*In evidenza*
Da “Poliscritturte FB” a “Poliscritture sito”
Questo post (come in futuro altri su temi importanti) rimarrà in primo piano per un certo numero di giorni in modo da permettere riflessioni approfondite, segnalazioni repliche e controrepliche meditate e non solo contingenti o frettolose. Le pubblicazioni ordinarie degli altri post continueranno come al solito e i lettori le troveranno sotto quello *in evidenza*.
di Ennio Abate
È un luogo comune dire che su Facebook prevale la chiacchiera più stupida e che una discussione approfondita è impossibile. Può darsi. Eppure a volte in questo specchio tecnologico si riflettono e si depositano – frettolosi e impulsivi, meditati e fermi –pensieri “veri” anche se concisi, immaginari che altrove teniamo sotto controllo, ideologie più o meno dichiarate. Una scoppiettante discussione è avvenuta in questi ultimi giorni su “Poliscritture FB” attorno al post di Alessandro Dal Lago fieramente ostile alle posizioni di Grillo e del M5S sull’emigrazione. Esso ha calamitato inquietudini, malumori, ostilità. Anche di amici. E, dopo alcune repliche, alcuni di loro hanno poi preferito ritirarsi dalla discussione o tacere. Eppure la questione affiorata (cosa fare di fronte all’emigrazione?) è davvero una cartina di tornasole, un problema con cui misurarsi fino in fondo (politicamente e poeticamente). Non è la prima volta che qui su Poliscritture ci giriamo intorno (o – a me pare- l’aggiriamo). Perché è questione drammaticamente urgente e specifica, che però svela presto – ardui da capire e ancora più da affrontare – risvolti geopolitici (l’uso strumentale che tendono a fare dei migranti le grandi potenze; l’ambiguità dell’UE o del governo italiano) e storico-culturali (ci sono altre vie oltre a quelle oggi praticate che si rifanno all’universalismo solidaristico cattolico e/o illuministico oppure al nazionalismo più o meno identitario e differenzialista che si batte per il “prima noi italiani”?). È possibile dire su tale questione: “Noi di Poliscritture pensiamo questo e questo”? È possibile dire: “ Non condivido quanto scrive Dal Lago per questi motivi; e invece condivido le posizioni di Grillo e del M5S o di altri per questi motivi”? A me pare di sì. E perciò, sperando in ulteriori approfondimenti, ripropongo qui tutti gli interventi. [E. A.]
Ennio Abate ha condiviso il post di Alessandro Dal Lago.
***POST IN EVIDENZA
SEGNALAZIONE
* Ieri ho segnalato Travaglio in difesa della Raggi ( e del M5S). Oggi non posso non segnalare che il M5S è “torbido”. Non so dire se Grillo e Di Battista s’ispirano al fascismo o no ma queste dichiarazioni *contro* gli immigrati sono, sì, simili a quelle di Salvini e Alessandro Dal Lago fa bene a insistervi. [E. A]
Due giorni fa Grillo – o probabilmente qualche pensatore della Casaleggio & Associati – ha pubblicato sul suo blog alcune proposte sull’immigrazione:
“Bisogna agire ora. 1) Chi ha diritto di asilo resta in Italia, tutti gli irregolari devono essere rimpatriati subito a partire da oggi. 2) Schengen deve essere rivisto: qualora si verifichi un attentato in Europa le istituzioni devono provvedere a sospenderlo immediatamente e ripristinare i controlli alle frontiere almeno finche’ il livello di allerta non sia calato e tutti i sospetti catturati. 3) Creazione di una banca dati europea sui sospetti terroristi condivisa con tutti gli stati membri, utilizzando anche quelle attuali. 4) Revisione del Regolamento di Dublino. Fino a oggi è stato il tempo del dolore, della commozione, della solidarietà. Adesso è il momento di agire e proteggerci.”
Nulla di nuovo sotto il sole. Nel 2007 aveva insultato chi “non difende i sacri confini della patria” e qualche anno dopo voleva prendere a schiaffoni gli immigrati. Il ragazzotto Di Battista, che si dichiara terzomondista, ha proclamato: “i fratelli africani devono stare a casa loro, e per farli stare a casa loro devono avere risorse e sviluppo a casa loro”.
Sono le stesse cose che hanno sempre detto Fini, Bossi e Salvini. Gratti Grillo e trovi Salvini, ha scritto la “Stampa”. Sì, ma forse è anche peggio: trovi l’eterno fascista italiano, quello che pur di andare al potere si allea con chiunque, fa il solletico all’opinione pubblica più reazionaria, è alleato di Farage, ma strizza l’occhio alla sinistra e agli ecologisti e così via.
Quelli che fanno veramente pena sono i “compagni” che gli chiedono spiegazioni, imbarazzati ma servili, quelli che lo difendono a prescindere e che insultano chiunque non sia affascinato dal ducetto di Sant’Ilario.
Buone feste a tutti gli amici e tutti quelli che ragionano ancora con la propria testa.
AVVISO
Il tema di questo post è sull’immigrazione e sul breve scritto di Dal Lago contro le posizioni *sull’emigrazione* di Grillo e del M5S. Non sulla chiacchiera o sull’azione politica nei partiti esistenti o in un altro eventuale partito, questioni qui fuori tema.
Proprio per evitare la chiacchiera alla Facebook, come moderatore della discussione, invito chi ha da dire qualcosa sul tema a intervenire nel merito. Se no, taccia o proponga in altro luogo i suoi temi.
La libertà ( anche di parola, e anche sul Web) è un bene troppo prezioso perché non vada razionato, diceva Lenin. E io sono d’accordo con lui. Pertanto ho cancellato tutti i commenti fuori tema e li ho copiati in un allegato. Che ho spedito a quanti avevano commentato (Ciriachi, Fischer e Mayoor) e che è a disposizione di quanti me lo richiedessero scrivendo a: poliscritture@gmail.com
La domanda di Ennio Abate: “Uomini o no? Su questo punto dobbiamo essere chiari: sono uomini o no? È un po’ triste porre oggi questa domanda. Pare di regredire ai tempi in cui i teologi cattolici, ragionando sugli indios del Nuovo mondo appena scoperto, discettavano se essi avessero o no un’anima” (26 dicembre 13.03) ha una sola risposta, sono umani come noi siamo. Cosa rappresenta, questa posizione di riconoscimento assoluto, sul piano organizzativo politico storico? Che ognuno che arriva vada accolto come uno di noi.
Certo!, e ci colloca alla fine di un processo in cui chi parte, perché parte, come viaggia, dove arriva, non ci concerne, siamo al termine di avvenimenti che ci escludono, i soggetti attivi sono loro, noi siamo passivi e solo alla fine del processo diventiamo etici, corretti, magari caritatevoli.
Altro atteggiamento, che porta sempre a una accoglienza radicale, è quello di chi individua le cause di queste migrazioni in colpe storiche -il colonialismo europeo- o del presente -le guerre dell’occidente imperialista.
Un po’ meno autoaccusatorio, ma piuttosto “obbiettivo”, storicamente e sociologicamente, è l’atteggiamento di chi individua gli interessi di certi Stati e/o di gruppi criminali interessati a gestire le partenze e i viaggi, o contro di noi/Europa, o per loro interessi di bottega.
Qui si comincia a poter scegliere riguardo l’accoglienza: i migranti non partono perché vogliono partire, ma perché soggetti malvagi e a noi ostili li obbligano, quindi non siamo tenuti a umanamente accoglierli ma li possiamo rispedire indietro.
I migranti come massa di manovra giocata contro di noi, un pacco postale da spostare su teatri territoriali, su una scacchiera di mosse tattiche. Posizione di “Dibba”: monetizzazione della guerra che ci fanno gli Stati ostili o i trafficanti che ce li sbattono addosso, paghiamo qualcosa per farli restare o tornare. Soluzione anche etica, per chi riconosce colpe storiche e accetta di pagare pegno. E’ questa anche la politica del nostro governo: accoglienza in mare e nei centri, accordi finanziari con gli Stati da cui partono perché se li tengano o li riprendano.
Altro piano del discorso è quello di inquadrare queste migrazioni di popoli -specificamente i migranti economici da paesi africani- in un generale processo di spostamenti mondiali, che avvengono in estremo Oriente come in Messico così nel Mediterraneo. E poi, si aggiunge, l’umanità è migrante ab origine, anzi discendiamo tutti da pochi nuclei usciti dall’Africa, anzi dall’Etiopia, siamo fatti così, emigriamo come fanno uccelli pesci e balene.
L’esperienza storica, libresca e di storie familiari, svaria tra quelle migrazioni originarie di popoli sulla Terra e le migrazioni europee, e nello specifico italiane, nel periodo di accumulazione capitalistica intorno alla fine dell’800 e di conseguente espulsione di manodopera eccedente.
Certo è che antiche civiltà sono state azzerate da immigrazioni di popoli estranei. Lo sappiamo e le temiamo. O dobbiamo convincerci che le assorbiremo?
Quanto ha impiegato l’impero romano ad assimilare i migranti popoli asiatici e a far nascere una nuova grande civiltà, la nostra cristiana occidentale? Secoli e secoli. Invece i popoli autoctoni del continente americano non hanno assorbito gli invasori europei, anzi si sono assimilati alla loro cultura.
Ci sono paesi in cui diversi popoli si sono incrociati e hanno creato identità nuove e vitali, in circuiti di tempo brevi, in america latina per esempio.
Il problema riguarda la nostra Europa, già formata e consistente, con un sistema di vita complesso e definito. Più di tante acquisizioni e assimilazioni questo nostro sistema pensa di non poter compiere senza squilibrarsi. Che noi si sia un sistema aperto che troverà un equilibrio nuovo e diverso attraverso nuove immissioni è arduo crederlo, perchè il sistema ha delle rigidità a cui la popolazione europea non vuole facilmente rinunciare: welfare, lavoro e diritti.
Siamo secondo me, a dirla in modo semplice e franco, in un vero enorme oscuro inghippo (parola gergale, forse di derivazione ebraica col significato di “debito”!)
Hai censurato nel peggiore dei modi stalinisti alcuni post, miei e di Ciriaci, senza nemmeno considerare il fatto che hai viziato la discussione fin dall’inizio dando dei “fascisti” al M5s con tanta leggerezza, prima ancora di mettersi a ragionare; oltre tutto su Fb dove ci sono chiare regole e tra queste non è prevista censura per divergenze di pensiero!
Io non ho dato dei “fascisti” a nessuno. Controlla bene.
Le tue divergenze di pensiero sono ben documentate qui e su “Poliscritture FB”.
Però non sopporterò più che invece di stare sul tema del post si divaghi. Tu puoi proporre un post su M5S e Ciriachi un post sulla chiacchiera e sui partiti da sostenere o da fondare. Ma non in questo post.
“Non so dire se Grillo e Di Battista s’ispirano al fascismo o no” parole tue. Ma perché dirlo se non lo si sa? Si getta il sospetto ma si toglie la mano.
Dal Lago deve avere nella “propria testa” degli schemini elementari e porte che si aprono e chiudono sbattendo forte; ne va della sua intelligenza, poveretto! L’Italia non ammette di essere un paese povero, che non ce la fa a sostenere il peso del economico imposto dall’UE. Non lo si ammette che tra disoccupati e poveri reali ce n’è un’infinità; in televisione parla il buon senso di chi questi problemi non li ha, non il mio vicino di casa che ha 4 figli ed è disoccupato. Se anziché mostrare in Africa Canzonissima o le telenovelas facessero parlare il mio vicino, vi assicuro che pochi africani verrebbero qui in cerca di aiuto. Il fatto è che non si dice la verità, o tutta la verità, perché la povertà è messa ai margini e l’economia è virtuale, come ogni altra cosa di ‘sti tempi.
Spero che questo mio intervento sia considerato on topic dal giudice supremo. Ma lo faccio a modo mio, con la mia solita concisione: intelligenti pauca.
Due giorni fa Grillo – o probabilmente qualche pensatore della Casaleggio & Associati – ha pubblicato sul suo blog alcune proposte sull’immigrazione:
“Bisogna agire ora. 1) Chi ha diritto di asilo resta in Italia, tutti gli irregolari devono essere rimpatriati subito a partire da oggi.
Più che d’accordo. Gli immigrati ci creano solo problemi e anche gravi. Sono un costo, in tutti i sensi, insostenibile.
2) Schengen deve essere rivisto: qualora si verifichi un attentato in Europa le istituzioni devono provvedere a sospenderlo immediatamente e ripristinare i controlli alle frontiere almeno finche’ il livello di allerta non sia calato e tutti i sospetti catturati.
Questo è il minimo che si dovrebbe fare in base a tutto ciò che sta succedendo a causa di immigrati e finti rifugiati.
3) Creazione di una banca dati europea sui sospetti terroristi condivisa con tutti gli stati membri, utilizzando anche quelle attuali.
4) Revisione del Regolamento di Dublino. Fino a oggi è stato il tempo del dolore, della commozione, della solidarietà. Adesso è il momento di agire e proteggerci.”
Ho sempre sostenuto che l’ovvio è la verità più difficile da accettare.
Su altre obiezioni che sono state avanzate sulle proposte di Grillo tipo: Chi sono questi “irregolari”? Li si rimpatria dove, se, come ho sentito, i paesi in cui dovrebbero essere rimpatriati, non sono tenuti a farlo se non a certe condizioni?
Rispondo: se non è possibile con la diplomazia lo si fa con la forza. Inoltre bisogna impedire a chicchessia di sbarcare sul nostro territorio senza previo scrutinio. Ciò implica che non devono essere raccolti in mare e men che mai la follia di andarli a prendere sulle coste libiche. Questo fenomeno migratorio non ha niente in comune con certe migrazioni del passato come, ad esempio, quelle dei nostri connazionali (nelle quali sono stato coinvolto anch’io) ma ha a che vedere con invasioni di popoli verificatesi anche in passato e che hanno distrutto intere civiltà che per ricostituirsi hanno impiegato millenni.
Per quanto riguarda Dal Lago siccome i suoi sono solo insulti non ho nulla da dire ad eccezione della considerazione che uno che si autodefinisce “pensa con la propria testa” mi fa molto preoccupare per quella testa.
@ Mayoor
Nella discussione su “Poliscritture FB” ho tentato in tutti i modi di invitare i miei interlocutori ( te compreso) ad entrare nel merito delle affermazioni di Grillo riportate nel post di Dal Lago e di precisare abbondantemente *cosa penso io della questione immigrati* entrando nel merito. Mi aspettavo che altri facessero lo stesso. Spostare ora la discussione sulle etichette (fascista/non fascista) non mi interessa.
Preferisco ancora che ciascuno dica (se vuole, ovvio) cosa pensa *nel merito*. Come fa Ricotta. Ecco, con la sua «solita concisione» tira fuori “il rospo” più grosso che tanti non sputano:
«Chi sono questi “irregolari”? Li si rimpatria dove, se, come ho sentito, i paesi in cui dovrebbero essere rimpatriati, non sono tenuti a farlo se non a certe condizioni?
Rispondo: se non è possibile con la diplomazia lo si fa con la forza. Inoltre bisogna impedire a chicchessia di sbarcare sul nostro territorio senza previo scrutinio. Ciò implica che non devono essere raccolti in mare e men che mai la follia di andarli a prendere sulle coste libiche».
Ecco così è chiaro cosa pensa lui del problema. (Del resto l’aveva già detto in precedenti commenti). Non c’è bisogno di metterci un’etichetta sopra. Ciascuno, di conseguenza, fa poi i suoi ragionamenti e sceglie il suo *partito*. E chi vivrà, vedrà.
…”Noi e loro: sono uomini o no? ” Ma anche esistono razze di uomini superiori e razze di uomini inferiori? così da giustificare i primi nel sottomettere e sfruttare i secondi? Quando gli inglesi arrivarono in America erano migranti che in meno di due secoli sterminarono e sottomisero la popolazione dei nativi…gli stessi al presente considerano invasori i messicani migranti e li vogliono respingere erigendo muri…Allora chi” ha sempre ragione” non sono gli autoctoni, ma semplicemente i più prepotenti…
Cristiana illustra molto bene le scelte e gli atteggiamenti che le migrazioni nel tempo hanno provocato “sul piano organizzativo-politico”. Scelte che non sempre rispecchiano la volontà popolare, anzi la manipolano, soprattutto oggi con la grancassa mediatica…Un Salvini che loda pubblicamente un bambino il quale dice, imbeccato dai grandi, di non volere gli stranieri nella classe, incoraggia all’odio i soggetti di due piccole generazioni destinati ad affrontarsi a scuola, nei luoghi pubblici…Tuttavia, secondo me, vale la pena guardare più attentamente quello che succede sotto casa, nei quartieri, dove già da anni gli incontri-scontri avvengono, dove esistono però anche orientamenti fuori dal coro…Noi e loro siamo già insieme nella realtà, ma anche là dove non ci sono muri in cemento, ne abbiamo eretti di invisibili…
APPUNTO 1
LE MIGRAZIONI IN UNO SCRITTO DI G. LA GRASSA
Discutere partendo da testi precisi ( di Dal Lago, come ho proposto io, ma altri possono proporre chi vogliono) a me pare meglio che parlare a ruota libera. Poliscritture non dev’essere “il bar sport”, dove uno passa, dice la sua e poi se ne va. Deve essere un «laboratorio di cultura critica» dove si confrontano/scontrano anche posizioni diverse o contrapposte che aiutino a definire un tipo di “noi” con cui i singoli lettori possano identificarsi. A me il “noi” di Salvini e Grillo non va, come non mi va il “noi” dei DS. Il che non mi impedisce di appoggiare una politica di ambigua accoglienza (con tutti i suoi deficit e i fastidi o complicazioni che comporta) ad una di respingimento e di chiusura (peraltro propagandistica, perché non vedo né la Lega né Grillo attuare i loro deliranti programmi, almeno per adesso).
Tra i testi che con più lucidità sostengono la politica del respingimento scelgo ora questo recente scritto di La Grassa (http://www.conflittiestrategie.it/ipotesi-diverse-e-conseguenti-prospettive-politiche), dal quale – mi spiace dirlo perché finora è stato un interlocutore per me degno di attenzione e spesso ospite di Poliscritture – dissento ora quasi totalmente.
Nelle sue analisi geopolitiche generali che sostengono « una seria politica anti-UE delle varie opposizioni in molti paesi europei importanti» (Germania, Francia e possibilmente Italia) in sintonia col neo eletto presidente Usa Trump, la questione dell’immigrazione è affrontata in questo modo:
« Prendiamo ad esempio l’ultima “scoperta” di quest’ultima: l’accoglimento indiscriminato dei provenienti da altri mondi, completamente diversi dai nostri, che fuggono da “laggiù” per venire dove credono di trovare salvezza e benessere. Sia chiaro che questo fuggi fuggi è stato provocato – e per certi versi anche in modo consapevole – da quella strategia degli Usa (di Obama-Clinton), che ha creato il massimo caos con le sue operazioni dirette non più al vecchio neocolonialismo. Faccio un inciso per spiegare questo bisticcio di termini. Il vecchio colonialismo (anglo-francese soprattutto) occupava realmente i paesi colonizzati. Quello americano del dopoguerra (che ha scalzato del tutto il precedente) si è basato sul sostegno a forze locali, perfino elette “democraticamente” (sovente, invero, con qualche aiuto “extra”), le quali detengono il potere favorendo la penetrazione degli Usa in tutti i sensi (non solo economicamente, ma in quanto autentica “sfera d’influenza”). Con la dissoluzione del cristallizzato bipolarismo (Usa-Urss), dopo un primo assai breve periodo in cui sembrava che ci si avviasse al monocentrismo statunitense, si è pian piano venuto delineando un ben diverso mondo tendente al multipolarismo. La nuova strategia americana ha pensato bene di creare, almeno per un discreto periodo di tempo, una vasta zona di continuo disordine, delle vere “paludi melmose”, con poteri “in carica” deboli, anche se costretti, proprio per questo, a usare metodi “d’amministrazione” assai duri e violenti, solo capaci di accrescere i disordini, che al “team” dirigente statunitense degli ultimi mandati presidenziali è sembrato il più conveniente per intervenire in modi svariati. Uno di questi è la creazione del “Male” (ad es. quello “terroristico” e islamico, tipo Al Qaeda e poi Isis e via dicendo) al fine di intervenire per combatterlo, ma in modo da favorire comunque l’avvento alla direzione di dati paesi di forze politiche assai deboli, orientate dai centri americani in questione.
Il disordine creato in vaste aree, soprattutto dell’Africa e del Medioriente, ha favorito la massiccia fuga di quote consistenti della locale popolazione, che si è riversata verso l’Europa e dunque pure l’Italia. Ho avuto la sensazione che questo “effetto collaterale” della strategia americana del caos fosse proprio voluto da oltreoceano per meglio controllarci visto che, dopo settant’anni di “liberazione”, stanno sorgendo in Europa determinati gruppi contrari all’attuale sua organizzazione pensata in funzione della nostra servitù agli Usa. Tuttavia, mi sembra che ora si possa anche constatare un’ulteriore conseguenza di tale fenomeno. Le odierne dirigenze europee intendono sfruttarlo per trovare appoggio nel reprimere le insorgenze autonomistiche (accusate, chissà perché, di populismo, in molti casi direttamente di fascismo o perfino nazismo). La vittoria di Trump ha creato disorientamento in simili dirigenze. Innanzitutto, bisognerà vedere se il neoeletto manterrà certi suoi propositi, che indubbiamente mettono un po’ in crisi la piatta subordinazione della UE. In ogni caso, quest’ultima si prepara al peggio e accentua le sue posizioni; come dimostra l’insensata proroga delle sanzioni anti-russe.
Quali le finalità di simili “bravi figli” dei “padri dell’Europa”, che la svendettero agli Stati Uniti dopo la seconda guerra mondiale? A più lungo termine, influenzare una vasta massa elettorale riconoscente per l’accoglimento. In tempi più brevi, se fosse necessario, il reclutamento di bande di violenti – così divenuti in seguito allo sradicamento dalla propria cultura e terra e alle difficili condizioni qui incontrate – per sostituire una polizia e apparati di sicurezza, che saranno sempre più demotivati e magari incerti nel reprimere le proprie popolazioni, al fine di ridurre al silenzio (perfino “tombale”) le voci di dissenso via via più numerose.».
Ora, accantonando il discorso delle etichette (fascista, rossobrunismo, stalinismo…), io voglio cercare di valutare la “verità” o “scientificità” di certe affermazioni che fanno parte ormai dei luoghi comuni di una certa area politico sociale antigovernativa che utilizza il patrimonio della cultura di destra senza dichiararlo tale e dà per scontate cose non dimostrate. Ad es.:
1. A me pare che non ci sia nessun «accoglimento indiscriminato dei provenienti da altri mondi»;
2. Quanto, ancora oggi dopo secoli di confronto/scontro tra colonizzatori e colonizzati, questi altri mondi da cui vengono gli immigrati sono « completamente diversi dai nostri»;
3. Quanto è davvero consapevole « quella strategia degli Usa (di Obama-Clinton), che ha creato il massimo caos con le sue operazioni» e quanto invece è il sintomo di una crisi di egemonia degli Usa stessi. (Stabilirla con certezza mi pare difficile. Perché allora rischiare di darla per certa?);
4. La «vasta zona di continuo disordine» o le « vere “paludi melmose”, con poteri “in carica” deboli» (ci si riferisce, credo, all’Europa) è interamente o soprattutto il prodotto della « nuova strategia americana» o è determinata anche da altri fattori interni e/o locali/regionali?
5. Una domanda simile vale anche per il «“Male” (ad es. quello “terroristico” e islamico, tipo Al Qaeda e poi Isis e via dicendo». Davvero è esclusiva produzione in laboratorio degli strateghi USA?
6. E ancor più una domanda simile – anche se in questo caso si parla più prudentemente di «sensazione» – vale per «il disordine creato in vaste aree, soprattutto dell’Africa e del Medioriente» che è sicuramente la causa principale ( non l’unica) della « massiccia fuga di quote consistenti della locale popolazione, che si è riversata verso l’Europa e dunque pure l’Italia». Pensare queste migrazioni come mero «”“effetto collaterale” della strategia americana del caos» mi pare da una parte non coglierne l’aspetto epocale, messo in luce da vari studiosi, e dall’altra attribuire agli strateghi USA una lungimiranza – visto che le migrazioni sarebbero uno strumento manipolato a loro piacimento «per meglio controllarci visto che, dopo settant’anni di “liberazione”, stanno sorgendo in Europa determinati gruppi contrari all’attuale sua organizzazione pensata in funzione della nostra servitù agli Usa» (come se finora movimenti di opposizione agli Usa o alla Nato non ce ne fossero mai stati).
7. Non vedo quali prove (il sospetto non è una prova) si portino per affermare che « Le odierne dirigenze europee intendono sfruttarlo [il fenomeno dell’immigrazione] per trovare appoggio nel reprimere le insorgenze autonomistiche». Che queste poi siano «(accusate, chissà perché, di populismo, in molti casi direttamente di fascismo o perfino nazismo)» è davvero un’affermazione che, quantomeno, non tiene conto delle ambivalenze del cosiddetto “populismo” e comunque della presenza di formazioni minoritarie che esplicitamente si richiamano al fascismo (in Italia) e «perfino al nazismo» (in Germania e non solo).
8. Come non vedo quali prove si portino per sostenere che gli attuali governanti europei (qui presentati come «“bravi figli” dei “padri dell’Europa”, che la svendettero agli Stati Uniti dopo la seconda guerra mondiale») siano pronti a concedere a «una vasta massa» di immigrati « l’accoglimento. In tempi più brevi» ( il diritto di cittadinanza?) al solo fine di un « reclutamento di bande di violenti – così divenuti in seguito allo sradicamento dalla propria cultura e terra e alle difficili condizioni qui incontrate – per sostituire una polizia e apparati di sicurezza, che saranno sempre più demotivati e magari incerti nel reprimere le proprie popolazioni, al fine di ridurre al silenzio (perfino “tombale”) le voci di dissenso via via più numerose.».
P.s.
La produzione di G. La Grassa è così vasta,che a volte certe sue affermazioni (come quelle di questo scritto) rimandano ad altre precedenti, che le chiarirebbero meglio ma che sono spesso difficili da rintracciare. Io però non ho tempo di fare un lavoro di critica sistematica e preferisco, come in questo caso, criticare o obiettare in maniera circoscritta.
Il problema, qui come in Africa, è la povertà. Moltissimi immigrati vengono assoldati dalla mafia per lo spaccio, un po’ a loro e un po’ agli italiani indigenti: si guadagna subito qualcosa e, se si è bravi, anche piuttosto bene. Dire che l’accoglienza sia un’azione caritatevole è non voler guardare la realtà. Dove vivo io son poche decine gli immigrati; nel pomeriggio alcuni di loro giocano nel campetto di pallavolo, a volte si organizzano squadre miste di calcio; ma per lo più stanno per conto loro, nessuno li saluta a meno che non sia necessario. Per me possono anche venire qui in cento milioni, ma io sono diversamente povero, non temo la concorrenza quindi non faccio testo. Gli altri sì, perché sono ragazzi senza lavoro o guadagnano una miseria. Si sta come le famiglie che non hanno nulla ma continuano ad arrivare figli. Qualche regola ci vuole, se quelle proposte dal M5stelle non vanno bene se ne facciano altre. Ma così proprio non va. Del Lago (ma chi è?) deve avere una gran voglia di fare del fascista a Grillo, tutto qui; quindi s’attacca come può, senza fare distinzioni tra Lega e altri perché evidentemente ritiene di avere la verità in tasca. Ma tu, Ennio, con quella storia moraleggiante del Manzoni non è che hai dato gran prova di praticità. Almeno Grillo qualche soluzione la propone. Certo che Ricotta, a lasciarli affogare, dimostra di avere la sensibilità di una macchina. Spero per lui che le cose gli vadano sempre bene, in caso contrario che provi a trovarsi davanti ad un altro Ricotta… e vediamo se cambia idea.
Mayoor “Certo che Ricotta, a lasciarli affogare, dimostra di avere la sensibilità di una macchina. Spero per lui che le cose gli vadano sempre bene, in caso contrario che provi a trovarsi davanti ad un altro Ricotta… e vediamo se cambia idea.”
Non è così. Voglio solo trovare una strategia praticabile per evitare che vengano da noi non richiesti. E l’unica che dipenda solo da noi è quella di non andare in loro soccorso. Se la si fosse praticata fin dall’inizio, al primo barcone affondato, forse non ne sarebbero seguiti altri e alla fine avremmo risparmiato vite visti tutti gli incidenti accaduti. Siccome ho quasi 70 anni, e poiché sono stato migrante anch’io, di altri Ricotta ne ho incontrati molti. A noi nessuno ci è venuto a salvare e ad assistere, abbiamo contato solo sulle nostre forze. Ma non ho mai colpevolizzato nessuno per questo perché ognuno ha i suoi problemi. Mi rendevo conto che potevamo creare problemi e, in effetti, un certo numero di noi li creava. Ho sempre chiesto il permesso per entrare in casa altrui e spesso mi sono persino astenuto dal bussare per non mettere in imbarazzo l’ospite. Ben diversamente dai migranti arroganti e violenti che vengono da noi.
… affondarne uno per educarne cento? à la guerre comme à la guerre? Ma siamo in “guerra” con i migranti?
Proprio perché tutti siamo (stati) migranti sappiamo che gli arroganti e i violenti sono dappertutto. Troppo facile impostare il problema sul fatto che “loro” sono i cattivi!
…se si è provata l’esperienza di avere la faccia del “diverso”, che sente di “mettere in imbarazzo” quelli con la faccia “per bene” , come si fa poi a non comprendere chi oggi si può vivere “diverso”? Oppure proprio perchè si è ricevuta discriminazione, come per certe reazioni infantili, la si vuol “far pagare”…Toccò a me… ora a te?
Intervengo senza aver avuto la forza, per stanchezza visiva, di leggere tutti i commenti. Perciò mi scuso se dovessi ripetere qualcosa già scritto da altri. Cerco di stare in argomento, dal quale spesso -a quanto sembra- la discussione si è poco proficuamente allontanata.
Punto 1: “Chi ha diritto di asilo resta in Italia…” ecc. Ciò significa che chi è venuto in Italia per fame se ne deve tornare in patria a morire di quella fame da cui ha tentato di fuggire. È una cosa normale questa?
Punto 2: “Schengen deve essere rivisto: qualora si verifichi un attentato in Europa le istituzioni devono provvedere a sospenderlo immediatamente e ripristinare i controlli alle frontiere …” Io penso che, al di là di ogni sospensione e di qualsiasi concetto escludente di “frontiera”, basterebbe stabilire più efficaci collegamenti tra le forze dell’ordine dei vari paesi dell’UE ed effettuare più attenti controlli sui territori.
Punto 3:”Creazione di una banca dati europea sui sospetti terroristi …” In assoluto, questo punto pare condivisibile. Mi lascia perplesso l’aggettivo “sospetti” e la discrezionalità che ne consegue.
Punto 4: “Revisione del Regolamento di Dublino”, evidentemente – così credo di capire- in senso restrittivo. Almeno secondo l’auspicio del richiedente. Significa che non hanno più diritto all’accoglienza e alla solidarietà neppure quelli che fuggono da guerre e da dittature, cioè quelli che rischiano veramente di perdere la vita? Se così fosse, saremmo all’egoismo più sfacciato, bieco, brutale, sfrenato.
Ora dico la mia. Non mi pare aberrante o ereticale né etichettabile politicamente l’affermazione che bisogna aiutare le popolazioni povere o in difficoltà economiche a casa loro. Anzi, è sicuramente la soluzione migliore, a patto che le si aiuti sul serio, senza protezionismi e paternalismi o addirittura velleità imperialistiche. Anche perché a nessuno viene voglia di andarsene dal contesto in cui è nato se vi sono degne condizioni di vivibilità. Qualcuno certo partirebbe, magari per fare una diversa esperienza di studio o di lavoro, ma sarebbe fenomeno molto contenuto e quasi trascurabile.
Resterebbe comunque sul tappeto, con tutta la sua urgenza, il problema delle migrazioni dovute a guerre in atto e a dittature, questo sì, di difficile soluzione. E tuttavia da affrontare con la necessaria urgenza, perché gli esodi in massa sono un grave peso per tutti: per i migranti e per il paese ospitante.
Tornando a Grillo, la sua posizione circa la questione dei migranti mi sembra egoistica e conservatrice, se non addirittura reazionaria. E getta abbondantemente luce sull’atteggiamento “politico” e sui comportamenti di Grillo e di Casaleggio (prima), e di Grillo e del principe ereditario (ora), sia a livello interno del M5S sia nell’ambito più vasto del mondo politico attuale.
Mia moglie, che non ha una profonda conoscenza della politica, qualche sera fa ha osservato, secondo me acutamente: “I grillini sono arrivati a Roma con lo zainetto e ora già sono alla borsa e alla valigetta. Ed anche alla cravatta.”
Rivoluzione già abortita? Boh!
Pasquale Balestriere
Annamaria Locatelli “Toccò a me… ora a te”
Cristiana Fischer “Troppo facile impostare il problema sul fatto che “loro” sono i cattivi!”
Ho recepito il consiglio di Ennio Abate di non farne un caso personale ma di indicare soluzioni sulla base di o contro quelle proposte da Grillo. Siccome ritengo che alcune di esse, pur auspicabili, siano difficilmente praticabili perché dipendono da altri governi che mi paiono poco disposti a prendere in considerazione il problema, ho indicato una mia soluzione che dipende solo da noi. Ciò non significa che sia più facile perché anche tra noi esistono enormi divergenze, ma almeno si elimina qualche variabile. A mio parere problemi di questo tipo non possono essere risolti sul piano morale o etico. Ho letto e condiviso tutte le analisi che sono state fatte su questo blog e altrove sulle cause del problema: guerre, sfruttamento economico, problemi climatici e anche il semplice desiderio di migliorare le proprie condizioni di vita. Mi pare che tutti concordino che questa non è una normale migrazione ma una “di massa”, “biblica”, e allora non si tratta di distinguere i buoni dai cattivi ma di salvaguardare se stessi, il proprio territorio, il proprio stile e livello di vita, anche per coloro che verranno. E siamo appena agli inizi del problema. Alcuni ritengono che questa migrazione non sia un problema e comunque sia inarrestabile, altri la ritengono addirittura auspicabile. Ma c’è chi come me la chiama “invasione”. E nella storia le invasioni hanno fatto molto male, com’è noto. Ci saranno sempre guerre, sfruttamenti, problemi climatici, perciò quello che possiamo fare è solo arginare questo flusso incontrollabile (per parafrase Gianfranco La Grassa che però lo definisce inconoscibile). Per me questo obiettivo non è cosa da poco. Ci dà un po’ di respiro. I muri e gli eserciti non servono solo per offendere (funzione che io disapprovo) ma anche per difendere. Sono loro che hanno permesso alle civiltà di nascere e durare per un certo tempo.
Sono molto d’accordo con Angelo Ricotta che ci troviamo entro avvenimenti storici che riguardano spostamenti massivi che avranno ripercussioni imprevedibili sul nostro mondo. Per questo ricordavo periodi come il primo millennio della nostra era, la “scoperta” dell’America, i nuovi paesi latino-americani. Credo che vivrà anche l’Europa trasformazioni impensate.
In questa prospettiva occorre affinare le nostre conoscenze storiche e approfondire le capacità futurologiche.
APPUNTO 2.
IMMIGRAZIONE E DIFESA DELLA “CIVILTA'”
1.
Credo che le preoccupazioni di Ricotta abbiano un fondo di verità che non possiamo aggirare con delle battute. E che i richiami a quando eravamo noi migranti inneschino ricordi personali («Ho sempre chiesto il permesso per entrare in casa altrui») di comportamenti che, se erano possibili allora, non lo sono quasi più adesso. Bisogna riconoscere che, sì, ci sono anche «migranti arroganti e violenti». E’ un problema che alimenta la paura. E questa paura può diventare cieca e indiscriminata. Perché non è circoscritta ai migranti effettivamente «arroganti e violenti», ma s’indirizza al “mucchio”, a tutti i migranti. E si autoalimenta anche di fantasmi . Cresce e spinge tutti – governi, partiti, singoli cittadini pensanti – a « trovare una strategia praticabile» che spesso per non è efficace.
Quella proposta da Ricotta – in pratica il respingimento, già teorizzato in passato da Fini e poi da Maroni – forse lo è? Anzi, lo è stata? Perché, allora, pur sostenuta da discorsi truci o gelidi di vari politici, non è stata « praticata fin dall’inizio»?
(Io ricordo che in qualche occasione fu anche “democraticamente” pensata e praticata: « Quando Prodi mandò la Marina a fermare l’esodo degli albanesi. 28 marzo 1997, una nave militare italiana sperona e affonda un barcone. Muoiono 81 migranti, 27 i dispersi» (http://www.iltempo.it/politica/2015/04/23/gallery/quando-prodi-mando-la-marina-a-fermare-lesodo-degli-albanesi-974568/).
Non credo sia stata più praticata per paura di usare violenza da parte di un governo. O per “buonismo” ( etichetta sempre più vuota quanto quella di “cattivismo”). Ma forse perché qualcuno (anche nel governo) capì che non reggeva o non avrebbe retto a lungo.
2.
Proprio perché «questa non è una normale migrazione ma una “di massa”, “biblica”» è più difficile cercare la soluzione o le soluzioni. Mi chiedo però: siamo così con l’acqua alla gola da rinunciare a «distinguere i buoni dai cattivi», come propone Ricotta? Come se fossimo in guerra coi migranti ( come ha fatto notare Fischer: «… affondarne uno per educarne cento? à la guerre comme à la guerre? Ma siamo in “guerra” con i migranti?»( https://www.poliscritture.it/2016/12/28/noi-e-loro-nello-specchio-di-facebook-verso-la-fine-del-2016/#comment-55614)?
E poi siamo sicuri che così si salvaguarda «il proprio territorio, il proprio stile e livello di vita, anche per coloro che verranno»? Quali sono i fattori economici e politici che, a detta di studiosi seri, rendono questa migrazione « inarrestabile» e, a certe condizioni, «addirittura auspicabile»? Finché siamo in grado di riflettere e ragionare, perché affrettarci emotivamente a parlare genericamente di “invasione”? E ancora: cosa è entrato di ben peggio e prima dei migranti nel nostro territorio, nel nostro stile e livello di vita?
La Grassa almeno riconosce che si tratta di un «“effetto collaterale” della strategia americana del caos». E non capisco come si fa a parlare di “invasione”, quando si trattadi una fuga disperata e male organizzata.
3.
E poi, che tipo di «civiltà» ( o quali parti della “nostra” civiltà) difenderemmo da questa cosiddetta “invasione”? Perché ci sono processi d’invecchiamento e di degrado culturale che non meritano affatto questa difesa. Per una riflessione anche su questo aspetto del problema segnalo come spunti questi stralci di un’intervista del luglio 2016 a Vittorino Andreoli, che ho ripreso dalla bacheca FB di Gabriela Fantato :
1.
Qualcuno dice: “non è razzismo, è superficialità”. Io ribatto: no è razzismo.
E’ considerare l’altro inferiore perché ha quelle caratteristiche, per cui bisogna combatterlo. Se uno è diverso da te è un nemico e va combattuto. Si arriva alla legge del taglione. Si torna a fare la guerra perché il diverso è un nemico che porta via soldi, posti di lavoro, eccetera. Così come c’è una gerarchia dei potenti c’è anche una gerarchia di razze. Perché sono presi di mira solo alcuni.
Il razzismo e i pregiudizi sono però universalmente presenti nel cuore dell’uomo, a prescindere dalle nazioni.
E’ sicuramente un istinto presente nella nostra biologia, nella nostra natura, ossia la lotta per la sopravvivenza di cui parlava Darwin, la lotta per la difesa del territorio. Ma tipico dell’uomo non è solo la biologia ma la cultura. E la cultura dovrebbe essere quella condizione in cui rispettiamo gli altri e riusciamo a frenare un istinto. Il problema è: come mai la cultura che caratterizza l’uomo e consiste nel controllo delle pulsioni non c’è più? Tutta una cultura che si era costruita fino a epigoni che erano quelli dell’amore, della fratellanza, è completamente recitata ma non vissuta.
2.
Nei dibattiti pubblici, soprattutto sui social, c’è sempre un “noi” contro “loro”: i migranti, più deboli, diventano il capro espiatorio di tutti i mali.
Certo, questo è il principio darwiniano. L’evoluzione si lega alla lotta per l’esistenza: “mors tua, vita mea”. Bisogna eliminare il nemico, deve vincere la mia tribù che deve prendere il tuo territorio. E’ una regressione spaventosa. Poi c’è la crisi che ha sottolineato la paura, le incertezze. E la paura genera sempre violenza. Ci rendiamo conto che, in un Paese che non legge, un giornale ha regalato il Mein Kampf di Hitler? Perché non hanno regalato “La pace perpetua” di Kant?
3.
Marketing, ricerca di consenso e voti, incoscienza: quali sono, secondo lei, le vere ragioni dietro a scelte così pericolose? Come fare per arginarle?
Non è follia, è stupidità. Bisogna prendere una posizione molto decisa: non è più possibile fare finta. Questa è una società falsa, che recita. Andiamo incontro a situazioni che saranno di nuovo drammatiche.Ci vuole più coraggio anche nella Chiesa. Il Papa lo ha avuto nel suo schierarsi dalla parte dei migranti, ma ci sono quelli che non sono d’accordo. Bisogna cominciare a dire che questa nazione deve cercare di far emergere uomini e donne saggi, intelligenti. Stiamo scegliendo i peggiori. C’è una ignoranza spaventosa. Bisogna poter parlare, spiegare, capirsi. Occorrono persone credibili per parlare ai giovani, ma la via è sempre quella della cultura. Fare promozione, educazione, dimostrare quanta positività c’è in chi viene odiato, per stimolare al rispetto nei loro confronti.
4.
Con i giovani è più facile perché sono come pagine bianche di un libro da scrivere. Ma con adulti già formati come si fa? E’ una battaglia già persa in partenza?
No, perché l’espressione esplicita dei pregiudizi nasce dal sentirsi sostenuti. Se nascondono ancora il loro pensiero sono recuperabili. Il problema emerge quando ci si sente in tanti a pensarlo. Bisogna far scoprire cosa c’è nell’altro, cosa significa una società diversa.
5.
Purtroppo oggi sui social non si nasconde più il proprio pensiero: lo schermo del computer protegge dal confronto diretto, le affermazioni diventano più violente e l’espressione dei pregiudizi, anche in maniera razionale, serve solo a rafforzare l’ego…
E’ vero. Questo è più grave, perché se uno stava zitto e si esprimeva a casa, agiva male solo in famiglia. Adesso diventa un’azione diffusa, trasformandosi in vera e propria propaganda.
(http://agensir.it/italia/2016/07/14/lo-psichiatra-vittorino-andreoli-livello-di-civilta-disastroso-regrediti-alla-cultura-del-nemico/)
Io sarei per l’accoglienza organizzata. I centri di accoglienza sono ben organizzati? Forse non abbastanza. Bisognerebbe accettare definitivamente questa realtà e attrezzarsi. Creare delle cittadelle, non delle baraccopoli. Però prima di uscire di lì devono avere un passaporto. Come ce l’ho io e tutti quanti.
Ennio Abate “in pratica il respingimento, già teorizzato in passato da Fini e poi da Maroni”
Sono più vecchio di Fini e Maroni e comunque le cose che ho scritto le sostenevo da molto prima che essi le proponessero. Comunque il respingimento non è mai stato praticato seriamente, quindi come si fa a dire che non funzionerebbe? Quello dello speronamento fu un incidente provocato intenzionalmente dagli scafisti proprio per creare il caso. Infatti morirono gli altri e non gli scafisti. All’inizio furono fermati ma poi non si parlò più di loro. Che fine hanno fatto?
Su Vittorino Andreoli. Ho letto qualche suo libro e l’ho sempre trovato inconsistente. In quella intervista non fa altro che offendere chi non la pensa come lui (livello di civiltà disastroso, regrediti alla cultura del nemico, stupidi, razzisti, falsi). E questa sarebbe un’analisi razionale? Mi chiedo come farà a curare chi gli si affida. Oppure che perizie può fare un tipo così? Un’incapacità totale di capire i dati della realtà e le ragioni degli altri.
Mayoor “Io sarei per l’accoglienza organizzata”
I centri non funzionano. I migranti non si vogliono far identificare e vanno via senza che nessuno possa impedirglielo. Quindi l’identificazione deve essere pretesa alla partenza altrimenti non li si va a recuperare. E poi perché non prendono delle navi regolari o degli aerei per venire? Sicuramente spenderebbero molto meno. Se non lo fanno è perché hanno qualcosa da nascondere.
Non hanno da nascondere nulla a noi, forse al loro paese perché se ne sono andati illegalmente. Cioè son dovuti, o hanno scelto di scappare. Questo concetto proprio non la sfiora. Lei partirebbe per Marte domattina se perdesse il lavoro e sua moglie si fosse messa col vicino di casa, magari perché lei ha perso le gambe per via di un forte terremoto?
@ Ricotta
Non ho detto che il respingimento non funzionerebbe. Per essere più chiaro di quanto già sono stato: per me e – credo – per altri (vedi il commento di Balestriere ma anche quelli di Fischer, Locatelli e Mayoor) è inaccettabile, perché non si tratta di invasione come tu sostieni ma di fuga da situazioni di pericolo e di miseria. Qui siamo frontalmente contrapposti e ogni possibilità di confronto si chiude. Spero soltanto che quanti la pensano come te non abbiano mai il potere di passare alla pratica.
Mayoor “Questo concetto proprio non la sfiora…partirebbe per Marte…”
No, proprio non lo capisco il concetto e tu (scusa se ti do del tu) non me l’hai spiegato in modo convincente. Per Marte…mi piacerebbe moltissimo andarci…chissà se la tecnologia riuscirà ad evolversi in tempo per permettere ai vecchi come me di vedere la terra da Marte.
Ennio Abate “ogni possibilità di confronto si chiude.Spero soltanto che quanti la pensano come te non abbiano mai il potere di passare alla pratica.”
Va bene la smetto qui. E poi è fine anno e ho degli amici e benché tra loro non tutti la pensino come me però mi aspettano per assaggiare succulente pietanze e disquisire su tutto e tutti. Sul potere non c’è bisogno che mi auguri qualcosa. Non sono mai stato in zona e ora che sono vecchio e neanche ricco le possibilità sono zero. Però altri…
Auguro a tutti un felice fine d’anno nella sempiterna speranza che nel nuovo anno succeda qualcosa di positivo.
“Va bene la smetto qui” (Ricotta)
No, per me puoi continuare. E’ sempre bene capire cosa pensano o desiderano gli altri. Intendevo dire che non c’è possibilità di *intendersi* (ma solo di *studiarsi*: a vicenda).
Ti invito a leggere, per la concretezza delle proposte su come gestire le immigrazioni, l’articolo di Gabanelli su Corriere, se non è online ne trovi una buona esposizione sul Sussidiario online.
Buon anno nuovo anche a te.
Meglio aggiungere anche qui uno stralcio:
e il link:
http://www.ilsussidiario.net/News/Politica/2016/12/31/MILENA-GABANELLI-IN-POLITICA-Se-il-Corriere-lancia-il-piano-migranti-della-neo-candidata/740260/
(Ennio ha fatto bene a mettere link e stralcio. Purtroppo col solo cellulare ho poca agibilità.)
Era una metafora, Angelo, o un vizio di forma. Partire per Marte è come attraversare il Mediterraneo. Un viaggio verso l’ignoto… senza pensare che i Marziani potrebbero prenderti a fucilate! ahahahhhh
Ciao
Buon anno.
Letto stamane su Fb:
Senza eserciti, niente guerra.
Senza frontiere, nessun clandestino.
Sì, anche: senza pensieri nessun problema…
in effetti… per difenderci da noi stessi, ogni tanto staccare.
La Gabanelli vorrebbe addirittura accoglierne 200000 l’anno di migranti. Se non è follia questa! E poi si ventila di una sua candidatura con i 5*. Ridicolo. Se accettano un progetto del genere saranno azzerati.
In effetti se io fossi nei marziani impedirei ai terrestri di sbarcare.
“Senza eserciti, niente guerra. Senza frontiere, nessun clandestino.” E neanche nessuna civiltà. Solo un gran caos. Esiste un limite alle dimensioni dei sistemi per la loro governabilità. Devo andare, devo andare…di nuovo auguri a tutti.
Anche lo slogan è una forma d’arte. Una punta di freccia per ricordare si vorrebbe tendere.
… per ricordare dove si vorrebbe
…auguri a tutti anche da parte mia..mi sono piaciute molto le immagini che Mayoor ha postato su facebook per un recupero dell’agricoltura, forse un settore che può rilanciare la nostra economia e magari vederci affiancati ai migranti in un contagio di colture (ma anche culture) e di metodi…Dato poi che sta cambiando anche il clima e la savana è più vicina
Auguri, Annamaria. Che belle poesie hai postato recentemente. Buon anno.
auguri anche a te, Mayoor, e grazie
SEGNALAZIONE
Alessandro Dal Lago (Su FB)
Sono annegate circa 100 persone, per lo più donne e bambini, in quattro diversi naufragi nel Canale di Sicilia. Non in un altro tempo e in un altro mondo, ma una settimana fa, il giorno di Natale, davanti alle nostre coste. La notizia è apparsa nelle pagine interne dei quotidiani ed è subito svanita, cancellata da articoli sui cenoni festivi, sulle star recentemente defunte e sulle nuove tensioni tra Usa e Russia. D’altronde, si stima che nel solo 2016 siano morti in mare 5000 migranti. E quindi, cento più o cento meno…
E così in questi anni, giorno dopo giorno, ci siamo abituati a questa strage invisibile, di cui non sono responsabili terroristi o nemici dell’umanità, e che quindi appare una fatalità da attribuire a vaghe astrazioni (è la crisi globale, signora mia). In cambio, però, i cittadini di Goro insorgono se una decina di donne e bambini, scampati ai naufragi, vengono assegnati al loro villaggio, sommerso dalla nebbia. E se un Amri, freddato a Sesto San Giovanni, era stato nelle nostre galere, ecco che Grillo – sì, quello che scavalca a destra Salvini ed è così amato a sinistra – esige un giro di vite contro i clandestini, espulsioni immediate e il potenziamento delle forze dell’ordine.
Se Grillo chiama, Minniti risponde. Questa specie di commissario Montalbano dall’aria feroce, che è stato al governo con chiunque (D’Alema, Amato, Prodi e oggi Gentiloni), a suo tempo grande amico di Cossiga e auto-promosso esperto di sicurezza e intelligence, ha deciso di intervenire a gamba tesa sulla questione migranti. E quindi, apprendiamo oggi dalla stampa, retate a più non posso di feroci lavavetri, venditori di fiori e lavapiatti abusivi, espulsioni in massa e Centri di Identificazione ed Espulsione in ogni regione. Non solo: il tarantolato Minniti si appresta a volare in Africa per stipulare nuovi patti con i paesi di provenienza dei migranti, un po’ recalcitranti a riprendersi i loro figli emigrati.
Così, mentre gli italiani residenti in Inghilterra si apprestano a far causa al governo May che li vuole espellere, noi tentiamo di ricacciare in Africa quelli che hanno traversato deserti e mari per sopravvivere in Europa. Ma riuscirà Minniti nella sua coraggiosa impresa? Non credo proprio. Quanto costeranno i voli per rimandare in Egitto, Libia, Tunisia e Nigeria. non solo i cittadini di questi stati, ma tutti gli altri, afghani, etiopi, siriani, centro-africani? E basteranno quattro soldi, elargiti da Gentiloni-Minniti, per convincere detti stati a prendersi, cioè a internare, tutti quelli che vogliamo cacciare noi e che non sono cittadini loro?
La riposta è sempre no. Dove hanno fallito Amato, Prodi, Berlusconi e Renzi, non riuscirà Minniti. Tuttavia avremo migliaia di internati in più nei Cie, nuovi sbarchi, nuovi giri di vite, tensioni con la Ue e la solita solfa di Grillo e Salvini che incitano i cittadini a protestare. Così il buon senso svanisce tra ipocrisia, urla forcaiole e giri di vite, mentre in mezzo al Mediterraneo la gente continua ad annegare.
(https://www.facebook.com/alessandro.dallago.77/posts/943228589154853)
*Nota
Possibili collegamenti con quanto scriveva Jarosław Iwaszkiwewicz (nel post di Paolo Statuti, qui:https://www.poliscritture.it/2016/12/31/4732/:
“, il ragazzo salì, seguito dagli uomini della Gestapo; gli sportelli sbatterono e il furgone, partito di scatto, si diresse a tutta velocità verso viale Szuch…
Scomparve dalla mia vista. Mi guardai intorno cercando comprensione in qualcuno, compassione per quello che era successo. Quel giovane con il libro era pur scomparso. Ma con sommo stupore notai che nessuno aveva fatto caso a quanto era accaduto. Tutto ciò che ho descritto si era svolto così di colpo, così fulmineamente, ognuno della folla sulla strada era così preso dalla sua fretta, che il rapimento del giovane era passato inosservato. Le signore che mi stavano accanto discutevano quale tram fosse meglio prendere, due gentiluomini dietro la colonnina della fermata si accesero una sigaretta, una donnetta con la cesta posata vicino al muro ripeteva senza sosta: «Limoni, limoni, limoni belli», come un esorcismo buddista, e altri ragazzi attraversavano di corsa la strada inseguendo le vetture che si allontanavano, rischiando di finire sotto altre automobili… Mickiewicz se ne stava tranquillo, i fiori profumavano, le piccole betulle e i sorbi presso il monumento erano mossi da un leggero venticello, la sparizione di quel giovane non significava nulla per nessuno. Soltanto io mi ero accorto che Icaro era annegato”
Non si è autopromosso, ha una carriera tra Interni e servizi ventennale, quindi È esperto di sicurezza e intelligence. Ora di nuovo Interni, e Gentiloni assume la delega ai servizi. In una fase di passaggio tra democratici e trumpiani. Ordine, perdio, come si usava dire al tempo dei colonnelli in Grecia.
SEGNALAZIONE PREVENTIVA
(IMMIGRATI E MALATTIE)
Roberto Burioni, Medico
31 dicembre 2016 alle ore 12:43 ·
Una delle bugie che più mi infastidiscono è quella secondo la quale gli attuali casi di meningite sarebbero dovuti all’afflusso di migranti dal continente africano. Bene, tanto per cambiare è una menzogna senza senso.
In Europa i tipi predominanti di meningococco sono B e C, ed in particolare i recenti casi di cui si è occupata la cronaca sono stati dovuti al meningococco di tipo C; al contrario, in Africa i tipi di meningococco più diffusi sono A, W-135 ed X. Per cui è impossibile che gli immigrati abbiano qualcosa a che fare con l’aumento di meningiti in Toscana. Per cui chi racconta queste bugie è certamente un somaro ignorante.
Invece di prendercela con chi non ha colpe, ricordiamo che contro questo meningococco abbiamo a disposizione un vaccino efficace e che se tutti i genitori vaccinassero i loro figli la malattia scomparirebbe nei bambini e negli adulti, come è già accaduto in numerosi paesi.
(http://www.huffingtonpost.it/2017/01/02/medico-burioni-commenti-meningite_n_13928188.html?ncid=fcbklnkithpmg00000001)
L’asserzione “La scienza non è democratica” andrebbe usata con estrema cautela. C’è tutta una storia di un uso distorto di tale affermazione. Comunque la virologia è una scienza con ampi margini d’indeterminazione. Le statistiche epidemiologiche possono essere fallaci. Qualche storico caso è riportato in “W.I.B Beveridge-The Art of Scientific Investigation-W. Heinemann Ltd-1950”. Forse qualcuno conosce casi più recenti.
SEGNALAZIONE
(dalla bacheca FB di Claudio Vercelli)
La scienza è democratica?
http://www.scientificast.it/2017/01/04/la-scienza-democratica/
@ Ricotta
A me interessava quanto dice sulle bugie anti-immigrati, confutandole poi da medico, nelle prime righe (“Una delle bugie che più mi infastidiscono è quella secondo la quale gli attuali casi di meningite sarebbero dovuti all’afflusso di migranti dal continente africano. Bene, tanto per cambiare è una menzogna senza senso.”) . Il resto dell’allegato compare in automatico e solleva problemi che in quest’occasione non considero.
APPUNTO 3. L’ IMMIGRAZIONE COMPLICATA DAL “TERRORISMO”
1.
Ha scritto in un commento cristiana fischer (30 dicembre 2016 alle 12:32):
« In questa prospettiva occorre affinare le nostre conoscenze storiche e approfondire le capacità futurologiche». E, cullandosi secondo me nelle nuvole dell’utopia, mayoor (31 dicembre 2016 alle 10:25) : «Letto stamane su Fb: Senza eserciti, niente guerra./ Senza frontiere, nessun clandestino».
Nel frattempo l’aria che tira è sempre più quella del “sorvegliare e punire”, come ricordano ancora le parole di Alessandro Dal Lago da me segnalate ((https://www.facebook.com/alessandro.dallago.77/posts/943228589154853). Ma anche questo articolo molto informato sulla situazione in Germania dopo l’ultimo attentato: «La Germania dopo la strage di Berlino. E ora?» di Lorenzo Monfregola Venerdì, 30 Dicembre 2016 (http://www.eastonline.eu/it/opinioni/european-crossroads/attacco-terroristico-berlino-prospettive) .
2.
A margine aggiungo. Non credo che fra di noi ci siano i sostenitori della contiguità tra immigrazione e terrorismo, ma nell’immaginario collettivo un sospetto den genere è sicuramente alimentato. E non basta certo ricordare che i criminali ci sono dovunque e non arrivano in Italia o in Europa a causa dell’immigrazione. Monfregola scrive che esiste «una zona oscura che, innanzitutto, non è stata ancora individuata a livello teorico, a causa di un dibattito sull’immigrazione che, da almeno un anno, è ostaggio di due polarizzazioni ideologiche: quella della xenofobia oltranzista e quella della tolleranza aprioristica. Sta invece diventando evidente come entrambi questi approcci si basino su una generalizzazione, positiva o negativa, che impedisce di fare le specifiche distinzioni necessarie a riconoscere gli spazi occupati dall’estremismo islamista all’interno della più recente immigrazione in Germania».
Concordo. L’ oscillazione tra i due poli (tra cattivismo e buonismo per semplificare) è quasi inevitabile. Troppo vaga o addirittura assente è la conoscenza delle culture, degli immaginari e dei bisogni degli immigrati. Figuriamoci delle politiche e delle pratiche dei fondamentalisti islamici.
3.
Rita Simonito nella parte finale del suo post (https://www.poliscritture.it/2017/01/02/ex-malo-bonum/) avverte: « dimentichiamo quanto è difficile e doloroso, a volte disumano, integrare delle parti di noi che rifiutiamo e che pure ci appartengono – “c’è una parte di me in ognuno di voi” dice il personaggio di Hitler nel recente film “Lui è tornato”». Se questa difficoltà vale per la storia passata, ancor più vale per l’oggi. L’altro ha il volto dell’immigrato e può avere il volto del radicale islamico disposto a compiere atti che per noi, che potremmo subirli, sono terroristici, ma che per lui e le organizzazioni che lo sostengono – non dobbiamo nascondercelo semplificando la realtà come in certi western – sono atti di martirio, giusti, necessari e meritori. Sono dei combattenti. Gli apparati polizieschi e militari degli Stati in cui viviamo hanno a che fare con dei combattenti, anche se la propaganda li squalifica e li presenta come terroristi.
4.
I comuni cittadini, anche quando volessero rimanere estranei al conflitto e non avessero o non esprimessero opinioni sull’Islam e le sue organizzazioni radicali ( come fecero i redattori del settimanale satirico Charlie Hbdo), possono esserne vittime occasionali ( Bataclan a Parigi, 13 novembre 2015; mercatino di Berlino, 19 dicembre 2016; e, prima ancora, a Madrid, 11 marzo 2004, e a Londra, 7 luglio 2005 ). Poiché sono in corso guerre, a cui partecipano attivamente e in diversa misura (in Siria, in Libia, nel Medio Oriente, in Yemen, in Nigeria, ecc.) anche gli Stati dell’UE. E colpire – terrorizzando appunto – le popolazioni civili è obiettivo strategico perseguito da entrambi i fronti contrapposti (per quanto asimmetriche possano essere le loro potenzialità di intelligence e di fuoco). Sì, i civili sono ovunque vasi di coccio tra vasi di ferro. La storia ci sta riproponendo di continuo il problema di distinguere l’amico dal nemico. Anche fra gli immigrati. Perciò mi paiono diversivi sia l’utopismo che le demonizzazioni.
5.
Ma la storia ci va riproponendo anche il problema di come pensare il nemico. Basta demonizzarlo? In questi giorni ho iniziato la lettura del romanzo «Le benevole» di Littel. La quarta di copertina annuncia: «Nell’Europa travolta dalla furia nazista, l’epopea tragica ed efferata di un ufficiale delle SS, Maximilien Aue. Le Benevole ci fa rivivere gli orrori della guerra dal punto di vista dei carnefici.». Voglio riportarne uno stralcio che tratta proprio di questo tema e si collega anche al problema sollevato da Simonitto:
Caro Ennio, in psicologia, quando si parla dei fenomeni associativi, si parla anche della “legge di contiguità” per cui due fatti, qualsiasi essi siano, che però si svolgono nello stesso spazio e nello stesso tempo si dicono “contigui”. In questo senso terrorismo e immigrazione possono, appunto, definirsi “contigui”. Partiamo da questa piccola, certo assai insufficiente, ma comunque “scientifica” base per capire qualcosa di più!
@ Ottaviani
Meno male che ho tentato di precisare: “Non credo che fra di noi ci siano i sostenitori della contiguità tra immigrazione e terrorismo, ma nell’immaginario collettivo un sospetto del genere è sicuramente alimentato”.
Aggiungerei ora in risposta alla tua obiezione: ma allora perché fermarsi solo alla “contiguità” tra terrorismo e immigrazione? C’è anche quella tra terrorismo e servizi segreti. O anche quella tra guerre occidentali (permanenti) e terrorismo e migrazioni…
… e quella tra famiglia e violenza, giusto per non dimenticare l’essenziale.
…Certo, certo. Proprio perché era stato erroneamente “precisato” e travisato (ideologicamente?) il termine “contiguità” sono intervenuto. E certamente c’è contiguità – stesso tempo stesso spazio – tra servizi segreti e terrorismo, tra violenza e rapporti familiari e tra innumerevoli altri fenomeni. Solo che se si bandisce la “contiguità”, ripeto, – stesso tempo stesso spazio – dall’analisi dei fenomeni terroristici e migratori si parte con il piede sbagliato e si presta così il fianco agli ideologi dei respingimenti, ai fomentatori dei peggiori sentimenti di paura, razzismo ecc. … “Contiguità” infatti non vuol dire che un fenomeno dipenda da un altro “contiguo”. E’ semplicemente la presa d’atto che alcuni fatti accadono simultaneamente. L’indipendenza dei fenomeni va anche spiegata in ragione della loro simultaneità. Sfuggire a questa spiegazione è un errore che non ci si può permettere.
Parlare di *contiguità* implica una posizione di passo indietro, per osservare dal di fuori (ma: da dove?) delle occorrenze in “stesso spazio e stesso tempo” come scrive Ottaviani. Parlare di contiguità significa riferirsi a una situazione *complessa*, una struttura o configurazione nella quale il tempo interno non conta, si tratta invece di identificare se e come le singole occorrenze si strutturino in rapporti tra loro.
Credo però che dire che il tutto avvenga nello “stesso tempo” non è affermazione corretta. Gli avvenimenti sono sempre relazionati tra loro in ordine di primarietà e secondarietà, che è ordine logico, ma anche temporale. Anche temporalmente si dà prima la situazione di default poi le variazioni: primario è il giungere di immigrati, secondario è l’eventuale comportamento terrorista (ove i terroristi siano tra gli immigrati e non tra i residenti); primario è ricalcare in famiglia le caratteristiche (patriarcali) di genere tra maschio e femmina, secondario l’abusare dello ius corrigendi attribuito.
Il ricorso alla contiguità fa evaporare tutte e due le connessioni tra i fatti, quella logica e quella temporale, sostituire contiguità a causalità è infatti pretesa di un eterno presente, quello politico di un sistema sociale che ha raggiunto un traguardo di immutabilità, e quello fisico che disegna la materia eterna.
Infatti e persone che sperimentano *prima*, temporalmente e logicamente, la de-territorializzazione, poi/intanto si chiedono come si struttura la contiguità con gruppi di maschi -estranei, giovani e inattivi-, e se e come essi organizzano i rapporti tra loro.
IERI, OGGI. EMIGRAZIONE E TERRORISMO. A PROPOSITO DELLA TENTAZIONE DI COLPIRE NEL “MUCCHIO”.
“A ogni tappa venivano distaccati dei Teilkommandos per identificare, arrestare e giustiziare i potenziali oppositori. La maggior parte, va detto, erano ebrei. Ma fucilavamo anche commissari o funzionari del Partito bolscevico, quando ne trovavamo, ladri, saccheggiatori, contadini che nascondevano il grano, e anche zingari. Von Radetsky ci aveva spiegato che bisognava ragionare in termini di *minaccia obiettiva*: essendo materialmente impossibile smascherare ogni singolo colpevole, bisognava identificare le categorie sociopolitiche più suscettibili di nuocerci e agire di conseguenza”
(J. Littel, Le benevole, pag. 77)
Caro Ennio, se il tuo post del 6 gennaio h 17:18 vuole essere una risposta a quanto io ho affermato sulla “contiguità” – intesa nei termini oggettivi che ho sinteticamente enunciato – allora grande è la mia delusione: continui infatti a sfuggire alla questione da me posta e a mischiare le carte. Io infatti non ha mai neppure lontanamente osato pensare di “colpire nel mucchio” e ho sempre invece affermato che occorre produrre il massimo sforzo per “smascherare ogni singolo colpevole” non dichiarando mai preventivamente che i risultati positivi dell’azione azione investigativa siano “materialmente impossibili”. La presa d’atto della “contiguità” tra i fenomeni migratori e terroristici è solo uno tra gli innumerevoli compiti da svolgere per scoprire e colpire i reali mandanti e i reali esecutori mentre la sua aprioristica e immotivata esclusione indebolirebbe oggettivamente l’azione investigativa. Che c’entra tutto questo con l’identificazione delle “categorie sociopolitiche più suscettibili di nuocerci e agire di conseguenza”?
Se invece il tuo post non ha niente a che vedere con le mie affermazioni, beh allora non posso che complimentarmi per le tue letture letterarie, a patto però che non ti lasci tentare dal farne un uso strumentale!
@ Ottaviani
Assolutamente nessun riferimento ai tuoi commenti. Se no, l’avrei reso esplicito. Ho già detto che sto leggendo “Le benevole” di Littel. E questo passo che ho citato ( come altri che magari troverò avanzando nella lettura) mi pareva richiamare una *possibile* [possibile, eh!] analogia tra persecuzioni esplicite di ieri (novecentesche) e implicite e alquanto ipocrite di oggi. La ricerca di capri espiatori in tempi di crisi è un gioco sporco perseguito in modi vari. Il nazista nel romanzo di Littel parla di “minaccia obiettiva” che giustifica l’uso di metodi “risolutivi”. Credo che, senza aver letto Littel, diversi difensori della nostra “civiltà” ci stiano facendo un pensierino.
D’accordo, caro Ennio. E mi scuso se ho azzardato una ipotesi vagamente maligna attribuendoti una inesistente risposta indiretta. Però ora le tue parole sulla “possibile analogia” tra i crimini nazisti contro popolazioni inermi e le “persecuzioni implicite e alquanto ipocrite di oggi” – ma di quali persecuzioni parli? possono essere definite “persecuzioni” gli arresti dei fiancheggiatori dei terroristi? – mi rendono assai dubbioso sulla giustezza o meno di quanto ero andato almanaccando…
@ Ottaviani
Per me le “persecuzioni implicite e alquanto ipocrite di oggi” sono in atto nei confronti dei migranti e altre se ne preparano.
Sugli arresti dei fiancheggiatori accertati o presunti dei “terroristi” (io virgoletto…) il discorso è davvero arduo. E, almeno per quelli della nostra generazione, complicato dagli echi di quel che accadde ai tempi delle BR. (Cfr. https://www.poliscritture.it/2015/11/24/isis-nazisti/)
Il problema è davvero di quelli che si vorrebbe evitare, tant’è spinoso e riapre ferite non so quanto rimarginate o ripropone richiami ad un passato storico – quello del fascismo e del nazismo – comunque mal elaborato negli ultimi decenni. Non a caso ho intitolato il mio Appunto 3: L’ IMMIGRAZIONE COMPLICATA DAL “TERRORISMO” o riportato quel lungo stralcio da “Le benevole” di Littel.
Inviterei, però, sia e che altri a non limitarsi alle domande. Specie se rivolte soltanto a me. Non sono né un oracolo né un maestro che ha trovato la via da seguire . Cerco, segnalo prese di posizione (anche quelle “scomode”), mi interrogo. Possibilmente assieme ad altri. Questo dovrebbe essere il lavoro di Poliscritture e dei commentatori.
Ecco ad esempio un articolo, a cui sono stato rimandato dalla bacheca FB di Lorenzo Monfregola:
http://www.yanezmagazine.com/terrorismo-e-intrattenimento-2432-2/
Dopo averlo letto ho lasciato questo commento:
“Si dica però con chiarezza che il terrorismo non è uno solo ( quello dei “terroristi” che hanno fatto gli attentati di Berlino, Parigi, Londra, Madrid) ma anche di quelli che hanno portato la guerra in Irak, Afghanistan, Libia, Siria.”.
Segnalo un articolo di Carlo Galli, di Sinistra italiana, nel suo blog https://ragionipolitiche.wordpress.com/2017/01/05/origine-e-declino-dello-spazio-politico-moderno/. Non propone soluzioni pratiche immediate, ma traccia un quadro dello spazio politico globale in cui le migrazioni avvengono.
“Che lo spazio abbia rilievo per la politica significa […] che lo spazio è un paradigma o un quadro nascosto nel pensiero e nelle istituzioni politiche; che viene assunto e utilizzato in modo implicito e non sempre riflessivo […] È uno spazio fatto di linee più o meno mobili di differenziazione, cioè di inclusione e di esclusione: grazie ad esse si è collocati dentro o fuori dai confini politici, dalla piena cittadinanza legale, ai margini o al centro di ambiti produttivi, di rotte, di traffici […] ridefinizione del ruolo dello Stato post-sovrano nel contesto dei Grandi Spazi in cui si articola il capitale globale, la trasformazione del significato della cittadinanza, il rapporto fra stanzialità e nomadismo (più fecondo di quello fra Impero e moltitudini), il ruolo (e la differenza reciproca) dei bordi (edges), dei limiti (boundaries), dei confini (borders), delle frontiere (Frontiers). Si tratta infine di decostruire l’universalismo astratto della spazialità globale e di scoprire le molte linee di potere, vecchie e nuove, che lo costituiscono.”
da Poliscritture FB a Poliscritture sito
Ennio Abate ha condiviso il post di Marco Arturi.
Ieri alle 21:25
L’uomo che vedete nella foto qui sotto si chiama Cedric Herrou e vive a Breil sur Roya, un villaggio al confine con l’Italia, più precisamente con l’entroterra di Ventimiglia. E’ un contadino ed è sotto processo per avere dato aiuto e ospitalità nei mesi scorsi ad alcune centinaia di profughi (molti dei quali bambini) costretti, visto l’ormai celebre blocco di Ventimiglia, a tentare clandestinamente il passaggio in cerca di una vita migliore. E’ accusato di favoreggiamento e rischia cinque anni di carcere e una sanzione economica pesante. L’altro ieri di fronte a un giudice di Nizza ha rivendicato le proprie azioni affermando che è giusto trasgredire le leggi davanti alla disperazione e che continuerà perché “questo è il momento di alzarsi in piedi”. La notizia, che ha cominciato a fare il giro di mezzo mondo (è comparsa anche sulle pagine del NYT) è ignorata dai media italiani per ragioni che sono davvero difficili da spiegare se non mettendo in dubbio la libertà, l’indipendenza e la buona fede della stampa in questo paese, forse condizionata o forse distratta da questioni come il maltempo, le stronzate di Saviano o le liti tra Pd e grillini. Sia come sia, pubblico queste righe per chiedervi di seguire e diffondere una vicenda esemplare in un momento nel quale i migranti vengono dipinti come un’emergenza nazionale e continentale con il chiaro fine di distogliere l’attenzione da altre questioni. Cedric Herrou non va lasciato solo, come non vanno lasciati soli i migranti che hanno l’unica colpa di essere nati dalla parte sbagliata del mondo: o stiamo con loro o stiamo con chi è impegnato a diffondere il terrore, l’egoismo e l’intolleranza. E allora sarà troppo comodo dire “non è colpa mia”.
Marco Arcuri “Cedric Herrou…è accusato di favoreggiamento e rischia cinque anni di carcere e una sanzione economica pesante.”
Attenzione! Se questa è la legge va rispettata. In una democrazia le leggi possono essere modificate solo secondo la prassi prevista. Altrimenti è anarchia. Io, ad esempio, ho idee del tutto diverse sulle attuali migrazioni ma non posso applicarle violando la legge. Altrimenti è guerra. E nella guerra vince il più forte.
“Se questa è la legge va rispettata. In una democrazia le leggi possono essere modificate solo secondo la prassi prevista”(Ricotta)
Appunto, la disobbedienza civile – in democrazia o almeno quando non si è in modo chiaro in un periodo di guerra civile – è una delle forme per modificare la legge. O ci stiamo persino dimendicando di questa possibilità? Se sì, rileggiamo almeno il libro di don Milani: “L’obbedienza non è più una virtù” (http://www.liberliber.it/mediateca/libri/m/milani/l_obbedienza_non_e_piu_una_virtu/html/milani_d.htm). O magari rimeditiamo ancora l'”Antigone” di Sofocle (http://portalefilosofia.com/biblioteca/materiale/antigone.pdf).
L’atto di disobbedienza di Cedric Herrou va per me in questa direzione. E mi auguro che possa essere contagioso e riproporre il valore di una vera politica della solidarietà con gli immigrati (né buonista né cattivista). Che – ripeto – vivono il dramma ( e spesso le tragedie) dei *fuggitivi*. Chi , dominato dalla paura o sapendo quanto la ribellione alle attuali leggi anti immigrazione intacca il predominio dei più forti, coi quali si schiera, li vive o li bolla col termine di “invasori”, va criticato e contrastato.
No, come ricordava Sarte, “ribellarsi è giusto”. All’ ”anarchia” e alla “guerra civile” spingono troppo spesso proprio i più forti. Sono loro e soltanto loro nella condizione più adatta per strumentalizzare le ribellioni, specie se incerte e male organizzate.
“Appunto, la disobbedienza civile – in democrazia o almeno quando non si è in modo chiaro in un periodo di guerra civile – è una delle forme per modificare la legge” (Ennio Abate)
In questo modo si può giustificare qualsiasi violazione delle leggi.
Ma le leggi non sono quelle in pietra di Mosè, cambiano, si abrogano, vengono dopo, dopo i mutamenti, gli avvenimenti umani, e sono storiche. Anche inopportune, o migliorabili. Quindi occorre riconoscere valore agli atti di disobbedienza che manifestano queste esigenze di cambiamento. È accaduto per esempio per sostituire il servizio civile a quello militare, è accaduto e accade con le battaglie per i diritti civili.
@ Ricotta
La disobbedienza civile è, sì, violazione della legge esistente ma è anche scommessa per costruire una legge più adeguata a esigenze che non possono trovare udienza o soddisfazione nella legge vigente . E’ questo scopo o progetto più o meno elaborato ( nel caso di Cedric Herrou pare di capire che egli rivendichi una fratellanza con chi è in difficoltà) che la distingue dalla pura e semplice trasgressione o negazione nichilista dell’esistente. Del resto tu che sei appassionato del pensiero scientifico dovresti sapere che anche in quel campoi costruttori di nuovi paradigmi hanno dovuto violare qualcosa che sembrava intangibile.
E’ programmatico che le leggi scientifiche siano violate affinché la conoscenza progredisca. Si ottengono solo effetti positivi, nessun danno. Invece accadrebbe un disastro se ciascuno di noi, per ragioni che sicuramente considera valide, decidesse di contravvenire a questa o a quella legge dello stato. So bene che nel corso del tempo, per cambiare certe situazioni, è stato necessario applicare la cosiddetta disobbedienza civile e perfino fare rivoluzioni armate ma occorre essere consci che così facendo si mettono a repentaglio o si distruggono la civile convivenza e la democrazia.
…se l’essere umano non si ponesse per iniziare dei dubbi, saremmo fermi all’istituzione della schiavitù, come presso i popoli antichi…anche se poi certi comportamenti di sfruttamento si sono riproposti, in forma mascherata ed occulta, per cui la schiavitù è sopravvissuta nel medioevo con i servi della gleba, in età moderna con la tratta, oggi con il caporalato, la legge la vieta. Per cominciare ci sono state delle disobbedienze, come questa di Cedric Herrou
* Attenzione! Se questa è la legge va rispettata. In una democrazia le leggi possono essere modificate solo secondo la prassi prevista. Altrimenti è anarchia. Io, ad esempio, ho idee del tutto diverse sulle attuali migrazioni ma non posso applicarle violando la legge. Altrimenti è guerra. E nella guerra vince il più forte.* (A. Ricotta, 08.01 h. 10.09)
Non solo vince il più forte – che non significa soltanto il più ‘muscoloso’, quanto, purtroppo, il più impregnato ideologicamente nel far passare una linea di potere oppure un’altra, e in ciò facendo leva sui bisogni di massa di quel momento, buonisti o cattivisti (vedi l’ultima svolta di Grillo) – ma vince la stupidità, quella che porta a prendere immediatamente posizione ed evita di riflettere (do you remember le primavere arabe i cui esiti vediamo adesso?).
Io mi chiedo, per quali ragioni si deve cedere al ricatto *E allora sarà troppo comodo dire “Non è colpa mia”*, e, per paura di questa minaccia, soggiacere ad un vile aut/aut *o stiamo con loro o stiamo con chi è impegnato a diffondere il terrore, l’egoismo e l’intolleranza*?.
Questo tipo di ricatto non è forse altrettanto persecutorio e fonte di angoscia? E, quindi, terroristico perché toglie la libertà di pensiero?
Perché non è contemplato avere una adeguata paura, avere un sano egoismo e valutare i termini delle intolleranze (magari legittime nei confronti di coloro che si mostrano così sicuri di essere nel giusto da fare i predicatori) e dover dimostrare invece l’opposto, per essere accolti nel gruppo dei pari, dopo aver vinto la sfida con se stessi?
Per questo, il problema che A. Ricotta pone: *Se questa è la legge va rispettata. In una democrazia le leggi possono essere modificate solo secondo la prassi prevista. Altrimenti è anarchia*, apre una serie di questioni non da poco.
Da un lato, è importante ‘storicizzare’ e capire il senso che attualmente ha il termine ‘democrazia’: come mai oggi, anche i risultati di ‘libere’ elezioni (o votazioni referendarie) vengono rifiutati o disattesi perché non rispondono ad una fazione al momento dominante? Inoltre, non si era mai visto che un presidente (democratico), sconfitto elettoralmente, approfittando del periodo ad interim prima dell’insediamento del nuovo presidente, utilizzasse con un colpo di coda il suo potere per seminare mine lungo il percorso del suo successore! Certamente non siamo a conoscenza dei retroscena strategici, ma questi cambiamenti di ‘forma’ danno da pensare!
Dall’altro, è importante evitare lo scoglio dell’eccessivo ‘soggettivismo’.
Quali esiti può avere l’affermazione *che è giusto trasgredire le leggi davanti alla disperazione*? E’ sufficiente dare legittimità ad una condizione ‘soggettiva’ senza fare una analisi concreta della situazione concreta? Non era forse ‘disperato’ Pacho, Eduardo Della Giovanna, nato in Argentina nel 1951, come riporta il suo testamento (08.01, h. 14.06, citato da Ennio sul post di Icaro): quale legge è stata modificata a suo favore in modo da potergli permettere di godere della dignità di uomo, dignità che si era guadagnata in modo più che onesto? Quali interventi ‘umanitari’ collettivi si sono messi in moto per evitare che cittadini come lui venissero (e tutt’ora vengono) penalizzati a morte da un sistema che prima li ha sfruttati e poi li ha mandati al macero?
Ennio scrive: * La disobbedienza civile è, sì, violazione della legge esistente ma è anche scommessa per costruire una legge più adeguata a esigenze che non possono trovare udienza o soddisfazione nella legge vigente*.
Sarei più che d’accordo se, al tavolo di quella scommessa, non ci fossero le carte truccate. Dove per ‘carte truccate’ si intendono anche le parole che dicono tutto e il contrario di tutto.
Pertanto a me sta bene che il signor Cedric Herrou abbia valutato l’opportunità di dare accoglienza ai profughi, anche se in ciò contravviene alla legge.
Nello stesso tempo, deve sapere – e credo che lo sappia – che non può permettersi di essere lui “La Legge” valida per tutti. Se io fossi un valligiano, o una persona che vive a Breil sur Roya, potrei avere paura della scelta fatta da Cedric Herrou e degli esiti che ne possono derivare. Perché no?
Allora mi chiedo: in questa scelta, lui ha coinvolto altri del suo territorio? li ha coinvolti soltanto per stabilire ‘maggioranza’? in che modo tutela la possibile minoranza dissenziente? quali responsabilità si assume nella eventualità che la sua opzione comporti problemi di incolumità? quali procedure intende adottare in sostituzione di una legge che ritiene deficitaria? Perché una ‘nuova’ legge, quale che sia, dovrebbe comunque contemplare queste domande.
Certo che tutto questo non può essere affrontato esaustivamente all’interno di un articolo!
Ma allora mi piacerebbe che l’articolista non si esprimesse per proclami:
a) *i migranti vengono dipinti come un’emergenza nazionale*: i migranti SONO una emergenza, è un terremoto che obbliga a prenderne atto e a trascurare altre priorità. Negare questa evidenza è da criminali. Ciò che va evitato è la demonizzazione e l’uso improprio dell’emergenza.
b) i migranti *che hanno l’unica colpa di essere nati dalla parte sbagliata del mondo*: perché forse ‘noi’ (ma ‘noi’ chi?) saremmo dalla parte giusta? Gli eletti per grazia divina? E’ una pessima idealizzazione all’incontrario!
Desidererei invece che mi introducesse, grosso modo, al processo che ha accompagnato la scelta del signor Cedric, le difficoltà che si sono incontrate (un centinaio di persone in quelle condizioni non è come gestire un centinaio di pecore!); mi facesse capire che c’è un pensiero in fieri, dei dubbi, o un progetto che vada un po’ oltre ad un giusto bisogno personale di una *fratellanza con chi è in difficoltà* ( Ennio, 8.1 h. 23.42: *nel caso di Cedric Herrou pare di capire che egli rivendichi una fratellanza con chi è in difficoltà*). E che sarebbe velleitario pensare di imporre, sia pure per contagio, il senso di fratellanza. (Ennio, 8.1, h. 19.45: * E mi auguro che possa essere contagioso e riproporre il valore di una vera politica della solidarietà con gli immigrati (né buonista né cattivista)*.
Altrimenti perché non accogliere le decisioni, altrettanto emotive – e soggettivamente comprensibili -, dei cittadini di Goro (e anche di Capalbio) ?
Non si tratta nemmeno del secolare dilemma che coinvolse Antigone e Creonte nella famosa tragedia di Sofocle. Lì sembravano contrapporsi due leggi: Antigone che sosteneva la legge di origine divina, prerogativa del génos, e Creonte, re di Tebe, che sosteneva quella del nòmos, il corpus delle leggi della polis, al di sopra dell’umano e del divino. Di fronte al ‘moderno’ tentativo di sganciamento dal divino (Creonte), si frapponeva il richiamo alle formule precedenti, difese dall’egida della divinità (Antigone).
Ma Antigone passò per ‘rivoluzionaria’. E ciò non rispetta l’intendimento di Sofocle che contempla la posizione femminile – nella duplice prospettiva proposta in termini antitetici, di Ismene (passiva) e Antigone (attiva) – nei confronti del nuovo potere che, attraverso Creonte, stava emergendo e che implicava, per governare, stabilire delle leggi che uscissero dal circuito mortifero dei legami di sangue. Ma quando emerge qualche cosa di nuovo, molti lutti si verificano sul cammino!
Il problema che si poneva, più che un problema di leggi, era dunque un problema di potere e di sottomissione ad esso. Questo è ciò che trapela dalla lettura di Sofocle nel presentare la irriducibilità radicale tra Creonte e Antigone, il loro eccesso di rigore che non può non sfociare, l’uno per un verso e l’altra per l’altro, nella hybris.
Vediamo la debolezza di Creonte, che sembra segnato da un destino fatale legato proprio ai vincoli di sangue (sua sorella Giocasta sposa di Edipo – figlio di lei e di Laio – dalle cui ‘nozze contro natura’ nacquero Antigone e Ismene e i fratelli Polinice e Eteocle). Il re cerca di superarli sia attraverso la loro negazione e sia con il supporto della legge della polis.
Identificandosi con la città e i cittadini, Creonte però equivoca l’azione audace di Antigone che non è rivolta a scardinare le leggi su cui si fonda la polis, ma vorrebbe solo (?) tutelare i suoi affetti familiari (reintroducendo il potere del divino?).
E’ l’insicurezza di Creonte che interpreta un cambiamento di norme come una debolezza.
Nel contempo il carattere virile di Antigone (il cui nome è significativo: ostilità verso il matrimonio e la generatività) è così determinato che va oltre le leggi naturali della femminilità, richiamate nell’opera dal personaggio della sorella Ismene.
In definitiva, sia Creonte che Antigone depositano la loro arroganza personale nella difesa di una legge, quella della polis o quella del genos, che in realtà vorrebbero essere super partes.
Detta in termini moderni l’arroganza dello Stato contro l’arroganza delle organizzazioni mafiose che si appoggiano sui legami di sangue: non si tratta quindi soltanto di Leggi ma del potere rispetto alla gestione delle stesse.
R.S.
…esprimersi “a favore di” non significa ignorare le ragioni di chi si esprime “contro” (spesso non si può negare la loro complementarietà), ma manifestare una legittima scelta conseguente alla libertà di pensiero…Senza, per questo, imbavagliare nessuno, essendo un diritto di tutti. Prima che una questione di potere, se la persona ci crede davvero, è una questione di convinzione, certo relativa e sempre confrontabile…Chi sfida le leggi di uno stato o anche di una comunità in genere si trova a muoversi in minoranza, come Antigone…
SEGNALAZIONE
Zygmunt Bauman: “Lampedusa? Niente fermerà i migranti, ‘persone superflue’ che cercano di rifarsi una vita”
L’Huffington Post | Di Michele Cavallaro
Pubblicato: 09/10/2013 19:06 CEST Aggiornato: 09/01/2017 17:50
Stralcio:
Durante la conferenza stampa di presentazione dell’incontro pubblico di stasera (“Meet the Guru”), in cui Bauman affronterà il tema dell’impatto delle tecnologie digitali sulla vita delle persone, il sociologo e filosofo polacco, 91 anni, ha spiegato che gli sbarchi non si fermeranno, perché “le migrazioni sono inseparabili dalla modernità. Infatti una caratteristica della modernità è la produzione di “persone superflue”: individui tagliati fuori dal processo produttivo che perdono la propria fonte di sussistenza. Il progresso economico consiste nel produrre la stessa quantità di cose che producevamo ieri con una minore quantità di lavoro e a un costo più basso. Chi rimane tagliato fuori diventa una persona superflua. E alle persone superflue, non resta che andarsene, cercando un altrove dove ricostruirsi una vita”.
Per Bauman poi “le economie europee hanno bisogno d’immigrati, perché senza di loro non potremmo vivere. Se nel Regno Unito gli irregolari venissero identificati e deportati, la maggior parte degli ospedali e degli alberghi collasserebbe, e credo che si possa dire lo stesso per l’economia italiana”.
Il sociologo ha ricordato che “per alcuni demografi la popolazione dell’Unione Europea diminuirà da 400 milioni di persone a 240 nei prossimi cinquant’anni: un numero troppo basso per mantenere i nostri standard di vita, il nostro benessere”. “In base ad alcuni calcoli – ha detto Bauman – nei prossimi 20 o 30 anni sarà necessario accogliere in Europa circa 30 milioni di migranti”.
Un fenomeno che gli stati nazionali, inadeguati di fronte alle sfide della contemporaneità, hanno pochi strumenti per arginare o regolare. Per il teorico della società liquida “i popoli non credono più che i partiti e i parlamenti nazionali siano ancora in grado di assolvere le funzioni per cui sono nati, e non solo perché in alcuni casi i politici sono corrotti o incapaci, ma perché per queste istituzioni è strutturalmente impossibile realizzare quello che promettono agli elettori”.
E per spiegare cita Antonio Gramsci: “Viviamo in un interregno, un’epoca in cui il vecchio muore e il nuovo non può nascere: le regole e le leggi del passato sono scomparse, ma le nuove leggi non sono ancora state inventate. La sovranità degli stati nazionali è ormai in buona misura una finzione. Il potere è la capacità di fare, la politica è decidere che cosa fare. La globalizzazione ha fatto evaporare il potere degli stati nazionali verso poteri sovranazionali liberi dal controllo della politica. Se un governo provasse a realizzare ciò che davvero vogliono i suoi elettori, invece di ciò che esige la finanza, i mercati lo punirebbero con durezza”.
“Viviamo in un interregno, un’epoca in cui il vecchio muore e il nuovo non può nascere: le regole e le leggi del passato sono scomparse, ma le nuove leggi non sono ancora state inventate.”
In più si avrebbe anche la pretesa di contrastare sul nascere qualsiasi novità si presenti sul panorama politico. Quel che ci si aspetta dal “nuovo” è l’azione miracolosa in grado di portare risultati immediati e ben visibili, e questo non è ragionevole: chi volesse intraprendere nuovi percorsi – ad esempio in merito alle energie rinnovabili – dovrebbe inevitabilmente aspettare anni per poter vedere qualche risultato, per la semplice ragione che non si tenterebbe una rivoluzione ma un cambiamento, una trasformazione che gradualmente porti a una diversa idea di sviluppo. Da una parte è vero che finanza e mercati lo impedirebbero, dall’altra, a livello locale gli stessi partiti, perché sostanzialmente conservatori, lo impedirebbero con tutte le loro forze. E’ quel che accade qui da noi dove si tenta di coprire di ridicolo qualsiasi spinta riformatrice. “Viviamo in un interregno” sì, ma qualcuno ne ha anche la responsabilità.
APPUNTO 4. LA DIALETTICA BLOCCATA TRA “ACCOGLIENTI” E “RESPINGENTI” E LA NECESSITA’(SOGGETTIVA) DELLA *SCOMMESSA*
@ Rita Simonitto
1.
Voglio ricordare che le segnalazioni da parte mia di articoli vari (e del post apparso su FB di Marco Arcuri (https://www.poliscritture.it/2016/12/28/noi-e-loro-nello-specchio-di-facebook-verso-la-fine-del-2016/#comment-57202) non vuol dire piena condivisione delle argomentazioni degli autori segnalati. Il mio intento è di avere (e di offrire ai lettori e ai commentatori di Poliscritture) uno spettro ampio di posizioni (ivi comprese quelle che non condivido) su cui riflettere. Comunque, se Arcuri pone la questione dell’immigrazione in termini di colpa o di «unica colpa» non mi pare un gran danno. E non ritengo che chi disobbedisce, prima di farlo, debba dimostrare (a chi?) che nel suo gesto ci siano «un pensiero in fieri, dei dubbi, o un progetto che vada un po’ oltre ad un giusto bisogno personale». Lui manda un segnale. E per me è già qualcosa di più del silenzio su tali questioni. Poi tocca ad altri valutarlo, condividerlo o respingere.
2.
Che la figura di Antigone, da me evocata nel contesto di questa discussione sui migranti, sia una ribelle a me pare indubbio e questo dato il testo di Sofocle l’attesta. Non l’ho presentata come una “rivoluzionaria”. Né mi pare meno “moderna” per il fatto di richiamarsi alla legge del genos e dei legami di sangue contro quella della polis.(La modernità ha sempre due facce; e quella dei Creonte non è con certezza la migliore). È, dunque, la ribellione (ambivalente e che non confondo con la rivoluzione) che a me interessa. Perché mi permette di accostarla – per analogia – a quanti si ribellano in difesa dei migranti d’oggi contro quanti – molto più assimilabili alla figura di Creonte – si fanno difensori ossequiosi delle leggi o della Legge. Il mio riuso di un’immagine mitica e classica non impedisce o danneggia altre letture o interpretazioni. Mi è facile riconoscere che, in questa tragedia ( o nelle altre) Sofocle mette in luce altri elementi forse anche più importanti come quello della hybris (« Questo è ciò che trapela dalla lettura di Sofocle nel presentare la irriducibilità radicale tra Creonte e Antigone, il loro eccesso di rigore che non può non sfociare, l’uno per un verso e l’altra per l’altro, nella hybris.». Ma a me il tema della hybris interessa meno. Anzi, mi pare che la tua pur corretta interpretazione (« l’orgogliosa tracotanza che porta l’uomo a presumere della propria potenza e fortuna e a ribellarsi contro l’ordine costituito, sia divino che umano, immancabilmente seguita dalla vendetta o punizione divina ( tísis ): concetto di fondamentale importanza in alcuni scrittori greci, specialmente in Eschilo») – un po’ come accade per l’atteggiamento verso la legge o la democrazia di Ricotta – porti all’immobilismo o alla diffidenza verso qualsiasi presa di posizione politica limpida e dichiarata. O all’indecidibilità (tragicomica come nell’apologo dell’asino di Buridano). O nel calviniano labirinto dei dubbi.
3.
Vorrei far notare che l’immobilismo ci sta bloccando anche su questa questione delle migrazioni. A me pare che siamo comunque dentro una dialettica bloccata. E che – in fondo e purtroppo e malgrado i tanti discorsi sul “né di destra né di sinistra” o sul “siamo oltre la destra e la sinistra” – alle vecchie categorie dei destra e sinistra i nostri ragionamenti sono riconducibili. Perché, oggi chi propende per la difesa dei migranti in quanto esseri umani, passa agli occhi dei respingenti per “buonista” “bergogliano”, “terzomondista” in ritardo. E agli accoglienti le posizioni dei respingenti non possono che apparire “nazionaliste, “cattiviste”, razziste”, “egoiste”. Questi due – più o meno di sinistra o di destra – e non altri sono comunque gli sfondi in cui non possiamo non porci. Anche credo contro la nostra volontà che ne sente i limiti. Le obiezioni che tu fai a Marco Arcuri (estensibili ad Herrou, a me quando segnalo un “ribelle”, e ad altri favorevoli alla posizione umanitaria, almeno come *scommessa* o “scelta etica”) mi fanno pensare che tu propenda di più – anche se non lo dici esplicitamente – per le “ragioni” dei respingenti. Questo leggo nella tua affermazione: « i migranti SONO una emergenza, è un terremoto che obbliga a prenderne atto e a trascurare altre priorità». (In volgare: «prima gli italiani»). O quando ti appelli ad «una adeguata paura» o a un «sano egoismo» o, polemicamente, dici che andrebbero accolte anche «le decisioni, altrettanto emotive – e soggettivamente comprensibili -, dei cittadini di Goro (e anche di Capalbio) ». Insomma, non si scappa: siamo a questo aut aut: accogliere o respingere.
4.
Da questo immobilismo e da questa dialettica bloccata come si uscirà? Se non ci vogliamo aggrappare alla democrazia ritenendola comunque il male minore ( ma sarebbe interessante capire se ad essa ci aggrappiamo perché temiamo un eccesso “anarchico” di ribellione o un eccesso “autoritario” di dirigismo o – per dirla con vecchi nomi – di tirannia, di totalitarismo), dobbiamo pur dire se almeno pensiamo che dalla crisi della democrazia si debba uscire con più democrazia o abolendola. E in nome di cosa. É giusto trasgredire le leggi davanti alla disperazione? Sì e no. Dipende – per chi riesce a pensare – appunto dalla situazione concreta. Ma la situazione concreta non è poi così chiara. Neppure per noi, che un po’ riusciamo a trovare il tempo per pensarla. Un’alternativa che davvero ci porti oltre le posizioni di destra e sinistra (una volta si pensava che potesse essere il comunismo) davvero non s’intravvede. Allora, essendo impossibile una unanimità su questa o quella questione, essendoci divisione tra “noi”, il possibile *che fare* può venire, per me, soltanto dall’insistere nel dubitare, distinguere, indagare, ma anche nello spingerci – col pensiero e, in situazioni concrete, anche con prese di posizioni e gesti chiari – ad una scelta per «scommessa». Pur sapendo che non abbiamo nessuna garanzia che essa porterà di sicuro a un miglioramento. E qui non capisco perché scommettere significherebbe usare «carte truccate». Specie per aver io insistito a dire che ci vuole uno «scopo o progetto più o meno elaborato ( nel caso di Cedric Herrou pare di capire che egli rivendichi una fratellanza con chi è in difficoltà) che la distingue dalla pura e semplice trasgressione o negazione nichilista dell’esistente. ». Non mi pare un appello alle semplici emozioni “buoniste” o “cattiviste”).
5.
E poi le domande che tu faresti ad Herrou (« in questa scelta, lui ha coinvolto altri del suo territorio? li ha coinvolti soltanto per stabilire ‘maggioranza’? in che modo tutela la possibile minoranza dissenziente? quali responsabilità si assume nella eventualità che la sua opzione comporti problemi di incolumità? quali procedure intende adottare in sostituzione di una legge che ritiene deficitaria?») davanti a quale giudice andrebbero fatte? Esiste un terzo saggio tra due contendenti più o meno accecati da bisogni e desideri contrapposti? E gli altri – i respingenti – se le sono fatte e vi hanno risposto? Il problema è proprio l’assenza o l’impossibilità per chi è insoddisfatto di questa dialettica bloccata, da cui ci si sente ricattati, di veri «interventi ‘umanitari’ collettivi». Sarà mai possibile costruirla o ricostruirla? Come ne «Il cerchio di gesso del Caucaso», Brecht mise in scena un dilemma quasi insolubile, perché nel suo dramma nessuno poteva stabilire chi era con certezza la vera madre tra le due che reclamavano il bambino come proprio, noi pure dovremo tracciare un cerchio di gesso a terra e porvi – invece del suo bambino conteso – il potenziale di umanità e di futuro più umano intravisto dagli accoglienti e negato dai respingenti. C’è o non c’è? Ognuno faccia la sua scommessa e chi vivrà vedrà. Perché il giudice brechtiano capace di risolvere il dilemma per ora non c’è.
Seguo con crescente interesse il vostro dibattito, aumentando così le mie conoscenze e i miei dubbi. E anche io vorrei porre “al giudice brechtiano che per ora non c’è” un ulteriore quesito che solo apparentemente sposta indietro lo sguardo. Sul finire dell’Ottocento e l’inizio del Novecento i contadini affamati e senza terra del nostro Sud che attraversavano non il mare ma l’oceano – quanti naufragi anche allora! – e che poi sbarcavano nelle Americhe per incontrare, nella stragrande maggioranza, altre terribili schiavitù o per diventare, una assai esigua minoranza, anche loro spietati padroni, questa popolazione migrante era più “rispettabile” di quella che certamente è esistita e che scelse di rimanere sulla propria terra a combattere mafie e proprietari terrieri?
Mutatis mutandis: c’è oggi chi resta nell’Africa subsahariana a combattere per i propri diritti? E che cosa fa l’Occidente per aiutarli? Qui non ci sarebbe bisogno di alcun giudice ma solo di conoscere e di intervenire. Ma è proprio qui che si spalanca il deserto.
**E per spiegare cita Antonio Gramsci: “Viviamo in un interregno, un’epoca in cui il vecchio muore e il nuovo non può nascere: le regole e le leggi del passato sono scomparse, ma le nuove leggi non sono ancora state inventate. La sovranità degli stati nazionali è ormai in buona misura una finzione. Il potere è la capacità di fare, la politica è decidere che cosa fare. La globalizzazione ha fatto evaporare il potere degli stati nazionali verso poteri sovranazionali liberi dal controllo della politica. Se un governo provasse a realizzare ciò che davvero vogliono i suoi elettori, invece di ciò che esige la finanza, i mercati lo punirebbero con durezza”.**
Non ho capito se questa è una citazione di Baumann o di Gramsci e, se di quest’ultimo, da dove è tratta.
R.S.
“Non ho capito se questa è una citazione di Baumann o di Gramsci e, se di quest’ultimo, da dove è tratta.” (Simonitto)
Gramsci, ripreso da Bauman. Per un approfondimento ecco gli spunti che ho trovato da una veloce ricerca su Google:
1.
“La crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati” *, osservava Gramsci in una nota scritta in carcere nel 1930;
(da https://www.lacittafutura.it/cultura/il-vecchio-muore-e-il-nuovo-non-puo-nascere.html)
2.
Quella di interregno è una categoria coniata da Antonio Gramsci per comprendere la situazione storica e politica che si andava configurando con la crisi del 1929. È stata ripresa da Zygmunt Bauman (2012, 2015) e, proprio in concomitanza con le vicende della crisi greca della scorsa estate, è stata riproposta da Etienne Balibar (2015) e da altri (Caccia, Mezzadra, 2015).
[…]
Come sembra suggerire lo stesso Gramsci, per uscire da quella condizione costitutiva dell’interregno che è la crisi a nulla serve cercare di riportare in vita ciò che è moribondo: “la crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati” (Gramsci, 2001, p. 311 [Q 3, 34]). L’interregno consiste dunque nel procrastinarsi dell’agonia del vecchio in mancanza del nuovo che deve nascere; anzi, più precisamente: è proprio tale perpetuarsi del vecchio a dilazionare l’avvento del nuovo, che pertanto non “può” nascere. Nell’interregno, per usare il modello del katechon, ma in quel senso che – abbiamo visto – Schmitt tende a eludere, il freno che il vecchio agisce non argina tanto lo straripare del disordine, quanto piuttosto differisce la possibilità che il nuovo possa darsi. E tuttavia, nonostante possa ribaltare l’accezione schmittiana oggi prevalente di katechon, il paradigma gramsciano di interregno è irriducibile all’impianto teologico-politico. Infatti, l’interregno è prima di tutto la configurazione che assume la crisi in quanto arte di governo.
Per Gramsci, infatti, la crisi che configura l’interregno è una “crisi di autorità” in cui la “classe dominante”, sebbene abbia perso il consenso, mantiene il potere non già nonostante la crisi, bensì in virtù di essa: in questa accezione, quindi, la crisi è funzionale alla sopravvivenza del vecchio ordine. Formule del tipo “c’è la crisi, non c’è alternativa” o “ce lo impone la crisi” – che hanno risuonato costantemente nella crisi greca e più in generale nella crisi dei Paesi del Sud Europa, ma hanno trovato e trovano diverse applicazioni ovunque nel mondo – legittimano ormai veri e propri atti di governo. Insomma, la crisi è una logica di governo e l’interregno è la forma che tale governo assume: non rappresenta necessariamente un periodo di passaggio o di sospensione tra una condizione e un’altra, ma il suo governo può già ora esercitarsi con la massima efficacia. Insomma, tanto la crisi è un dispositivo che opera per la conservazione dell’ordine, quanto l’interregno non configura affatto uno stato di disordine che non può durare a lungo. Per la sua stessa epoca di interregno, Gramsci non dava affatto per scontata una fuoriuscita necessaria e automatica a favore delle classi subalterne: “L’interregno, la crisi di cui si impedisce così la soluzione storicamente normale, si risolverà necessariamente a favore di una restaurazione del vecchio? Dato il carattere delle ideologie, ciò è da escludere, ma non in senso assoluto” (ivi, p. 311). Siamo agli inizi degli anni Trenta e sappiamo poi come è andata a finire. Se per Gramsci l’interregno consiste in una fase di sospensione dell’autorità politica dall’esito incerto, la ragione neoliberale ne ha invece fatto una forma di governo che può prescindere dal riconoscimento di un’autorità politica e dall’esigenza del consenso politico di quelle che lui denominava “grandi masse”.
(http://www.sinistrainrete.info/teoria/6953-dario-gentili-katechon-interregno.html)
3.
“L’aspetto della crisi moderna che viene lamentato come “ondata di materialismo”; è collegato con ciò che si chiama “crisi di autorità”. Se la classe dominante ha perduto il consenso, cioè non è più “dirigente”, ma unicamente “dominante”, detentrice della pura forza coercitiva, ciò appunto significa che le grandi masse si sono straccate dalle ideologie tradizionali, non credono più a ciò in cui prima credevano ecc. La crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati (…)”
Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere (Q3, p.311)
(http://intenzionalita.blogspot.it/2012/02/antonio-gramsci-nella-vita-bisogna.html)
In questo *interregno* sarebbe utile fornire quante più informazioni possibili di atteggiamenti aperti e efficaci non solo di accoglienza ma soprattutto di corretta integrazione.
Di fatto la questione di tanti giovani maschi in forze e in salute obbligati all’ozio e all’esclusione appare e a volte è un problema serio, sia nei piccoli centri, sia nelle stazioni e nelle periferie abbandonate delle grandi città.
Metto il link a un esempio: https://it.zenit.org/articles/profughi-al-via-nuovi-corridoi-umanitari/, che parla di protocollo di intesa della Comunità di Sant’Egidio con la Cei il Viminale e la Farnesina “per l’apertura di nuovi corridori umanitari che permetteranno l’arrivo in Italia, nei prossimi mesi, di 500 profughi eritrei, somali e sud-sudanesi, fuggiti dai loro Paesi per i conflitti in corso”.
Un altro link: http://www.nigrizia.it/notizia/in-campo-verona-che-dialoga
“Per essere la vigilia di Natale, non tira una bella aria per i migranti che vivono a Verona. E dunque una decina di associazioni della società civile attive nella città scaligera (Arci, Asgi – Associazione studi giuridici immigrazione, Centro pastorale immigrati, Cesaim – Centro salute immigrati, Cestim – Centro studi immigrazione, Cgil, Emmaus, Movimento Nonviolento, Nigrizia, Pax Christi, Progettomondo Mlal) hanno lanciato oggi un appello al quale hanno prontamente aderito un’altra cinquantina di associazioni.
Questo cartello, che si definisce “Verona che dialoga”, chiede ai veronesi di prendere posizione contro il clima di razzismo e di violenza, fomentato da gruppi della destra estrema, che si è creato nelle ultime settimane in particolare in due centri della provincia. E invita la cittadinanza a evitare le semplificazioni e gli allarmi, e a mantenere toni dialoganti su un fenomeno epocale che va capito e governato.”
@ Ennio
Rispondo seguendo i tuoi punti anche se il senso principale del mio intervento verteva non tanto sulla Legge (il suo rispetto o le sue modificazioni) bensì sul Potere.
Ci sono delle fazioni che non vogliono mollare il loro potere nonostante le disposizioni costituenti stabiliscano che così deve essere fatto.
Ad esempio nel mito, Creonte, prima di riprendersi il potere su Tebe, aveva stabilito che i suoi nipoti, Eteocle e Polinice, regnassero sulla città in alternanza. Solo che, alla fine del suo mandato, Eteocle non volle lasciare la poltrona e da lì si scatenò la guerra fratricida con la morte dei due contendenti e di altri sei eroi schierati con Polinice nell’attacco alle sette porte di Tebe. Qui si innestò la vicenda di Antigone che non accettò l’esclusione dai riti funebri del fratello Polinice il quale, assieme ad altri guerrieri, aveva attaccato la città. Per riprendersi il potere, ovviamente.
1) Sì, ho sempre ritenuto importanti le tue segnalazioni che mettevano a disposizione dei lettori una gamma di punti di vista, senza che ciò significasse una precisa condivisione tua o redazionale.
Ho solo virgolettato alcune tue affermazioni e, quanto ad Arcuri, mi sono permessa di sottolineare le sue forme enfatiche ‘da balcone’ – dai predicatori ho preso le distanze moltissimi anni fa – e far notare che nella frase incriminata (“i migranti *che hanno l’unica colpa di essere nati dalla parte sbagliata del mondo*: Perché forse ‘noi’ (ma ‘noi’ chi?) saremmo dalla parte giusta? Gli eletti per grazia divina?”) non ho messo l’accento sulla ‘colpa’, ma su una forma velata di razzismo.
Nello stesso tempo, a fronte della tua osservazione *E non ritengo che chi disobbedisce, prima di farlo, debba dimostrare (a chi?) che nel suo gesto ci siano «un pensiero in fieri, dei dubbi, o un progetto che vada un po’ oltre ad un giusto bisogno personale»*, non stavo parlando di una disobbedienza qualsiasi, non si tratta di rubare la marmellata che ti viene negata. E’ una ‘disobbedienza’ che, volenti o no, coinvolge anche altri, e io volevo sottolinearne l’aspetto di responsabilità e le valutazioni che devono essere fatte: sono i bambini che non devono rendere di conto a nessuno. Non sto parlando come una educanda appena uscita dal convento, ma come una che ha partecipato al ’68 e alle lotte sindacali con tutti i disagi e le discriminazioni conseguenti. So bene che la rivoluzione non è un pranzo di gala, ma ho imparato anche che non si può giocare alla “rivoluzione dietro l’angolo”, come profetizzò un famoso ‘ultrarivoluzionario’ di allora quando, nel maggio del ’68, si espresse in questi termini: “nel gennaio del 1969 ci sarà la rivoluzione che ripeterà quella russa del 1905”. Sto ancora aspettando!
Se Herrou mi dicesse “sono un anarchico”, mi sta bene, so che è una sua scelta e che segue determinati principi. Sta poi a me condividerla o meno. Ma se è un cittadino – pur nel suo sentirsi frustrato, insoddisfatto, critico o disobbediente – deve tenere conto di questa sua condizione.
Quanto al *Lui manda un segnale. E per me è già qualcosa di più del silenzio su tali questioni. Poi tocca ad altri valutarlo, condividerlo o respingere.*: non credo che ci sia ‘silenzio’ su tali questioni ma, purtroppo, molto rumore che rischia di distogliere da altro.
2) Antigone: *Non l’ho presentata come una “rivoluzionaria”*, scrive Ennio.
No. Nemmeno io. Perché io ho scritto: “Ma Antigone PASSO’ per ‘rivoluzionaria’”.
In un periodo storico di passaggio nell’organizzazione del potere politico – la cui trasmissione non avveniva quasi più per via matrilineare (la regina sceglieva il principe consorte), ma si costituiva attraverso una aristocrazia legata da vincoli di sangue sotto l’auspicio divino – le realtà locali non erano ancora strutturate come città-stato con delle leggi già collaudate rispetto al valore della giustizia senza appellarsi necessariamente alla divinità, al valore della cittadinanza, della famiglia e ai rapporti tra i luoghi di culto e la città.
In questa realtà in movimento, Creonte non brillava certo di acume, e come capita in situazioni di questo tipo, mascherò la sua insicurezza con l’arroganza, tratto tipico della tirannia. Fosse stato un ‘amerikano’, si sarebbe reso conto che non valeva la pena accanirsi contro Antigone (che non aveva un seguito, non aveva mire di potere ma era desiderosa soltanto di ripristinare il valore degli affetti familiari). Tutt’al più avrebbe regalato a lei (e al figlio Emone, suo promesso sposo) un biglietto per un viaggio di sola andata in giro per il Peloponneso. E tanti saluti! Ma non andò così. L’America doveva ancora venire!
3) *Le obiezioni che tu fai a Marco Arcuri (estensibili ad Herrou, a me quando segnalo un “ribelle”, e ad altri favorevoli alla posizione umanitaria, almeno come *scommessa* o “scelta etica”) mi fanno pensare che tu propenda di più – anche se non lo dici esplicitamente – per le “ragioni” dei respingenti. Questo leggo nella tua affermazione: « i migranti SONO una emergenza, è un terremoto che obbliga a prenderne atto e a trascurare altre priorità». (In volgare: «prima gli italiani»).*
Vedi Ennio, al punto 3), tu fai un giusto cenno all’immobilismo contemporaneo che non è che l’esito di quell’antitetico polare sostenuto dai termini o/o: sinistra/destra; buonisti/cattivisti; ecc.
Però quando le ‘osservazioni’ che io faccio, anziché spingere uno sguardo sulla realtà, lo spingono verso *mie propensioni* con attribuzioni spicce (*In volgare: «prima gli italiani»*), ritorniamo al bisogno di etichettare, di capire ‘prima’ a quale fede uno appartenga… e poi si parla. Quando dico che i migranti SONO una emergenza parlo di un dato di fatto e che come tale va trattato. Se a casa tua a Milano piombassero una quindicina di parenti del Sud, sarebbe una emergenza a fronte della quale dovresti decidere come gestire e/o trascurare altre priorità, tipo portare i figli a scuola, gestire la tua economia di tempo e di soldi. Che tu possa farlo con spirito di abnegazione (può essere) o mugugnando (può essere), ciò non toglie che un problema, che prima non c’era, ora c’è.
Io non ‘propendo’ né verso i respingimenti né verso gli accoglimenti tout court.
Io sto pensando a concetti, se sono ancora validi, di dignità alla vita, di ‘civiltà’ e della fatica che si fa a raggiungerla e della facilità con la quale si può distruggere.
Erano i temi che avevamo ben impressi nelle battaglie per il divorzio, per l’aborto (perché non accogliere tutti i bambini se vengono mandati da Dio?).
Ma quelli erano altri tempi!
4) * Allora, essendo impossibile una unanimità su questa o quella questione, essendoci divisione tra “noi”, il possibile *che fare* può venire, per me, soltanto dall’insistere nel dubitare, distinguere, indagare, ma anche nello spingerci – col pensiero e, in situazioni concrete, anche con prese di posizioni e gesti chiari – ad una scelta per «scommessa».*
Sono d’accordo sul fatto che, in questo momento di immobilismo coatto, non possiamo che *dubitare, distinguere, indagare* e nel fare ipotesi, per scommessa.
Quanto allo spingerci *in situazioni concrete, anche con prese di posizioni e gesti chiari – ad una scelta per «scommessa»*, rispondo come ho già scritto nel mio commento precedente: “do you remember le primavere arabe?”.
5) Circa le domande che avrei fatto ad Herrou, si trattava soltanto di una questione di metodo, se davvero vuoi portare a compimento qualche cosa che abbia una risonanza che trascenda dal gesto isolato di un valligiano il quale – e gli va anche dato merito – agisce con coscienza.
Mi ricordo quanto mi raccontava un amico, un vecchio partigiano, il quale, vedendo sedere in Parlamento alcuni fascisti, ne chiese ragione ad un compagno. E questi rispose: “Abbiamo bisogno di loro perchè hanno una preparazione per governare e una competenza che noi non abbiamo”!
R.S.
APPUNTO 5. EMIGRAZIONI D’OGGI. CRITICA DELLE RAGIONI DEI “RESPINGENTI”
Tra quanti sull’emigrazione hanno optato per la politica del respingimento, G. La Grassa è, per quel che ne so, uno dei più decisi sostenitori. Di seguito propongo le mie osservazioni-obiezioni a vari punti di una sua breve nota , «Vediamo un po’», che invito a leggere su «Conflitti e strategie» (http://www.conflittiestrategie.it/vediamo-un-po-di-glg):
1.
Esiste davvero in Italia questa diffusa voglia di accoglimento «senza alcun limite» degli immigrati o questa «accoglienza indiscriminata» di cui si parla nell’ articolo? Ed esiste davvero questa forte spinta al multiculturalismo? E il multiculturalismo –concetto alquanto discutibile e generico – comporta davvero (in automatico?) il disprezzo per le proprie tradizioni e l’esaltazione acritica di altre tradizioni?
2.
Le differenze culturali ci sono. Ma come si fa oggi a sostenere una assoluta incomunicabilità tra le culture esistenti a livello mondiale? La storia ci mostra – quantomeno – che accanto a spinte alla chiusura *inter nos* ci sono quelle non sottovalutabili agli scambi reciproci *extra nos*. Da qui le trasformazioni . Quelle del mondo d’oggi (in peggio o in meglio: su questo la discussione è sempre aperta) sono innegabili e imprevedibili. L’attuale globalizzazione (con risultati anch’essi controversi) è una realtà da cui non si torna più indietro. Anche se non volessimo dar ragione ai globalizzatori più estremi ed entusiasti e riteniamo che gli Stati nazionali non siano del tutto espropriati dalle loro funzioni, le “braghe” del nazionalismo (o del sovranismo) sono davvero troppo strette per questi tempi. Tornare a indossarle a me pare impossibile. Chi le ripropone merita, sì, di essere indicato come nostalgico.
3.
La globalizzazione ha alimentato ancor più l’anarchia, il caos. Non è una novità storica assoluta. Due guerre mondiali ce lo rammentano. E sicuramente la spinta maggiore al disordine è venuta dagli USA. Non pare però che abbiano fatto tutto da soli. Altri (Europa, Cina, Russia, ex paesi del Bric) contribuiscono anch’essi a mettere «fra loro a contatto in modo massiccio in un breve arco temporale» individui, gruppi religiosi, attori economici (finanziari, militari) in modi impensabili rispetto anche ad un recente passato (ad es. dei tempi della Guerra Fredda). Ed è vero che ci troviamo ad affrontare le conseguenze della globalizzazione. Tra cui il “terrorismo” e – tema di questo post – la fuga da paesi devastati da guerre e dissesti economici.
4.
Vogliamo dire che i migranti in fuga non sono soltanto « dei diseredati, degli affamati e via dicendo», ma anche gente che «paga fior di soldi per imbarcarsi o comunque fuggire in qualche modo dai paesi d’origine»? Diciamolo. Resta il fatto che di fuga si tratti. Non dovrebbero essere presentati come “invasori”. Usare quest’ultimo termine svela un’ostilità (e forse una paura) che si spinge fino a falsificare la realtà del fenomeno. Quelli che cercano di arrivare in Italia o in Europa non lo fanno per turismo. Fuggono, appunto. Anche se – per assurdo – i fuggitivi fossero tutti immigrati benestanti, resta il fatto che fuggono. Dei benestanti che fuggono sono comunque altra cosa dei benestanti che, indisturbati, conducono in pace la loro vita e curano i loro affari. E, comunque, insistere su questo aspetto, presentando una parte dei fuggitivi quasi fossero dei privilegiati e stuzzicando contro costoro (e in fondo contro tutti i migranti) un certo “odio di classe”, residuo di una storia che tra l’altro si ritiene conclusa, a me pare un modo di avvelenare ideologicamente una riflessione che avrebbe bisogno di essere condotta il più razionalmente possibile.
Il fatto che i migranti siano massa di manovra degli USA, che se ne servirebbero per indebolire l’Europa, o di Stati tirannici o dei trafficanti che organizzano e gestiscono le vie di fuga non li trasforma affatto da vittime in “invasori”, cioè in nostri nemici. Restano fuggitivi e secondo me, in una prospettiva politica e non pietistica o puramente caritatevole, potenziali «alleati viaggiatori» (Majorino) di un “noi” che volesse contrastare appunto i dominanti manovratori e realmente invasori.
5.
A me pare scandaloso sostenere che, essendo la maggioranza di questi immigrati – che una volta avremmo classificato come “proletari” o “sottoproletari” ( quindi almeno con categorie meno odiose e falsificanti di quella di “invasori”) – composta per lo più da giovani maschi, essi dovrebbero restare «a lottare nei loro paesi » contro quelli che li hanno direttamente o indirettamente devastati. Insinuando per giunta che, fuggendone, si comportino da vili o da opportunisti. Non è già la fuga – che avviene di solito in condizioni proibitive e col rischio di andare incontro a sofferenze, soprusi e spesso alla morte – una forma di lotta e forse l’unica che in certe condizioni un singolo individuo, isolato e minacciato, si può permettere? E poi: è possibile ancora lottare in certi paesi? Nella Turchia di Erdogan, ad esempio? E ancora: durante il fascismo o il nazismo quanti fuggirono e andarono in esilio? E dall’esilio non organizzarono forme di resistenza che era ormai impossibile organizzare in Italia?
6.
Mi pare indubbio che tutte le forme di resistenza politica – e specie quelle delle élite (e aggiungo: anche delle élite che nostalgicamente e pomposamente si vogliono nazionaliste) – furono e siano di fatto *internazionali*, si muovano sullo scacchiere internazionale, abbiano legami a livello internazionale. E per forza di cose. Perché un po’ di globalizzazione c’è sempre stata dalla nascita del capitalismo in poi e quella attual è comunque andata avanti e ha scombinato i precedenti rapporti di potere (“meno internazionali” di quelli d’oggi). È un’ulteriore prova- credo – che il nazionalismo offre, in modo propagandistico e ideologico, false soluzioni. Vorrebbe tornare a “nazionalizzare” (Mosse) le popolazioni. Presenta come fortezza, in cui si resisterebbe meglio, ci si consoliderebbe e poi si ripartirebbe (per dove, per quale scopo? questo nessuno lo dice) quello che a me pare una gabbia.
7.
È bene criticare l’attuale politica di accoglienza. Che è ipocrita, incerta e si limita a mettere delle toppe al problema, complicandolo e aggravandolo. Perciò sarebbe esatto dire che *con questo tipo di politica* «non ci può essere integrazione e nemmeno accoglimento decente di così vaste masse in così poco tempo». E anche ricordare la «crisi di stagnazione» e le «difficoltà di crescita e d’occupazione a livelli di vita non miserabili». Ma la critica dei respingenti non mira ad un’accoglienza meno ipocrita o meno incerta. Nega anzi che l’accoglienza o il gestire le migrazioni come problema “nostro” o “comune” sia cosa possibile e opportuna o doverosa. In base al convincimento che «non ci può essere integrazione» (in senso assoluto, cioè in ogni caso; e non relativo, richiamandosi ad esempio alla situazione contingente di crisi). E così i respingenti non fanno che enfatizzare emotivamente (e propagandisticamente) non solo le difficoltà *reali* del rapporto tra “noi” e “loro”, ma anche la *diversità*(sempre in assoluto) dei fuggitivi da “noi”, i quali avrebbero «mentalità, modi vita, tradizioni secolari diverse da noi».
8.
Diverse? E con questo? Nella storia non abbiamo mai avuto a che fare con le diversità? All’interno delle stesse nazioni ( che i nazionalisti amano presentare come comunità armoniose: popolo ed élite in mistica unità), non abbiamo mai avuto diversità paragonabili a queste di oggi? Il Sud dell’Italia, quello dei tempi di «Cristo si è fermato ad Eboli» o degli studi di De Martino sul simbolismo della tarantola e sulle «apocalissi culturali», non ci ha svelato quanta arcaicità conviveva con l’Italia che si modernizzava e s’industrializzava nel triangolo industriale al Nord?
9.
L’odierna diversità è problema reale e sicuramente più complesso. Ma perché non capirla e capire più da vicino i modi con cui si manifesta? Perché accusare gli accoglienti di rifiutare o disprezzare la cultura storica in cui sono cresciuti? Semmai essi stanno gettando le basi per ripensarla criticamente a contatto dei migranti. Come criticamente potrebbero essere ripensate le culture dei migranti. Se accolti, però. Non se respinti e messi nel “mucchio” degli “invasori”, cioè dei nemici.
10.
Ma un “mucchio” indistinto ( e ignoto) è per La Grassa anche quello degli accoglienti. Sarebbero in gran parte una massa «costituita dai delusi di tutte le rivoluzioni immaginate e fallite». Ma basti pensare che tra gli accoglienti ci sono tanti cattolici. In genere, non mi pare che i cattolici siano classificabili tra i rivoluzionari o i delusi delle varie rivoluzioni. Né mi pare che un’altra componente sia fatta da ex rivoluzionari ( La Grassa credo si riferisca ai sessantottini) che si sarebbero « tutti rifugiati nella “misericordia” per i “nullatenenti». O addirittura accetterebbero di obbedire a « piccoli gruppi di veri farabutti, oserei perfino definirli criminali, dalle cui mene guardarsi perché la loro smania di potere è infinita».
11.
Quanto alla « incapacità nell’organizzare l’accoglienza», bisognerebbe dire che se essa è imputabile agli accoglienti è imputabile (in parte minore) anche ai respingenti. E qui torna in gioco quella dialettica bloccata di cui ho parlato nell’Appunto 4. Il « forte malcontento per le disastrate condizioni dei centri d’accoglienza» e la crescita dei « movimenti opposti e altrettanto ostili da parte della popolazione che deve subirne le conseguenze» non riescono di per sé a costruire una politica alternativa. Che forse è quella che servirebbe. Al posto di un’accoglienza vera o di un respingimento vero – obiettivi possibili soltanto con un’assunzione piena di responsabilità politica (o scommessa), subiamo tutti questa politica dell’accoglienza ipocrita e incerta e finiamo per sguazzare in un malcontento rancoroso che non si fa vera politica.
12.
Cosa si dovrebbe fare davvero per non «favorire, con la guerra tra “accolti” e chi sopporta veramente le conseguenze di un simile scombiccherato “accoglimento”, quei mascalzoni che governano i paesi della UE »?
Secondo me – l’ho già anticipato – creare delle alleanze tra noi e gli immigrati anche contro i governanti italiani o dell’UE. Se, infatti, come ammette lo stesso La Grassa « i nostri veri nemici, indubbiamente, non sono gli immigrati, bensì questi infami del “non governo” dell’immigrazione» , non si capisce perché almeno una parte degli immigrati non potrebbero stare con un “noi” in grado di cogliere nella loro diversità l’elemento comune (umano). Altri pensano di puntare su un “noi” italiano? Bene. A ciascuno la sua *scommessa*.
Concordo con Gianfranco La Grassa e dissento da Ennio Abate. Aggiungo solo che l’anarchia è stata sempre e solo l’anticamera della dittatura e che la globalizzazione non è un fenomeno inevitabile perché il futuro è sostanzialmente imprevedibile come giustamente ha illustrato La Grassa con la sua teoria del flusso inconoscibile. Gli immigrati nostri alleati? Forse. Ma tra quante generazioni? E a che prezzo? E non è detto che lo saranno mai. Per ora sono invece un grosso problema e nostri competitori. Quello su cui possiamo agire è solo il presente e questo sta per essere definitivamente compromesso dall’azione di irresponsabili che favoriscono una massiccia e incontrollata immigrazione.
@ Ennio
All’ultimo punto di questo APPUNTO N 5 tu proponi: “creare delle alleanze tra noi e gli immigrati anche contro i governanti italiani o dell’UE” (quei *mascalzoni*).
Sarà allora il nemico che ci identificherà? Saremo “un ‘noi’ in grado di cogliere nella loro [degli immigrati] diversità l’elemento comune (umano)”.
Il nemico è riconoscibile e così qualificato: i respingenti spingono alla chiusura inter nos, sono ostili, falsificatori della realtà del fenomeno, avvelenatori ideologici, ipocriti perchè enfatizzano la difficoltà del rapporto con gli immigrati e assolutizzano la differenza con noi. Quando poi i respingenti si vogliono raccogliere sotto idee nazionaliste e sovraniste (“puntare su un ‘noi’ italiano”), in realtà sono presi da una falsa idea di identità, sia perchè un po’ di globalizzazione c’è sempre stata, sia perché è indubbio che proprio le élites, anche quelle “(che nostalgicamente e pomposamente si vogliono nazionaliste) – furono e siano di fatto *internazionali*, si muovano sullo scacchiere internazionale, abbiano legami a livello internazionale”.
Al contrario gli accoglienti sono razionali, è possibile l’arricchimento attraverso la diversità, è del resto consapevolezza della nostra storia, è un progetto win-win.
A me pare che l’opposizione tra accoglienza e respingimento vada strettamente collegata al rapporto tra globalismo e sovranismo. E’ del capitalismo l’ideologia espansiva di egualitarismo, che ha la sua versione più nobile nel missionarismo cristiano, uguaglianza di lavoratori rispetto all’offerta di lavoro, e tra anime rispetto a dio. Il secondo aspetto del discorso è più nobile del primo, perché aggancia un’apertura al trascendente (che non è mai un dato ma anzi è inesauribile) mentre l’uguaglianza nel mercato del lavoro produce al massimo illuminismo dei diritti.
Ma se ci si pone sul piano della politica, cioè sul piano conflittuale, il primo compito è individuare il nemico prima ancora che l’alleato. Il nemico è la dialettica bloccata su cui tu insisti, l'”immobilismo o la diffidenza verso qualsiasi presa di posizione politica limpida e dichiarata”, che impedisce una politica alternativa, nominata anche come “necessità soggettiva della *scommessa*”.
Se questo è il quadro da te impostato, faccio alcune osservazioni. Il nemico ha come caratteristica generale la sfuggevolezza, è Proteo, è Medusa che paralizza l’iniziativa, è mr Hyde sotto mentite spoglie, è pervasivo ma non ha aspetto, è presente ma, se colpito, risorge sotto altre forme. Il sovranismo lo vuole identificare e circoscrivere, limitare e colpire. Nessuna comunità armoniosa “popolo ed élite in mistica unità”, ma definizione del fronte e ideare un sistema di alleanze.
Rimando a due link in cui sono espresse prese di posizione con cui concordo. Carlo Formenti, Lotta di classe nella forma populista ( sul sito di Sollevazione):
“Posto che solo gli imbecilli parlano ormai del neoliberismo come fine dello stato, visto che a tutti è evidente come lo stato abbia svolto e svolga un ruolo determinante nella costruzione del sistema ordoliberista, la questione riguarda piuttosto il divorzio fra i due termini del binomio stato-nazione: ad andare in pensione non è lo stato, che deve anzi
promuovere e garantire il funzionamento del mercato e indottrinare la popolazione con la narrazione dell’individuo imprenditore di sé stesso, oltre a smantellare tutti gli strumenti di autodifesa delle classi subordinate, bensì la nazione in quanto ambito giuridico, economico e politico in cui far valere i diritti collettivi del popolo, per cui il superamento dello stato-nazione si presenta come un regresso storico e non come un salto in avanti
progressivo, come erroneamente sostenuto da (quasi) tutte le sinistre che, non a caso, hanno stupidamente regalato alle destre il monopolio della lotta contro la perdita di sovranità.
I populismi di destra e di sinistra sono accomunati dall’idea che sia necessario rivendicare il diritto di comunità politiche definite su base territoriale di gestire la loro vita collettiva in modo relativamente autonomo da interferenze esterne, che occorra lottare per ottenere un certo grado di indipendenza rispetto alle forze e ai flussi globali che frustrano qualsiasi tentativo di controllo delle comunità sul proprio destino, ma le concezioni di sovranità cui si rifanno sono radicalmente diverse: da un lato, abbiamo un immaginario etnico improntato alla coppia sangue e suolo, dall’altro una visione della sovranità popolare come mezzo di inclusione, di reintegrazione nello stato di una cittadinanza che se ne sente sempre più esclusa a mano a mano che vengono indebolite o spazzate via le istituzioni di partecipazione e rappresentanza politiche. Una sovranità concepita come arma di lotta del popolo contro le oligarchie, dei molti contro i pochi, dei poveri contro i ricchi.”
Giulio Sapelli, La via di fuga dalla sciuavitù della Germania ( sul sito di Il sussidiario):
” Il tema interessante è quello che ci fa dire che oggi la limitazione dei movimenti di capitali e di merci è materia di azione politica da parte delle forze di destra neo-nazionaliste europee con molta forza e che non è il caso di ricordare qui per un’ennesima volta. Il ritorno a un protezionismo selettivo è nei fatti: la Commissione europea registra con continuità nuove misure protezionistiche e Cina, India, Brasile, Russia e Stati Uniti hanno da tempo introdotto introdotto restrizioni potenti al commercio mondiale. Solo l’Unione europea nel suo complesso resiste ostinatamente all’introduzione di controlli sui movimenti di capitali e di merci e questo perché la Germania è la sola a trarre dal libero scambio grandi vantaggi.
I gruppi di interesse che sviluppano il più potente potere situazionale di fatto in Germania sono paradossalmente quelli che più temono che con la moneta unica salti anche il mercato unico europeo, sul quale si fonda la loro egemonia, e che si creino limiti alla libera circolazione di capitali e di merci in Europa. Del resto l’Europa unita ha insegnato al mondo a tagliare per via amministrativa le capacità produttive lasciando invariate le quote di mercato, pianificando i volumi di produzione mentre nel contempo si alimenta la piena libertà di trasferimento dei capitali.”
Nota di E. A.
Pubblico io al posto di Fischer. Pare che i due link da lei indicati impedissero la pubblicazione del suo commento; e ho dovuto toglierli.
SEGNALAZIONE
La spina nel fianco del potere. Intervista a Sandro Mezzadra
Intervista a Sandro Mezzadra di Francesco Raparelli
Stralcio:
I tuoi studi sul nuovo regime migratorio ci impongono da tempo una riflessione sulle nuove gerarchie produttive segnate dalla linea del colore, ma anche e soprattutto sull’inadeguatezza di una pratica politica incapace di attraversare e sostenere le lotte migranti. È possibile conquistare istanze comuni rifiutando la segmentazione etnica del mercato del lavoro e, soprattutto, la ripresa in forze, anche a sinistra, della tematica nazionalista?
“È la posta in palio nella reinvenzione (perché di reinvenzione dobbiamo parlare) di una politica comunista. Ho parlato dell’America Latina, di quante cose ho imparato soprattutto in Argentina. Mi chiedete delle migrazioni: non posso non ricordare le lotte dei e con i migranti a Genova, negli anni ’90, l’Associazione Città Aperta… L’incontro con la migrazione è stato per molti e molte di noi una specie di nuova scoperta del mondo – o semplicemente la scoperta di quanto era cambiato il mondo. Eravamo cresciuti in città “bianche”, dopotutto, in Italia!
Da quel momento, è vero, il tema della “linea del colore” (come la chiamò all’inizio del Novecento W.E.B. Du Bois) è stato al centro delle mie ricerche, ma anche (e lo dico con modestia) dei miei continui tentativi di fare politica. La migrazione mi ha mostrato, da un altro punto di vista rispetto al femminismo, il rilievo strategico della “differenza”. Strategico nell’organizzazione dei rapporti di dominio e di sfruttamento; ma strategico anche nella costruzione di una politica della liberazione (che è un altro modo, per me, di nominare “una politica comunista”). Nessuno lo ha detto meglio di Audre Lorde, non a caso una scrittrice e poetessa femminista, lesbica, Nera. È un brano che abbiamo citato in Border as Method; lo ripeto qui, in chiusura, come una sorta di assioma per la politica comunista a venire: “è all’interno delle nostre differenze che siamo più potenti e più vulnerabili; e alcuni dei compiti più difficili delle nostre vite consistono nel rivendicare le differenze e nell’imparare a utilizzarle come ponti tra di noi invece che come barriere”.”
(da http://facciamosinistra.blogspot.it/2017/01/la-spina-nel-fianco-del-potere.html)
…sono d’accordo con quanto dice Audre Lorde, la poetessa Nera: le differenze arrivano a completare vicendevolmente gli esseri umani e sono dei ponti, mentre le uguaglianze, come identità che potenziano gruppi chiusi, sono destinate ad appassire…
APPUNTO 6. TRA ACCOGLIENTI E RESPINGENTI PUÒ ESSERCI UNA TERZA POSIZIONE?
@ Simonitto
1.
Replico solo su questo punto:
«Vedi Ennio, al punto 3), tu fai un giusto cenno all’immobilismo contemporaneo che non è che l’esito di quell’antitetico polare sostenuto dai termini o/o: sinistra/destra; buonisti/cattivisti; ecc. Però quando le ‘osservazioni’ che io faccio, anziché spingere uno sguardo sulla realtà, lo spingono verso *mie propensioni* con attribuzioni spicce (*In volgare: «prima gli italiani»*), ritorniamo al bisogno di etichettare, di capire ‘prima’ a quale fede uno appartenga… e poi si parla. Quando dico che i migranti SONO una emergenza parlo di un dato di fatto e che come tale va trattato. Se a casa tua a Milano piombassero una quindicina di parenti del Sud, sarebbe una emergenza a fronte della quale dovresti decidere come gestire e/o trascurare altre priorità, tipo portare i figli a scuola, gestire la tua economia di tempo e di soldi. Che tu possa farlo con spirito di abnegazione (può essere) o mugugnando (può essere), ciò non toglie che un problema, che prima non c’era, ora c’è.Io non ‘propendo’ né verso i respingimenti né verso gli accoglimenti tout court.
Io sto pensando a concetti, se sono ancora validi, di dignità alla vita, di ‘civiltà’ e della fatica che si fa a raggiungerla e della facilità con la quale si può distruggere» (Simonitto).
2.
Scrivendo nell’Appunto 4: « Perché, oggi chi propende per la difesa dei migranti in quanto esseri umani, passa agli occhi dei respingenti per “buonista” “bergogliano”, “terzomondista” in ritardo. E agli accoglienti le posizioni dei respingenti non possono che apparire “nazionaliste, “cattiviste”, razziste”, “egoiste”. Questi due – più o meno di sinistra o di destra – e non altri sono comunque gli sfondi in cui non possiamo non porci. Anche credo contro la nostra volontà che ne sente i limiti», volevo sottolineare una cosa: quando c’è un conflitto tra posizioni abbastanza delineate, come, sulla questioni dei migranti, quelle tra accoglienti e respingenti, non si scappa: o si sceglie di stare (magari con molte riserve, dubbi e distinguo) in uno dei due “partiti” che conducono la danza su questo tema; oppure sono gli altri che, sulla base di quel che dici, a volte anche in modi velati o allusivi, ti mettono – a ragione o a torto – in uno di essi.
E perché? Perché un’altra posizione alternativa a queste degli accoglienti e dei respingenti, nella realtà non c’è. Nessuno di noi nega che « i migranti SONO una emergenza» e che il loro arrivo e la loro presenza tra noi è « un problema, che prima non c’era, ora c’è». Su questo non ci piove. Ma ci dividiamo – e a me pare nettamente – proprio su come va trattato e affrontato questo dato di fatto. E i “partiti presi”, come si vede anche dai commenti, sono – ripeto – due (con sfumature interne magari). Siamo al solito aut aut da affrontare o eludere (credo io).
3.
Può esserci una terza posizione? Senz’altro. Ed è quella che tu rivendichi: «Io non ‘propendo’ né verso i respingimenti né verso gli accoglimenti tout court. Io sto pensando a concetti, se sono ancora validi, di dignità alla vita, di ‘civiltà’ e della fatica che si fa a raggiungerla e della facilità con la quale si può distruggere».
In parte si avvicina alla mia, che da sempre mi sento ricattato sia dai buonisti che dai cattivisti su questo tema. In parte però si discosta. Perché io riconosco che questa terza posizione al momento non è una posizione politico-pratica. É puramente “contemplativa”. E se ha il merito di non cedere al ricatto delle due posizioni prevalenti e di non rinunciare, appunto, a lavorare sui concetti, sul pensiero, nel pensiero, per cercare qualcosa di meglio e di diverso, ha il limite che non sa o può dire nulla di *pratico-politico* – e non si sa fino a quando – sul *che fare* immediato o in tempi stretti. Quindi tutto questo lavorio nel pensiero è come se non ci fosse ( Intendo, per gli altri: gli immigrati, gli accoglienti, i respingenti, gli incerti).
4.
Lungi da me sbeffeggiare tale ricerca di pensiero o considerarla oziosa o inutile. Mi ci impegno per quanto posso io pure. Ma so che i tempi di studio, di elaborazione di un pensiero, sono diversi dai tempi stretti o strettissimi in cui agiscono o sono costretti ad agire i vari attori di questa storia: quelli che si muovono sotto il morso dei loro bisogni traversando vari continenti e mettendo a rischio la loro vita; quelli che devono fronteggiare il loro arrivo, anch’essi pressati da interessi contrastanti, da calcoli politici, da vincoli “superiori”. (Qui m’immagino un attimo Marx che ruminava sulle sue carte nella sala di lettura del British Museum o Gramsci nel carcere. Quante cose accadevano nel frattempo? Quanti operai lottavano come potevano o crepavano disperati sotto la sferza della modernizzazione capitalistica?). Come so che, anche quando la nuova idea capace di vedere in modi originali e innovativi questa questione sorgesse nella mente di un pensatore, essa mai potrà influenzare senza le necessarie mediazioni l’agire pratico e politico dei vari attori coinvolti. Mi pare, dunque, chiaro che, fin quando questo pensare non raggiungerà un risultato e questo non verrà trasmesso e poi condiviso almeno in pillole e almeno da una parte delle persone (individui, gruppi, masse) coinvolte concretamente nel dramma complesso delle attuali migrazioni e ne orienti in altro modo i comportamenti, il problema verrà affrontato non dai pensatori ma dagli altri; e, per forza di cose, sulla falsariga dei soliti o vecchi modi di pensare e di fare (di destra/sinistra, idealisti/ realisti, egoisti/altruisti).
5.
E che cos’altro – mi chiedo – queste persone in carne ed ossa, coinvolte direttamente nel problema, potrebbero fare altrimenti? Attendere che nasca un nuovo pensiero che permetta di vedere il problema in modo diverso, nuovo? Impossibile. La vita urge con i suoi bisogni e imposizioni e eventi inattesi o imprevedibili. E le persone concrete pensano ed agiscono con il bagaglio culturale ereditato. E, appunto, come nell’esempio fatto da Rita, può succedere che a casa mia (o tua o di un altro) piombano una quindicina di parenti del Sud, creando « un problema, che prima non c’era, ora c’è». (Proprio come accade in Italia, in Gracia, in Spagna, ecc coi migranti).
E allora io, che pur dedicherei volentieri tutto il mio tempo libero a pensare (a questo o a quello, alla storia, all’arte, alla geopolica, ecc.), mi trovo di fronte all’aut aut. Cioè nella condizione di dover scegliere, valutando alla meglio quel che posso o non posso fare, agendo poi con spirito di abnegazione o mugugnando o odiando e invocando durezza poliziesca contro gli “invasori”. Non avendo, dunque, né il mio pensiero né quello degli altri (per quel che ne so) partorito qualcosa di diverso, di più intelligente, di più efficace, devo barcamenarmi come posso tra idee e comportamenti “vecchi” e dunque tra le soluzioni proposte/imposte dagli accoglienti o quelle dei respingenti. (Tra l’altro, è quello che hanno fatto e fanno anche i migranti prima di imbarcarsi per la loro avventura o quando precipitano tra noi in un mondo poco o nulla noto o conosciuto solo attraverso l’immaginario televisivo e comunque per sentito dire).
6.
Tutto questo per dire, che non avendo la possibilità di proporre un’alternativa pratico-politico (che pure intuisco e credo, come detto, vada cercata in direzione di un’alleanza tra una parte di “noi” e una parte dei migranti in modi tutti da sperimentare) a quelle degli accoglienti e dei respingenti, dico chiaramente che preferisco collaborare a una ricerca della soluzione dei problemi con gli accoglienti piuttosto che coi respingenti. E perciò In questa situazione di crisi e d’ incertezza in cui – ricordando Gramsci – « il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere» mi pare utile anche capire come la pensano i miei amici e le mie amiche, i redattori e i commentatori di Poliscritture. Da qui, avendo dichiarato come la penso io sulla questione, il mio tentativo, legittimo credo, non di mettere etichette ai miei interlocutori, ma di misurare vicinanze e distanze da loro. Perché o tra i partecipanti in vari modi alla discussione di Poliscritture si delinea una linea di cooperazione che permetta di far convergere queste intelligenze e sensibilità attorno ad un progetto; oppure Poliscritture sarà quel che è stata di fatto dal 2005, anno in cui la fondammo, una palestra di voci dissonanti (a volte litiganti), il cui merito resterà quello di averne documentato generosamente soprattutto i disaccordi.
SEGNALAZIONE
*Come al solito in Cortellessa una valanga (eccessiva per me) di spunti eruditi che spaziano dalla letteratura al cinema, ma il tema del problematico rapporto tra “noi” (da precisare) e gli “altri” (da non mettere in un “mucchio” e ridurre a “invasori”) è ben colto. Perciò lo segnalo in questo nostro post [E. A.]
L’invasione aliena
di Andrea Cortellessa
http://www.doppiozero.com/materiali/linvasione-aliena
Stralci:
1.
La riduzione dell’extracomunitario a extraterrestre, infatti, per quanto raffinata non è che una variante di una retorica razzista di lungo periodo, in passato rivolta di preferenza al regno animale (con particolare predilezione per le scale minuscole, dagli insetti giù verso germi e batteri da disinfestare). In ogni caso – scrive Zygmunt Bauman in Stranieri alle porte, Laterza 2016 – la «disumanizzazione dei migranti spiana la strada alla loro esclusione dal novero dei legittimi titolari di diritti umani».
Non vale a molto ripetere, come da tempo vanno facendo antropologi e genetisti (da ultimo Guido Barbujani in Gli africani siamo noi. Alle origini dell’uomo, Laterza 2016), che il ceppo prevalente di Homo sapiens è nato in Africa, e che dunque a tutti gli effetti «discendiamo dagli africani»; né che tanto l’Homo sapiens che il suo progenitore, l’Australopithecus, erano in origine specie «congenitamente, intrinsecamente migratorie» (Bauman, che si rifà al Kevin Kenny di Diaspora, Oxford University Press 2013). Lo slogan – a sua volta di indubbia efficacia – del leader fascista ungherese Viktor Orbán, secondo il quale «tutti i terroristi sono migranti», andrebbe dunque corretto in «tutti gli esseri umani sono migranti» (con quanto ne consegue).
2.
Considerare la siderale stolidità degli slogan razzisti non deve però portare alla simmetrica insipienza di ripetere irenicamente quelli uguali e contrari dell’integrazione, dell’accoglienza, del dialogo. Chi l’ha mostrato nel modo più efficace è stato Jean-Luc Nancy, in un memorabile apologo dal titolo L’intruso (Cronopio 2000). Un testo che non tocca mai esplicitamente temi politici, ma racconta solo del trapianto di cuore subito dal filosofo qualche anno prima. Un intruso, definisce appunto Nancy l’organo estraneo impiantato nel suo corpo, che gli ha salvato la vita ma che quella stessa vita ha messo radicalmente in crisi. Tale è per lui, in generale, lo straniero (il saggio lo aveva scritto in origine per il numero di una rivista dedicato alla Venuta dello straniero): una presenza inquietante, perturbante, che «si introduce di forza con la sorpresa o con l’astuzia, in ogni caso senza permesso e senza essere stato invitato». Non importa che venga naturalizzato, assimilato, che faccia propria la nostra cittadinanza: «la sua venuta non cessa, continua a venire». Più che di un abbraccio o di una fusione – quella degli «orizzonti», di gadameriana memoria, cui si appella Bauman alla fine del suo pamphlet – si tratta di un contrasto, un conflitto, una sfida. Ma è da questa sfida che dipende la salvezza dell’organismo, del corpo sociale, forse dell’intera specie umana.
Lo dimostrano anche – proseguendo e precisando la metafora medica di Nancy – la biologia e l’immunologia: che a loro volta impiegano spesso metafore «politiche». L’horror autotoxicus di cui parla Andrea Grignolio ci avverte che i veri alieni sono già fra noi. Anzi, gli unici alieni da temere siamo noi stessi: massimamente infettivo è il virus dell’intolleranza, della paranoia politica che percorre le società di questo nostro mondo globalizzato in cui vive un’umanità, però, non ancora cosmopolitizzata (come ci mostra Luigi Zoja in Paranoia. La follia che fa la storia, Bollati Boringhieri 2011). Mentre la biologia sa che un organismo iper-protetto, «cristallizzato» rispetto ai pericoli ma anche alle opportunità (le cognizioni, le risorse, le nutrizioni) fuori di sé, finisce per perdere l’«osmosi con l’esterno» necessaria al «processo di rigenerazione continua» che chiamiamo vita (Antonella Moscati). In tali condizioni, l’organismo deperisce e infine muore. (Una metafora simile era quella di vettore agronomico, rubata a William Carlos Williams, usata dall’antropologo James Clifford nel titolo del suo bellissimo I frutti puri impazziscono [1988], Bollati Boringhieri 1993.)
3.
si pensi a un film come District 9, diretto nel 2009 dal sudafricano Neil Blomkamp, che s’ispira a fatti realmente avvenuti durante l’apartheid. Le grandi navi spaziali che appaiono sopra Johannesburg, infatti, non portano fra noi degli invasori, bensì dei profughi: artropodi sporchi, spossati e denutriti dalla traversata interstellare, che prima vengono tratti in salvo dai terrestri ma in seguito sono segregati, vilipesi (la dizione ufficiale, politicamente corretta, li definisce «non-umani»; ma tutti li chiamano «gamberoni»), sgomberati e perseguitati. L’allegoria è chiara, e si fonda – come nel romanzo di Wells e nel racconto di Brown – su un principio di reversibilità: in questo modo la migliore science fiction prosegue una tradizione illustre dell’immaginario letterario, quella del relativismo culturale che – ci ricorda Paolo Godani – ha la sua fondazione nel saggio Dei cannibali di Montaigne, nel primo libro degli Essais del 1580, per poi passare dalle Lettere persiane di Montesquieu, 1721, dai Viaggi di Gulliver di Swift, 1727, e dal Micromegas di Voltaire, 1752 (la cui satira dell’antropocentrismo – che verrà ripresa dal Leopardi delle Operette morali – passa per la visita alla nostra Terra di due veri e propri alieni, esseri giganteschi provenienti rispettivamente da Saturno e da Sirio).
È lo sguardo Da fuori di cui traccia un’importante genealogia l’ultimo libro di Roberto Esposito, Da fuori. Una filosofia per l’Europa (Einaudi 2016), che ripercorre le tensioni centrifughe del pensiero di un continente, il nostro, che possono consegnarsi a «un’umanità post-europea capace di recuperare i valori universali che l’Europa, accecata dalla luce dispiegata della sua ragione, ha a lungo tradito». Un pensiero che deve necessariamente confrontarsi «con ciò che preme ai suoi confini esterni, fino a penetrare dentro di esso e modificarlo in radice». Ed è per questo che lo deve innervare una teoria – e una prassi rinnovata – della traduzione.
Lo sguardo «alieno», che strania i nostri costumi figurando di guardarli da fuori, diventa il segno più caratterizzante della letteratura che più ci sta a cuore, nell’ultimo secolo e mezzo: e se Kafka, di questo periodo, è forse l’autore per eccellenza è perché ha saputo mutuare, nel suo racconto più celebre, la prospettiva di un uomo trasformato in insetto, per mostrarci quel mondo sconosciuto che è il nostro. La sua capacità di far sua una prospettiva al di là, o al di qua, dell’umano non è semplice esotismo: come dicevano Gilles Deleuze e Félix Guattari nell’epocale Kafka. Per una letteratura minore (1975; Quodlibet 1996), «l’essenza animale è la via d’uscita, la linea di fuga, anche senza spostarsi dalla stanza, anche restando nella gabbia» (memorabile il frammento di Meditazione, 1913, che s’intitola Desiderio di diventare un indiano).
4.
Non sarà forse un caso se, nella narrazione mitica che il romanticismo fece della nascita della poesia moderna, i poeti provenzali giungessero nelle corti medievali appunto da stranieri: «migranti economici», si direbbe magari oggi, più qualche «rifugiato politico», come sarà Dante nella generazione seguente (quel Dante che tanto se la prende con Maometto, nel XXVIII dell’Inferno, ma che – a quanto pare dai classici studi di Miguel Asín Palacios ripresi da Maria Corti e, più di recente, da Ida Zilio-Grandi – tanto doveva alla cultura dell’illuminato Islam del suo tempo). La sintesi migliore l’ha data Michel Foucault, in un’intervista del 1975 (che ha dato il titolo, di recente, a una silloge dei suoi scritti letterari tradotta l’anno scorso da Cronopio): la letteratura è «la Grande Straniera».
Per molto tempo la letteratura, e le arti in genere, si sono assunte il compito di esplorare questa differenza. Così educando l’umanità a riconoscerla, la differenza, e a sapersi con essa confrontare: senza illudersi di poterla assimilare impunemente, ma – anche – senza paura.
Oggi però l’andazzo è cambiato. Il nostro – in una quantità di discipline ossessionate dal riduzionismo neo-positivista, così come nel senso comune che con questa insegna contrabbanda sempiterni quanto impronunciabili razzismi di ritorno – pare essere il tempo dell’identità. Ma basta aguzzare l’orecchio per udire – ha scritto di recente Adriano Prosperi (Identità. L’altra faccia della storia, Laterza 2016) – «dietro questa parola, apparentemente così semplice e innocua, l’eco sorda della risacca della storia e dei rapporti di forza che ha ripreso a fare intensamente il suo antico lavoro: scaraventa sulle rive più diverse popoli e individui, quando non li cancella inabissandoli nel fondo del mare». Non stupirà allora che anche le arti, negli ultimi decenni, paiano seguire in maggioranza – il famigerato mainstream – una politica dell’identità. A far specie non sono tanto le narrazioni maggioritarie (quelle cioè che riflettono i «valori» delle maggioranze delle quali, francamente, poco ci interessa): sono anche, se non soprattutto, le narrazioni che si vorrebbero minori (in senso deleuze-guattariano), cioè sovversive e sediziose, a risultare per lo più funestate da logiche di rivendicazione, appunto, dell’identità.