di Luigi Paraboschi
Abitualmente non leggo le prefazioni ai libri di poesia prima di averne considerato con attenzione i testi , ma quella scritta di Dante Maffia per questa raccolta di Nota mi ha colpito in modo particolare per questa parte che riporto :
“il lettore non si faccia l’illusione che la chiarezza di Luciano Nota sia facilità. Dietro la raffinatezza e la mozartiana esecuzione (è esplicitamente nominato Mozart) ci sono spigoli e grotte, gravine e nuvole che vagano e dettano sentenze sotterranee, perciò ci si fermi a lungo sulle sue metafore, sugli ossimori, sui suoi “gesti” di parole franche, sulla sua maniera di entrare e uscire dai concetti e dalla liricità.”
Ne convengo. Occorre analizzare con calma, riflettendoci sopra, decodificandole, le metafore delle quali Nota si serve, perché queste gli sono necessarie per dire ciò che gli preme dire, ma soprattutto per nascondere la caratteristica principale della sua scrittura: la fragilità-sensibilità del sentire e del raffrontarsi con il mondo, ricavando di frequente da questa relazione ferite che non possono essere messe in poesia se non servendosi con cura dell’uso delle metafore.
Prendo un primo spunto da questo poesia ove egli dice :
Del muro, della lastra, della pietra
ho sempre avuto una visione leggera
nonostante il muro, la lastra, la pietra
m’avessero accerchiato.
È sempre stato un tragitto alterato
simile ad un occhio orbo
che ha voglia di scrivere sul marmo
che il vento, il muschio, la luce
non sono mai esistiti.
Le difficoltà, gli ostacoli (il muro, la lastra, la pietra) accerchiano il poeta, ma egli li vince facendo conto che esse non esistano, ed in una successiva scrive:
Vedi, è troppo il mare, la sua grandezza
fa male, bisogna ridurre.
…………………….
Vieni, osiamo farci falda,
resa armonica oltre la porta.
…………………..
Se il mare è la metafora della vita, e fa male , allora il farsi falda , lo scomparire, il diventare polvere, è l’unico modo per sopravvivere allo schiacciamento di questo mare-male. La fede nella scrittura salva il poeta, come qui di seguito detto, ove è chiara più che in altre poesie la sua visione della miseria e della povertà della condizione umana , che egli definisce “ il fabbisogno delle larve “:
Forse perché assuefatto
ai più aguzzi disinganni
che continuo a filare il manto
delle più ardue condizioni.
Forse perché scrivo
e non mi privo dell’incanto
che continuo a sostenere
il fabbisogno delle larve.
Il male, il dolore nascono quasi sempre dalla impossibilità di comunicare, visto che spesso la conversazione tra gli essere umani si riduce ad un monologo (dopo aver parlato alle piante ), ed anche l’ incredulità dell’interlocutore che” resta attonito a guardarti “ non può che condurre ancora una volta ad alzarsi, a prendere le distanze, preferendo il tentativo di spiegazione ad un animale piuttosto che a “ colui che non ti crede “.
Resta poco
dopo aver parlato alle piante.
Seduto in disparte
o ti alzi o rimani.
Se pensi di fiatare ai sassi
o rimani o ti alzi.
Se resti, colui che non ti crede,
sosta attonito a guardarti.
Tocca il femore e la tempia,
a tratti il piede.
Se ti alzi, fa un sorriso,
liscia il cane e ti chiede di tornare.
Spiego al cane l’indifferenza.
Purtroppo può anche non essere sufficiente “ farsi mare “, oppure “ alzarsi e fare un sorriso “ e nemmeno “L’ indifferenza spiegata al cane” basta per liberare il cuore dal bisogno di dire, così questa poesia testimonia con lucidità un sentimento di assurdo, l’ impossibilità a capire il mondo che spesso attraversa non solo la mente del poeta, ma forse anche quella di molti lettori :
Se dicessi veramente/quello che al mattino penso/appena desto/con parte della schiena/e del braccio dormienti/col capo prostrato/per non essere riuscito/ancora una volta a capire/la terra e i suoi gesti,mi lanceresti come razzo/in mezzo al cielo.//Da grande farò la luna.
Se è vero che anche i cardi muoiono per colpa della solitudine e delle cattive frequentazioni :
poco fa ho visto una corda
stretta intorno a un cardo.
Lo ha strozzato la solitudine
e la cattiva ombra del grano.
Allora è solo il ricordo, la presa di distanza dalle cose a fornire all’uomo gli strumenti per un tentativo di salvezza, è la memoria della casa, della terra, della famiglia di appartenenza a gratificarlo di qualche aggancio , è l’osservare che
“ Le cose viste dalle crepe/ sono enormemente più belle.
E da una di questa crepe affiora un ricordo struggente ma contenuto, quello di cui egli parla della madre così ben ritratta nel gesto di “ sbattere il cuscino “ quando rifà il letto, quel “ sistemare il ventre “, atteggiamento così tipico della massaia di campagna, di contadina, volto a stendere meglio quel grembiule che di certo ha indossato per tutta la giornata.
Il tuo contorno così modesto
identico al mio
rigato e sottomesso.
………………………..
sbattere il cuscino
sistemare il ventre.
Poi aprirsi al niente
impigliato alle finestre.
Il vincolo con la terra di appartenenza è molto forte in Nota; spesso emerge quasi inconsciamente da poesie che sono dichiarazioni di fedeltà dalle quali si estrapola la sua matrice contadina, come questa :
Sono ancora legato a una scala/ fatta di pioli e di vuoti/ un insieme di solchi/ che cremano l’atrio/ il puntello. Di continuo sento/ il crepitio stordito del legno/ del cibo ammassato/ sul terreno.
Altrettanto chiara anche la difficoltà di accettare un trapianto in terra diversa da quella di origine, come si può dedurre da questi versi dedicati al paese ove egli è nato, Accettura :
Chi ti ha lasciato
ha una lenta agonia,
nel costato un senso di chi è stato
sosta e sostanza.
o dove il ricordo è legato a gesti del passato,
………………………………….
Fermo il dito nell’incavo
dove legavano il mulo.
ad un padre non dimenticato “dall’uomo maturo “che l’autore sente di essere:
Umanità, papà, il pane e il vino
il destino di chi era, chi è
nuvola palpabile.
……………..
L’uomo maturo non manca all’appuntamento
ha sentimento, lo cura da anni.
Ha interrato l’arma, il rigore
ha scovato l’inviolato.
………………………
C’è anche l’amore nella poesia di Nota, talvolta è un amore estatico, quasi un sogno, come qui:
Morire d’amore/al centro di un querceto./Gonfiarci nel caldo fardello./Cercarci, rifarci dove prima eravamo,/dove il bosco si apriva/al linguaggio delle malve./E le querce non parlavano,/spiavano.
oppure è quasi insofferenza, come in questi versi:
Attendo quel giorno/che mi darai boato di liberazione/d’orgoglio/di taglio./Lo attendo./E resteremo amici/ se dirai che allacciati/siamo stati /un’autentica corrente.
o pieno di quel disincantato scetticismo che probabilmente nasce da esperienze deludenti:
Ti chiedo solo questo:/non seguirmi come al solito/non metterti più a nudo/(è facile pensare che tu sia /la mia coscienza)./E ti raccomando/non svanirmi al primo sciopero del sole./Siamo entrambi verità/ la brevità di chi ha parvenza.
Alla fine rimane l’amarezza, lo sconforto, l’ironia rivolta a se stesso:
Cosa volete che sia star male/perdere una scarpa, una sciarpa./Abitare in una bara/e ravvisare la vita così vecchia/tra le mani./Cosa volete che sia perdersi/in un affanno o in un letto/starsene ore davanti l’uscio/e attendere la sera./Star male non è niente/proprio niente./È una goccia d’acqua.
L’amore è solo sofferenza, sembra dire Nota, con questa poesia, terribilmente amara
Sono tante le spine,/tanti i palpiti del cardo e del miocardio./Ti desti e vedi stanze così lese/che hai bisogno di melodie tra i capelli./Il sorriso è sul labbro del falco/appena rientrato per ascoltare/pioggia e fruscio./Il merlo è volato./Troppe le spine/pochi i toni nel magazzino delle viole/che non hanno più archetti./Ed è troppa la pioggia/il fremito per congiungersi al verso./Il falco s’addormenta./ i l merlo non rientra.
Vorrei concludere tornando sulla affermazione di Maffia, nella prefazione citata, ove egli scrive che nella poesia di Nota : “ ci sono spigoli e grotte, gravine e nuvole che vagano e dettano sentenze sotterranee “ per sottolineare che il linguaggio usato dal poeta non è mai forzoso, anche se talvolta può sembrare un poco ermetico.
Si tratta di una prima sensazione, dovuta, alla sua capacità di scarnificare la narrazione, di ridurla ad un concentrato di emozioni e di ricordi talmente denso che il lettore può essere tentato di classificare il testo come troppo ricco di simboli e di allusioni e quindi di difficile comprensione, ma si tratta di una raccolta importante che, anche se non concede spazi alla comprensione immediata, è talvolta capace d riservare sorprese per l’assonanza e le allitterazioni dei suoi versi, come in questo caso con cui desidero chiudere
Ricordo mia madre/ poggiata all’inverno/ la mano tra le briciole/il peso perso nel cervello./ Ricordo uno sguardo/ bello come un anello./ Ricordo un brandello/ un sorriso di speranza./ Ricordo d’aver dormito/ entrato nel mantello.
10.11.2016
Grazie, Luigi!. Una lettura attenta e scavata, una vera immersione nell’acqua della mia poesia. Grazie ad Ennio per l’ospitalità.
Credo di non sbagliare se dico che, oggi, nelle poesie di Luciano Nota si trovino le migliori metafore; anche se mi resta il dubbio che non sempre si tratti di metafore, perché non sempre sono rimandi, trasposizioni figurate, ma versi a se stanti che vivono di vita propria.
…tra i temi poetici che Luigi Paraboschi ha individuato nel suo commento critico ai versi di Luciano Nota, mi colpisce quello, ben descritto, sulla difficoltà umana di comunicare: “Resta poco…”. Dove, secondo me, la gestualità contrastata rivela l’imbarazzo tra i personaggi presenti in scena (una piccola pièce dell’assurdo) e al poeta, dopo aver parlato con le piante, ma anche all’interlocutore non resta altro che affidarsi al cane, quale intermediatore…
“La luce delle crepe” mi ricorda un paesaggio morto, sconvolto come dopo un terremoto, che la luce inonda, rivelandone gli spigoli, le grotte, le ombre…E’ sempre incombente il sentimento della morte, come già alle nostre spalle e onnipresente. Ma, dice il poeta, : “…continuo a sostenere/ il fabbisogno delle larve”…