, o il lupo come dice Annamaria: è a posto ma fuori posto; come anche la linea bianca che attraversa il muso del cane/lupo, perché lo sdoppia. Le figure sono tra loro separate, come nell’iconografia egizia: questo mi fa pensare che c’è dell’indicibile nei sentimenti. Mi piace meno la figura a sinistra, in primo piano perché fa da quinta, cioè pone una prospettiva che non sento necessaria. Sopra dicevo dei bassorilievi egizi, ma si potrebbe anche parlare di Giotto (prima della prospettiva).
Lucio Mayoor Tosi Non azzardo una valutazione critica, non è il mio mestiere, ma ho sempre pensato che le opere di Ennio abbiano a che fare con la rappresentazione, in specie il teatro. Ma poiché le immagini sembrano “trovate” diventa problematico far corrispondere la composizione con il limite imposto in partenza della superficie; per questa ragione spingerei maggiormente sull’acceleratore della libertà espressiva e compositiva: non per mettere ordine ma disordine. Bel conflitto per un uomo come Ennio, così dedito a voler comprendere e allo stesso tempo a voler rivoluzionare…
Sempre molto prezioso il pensiero di Abate spinge tutti alla riflessione.
Non illude. Scuote .
Il centro di equilibrio del disegno, infatti, è costituto dal contrasto della mano della donna seduta, che si stende sopra il muso dell’animale, risultandone due versi contrapposti.
La dinamicità della composizione, come anche nel quadro del cavaliere è, nell’insieme, molto accentuata, eppure le direzioni del moto sono retroverse l’una rispetto all’altra, si potrebbe quasi riassumere così: grande è il disordine sotto il cielo e la situazione è, forse, o potrebbe o dovrebbe essere, eccellente.
Emilia Banfi Ho corretto alcuni errori del mio precedente commento. Mi scuso.
E mi verrebbe ora quasi da proporre un altro Gruppo FB o rubrica di Poliscritture sito (titolo possibile IMMAGINI/PAROLE) con lo scopo di approfondire la pratica e la riflessione critica su tale problematico legame. (Mi direte, se ci fosse, la vostra disponibilità in privato).Nel merito:@ Paolo OttavianiSì, c’è il movimento, non so se «perenne», più probabilmente inquieto; e proprio perché, quando parte – col gesto della mano che lo inizia sul foglio, sulla tela o sulla tavoletta Wacom che ho imparato ad usare nel programma Paint del PC – non sa dove andare. Non è cioè collegato chiaramente e in modo pre-meditato a un’idea, a un’ “immagine dal vero” (che so la modella, degli oggetti da copiare o rappresentare, ecc.). La va semmai a cercare proprio con l’*avventura* del gesto, che all’inizio produce solo uno *scarabocchio* momento).
La va a cercare (l’immagine o l’idea) dove? A volte mi sono detto: nella memoria “personale” (di quel che ho visto, sentito dire, immaginato, pensato in passato). Ma devo riconoscere che resta vaga e aleatoria l’analogia che riesco a stabilire tra una determinata figura, che, lavorando con le linee e i colori (cancellando, spatolando, ricoprendo strati di colore precedentemente usati) ad un certo punto si precisa (e un po’ mi soddisfa tanto da mantenerla e definirla e poterla chiamare con una parola quasi sempre comune: ‘donna’, ‘animale’, ‘cavaliere’ ad es.) e l’immagine di una persona o luogo o oggetto che ho incontrato in un determinato periodo della mia vita.
Altre volte ho pensato – un po’ in automatico in verità – che quello *scarabocchio* funzioni, nel mio caso, come le macchie di Rorschach cioè come stimolo all’emergere dii immagini presenti nel subconscio o inconscio (personale? collettivo? archetipico?).
Sono tutte autospiegazioni approssimative e che mi lasciano incerto e anche sospettoso. Per le riserve – e qui entra in gioco qualcosa che ha, sì, a che fare con quello che a te pare « lo iato che dilania l’Ennio Abate scrittore e saggista» – che ho accumulato nei confronti di quel che a me paiono concezioni riconducibili al platonismo, allo junghismo o allo spiritualismo. Su questo retroterra filosofico un confronto approfondito sarebbe per me utile. Anche perché quello «iato», maturato soprattutto tra letture e scritture, mi pare valido quanto la prosecuzione di questa mia «attività», più che «artigianale» in fondo semi-privata e fuori mercato. E, come detto nella presentazione del Narratorio di T.N. linkato, me lo tengo: « Per me e per ora scrittura e pittura rimangono inquietamente vicine; e forse è meglio che Tabea Nineo resti in fraterna o rissosa convivenza con Ennio Abate».@ Lucio Mayoor TosiLa genesi delle mie figure è, come ho appena detto, problematica, ma comunque va cercata – credo – nello *scarabocchio* o «caos». Quindi niente di premeditato: in partenza – per quel che riesco a capire dei processi che precedono o accompagnano l’*avventura* del gesto, neppure «un ricordo» o « una scena campestre di donne e animali, e di alberi». Semmai questo o questa viene *dopo*, come possibile interpretazione più o meno azzeccata. ( Vedi i tuoi rimandi ai «tratti di Licini» o ai bassorilievi egizi o a Giotto pre-prospettiva; le associazioni alle vetrofanie di Annamaria Locatelli). Quindi l’ipotesi che queste mie siano illustrazioni, cioè descrizioni di qualcosa che precede o preesiste, reggerebbe, se appunto io partissi da un modello, da un’idea, da una figura percepibile con la vista o fotografabile.
In effetti la domanda più interessante sarebbe proprio questa: cosa precede la costruzione dell’immagine che ad un certo punto – e solo ad un certo punto – io ( quale io?) tiro fuori dallo *scarabocchio*?
L’ altra ipotesi (che i miei disegni o dipinti «abbiano a che fare con la rappresentazione, in specie il teatro») si presta alle stesse obiezioni che ho appena fatto per l’illustrazione. Il teatro mi è sempre piaciuto ma non ho mai avuto le opportunità né di farne né di seguirlo.
Ennio Abate @ Emilia Banfi
Qui siamo nel campo delle interpretazioni, che dicono più dell’interprete o dell’opera interpretata? Perché si tratterebbe di un «lupo che vorrebbe tornare etc»?
Perché « Il tratto deciso, quasi nervoso, contrasta con le immagini»?
@ Cristiana Fischer
Anche qui siamo nel campo delle interpretazioni. È un buon abbozzo di quell’analisi puntigliosa di un’immagine che una volta avevamo ipotizzato nella redazione di Poliscritture ( ma poi s’è persa per strada…); e che potrebbe essere un equivalente della rubrica «Lettura d’autore» dedicata ai testi scritti. Già più varia l’interpretazione della fugura dell’animale rappresentato ( o alluso? o recuperato?). Non saprei dire della spinta «verso il futuro». Mi sa troppo di echi dell’analisi benjaminiana dell’ «Angelus novus» di Klee. E pure il richiamo al detto maoista purtroppo mi pare oggi consolatorio.
Ogni interpretazione è logicamente personale. Un giorno il grande Fellini disse: i critici trovano nei miei film ciò che io non avrei mai voluto dire eppure loro l’hanno trovato ma sono felice ugualmente nel sapere che le mie ope…Altro…
Naturalmente il fatto che noi scriviamo da sinistra a destra, e non da ds a sin come chi usa l’alfabeto arabo, o dall’alto in basso e poi da sin a ds come per gli ideogrammi in Cina, rinforza il senso progressivo della direzione da sinistra a destra.
La partizione dello spazio in quattro quadranti, secondo gli assi cartesiani, in grafologia, correlando ai quadranti valori simbolici piuttosto scontati, risale a Ludwig Klages, morto nel 1952. Ma l’inclinazione delle lettere e del rigo è ancora validamente letta dalle varie scuole in rapporto ai piani verticale e orizzontale.
Non so niente di critica d’arte, ma una lettura del movimento nello spazio mi viene naturale, e credo anche che, all’interno dei nostri parametri culturali, essa sia condivisa da chi opera. In questo senso non interpreto ma piuttosto descrivo.
Ennio Abate “n questo disegno il movimento complessivo è centripeto, in una prospettiva di pura simmetria: appare più rilevante il senso che va da sinistra a destra, ma i tronchi degli alberi resistono al vento che, sempre da sinistra, li spinge, e il piccolo uomo a destra punta il piede per dirigersi invece verso sinistra” (Fischer )
Davvero? Non so quanto la questione sia importante e mi piacerebbe sentire altre opinioni. A me pare ci sia un certo equilibrio tra due movimenti contrastanti: – il movimento verso destra (la mano della donna dritta, quella della donna “seduta”); – quello verso sinistra (il corpo e soprattutto il muso “sdoppiato” dell’animale). L’omino invece mi pare come bloccato in un salto in alto. (E comicamente dalla coda in su dell’animale!). E il “vento” non lo vedo…
Emilia Banfi Cristiana quante cose mi insegni!
Annamaria Locatelli …alla luce dgli ultimi commenti di Emy e di Cristiana, mi sembra di cogliere una nuova lettura del disegno. Vedo concentrarsi la scena rappresentata nell’incontro donna accovacciata e cane.La donna sembra nell’atto di accogliere affettuosamente.con il suo braccio teso l’animale nel suo grembo, l’animale è festosamente saltellante, come capita anche ai bambini piccoli quando vengono accolti calorosamente ai loro primi passetti…Un cane forse lupo ammansito che già travolse forme femminili, ora tra le sue zampe…I movimenti nello spazio dei due personaggi sono in due sensi opposti, ma complementari all’incontro…Può anche dire l’incontro femminile-maschile adulto? Suggerisce anche l’incontro di due scritture e quindi di due civiltà? Il paesaggio sembra benedicente
1. il quadro è con-centrato (ma la “periferia” del quadro esiste e ha un significato che è da interpretare)
2. la donna e l’animale sono: madre e bambino? o un essere mansuefatto? è questo l’uomo maschio: bambino o animale addomesticato?
3. i movimenti in sensi opposti sono complementari? (che i due sessi siano “complementari” fa parte del c.d. “femminismo” cattolico)
3.1. che siano complementari in quanto “adulti” è appunto un fondamento di quel femminismo, chissà cosa si intende per “adulti” allora, … ben alimentati da quella ideologia?
4. non credo che si tratti di incontro tra *due* culture-civiltà e quindi scrittura, perchè anche la direzione del lupo-cane-vitello-bambino (cinghiale, muso indefinito, inconscio…) sta dentro lo schema ds/sin di cui facciamo parte
Emilia Banfi Avete notato che le chiome di quegli alberi sembrano volti?
Ennio Abate @ Cristiana
Interpretazione per interpretazione…In riferimento ai punti 2 e 3, mi verrebbe da rubare la citazione da “Il piccolo principe” appena lasciata da Rita Simonitto ( riferita nel commento qui: https://www.poliscritture.it/2016/08/08/poesie-inedite/…) ma sostituendo alla volpe che parla nel racconto di Saint-Exupéry la donna di questo quadro:
“Certo”, disse la donna [volpe]. “Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una donna [volpe] uguale a centomila donne [volpi]. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l’uno dell’altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io saro’ per te unica al mondo”.
Cristiana Fischer Delizioso il Piccolo Principe, ma applicato automaticamente al rapporto tra i sessi (quei due) finisce nella complementarità dei/delle cattoliche. Che non è l’idea del f. della differenza, ognuno dei due è l’intero umano. (Poi se vuole si complementa, come la donna la volpe e il principe, ma dopo.)
APPENDICE
Le composizioni di Ennio sono altamente suggestive in quanto sembrano venire da un ‘dove’ dissennato (tant’è che l’interprete cerca di dargli una collocazione spaziale) e da un ‘tempo’ senza tempo.
Sono dei sogni in via di fattura, che la mano nervosa dell’artista cerca di afferrare e dotare di un senno, di una sensatezza. Perciò sono molto interessanti (oltre che belle!) perché attingono a quel ‘non-ancora-luogo’ che non si è ancora definito come “Io”. (Infatti Ennio si chiede * cosa precede la costruzione dell’immagine che ad un certo punto – e solo ad un certo punto – io ( quale io?) tiro fuori dallo “scarabocchio”*).
L’Io si costruisce ex-post, anche attraverso l’interpretazione di quanto nel ‘sogno’ è stato proiettato fuori, sia verbalmente che iconicamente.
Sono d’accordo con Ennio che il percorso Immagine vs Parola e viceversa è molto prolifico, perché esso rappresenta anche la procedura che l’essere umano ha utilizzato per rappresentare sia le sue percezioni enterocettive che esterocettive.
Cercherò, quindi, di affiancare ad una ‘storia’ iconica, una ‘storia’ verbale.
Rispetto all’immagine proposta, di primo acchito, seguendo un senso orario e a partire dalla disposizione degli alberi in alto, con uno di loro isolato (l’Albero della Vita o quello del Bene e del Male?) mi sono trovata ad associare le immagini al racconto biblico del Giardino dell’Eden da cui il povero Adamo fu cacciato fuori e gettato nel mondo: l’omino a braccia e gambe spalancate.
Se Flaubert sosteneva che Dio (ma anche il Diavolo!) si nasconde nei dettagli (“Dieu est dans le detail”), mi soffermerei dunque su quel povero omino messo in lontananza, invece punto focale da cui esplode al pari di una proiezione ‘fantastica’ lo scenario, la serie di figure che ci vengono presentate in primo piano, rigorosamente bi-dimensionali, a-corporee. (La loro piattezza starebbe ad indicare sì la presenza di un discorso, ma ancora muto).
La rappresentazione scenica vede dunque, ‘in quinta’, una figura stilizzata e di profilo secondo il modello mesopotamico e che, con il braccio alzato, rappresenta l’indicazione di un ‘iter’, un cammino. E’ forse Lilith, la prima moglie di Adamo che non volle sottomettersi a lui al punto che il poveraccio fu costretto a ‘chiederne’ un’altra, Eva, più addomesticabile e pertanto più fertile? (Il mito di Lilith, la Luna nera, equivalente alla donna nel periodo lunare del mestruo e con la quale non ci si può congiungere). Ma pare che anche Eva, accucciata, non sia molto fiduciosa nei confronti della ‘ferinità’ maschile, tant’è che si copre il grembo con la mano.
E, così come nell’inconscio non c’è nozione di tempo e spazio, la lettura del testo potrebbe ora spostarsi da ‘oraria’ ad ‘antioraria’: sarebbe ora la donna, Eva, che pur nella sua fertilità espelle l’uomo dal suo di lei ‘giardino terrestre’, perché non accetta la sua di lui aggressività, non si fida che sia addomesticato abbastanza.
Il colpo di coda finale dell’animale che non accetta di essere addomesticato: che fine farà costui? Rimarrà spiaccicato senza arte né parte?
Scusate la lunga storia ma questa è la riprova di quanto la parola sia prigioniera del tempo, ha bisogno di tempi lunghi, continuità e cesure, mentre l’immagine opera sul sincretismo.
R.S.
Sarebbe utile, a questo punto, che Ennio dicesse la sua circa la poetica – lo so, è una domanda sconvolgente per tutti gli autori, poeti o altro – magari separando le due attività; perché io non sono affatto convinto che ci sia vicinanza tra le due arti, anzi, che proprio la distanza, tra il dire e mostrare, le differenzi su tanti e tali aspetti che capisco Ennio, quando dice di voler lasciare i due, Tabea a Abate, separati anche se in casa.
Tuttavia, perché mi ricordo degli esperimenti di Ennio – i suoi sogni de-scritti, tormentati, forse disuniti nelle finalità (la ricerca nel vissuto sessantottino, quel personale confuso sempre posto in disparte sulle Grandi Questioni, che però non ha mancato di prendersi le sue rivincite ), e anche in molte sue poesie dove si sta, autore e lettore, al cospetto dell’analista, pardon la poesia, ecco che salta fuori l’inconscio, allo scoperto. Scrive Ennio: “il gesto della mano … non sa dove andare”, non è “collegato chiaramente e in modo pre-meditato a un’idea” e poi parla di avventura e di scarabocchio; forse per modestia, ma sa bene che ci sono stati artisti che ci hanno speso la vita sui loro “scarabocchi”. Ad alcuni è andata anche bene, ma c’è anche chi si è suicidato. Ma come giudica, Ennio, l’informale, l’action-painting che arrivò fino agli anni ’60? Secondo me non gli interessa molto perché ha qualche pregiudizio critico ( arte americana eccetera) e preferisce parlare delle “macchie di Rorschach”.
Due sono le possibilità: o E. sta ancora sulla difensiva, oppure semplicemente preferisce la scientificità della psicanalisi. La questione si fa problematica in quanto la stessa funzione, quella dell’analisi introspettiva, è svolta anche dall’arte; per la quale l’aspetto scientifico è dato, piaccia o meno, dall’estetica. Quindi, il concedersi o l’affidarsi a uno “scarabocchio”, se a uno psicanalista può andar bene per testare l’inconscio, all’estetica no: l’arte se ne fotte di averti sano di mente. Non è affar suo.
Per oggi mi fermerei qui.
.. ma per tornare all’oggetto in questione, immagine-parola, direi questo: che Ennio affida alla poesia la funzione “ragionante” ma, non contento e per necessità interiore, si rivolge con la pittura direttamente all’inconscio; lì la faccenda si fa più complessa da districare: il pensiero è linguaggio che si può scrivere, in qualche modo è dialogante, mentre la pittura, che nell’esito è oggetto, dispone all’evento immediato, o non-mediato – anche se sottoposto a estetica – tale per cui a volte, se non si possiedono chiavi interpretative diventa difficile da comprendere; ma non da oggi, in realtà è sempre stato così; anche per i contemporanei di Giotto, di Michelangelo e così via fino ad oggi. Alla domanda se possa esistere una qualche forma di collaborazione tra le due arti: be’, ovviamente sì: ce lo dice la storia dell’arte. Ma che funzioni in egual misura per un singolo autore… ecco, è più difficile a dirsi. Michelangelo ha scritto, nel novecento anche moltissimi pittori ( penso a De Chirico, ottimo poeta, ma tantissimi altri) e a volte aveva buon gioco la loro poetica. Per questo, nel commento sopra ho chiesto subito della poetica…
@ Simonitto
Sulla base di quel che ho imparato sul rapporto maschile/femminile (e di quel che ho sentito/pensato mentre facevo questo disegno o dopo averlo fatto e genericamente intitolato: Donna e animale) non mi sento né di convalidare né di respingere la tua interpretazione ( o quella di Cristiana o di altri). Ne prendo atto, la ritengo legittima, mi viene da pensare quanto ciascuno/a ci mette di suo quando guarda un’immagine (o quando legge un testo scritto.
Confrontando però le tue impressioni con le mie, devo dire che: 1. mi stupisce il ruolo principale e quasi generatore dell’intero scenario che attribuisci all’«omino messo in lontananza» (tra l’altro, perché «povero»?), specialmente se penso che nella costruzione del disegno è venuto soltanto alla fine, quando le figure principali erano ormai definite; (mentre cancellavo il nero di partenza, il quale all’inizio occupava l’intero riquadro rettangolare, nella zona che ora risulta in bianco era rimasta una “macchiolina informe” e mi è venuto di ricavarne una possibile figura “sensata”: l’omino che salta); 2. tutta la contrapposizione tra Lilith, la donna che « non volle sottomettersi» ( all’Adamo; e torna un «poveraccio»!), ed Eva «più addomesticabile e pertanto più fertile» che però, pur «accucciata», sta sempre lì in guardia « nei confronti della ‘ferinità’ maschile» ( ma le Eve non erano anch’esse un po’ “ferine” almeno a quei tempi e forse ancora oggi?) e quasi quasi lo scaccia, a me fa pensare fin troppo – e adesso trovo la cosa quasi comica – alle dinamiche tra uomini e donne sfiorati/e o travolti/e dall’esplosione del femminismo anni ’70.
@ Mayoor
Pur essendo le questioni di poetica abbastanza importanti, non mi sento troppo di parlarne adesso. Direi cose improvvisate. Alcune, più semplici, avvolte di dubbi e legate alla mia esperienza, le ho già messe in un commento di questo stesso post o nell’intervista del 2013 a Ezio Partesana (https://www.poliscritture.it/2015/08/03/sulla-poesia-esodante-intervista-2013-di-ezio-partesana-a-ennio-abate/) o in altri appunti che ora non saprei dove trovare.
Per il resto:
1. non è che ora « salta fuori l’inconscio, allo scoperto», come se finora l’avessi tenuto a bada o negato o esorcizzato;
2. ho parlato delle “macchie di Rorschach” perché è l’esempio più comune che mi è venuto in mente; (ma ti assicuro che avevo anche pensato a Pollock e non ho pregiudizi verso l’informale o l’action-painting perché verrebbero dagli USA (dai!) né sto «sulla difensiva» né preferisco la « scientificità della psicanalisi»; che non esiste o, se esiste, non ha molto a che fare con quella tipica delle cosiddette scienze “dure”( almeno per quel poco che ho letto di Jervis e Lacan);
3. meglio tenere distinte psicanalisi e «analisi introspettiva» che « è svolta anche dall’arte», pur avendo presente le analogie. In anni lontani (1994) ebbi con Sandro Briosi dell’università di Siena una piccola discussione su Svevo e in una lettera scrivevo:
« Se non c’e` nel romanzo “alcun segno di valutazione univocamente negativa della “malattia” , Svevo lo deve proprio (se non esclusivamente..) alla lezione (orecchiata o studiata) di Freud. Nella sua coscienza entra con prepotenza questo tema, proprio perché egli respira a pieni polmoni (anche se con la “nota ironia”) “aria viennese” o – altra ipotesi – attinge, se non al medesimo “pozzo” di Freud e con i suoi strumenti, a “qualcosa” di molto prossimo. E – azzardo – con una specifica strumentazione (letteraria) non poi così dissimile da quella psicoanalitica. […] Svevo, insomma, “civetta” con la psicoanalisi, ma non lo vuole dare a vedere: nasconde questi suoi “commerci” clandestini; ci tiene a mantenere da gran signore distacco e indipendenza di giudizio. Non fa – e` ovvio – lo psicoanalista; ma frequenta quell’orbita di ricerca o attinge a quel “qualcosa” e si vede…
Se dubitiamo delle sue affermazioni in contrario o del senso più riconosciuto e ammesso dei suoi testi, non vuol dire che ci arrendiamo al “mito di una letteratura in ‘presa diretta’ con l’inconscio”. Evitiamo solo di troncare il legame fra letterato e inconscio (e psicoanalisi) e non ci precludiamo di indagarlo più approfonditamente».
Sono cose che penso ancora adesso.
4. «l’arte se ne fotte di averti sano di mente». Anche la psicanalisi: il confine tra ragione e –sragione, tra “normalità” e “follia”, tra “lecito” e “illecito”, tra “morale” e “immorale” forse non esiste e va però, comunque, fissato con una scelta (per difendersi o oltrepassare norme o leggi divenute inaccettabili); ma resta labile e va continuamente “ contrattato” e rimesso in discussione;
5. «Ennio affida alla poesia la funzione “ragionante” ma, non contento e per necessità interiore, si rivolge con la pittura direttamente all’inconscio».
No, è una distinzione in cui non mi ritrovo e che, come fai tu, viene esasperata e resa rigida. Tu hai maturato una diffidenza verso la ragione e una fiducia nella s-ragione che io non credo di avere in questi termini. Aggiungo che voglio proprio rimanere nell’ambito della *mia* (discutibile e non automaticamente generalizzabile) esperienza; perciò ho scritto:
« Da ragazzo ho imparato a scrivere. Ma ad un certo punto ho imparato anche a disegnare e dipingere. In astratto e in molti casi le due attività sono conciliabili o si alternano senza troppi problemi. Nel mio non è andata così. Scrittura (poesia, saggistica) e pittura sono state davvero in certi periodi della mia esistenza concreta strade divaricate e poco conciliabili. Per varie ragioni, che qui non affronto. E la scrittura ha preso il sopravvento sul’altra attività, rimasta “secondaria”».
E ho aggiunto:
« Il sogno giovanile di una possibile unità, in cui disegni, poesie e prose si ricompongano, fuori da ogni gerarchia, non è del tutto svanito. Per me e per ora scrittura e pittura rimangono inquietamente vicine».
Sì, « ci sono stati artisti che ci hanno speso la vita sui loro “scarabocchi”» ( e gli esempi dell’informale e di Pollock lo dimostrano), ma non sono certo che si siano sbarazzati della ragione in quelle loro avventure. Anche lo stesso Nietzsche ha fatto il salto nella follia solo alla fine…credo.
Lasciamo perdere allora la poetica, che a volte servono secoli di lavoro per poterla definire. Sul volersi sbarazzare della ragione: a evitare il caos intervengono le ragioni dell’estetica che, anche nel nuovo, è somma di apprendimenti (ben cosciente) e di azzardi.
Però mi chiedo: pensi ci potrebbe essere una qualche relazione ( compositiva, di ritmo…) tra l’organizzazione delle figure e il tuo modo di concepire l’intervallarsi dei versi in poesia? Ci hai mai pensato?
Resto dell’idea che la miglior critica sul proprio lavoro, l’abbia fatta Van Gogh coi suoi autoritratti. Credo che nessuna parola possa fare altrettanto, nemmeno quella di un poeta.
SEGNALAZIONE
* A proposito di “Immagine ↔ Parola”
Photomaton: dietro ogni foto c’è una storia
di Azra Nuhefendic
(https://www.nazioneindiana.com/2016/08/10/photomaton-2/)
Stralcio:
La fotografia diventata icona del tradimento di Srebrenica da parte di Europa, Stati Uniti e Nazioni Unite, e che infine ha cambiato la posizione americana nei confronti della guerra in Bosnia, è quella che raffigura la giovane donna bosniaca Ferida Osmanović, impiccatasi nel bosco dopo che la città era stata presa dai serbi. Questa foto fu mostrata durante il dibattito su Srebrenica nel congresso americano, ed ebbe un impatto decisivo sulla politica degli Stati Uniti in Bosnia.
A un primo sguardo non si coglie la tragedia di quell’immagine. Si vede solo una giovane donna in piedi nel verde del bosco, è quasi un’immagine idilliaca. Solo guardando più attentamente si notano i piedi che non poggiano a terra, e la sospensione del corpo.
Questo articolo mette le cose a posto, nell’ordine delle priorità. Eppure l’articolo, per come è scritto è di una leggerezza che in qualsiasi altro contesto potrebbe sembrare disimpegnato, anche un po’ mondano. E forse anche le fotografie, perché non retoriche di sentimentalismi – forse perché senza parole? come si può dire tutto in un click, un solo istante strappato al tempo lungo di quello come di altre situazioni strazianti – Ma messi insieme ci riescono, mettono luce; si stampa e si scrive per ricordare, per insegnare, per cercare di fare in modo che non accada più. Lo stile ha la sua importanza, dà il suo contributo. Senza spiegare tocca, induce a riflettere. Si può dire che questo sia un caso in cui immagini e parole collaborano alla perfezione.
Sono personalmente dell’idea che questa azione-di commento, da parte della parola, andrebbe interpretata come elemento di novità ( anche se sappiamo che non è così); e potrebbe dare spunto a un diverso modo di procedere anche in poesia: scrivere per immagini, cioè non immaginando ma come in luogo di didascalie per immagini, che non ci sono ma potrebbero esserci. Quindi, perché in luogo delle didascalie, sarebbero versi brevi. Frammenti. Io su questo sto lavorando.