Leggere Fagan è cosa buona e giusta …  

DIALOGANDO CON IL TONTO  (9)

di Giulio Toffoli

 

Capita raramente di vedere il Tonto girare per il centro con un libro sotto il braccio.

Lo fermo e gli chiedo: “Che fai di bello? Cosa leggi il solito classico …”

“No. – mi risponde sorridendo – Si tratta di una novità, se oggi si può dire novità un volume stampato tre mesi fa. In ogni caso un libro che tutti dovrebbero leggere per calibrare un poco meglio le proprie opinioni e uscire dal mondo delle impressioni occasionali e della manipolazione giornalistica”.

“Insomma quale libro è riuscito a superare la tua idiosincrasia per il nuovo …”

“Si tratta del volume di Pierluigi Fagan, Verso un mondo multipolare, Fazi editore, che puoi acquistare sborsando un 25 eurini. Se sei interessato posso farti una recensione, ben sapendo che potrà fornirti solo un pallido schizzo del ricco disegno realizzato dal Fagan”.

“Vabbè questo è nel gioco … Visto l’inusuale mattinata di sole sediamoci qui in piazza al solito Caffè Storico e cercherò di seguire le tue argomentazione …”

“Partiamo da una premessa. – ha iniziato a dire – Nulla vi è di nuovo sotto il sole e Fagan ne è ben cosciente perciò il suo argomentare non ha nessuna volontà di stupire il lettore e proporre chissà quale scoperta originale. Si tratta piuttosto di una lettura del presente e del prossimo futuro realizzata secondo un modello che si vuole realistico e il più possibile obiettivo. In questo senso Fagan ci chiarisce fin dall’inizio che a suo vedere noi, che abbiamo fatto della capacità di elaborare modelli per interpretare la realtà e intervenire a modificarla la nostra forza principale, ci troviamo oggi in una inedita situazione di cul de sac. La crescita viepiù rapida delle conoscenze e delle tecniche ci ha portati a vivere in una paradossale condizione di stallo in cui alla dinamicità della realtà si contrappongono sempre più i limiti del nostro apparato cognitivo. Mi chiederai in che senso ciò può essere vero visto che ogni giorno veniamo investiti da una valanga di informazioni che ci parlano di nuove scoperte …”.

“Si – gli rispondo con un qualche stupore – è proprio questa la domanda che mi sorgeva spontanea. Siamo di fronte a un turbinio di nuove proposte, non c’è frontiera che sembra resistere agli assalti della scienza e della tecnologia. Forse solo la poca fantasia dei politici continua a riproporre il tema delle frontiere”.

“Fagan parte – mi risponde il Tonto – da due semplici constatazioni. La prima è che fra qualche decennio gli abitanti  della terra saranno 10 miliardi. Una cifra stratosferica se si pensa che all’inizio del XX secolo la popolazione mondiale raggiungeva a male pena il miliardo. La seconda, riprendo le sue parole, che: «non c’è altro posto in cui migrare».

Partendo da questi due assunti ne deduce che siamo al «confine fra due ere» e che è necessario averne coscienza e inventare una strumentazione adeguata ad affrontare questa nuova realtà”.

“Molti – mi permetto di suggerirgli – hanno parlato di età di transizione, basti pensare alla narrazione del postmoderno con tutti i suoi cascami. Quali le novità del discorso di Fagan che lo rendono diverso da tanta ideologia da supermercato?”

“La risposta è abbastanza semplice. La modernità, nella accezione tradizionale del termine, è stata caratterizzata da una serie di mutamenti che hanno spinto l’umanità a elaborare un nuovo paradigma di civiltà.

Il primo mutamento è stato rappresentato dal passaggio da un atteggiamento passivo nei confronti della natura a uno sempre più dinamico. Si tratta del passaggio dai saperi tradizionali alla razionalità scientifica. Il secondo dal costituirsi degli stati-nazione fra il XVI e il XIX secolo. Il terzo dal mutamento del modello produttivo con lo sviluppo del sistema fondato sulla meccanizzazione e la standardizzazione. Infine per ultimo l’affermazione dell’Europa, con lo spostamento del baricentro dal sud al nord e poi con i fenomeni di espansione globale fino all’apice nel XIX secolo. Questo accumularsi di processi ha generato una vivacità intellettuale e culturale, una crescita del benessere materiale come mai prima e il superamento di ogni confine fino ad allora conosciuto. Da questo punto di vista il XX secolo può essere visto davvero come un esempio paradigmatico di fallimento  adattativo, basti pensare alla terribile contesa caratterizzata dall’assalto al potere mondiale che ha segnato la prima metà del secolo e poi dopo mezzo secolo equilibrio instabile dall’affermarsi di una specie di imperialismo informale degli USA che ha ben presto mostrato i suoi limiti insuperabili. Di qui l’emerge di nuovi attori e la necessità di individuare nuovi modelli culturali per affrontare una realtà sempre più complessa”.

“Hai più volte posto l’accento sul concetto di complessità. Non è che si tratta del solito facile alibi.”

“Fagan sottolinea come accanto alla crescita della popolazione negli ultimi decenni sia lievitato anche il numero degli stati. Ora sono quasi 200 e nulla esclude che in un prossimo futuro questa cifra sia destinata ad essere superata. E’ proprio con questa realtà che dobbiamo fare i conti. Stati che presentano una varietà di sistemi politici, e che per la loro stessa esistenza costituiscono un fattore che incide sugli equilibri del pianeta. Stati che hanno come loro naturale funzione di proteggere gli stili di vita dei propri abitanti anche quando diventano insostenibili e perciò sono necessariamente in continua competizione fra loro.

E’ proprio su quest’ultimo elemento che dobbiamo fermare la nostra attenzione, l’elemento della competizione, che probabilmente andrà crescendo di peso nel prossimo futuro e che nessuno può esorcizzare con facili idealismi.

Competizione che è prodotto di una serie complessa di fattori che possiamo così enumerare: la volontà di sfogare la propria combattività da parte di nazioni aggressive, la smania di acquisire manodopera a basso costo, la ricerca di mercati su cui piazzare le proprie merci, l’esuberanza demografica o la tendenza a difendere i propri confini.

Troppo spesso, aggiunge Fagan, si studia la razionalità interna del sistema e le sue debolezze senza porre attenzione alle dipendenze strutturali dall’esterno. Ciò che è emerso chiaramente all’inizio di questo XXI secolo è la fragilità del sistema globale, limiti che si riverberano sulle singole realtà statali ma che hanno origine nella struttura complessiva del sistema.

Ogni giorno abbiamo sotto gli occhi la dimostrazione dell’incapacità delle classi dirigenti di offrire delle soluzioni sistemiche. Viene, di volta in volta, proposto all’opinione pubblica un insieme di misure contingenti che tendono a spostare la causa delle difficoltà interne su qualche agente esterno. C’è sempre un cattivo di turno, una incarnazione del male a cui addebitare i propri fallimenti.

La storia ci insegna come queste facili scorciatoie siano alla lunga delle vie senza uscita.”

“Allora che fare? ci chiediamo senza scomodare la buon anima di Vladimir Ul’janov.”

“La risposta è sicuramente difficile ma forse si possono individuare alcuni elementi che ci aiutano a capire meglio la realtà intorno a noi. Tutto ciò che ci circonda è caratterizzato da una serie di processi di nascita, crescita e infine scomparsa/trasformazione. Ciò vale per la materia vivente ma anche le per culture umane. L’idea occidentale di un possibile progresso infinito è priva di fondamento. Ci dobbiamo rendere conto che i modelli mentali con cui cerchiamo di leggere la realtà sono stati per lo più elaborati nel XIX secolo. La categoria di democrazia liberale, con tutte le sue ambiguità, non meno del mito del marcato e della sua mano invisibile, l’idea di una competizione darwiniana senza fine e il mito della onnipotenza della scienza e della tecnica sono prodotti di società demograficamente limitate e intimamente aggressive. Si tratta di una serie di idee che hanno nutrito l’assalto al potere mondiale e che sono inadeguate a rispondere alle sfide di oggi. E’ il tentativo di scalare all’infinito la realtà, muovendosi di progresso in progresso e affermando il primato indiscusso della quantità: quantità di potere, di terre, di beni, di profitti, ecc..

Di fronte alle evidenti crepe di questi modelli la risposta che è stata data si è espressa in una serie di formulazioni, di sapore retorico e intimamente paradossali, come quella della fine della storia, la autocelebrazione dell’oggi come l’ultimo orizzonte della esperienza umana o infine l’affermazione, regressiva e difensiva, dell’esistenza di un inesausto conflitto di civiltà, una specie di congiura contro l’occidente”.

“Ci sono – mi sono permesso di dire – anche coloro che tentano ancora oggi di farsi portatori di una visione diversa della realtà …”

“Anche l’idea di una rivoluzione proletaria si iscrive in questi paradigmi del XIX secolo che hanno espresso, nel bene e nel male, le loro potenzialità in quello successivo. Erano tutti figli di una concezione fortemente volontaristica della dimensione umana che ha avuto la sua espressione più alta nella produzione di strumenti capaci di cancellare l’umanità dalla terra e più concretamente di prorogare oltre ogni limite modelli di vita che appaiono inadatti al mondo come si è venuto strutturando alla fine del XX secolo. Quello da cui si è cercato di sfuggire è l’idea che esistono dei limiti insuperabili di natura materiale e che è necessario anzi improrogabile passare dall’epoca del volontarismo a quello della responsabilità”.

“Ma scusa – ho aggiunto – chi possono essere gli artefici di tale passaggio?”

“L’unico ente che ha la capacità di avviare un tale mutamento è lo stato. Gli stati quali si presentano concretamente sulla scena internazionale, ed è su di essi che dobbiamo ragionare.

Sostanzialmente gli stati svolgono due funzioni, quella della offesa/difesa e quella di affermazione della propria reputazione nel contesto internazionale. Ovviamente si da per scontata una certa omogeneità dei popoli e una qualche forma di relazione positiva fra élite e masse. Ora il problema è come declinare questi elementi in una realtà che si presenta come intimamente nuova. Se ci pensiamo bene di un ordine mondiale si può parlare solo dopo il 1945. La divisione imperiale del globo risale al massimo agli anni ottanta del XIX secolo e l’esito di quella corsa alla divisione del globo in sfere di influenza lo abbiamo conosciuto nella prima metà di quello successivo. Poi c’è stata la fase del bipolarismo imperfetto fra USA e URSS, la breve parentesi della tendenza unipolare USA e ora ci troviamo di fronte a un mondo oggettivamente multipolare, dove fioriscono le guerre per procura, proxy war.

Sono gli stati insomma che sembrano affermarsi come unici soggetti politici nel prossimo futuro”.

“La domanda che nasce ancora spontanea – ho aggiunto – è come questi stati si muoveranno in una realtà multipolare fluida dove le vecchie alleanze tenderanno a essere sottoposte alla verifica degli interessi concreti e non più a pregiudiziali ideologiche?”

“Si. Questa è la domanda giusta. In generale è prevedibile che si verranno strutturando una pluralità di alleanze basate sui principi dell’affidabilità e della reciprocità. E’ necessario uscire dalla contrapposizione un poco manichea e figlia del conflitto di civiltà che vedeva due uniche possibili prospettive: o il caos totale o l’ordine imperiale universale.  La ricerca della supremazia si può infatti disegnare come competizione ma anche come cooperazione.

Di qui l’importanza della geopolitica, questa nuova disciplina che Fagan ci invita caldamente a studiare e che ha alle spalle una storia almeno secolare visto che può trovare la sua origine nella prima cattedra universitaria di relazioni internazionali istituita in Inghilterra all’inizio del XX secolo.

Scorrendo le righe del Fagan dedicate a questo tema si fanno una serie infinita di piccole ma insieme affascinanti scoperte che hanno proprio la funzione di mettere in discussione i nostri modelli mentali consolidati. Così, ad esempio, veniamo a sapere che il concetto di Eurasia, con tutte le suggestioni che può fornire per il domani, nasce nel 1904 o che è del 1912 un volume di tal Homer Lea che già dal titolo chiarisce come in fatto di razzismo la concorrenza fra le grandi potenze sia stata da sempre all’ultimo sangue: The Day of the Saxon.

Non solo, si può verificare come la stessa economia, per quanto si sbandieri la tesi delle leggi di natura, sia sempre stata letta dal mondo anglosassone come elemento del disegno strategico di dominio e mai da questo disegno hanno desistito. Ben coscienti che in ultima istanza il sistema di produzione caratterizzato sul capitale, per quanto possa operare come un corsaro in tutti i mari, ha una precisa radice nello stato nazionale e nella sua politica.

I rapporti fra gli stati sono definiti da Fagan con l’efficace formula: «Il gioco di tutti i giochi».

Un gioco che si muove su tre livelli intimamente intrecciati fra loro e che chiunque voglia parlare di politica deve conoscere a fondo. Quello della geografia, che è dominato da una struttura quasi immobile nel tempo ma decisiva per definire i rapporti fra gli stati. Quello dello spazio, come sintesi fra il gioco dei rapporti di forza, le economie e l’attività intellettuale. Si tratta della longue durée di cui parlavano i maestri degli Annales. Ed infine la realtà individuale segnata dalla breve durata e dal movimento disordinato che ciascuno di noi sperimenta giorno dopo giorno. Realtà che ci spinge a credere di vivere sempre in un momento di rara eccezionalità, schiacciati oggi più che mai fra una overdose di informazioni e una carenza di strumenti di decrittazione di quanto ci viene fornito. Di qui il rischi di cadere in un «misticismo olistico» o nel mito opposto e non meno pernicioso della causa unica. Di volta in volta individuata, a seconda della scelta individuale in un panlogismo scientista, nel determinismo, nel riduttivismo, nel mito della morte delle ideologie e in altri infiniti artifici narrativi”.

“Oddio diventa sempre più arduo muoversi all’interno di un contesto così pieno di trappole mortali …”

“Ma no, le cose sono molto più semplici di quello che sembra. Basta avere chiaro in mente un concetto che troppo spesso viene mistificato e che si può così sintetizzare: «il fenomeno umano non è ordinato da leggi, sebbene, mostri a volte  comportamenti ricorrenti». Studiando con la dovuta attenzione la storia si possono cercare di comprendere le cause dei nostri problemi di oggi. Tanto per fare un esempio chiunque guardi in modo disincantato una carta del Medio Oriente non può che rendersi conto che ciò che succede oggi non è altro che l’esito ultimo della «ripartizione del mondo (avvenuta nel 1919 ndr) secondo la logica di demiurghi rapiti da una incontrollata volontà di potenza pervasa da un insensato idealismo, per quanto al servizio di logiche decisamente materiali». Non è difficile pronostica che solo quando gli esiti di quella innaturale ripartizione, realizzate dal colonialismo, verrà superata la situazione in quella regione potrà stabilizzarsi.

Il caso del Medio Oriente è una cartina tornasole dell’intera realtà di questo mondo e ci permette di comprendere quale è la logica delle relazioni interstatali”.

“Per il rapporto fra gli stati esiste una scienza che tutto ci spiega …”

“No, non arriviamo a tanto, si può però dire che ogni stato cerca di garantirsi la condizione migliore  all’interno di una inesausta competizione per il controllo degli spazi. Gli stati maggiori punteranno a realizzare forme di controllo del mondo più o meno diluite alla cui base sta l’antica logica della forza definita nel IV secolo a. C. dal saggio Kautilia: «Ogni stato confinante è nemico e il nemico del mio nemico è mio amico». Modello rivisto parzialmente dal politologo tedesco Carl Schmitt con la formula che sembra avvicinarsi quasi a un sillogismo: una Nazione si definisce in rapporto con il Nemico. La Nazione esprime lo Stato. Lo Stato designa il Nemico.  Da questa formulazione può derivare l’idea che lo scontro fra le nazioni possa facilmente divenire uno scontro irriducibile di civiltà con tutti i suoi tragici esiti.

Infatti gli stati hanno nella loro faretra non solo interessi politici, ma anche militari, culturali e financo religiosi. Di qui lo svilupparsi delle formule recenti della geopolitica delle religioni, con l’uso strumentale delle ideologie religiose come elementi del conflitto interstatale, oppure della geopolitica dei diritti umani, usata per criminalizzare un avversario o per fiaccarne la forza, ed infine la geopolitica dell’economia di mercato con l’uso strumentale della potente leva del debito pubblico.

Si tratta di alcuni fra gli infiniti aspetti che vanno messi in conto per comprendere cosa succede intorno a noi. Le tendenze degli stati maggiori a dominare le relazioni verso l’esterno creano asimmetrie che producono tensioni e potenziali conflitti.  Solo cercando di controllare queste asimmetrie è possibile sperare che si realizzi una situazione di pace. Pace intesa come relativa e momentanea stabilità e non pace eterna e immodificabile che sembra più propria dei camposanti che dell’agone della politica”.

“Tutto ciò non depone per niente bene. Fagan sembra invitarci ad accettare la dura tirannia della realtà.”

“Sì, il volume di cui ti ho presentato solo poco più che l’introduzione, ci invita a dismettere stupidi idealismi e a richiamarci alla dura disciplina dei fatti. Si tratta di essere realisti nel senso di aver coraggio di rimanere fedeli al livello della realtà come si esprime nel concreto dei suoi fenomeni. Insomma guardare al reale senza confonderlo con il mondo delle idee.

E’ un esercizio sicuramente difficile. Siamo portati quasi per natura a sfuggire da questa disciplina, chiudendoci in nostri mondi di sogno, il poeta T. Eliott ha detto una volta: «Il genere umano non può sopportare troppa realtà».

Fagan attacca con forza gli idealisti con una formulazione che sembra fare il verso a una classica definizione hegeliana: «sostituiscono il mondo reale con uno ideale … si richiamano al bene ma l’esito è l’opposto».

Ciò nonostante – e con questo concludo – ci ricorda che dobbiamo saper distinguere il piano descrittivo da quello normativo. Quasi a lasciarci una specie di spiraglio, sembra infatti volerci dire: «studiate la realtà, liberi da fantasmi , ma non dimenticate che esistono valori irrinunciabili per i quali val la pena lottare. Scegliendo però bene dove, come e quando».

Sia chiaro il volume si articola ancora per quasi 250 pagine, pagine dedicate a una analisi delle forze in campo a livello globale, le grandi potenze e quelle emergenti, alle loro strategie e alle tendenze come si possono ora intravvedere, e infine l’ultimo capitolo è dedicato al ruolo dell’Europa. Insomma decine e decine di pagine piene di stimoli e di incentivi a ragionare sostenuti da pagine e pagine di note che non possono non essere lette con attenzione.”

“Ma come – gli dico – è la prima volta da quando ti conosco che non ho sentito una critica …”

“Vuoi le critiche? Le prime che mi sono venute in mente sono legate proprio alle premesse del discorso. Fagan afferma come dato certo che l’umanità raggiungerà la cifra di 10 miliardi di individui entro il 2050. Altri, se non erro ad esempio PIketty, hanno elaborato delle valutazioni diverse con una possibile tendenza alla stabilizzazione o perfino con una decrescita nel corso del XXI secolo. E’ certo che le società che giungono a contatto con il capitale vedono una riduzione significativa della natalità e perciò la cifra proposta potrebbe non essere raggiunta. Ciò evidentemente influirebbe sulla dinamica disegnata da Fagan, anche se forse non in modo decisivo.

Anche il secondo dato di fatto da cui Fagan parte, «non c’è altro posto in cui migrare», potrebbe essere messo in discussione. Infatti tal Elon Musk, il solito pioniere made in USA, propone di costruire entro pochi decenni colonie su Marte per milioni di individui e altre amenità di questo tipo.

Più seria mi pare invece la terza possibile contestazione ovvero che esista una oggettiva omogeneità nelle nazioni che esprimono i diversi stati. Fagan afferma che un ordine mondiale è presente solo dopo il 1945 ed allora si potrebbe ribattergli, a maggior ragione, che solo dopo quella data è possibile parlare di popoli che non siano costituiti da infinite greggi di sudditi/servi. Insomma io di fiducia nelle classi dirigenti non ne ho proprio nessuna.

C’è chi propone che i dominati, vista la realtà contingente, sorreggano le bandiere dei dominatori. Non lo si chieda a me e certamente non inviterei a farlo le persone che mi sono vicine. Come dimenticare, tanto per fare un esempio, le parole che Guglielmo II, un poco rozzo e disattento alle finezze della diplomazia, scrisse nel Natale del 1905 al suo fedele servitore von Bulow, e che ben sintetizzano la mentalità di tutte le classi dirigenti della storia, nessuna esclusa: “Per prima cosa sparare sui socialisti, decapitarli e renderli incapaci di nuocere, se necessario con un bagno di sangue, e poi la guerra contro l’esterno …”.

Fagan mi risponderebbe, ne sono quasi certo, che l’epoca della responsabilità, quella che lui crede sia necessaria per il prossimo futuro, non può essere che un’epoca di vera democrazia e di pesi equamente distribuiti. Non spiega però come riuscire a realizzarla in una società più che mai divisa fra una élite di nababbi e una massa di diversamente alienati. Non solo, non ci spiega come poter edificare una società nella quale la vita sia degna di essere vissuta quando lui stesso descrive la realtà d’oggi con queste dure parole: «Le persone sono giornalmente intrappolate in processi di riproduzione dell’esistenza quali il lavoro che prende ben più della metà del tempo di veglia. Il resto va in gestione pratica, affettiva, salute e decoro della persona, la coltivazione di una società alienata dai device elettronici, l’assunzione passiva di informazione (poca) e di intrattenimento (scadente).»

Insomma se la libertà è partecipazione come si può pretendere che si realizzi in una società che favorisce solo processi di estraniazione e alienazione?

Ciò nonostante lo ribadisco: il volume di Fagan non è un libro da leggere ma da studiare e da far studiare ai giovani … Che sappiano una buona volta quale è il mondo che li vedrà protagonisti o strumenti inconsapevoli delle volontà altrui!”

 

15 pensieri su “Leggere Fagan è cosa buona e giusta …  

  1. Non ho letto il libro di Fagan ma lo ho ascoltato parlare ieri mattina su argomenti di politica tradizionale: a) forza militare-nucleare; b) il capo e il ceto politico.
    Potenza politica e militare:
    1. Oltre i 5 paesi del consiglio di sicurezza ci sono altri stati dotati di armamento nucleare (India, Pakistan, Corea del nord, Israele). E’ chiaro anche che ogni stato sarà portato a sviluppare una propria autonomia in questo campo. Nella “tendenza al multipolarismo” ogni possessore di armamento nucleare è militarmente un polo, il mondo multipolare non corrisponde perciò a un mondo multiatomico?
    2. Nei rapporti tra stati si svolgono partite e trattative su N argomenti e si tratta poi di vedere qual è l’equilibrio generale.
    3. Calo dell’importanza dell’occidente, l’America oggi ha il 25% del Pil mondiale con il 4% della popolazione, negli anni ’70 il sistema occidentale pesava per il 75% del Pil mondiale oggi per il 50%. Questa riduzione non si sta ancora riflettendo nelle istituzioni internazionali.
    Importanze del soggetto:
    4. In Europa non abbiamo un soggetto unitario, nelle partite che hanno sul tavolo diversi argomenti in Europa non c’è nessuno in grado di manovrare tutte queste leve.
    5. Trump, come Th. Roosvelt, sono personaggi non allineati all’interno delle due grandi famiglie politiche, per liberare la storicità della propria presidenza si fanno per esempio propri partiti e devono portare risultati concreti.
    La complessità, che Tonto loda nel post di Toffoli, e alla quale è intitolato anche il blog di Fagan, è materialmente rappresentata dalla grande quantità di libri di analisi di critiche e di argomenti che utilmente Fagan offre, il futuro è la preoccupazione di tutti ed è dal presente che lo indoviniamo. Ci sono anche temi “laterali” non trattati, oltre alla domanda che pone Tonto: “come poter edificare una società nella quale la vita sia degna di essere vissuta”. Per esempio il calo della popolazione, e della fertilità maschile, nei paesi sviluppati occidentali.

  2. oh, oh… Fagan pubblica ora nel suo blog il post “Commander in chief”, lo riassumo e ovviamente rimando alla intera lettura, ma mi confermo che Fagan è capace di analisi concreta della situazione concreta – e completa – che non basta dire complessa.

    “1. Il primo punto quindi è: alle parole conseguono fatti, prendeteci alla lettera e regolatevi.
    2. Trump ha colto al volo l’occasione (o qualcuno ha “preparato l’occasione”, questo non lo sapremo mai).
    3. Pura imprevedibilità e una cosciente vocazione ad accrescere il caos. Al riparo su una isola confinata tra due vasti oceani, gli Stati Uniti d’America, hanno tutto l’interesse ad accendere complicate carambole di “divide et impera” e “il nemico del mio nemico è mio amico” in afro-eurasia.
    4. Se avverti al telefono i russi e quindi i siriani che stai per bombardare, spari 59 bomboni ma ne arrivano meno della metà, distruggi vecchi Mig, la mensa ed un radar ed il giorno dopo i siriani usano le piste bombardate per riprendere i raid su Idlib, stai giocando più a fake-wrestling che ad una vera scazzottata di strada. Il terzo punto, rivolto all’interno quindi è: follow me e lasciatemi fare, ho un piano per ripristinare il prestigio della nazione.
    5. Stai lì per fare l’interesse nazionale e non per bieche ragioni di bottega personale chiedendo fiducia e mani libere dal sospetto. Tutto ciò a premessa del fatto che il tempo corre e fra due anni, devi portare alle elezioni di mid-term, risultati tangibili e non equivochi.
    6. Funziona? Mah… Il momento storico di crescente complessità, ha prodotto nel sistema dominante americano, la sua reazione istintiva: il grande semplificatore.
    7. Questa incapacità a ripensarsi che vale tanto per gli americani che per gli europei, è la frattura storica più allarmante tra il Noi ed il Mondo, sia esso quello naturale, sia esso quello abitato dagli altri popoli e civiltà.
    8. Troppo difficile anche per i critico-critici uscire dalla facile posizione del “negativo” per avventurarsi -ora che suona la campana- per gli impervi sentieri dell’immaginazione di un nuovo ma concreto modo di stare al mondo.”

    Continuo a non figurarmi la sua, di Fagan, ipotesi su un “nuovo ma concreto modo di stare al mondo”, oltre *la complessità*.

    1. E’ una analisi plausibile. Secondo me le ipotesi sono tre:
      1) Uso interno e basta
      2) Uso interno+messaggio al mondo (Fagan)
      3) Inizio di una Grande Strategia di separazione di Russia e Cina.
      Mi ricordava prima Fabio Falchi che John Mearsheimer propone questa linea (ed è certamente noto all’interno dell’Amministrazione Trump). Se si tratta dell’ipotesi 3, ce ne accorgeremo abbastanza presto; richiederebbe però una simbiosi tipo Kissinger-Nixon per l’avvicinamento alla Cina, e non si vede il Kissinger di Trump.

  3. Per quanto mi riguarda propendo per l’ipotesi 1: diciamo che sta facendo una “sceneggiata” (purtroppo non napoletana) e abbastanza pericolosa. Nel caso dovesse trattarsi dell’ipotesi 3 come propone il teorico del “realismo offensivo”, cosa rimane del sogno di Roberto Buffagni e di tanti altri sull’accordo Trump-Putin che avrebbe assicurato la pace in Europa?…

    1. Non rimane niente neanche se le ipotesi sono la 1 e la 2. Trump si è purtroppo dimostrato una specie di Silvio Berlusconi, più stupido e più potente. Con questa pericolosissima idiozia + il licenziamento di Flynn e Bannon suoi principali collaboratori ha raggiunto l’obiettivo di a) compromettere la sua base elettorale b) comunicare agli altri collaboratori che il capo è un quaquaraqua = d’ora in poi non rischiano neanche un raffreddore per lui, anzi cominceranno a parlare del dopo con gli avversari c) rischiare uno scontro diretto con la Russia d) avvicinare Russia e Cina.
      Bravo Donald, sei proprio un cretino, e mi do del cretino anche io per aver accolto con sollievo la tua vittoria contro il mostro Clinton. Tu non sei un mostro ma sei un imbecille + uno psicolabile, non so cosa sia peggio; almeno il mostro è più prevedibile.
      La cosa più preoccupante è che i suoi avversari politici lo applaudono e lo incitano a fare encore un effort (naturalmente non smetteranno di tentare di farlo fuori).
      La situation è la seguente: in una tensione tipo crisi dei missili cubani il presidente degli Stati Uniti non solo è un cretino, ma viene anche accusato dagli avversari politici di essere un Manchurian Candidate dei russi. Gli americani sono impazziti come la maionese.

      1. LETTI OGGI: SULLA PACE, L’IPOTESI N.3, LA RUSSIA.

        Sulla pace.
        “Il panorama internazionale è infatti attraversato da gravi e profonde tensioni e l’idea di un presidente americano “isolazionista”, che focalizzasse cioè la sua attenzione sull’economia americana anziché sulla politica estera, era la migliore garanzia per il mantenimento della pace […] Secondo Gilpin è possibile in linea di principio che la potenza egemonica, constatata l’erosione della sua forza, abdichi volontariamente in favore dello sfidante emergente, rinunciando così ad ingaggiare una lotta mortale: era il motivo per cui allora tifavamo per il Trump ‘neo-isolazionista’, il candidato che avrebbe dovuto ritirare gli Stati Uniti dalla NATO e le truppe americane dall’Estremo Oriente”
        http://federicodezzani.altervista.org/terra-contro-mare-una-nuova-guerra-mondiale-potrebbe-essere-inevitabile/

        Sull’ipotesi n. 3.
        1) “La cosa pare indubitabile: resosi conto che una cosa sono i film di Hollywood e un’altra la realtà, l’inquilino della Casa Bianca è sceso a più miti consigli dopo il meeting in Florida con Xi Jinping e ha lanciato più di un ponte verso Pechino, utilizzando la crisi nordcoreana come collante, più che come motivo di attrito. Tanto più che è di ieri la notizia in base alla quale la Cina a marzo ha segnato un surplus commerciale di 23,9 miliardi di dollari […]
        Certo, delle criticità di fondo cinesi […] persistono anche alla luce di questo dato, ma resta il fatto che se qualcuno può dare le carte in questo momento al mondo, quello è proprio Pechino, almeno fino a quando il prezzo del petrolio non garantirà un ricostituente ai conti dei Paesi esportatori.”
        Mauro Bottarelli, http://www.ilsussidiario.net/News/Economia-e-Finanza/2017/4/14/SPY-FINANZA-Le-mosse-di-Trump-che-mettono-nei-guai-l-Italia/759346/

        2) “I danni della mancata spartizione del mondo tra Russia e Usa dopo la caduta dell’Urss, emerge come non mai, appunto, in Nord Africa e in Medio Oriente. Il Medio Oriente, o meglio, la Mesopotamia, è il punto archetipale che tiene insieme l’Heartland e il Mediterraneo, e non a caso nel Mediterraneo e nell’Oceano indiano e nel Mar Cinese del sud si scaricano tutte le contraddizioni dell’instabilità odierna. Il Mediterraneo non è più un’ansa dell’Atlantico, ma la quintessenza e l’emblema di un vuoto politico […]
        Non ci si illuda sulla Via della Seta: basta una cannonata russa per distruggere un treno. Non è per quella via che la Cina vuole dominare il mondo. Il mondo lo si domina dal mare, quel mare che sono le perle della “collana” che sale da Shangai a Ceylon a Gibuti su su per il canale di Suez al Pireo, oppure dalle Filippine e Sumatra fino a Peerth in Australia.”
        http://www.ilsussidiario.net/News/Esteri/2017/4/14/TERZA-GUERRA-MONDIALE-Sapelli-e-colpa-dell-Ue-ecco-perche/759397/

        La Russia.
        “Mentre gli Usa non hanno un pensiero strategico, ma solo pulsioni contenute dalla burocrazia militare imperiale, la Russia il pensiero strategico ce l’ha. È quello di Primakov, il geniale primo ministro e ministro degli Esteri prima di Eltsin e poi di Putin, alla morte del quale Lavrov è salito su un ponte di comando di una grande potenza che dalla guerra di Crimea in poi ha avuto chiaro il suo fine strategico. […]
        Dopo la guerra di Crimea, la Russia ha infatti imparato che può essere solo ciò a cui la destina la sua spiritualità e la sua cultura, ossia una potenza eurasiatica, ma solo se domina l’Heartland, ossia affonda le sue radici tanto nei mari caldi del Mediterraneo, quanto in quelli turbinosi del Pacifico. Un disegno strategico e potente, perfetto, entusiasmante, quanto debole e gracile dopo il crollo del Comecon, il corpo economico dell’impero russo che quella strategia dovrebbe inverare. Un altro fattore di instabilità e di fibrillazione mondiale permanente.”
        http://www.ilsussidiario.net/News/Esteri/2017/4/14/TERZA-GUERRA-MONDIALE-Sapelli-e-colpa-dell-Ue-ecco-perche/759397/

  4. SEGNALAZIONE A LATERE

    Purtroppo non riesco ad intervenire né sul libro di Pierluigi Fagan, che ho acquistato in e-book ma non ancora letto, né sulla lettura che ne danno Toffoli e il Tonto. Spero di farlo nei prossimi giorni. Mi preme però segnalare ( l’avevo fatto già in passato in un rapido scambio su FB con Fagan) le “somiglianze” (apparenti? reali?) tra la sua analisi e alcuni scritti di Gianfranco La Grassa. Rimando ad almeno due di essi che si possono trovare sul Web: uno del 2009 ( http://webcache.googleusercontent.com/search?q=cache:tiyjB5OHzNAJ:www.ariannaeditrice.it/articolo.php%3Fid_articolo%3D27697+&cd=1&hl=it&ct=clnk&gl=it) e uno del 2015 (Crisi, multipolarismo e gruppi sociali,http://www.globalist.it/world/articolo/80566/crisi-multipolarismo-e-gruppi-sociali.html)). Certo una comparazione tra analisi che partono da presupposti teorici diversi può complicare la discussione sul libro di Fagan ma può anche – credo – permettere di contestualizzarlo meglio.

  5. A premessa, l’ovvio ringraziamento a Toffoli per la più che lusinghiera recensione (ma più nello specifico mi sono rivolto a lui direttamente via mail) ed a tutti coloro che prestano attenzione al mio pensiero. Non entro nel merito della contingenza (Trump, Siria, Corea), l’ho fatto altrove. Vorrei solo entrare in dialogo con Giulio e Cristiana per quanto attiene al libro e quanto nel libro non è chiaro o appena accennato. Scusate preventivamente la schematicità.

    1) Il dato 10 miliardi nel 2050 è proiezione ONU (quella media tra una più bassa ed una più alta) e per ragioni legate al rapporto tra demografia e tempo non è modificabile. Quello che dice Piketty e molti altri è probabilmente corretto ma agirà da dopo il 2050 (comincerà ad agire prima ma gli effetti si avranno dopo una o due generazioni). Di base, se saranno 9 o 11 e se dopo scenderanno a 8 non cambia di molto la dimensione del problema anche perché l’eventuale riduzione quantitativa verrà bilanciata da un maggior impatto qualitativo. Si fanno meno figli quando si alza il tenore di vita ma, a parte il fatto che voglio vedere il tenore di vita dell’Africa sub-sahariana tra venti o trenta anni, alzare il tenore di vita significa stressare di più ambiente naturale e geopolitico.

    2) Su Elon Musk, la risposta è a pagina 261 – La scienza. I progressi scientifici e le ricadute logistiche non sono proprietà dell’umanità ma proprietà privata di un investitore che si aspetta, quantomeno il ritorno dell’investimento se non il profitto (forse Musk è tipo psicologico da “voglio passare alla storia” più che “voglio fare in sacco di soldi”). Tradotto: a parte il fatto che ad occhio ci vorrà un cinquantennio prima che si realizzi una eventuale occupazione di superfici extra-terrestri e limitatamente ad alcune avanguardie tecnico-scientifiche, a parte che l’eventuale terra-formazione di Marte (se possibile) impiegherà anche di più, la notizia sarà pur positiva per un manipolo di umani, presumibilmente occidentali e comunque miliardari ma non sposta il problema principale.

    3) La terza obiezione, confesso che non l’ho capita e mi scuso. Comunque, in linea di massima, l’omogeneità dei “popoli” ovvero delle “nazioni” rispetto ai loro stati è molto relativa, concordo. In Europa, al movimento verso l’unione (fittizia) corrisponde pari movimento contrario (scozzesi, catalani, valloni e fiamminghi e via di questo passo).

    Da ultimo, il libro non poteva e non voleva conseguire la prognosi alla diagnosi. Per questa, è necessario un nuovo volume. Visto però che Giulio e Cristiana, hanno così cortesemente voluto prestare attenzione a ciò che penso, vorrei comunque darne un veloce outline. Il IV capitolo accenna all’idea pratico-politica di una unione dei paesi mediterranei non al fine di realizzare l’eden del socialismo in terra ma più modestamente di risolvere il primo problema: l’adattamento ad un mondo complesso e multipolare. Costruire un veicolo adattivo, su come farlo funzionare ci sarà poi confronto dialettico e probabilmente conflitto delle idee e degli interessi, as usual. Credo che lo Stato-nazione di taglio europeo, stante che è un sistema prodotto originariamente nel XV secolo, non sia più idoneo. Sulla presunta idea di una unione degli europei ho già scritto altrove, la ritengo semplicemente inconsistente. L’unione va intesa come costruzione di uno Stato, non una unione solo economica e monetaria, uno Stato federale che federi le macroregioni di cui sono oggi composti gli Stati (e si torna al punto 3). Si tenga conto che dalla prima riunione di questa estate promossa da Tsipras ad Atene, il coordinamento dei paesi euro-mediterranei si è già riunito in Portogallo (Novembre) ed è riunito in questi giorni a Madrid, tre volte in soli sei mesi e pur con Hollande a scadere, Rajoy precario e Gentiloni a tempo. Tanto Podemos che Syriza che i portoghesi, hanno vocazione mediterranea ben certa. L’interesse comune dei mediterranei, essendo sancito dalla geo-storia e non da ordini astratti quali il solo interesse di mercato, si può dire “oggettivo”. L’Unione latina sarebbe la terza economia del mondo, con un peso di 200 milioni di abitanti, con un seggio al consiglio di sicurezza dell’ONU (Francia) e grandi prospettive di relazione con Medio Oriente, Africa e Sud America. Se si dividesse quella popolazione per distretti di 300.000 abitanti, ognuno dei quali esprimerebbe un rappresentante, si otterrebbe un parlamento federale con poco più di 600 rappresentanti, da cui un governo e quant’altro. Tolti i minorenni da quella cifra, si ottiene una comunità in cui è tecnicamente possibile esercitare forme di partecipazione politica realmente democratica, stante che quella “rappresentativa”, in linea di principio, non dovrebbe esser definita democrazia per problemi tecnico-teorici che non possiamo qui discutere. Infine, il mio punti di vista è realista e democratico radicale (bisogna purtroppo aggiungere questa qualificazione visto l’abuso del primo termine). Quindi: il mondo si trasforma usando lo stesso tempo che ha impiegato a costruirsi e perciò dovremmo darci una blochiana utopia concreta che sta lì ad orientare l’azione stante che l’estinzione dello Stato è cosa molto remota. Ho appena letto l’ultimo Losurdo sulle differenze tra il marxismo idealistico occidentale e quello realistico orientale e riportava una frase di Mao che in piena rivoluzione precisava che “fra diecimila anni ci saranno ancora i tribunali” a dire che realisticamente il sol dell’avvenir è sull’orizzonte non ai primi due passi della Lunga Marcia. Inoltre, dovremmo tutti spingere su un punto: l’estensione e l’intensione di processi di democrazia diffusa rivolgendoci di più alla società, alle persone concrete e meno alle teorizzazioni astratte ed alla rappresentanza istituzionale, quella viene “dopo”. Il mondo lo fa la massa critica delle persone che lo abitano o una élite. La seconda modalità è da me fortemente avversata, sia che si tratti di quella liberal-capitalista, sia che si tratti dell’avanguardia leninista. Scusate la schematicità, la lunghezza e siate benevoli nell’interpretare quanto scritto davvero troppo crudo. Molto cordialmente.

  6. APPUNTO VELOCE SUL LINK SUGGERITO DA BUGLIANI

    «Pareto affermò che la storia delle società umane è quella dell’avvicendarsi di minoranze privilegiate che si costituiscono, competono, arrivano al potere, lo esercitano e decadono, per essere sostituite da altre minoranze. La teoria delle élites è stata ampliata nel ‘900 da altri (Michels, C. Wright Mills, Djilas) fino a Giovanni Sartori. Alla base di questa teoria, dunque, c’è l’idea che nella società esistano diversi gruppi ristretti di persone, variamente selezionate, che competono tra loro (a volte collaborando, a volte confliggendo) per l’esercizio del potere. […]In ogni caso, nella vicenda di Trump la sostanza delle élite che rinnovano loro stesse è perfettamente riconoscibile.[…] In conclusione, la teoria delle élites aiuta a capire molto di quello che ci accade realmente mentre siamo impegnati a commentare la primarie del PD (o le malefatte di Igor-il-russo-che-russo-forse-non-è-e-che-forse-non-si-chiama-neanche-Igor), purché riusciamo a guardare i fatti in una chiave più pragmatica. A seguito dei movimenti in atto in questo momento storico così intenso ci saranno vincitori e vinti. Si tratta di osservare attentamente per cercare di capire quali élites hanno le maggiori chances di imporsi.»

    Quindi non ci resta che « guardare i fatti in una chiave più pragmatica» e « osservare attentamente per cercare di capire quali élites hanno le maggiori chances di imporsi»? Allora vado a dormire! Svegliatemi quando finirà il Campionato.
    E poi – ahi! – si dice che la *nostra storia* non è stata cancellata…

  7. Faccio una analisi e riassunto della discussione di oggi che implica un confronto tra La Grassa e Fagan. Il tema potrebbe essere: “Non appartenere alle élites significa andare a dormire?”

    1. I due articoli di La Grassa sono fondati (insieme a ben altri articoli e testi) sul rilievo culturalpolitico che élites decidenti e confliggenti stanno in “rapporti di forza in merito al controllo di determinate sfere d’influenza”. Si tratta di un policentrismo che annuncia un periodo di acutizzazione del conflitto per il predominio mondiale.
    2. Fagan (nel suo commento qui sopra) immagina di poter spingere, convincendo, verso una federazione dei paesi del sud Europa (e non solo), di contro alla estinzione della UE.
    3. E’ quindi uno spostamento del centro del mondo sul Mediterraneo, che la nostra antica storia ha conosciuto dal Paleolitico fino a circa mille anni fa. Il fuoco del mondo riguarda il rapporto tra Europa e Asia.
    4. Però vari tipi di conflitto, di guerra, si scatenano ai diversi livelli della formazione sociale globale (GLG) per cui, pur centrali, non siamo affatto soli noi mediterranei…
    5. Forse si tratta di avere una diversa idea di tempi: medi o lunghi… fino ad abitare Marte (Fagan).
    6. Soggetti sociali per GLG sono sia le “masse in movimento” che i “nuclei dirigenti in competizione”.
    7. Ma lo “squilibrio” è un fondamento per il suo ragionamento, è un concetto su cui innestare sia i conflitti tra paesi e nazioni per il predominio mondiale o regionale, che la “lotta di classe” scontri e frizioni tra gruppi sociali all’interno delle formazioni in questione.
    8. Sul conflitto come idea astratta Fagan non avanza analisi ma descrive le forze di fatto in campo.
    9. Si potrebbe chiamare quasi una “debolezza” la mancanza in Fagan di una simile “filosofia della storia”.
    10. In realtà Fagan suggerisce all’umanità di adeguarsi alla “complessità” raggiunta dal mondo attuale con i necessari apprendimenti scientifici e sociologici.
    11. La mia (antica) formazione però, mi fa pensare che anche questa impostazione di Fagan sia ugualmente “filosofica”: positivistica, come fiducia nella scienza e nel sapere scientifico.
    11. E come vecchia filosofa, fin che c’è da capire, non vado a dormire.

  8. …purtroppo so con certezza che, personalmente, arrivero’ sempre in ritardo a capire…La cosa che mi sconcerta è il prendere atto che gli stati sono diventati delle forme istitualizzate di individualismo; anche se nelle varie costituzioni si fa riferimento al diritto internazionale, la competizione azzera ogni garanzia di solidarietà e di giustizia nel rapporto fra stati. Se non cambia lo spirito di fondo nuove agglomerazioni possono avere miglior successo?

  9. Mi trovo a condividere alcuni punti dell’intervento di Cristiana (11.04, h. 19.15).

    Per quanto riguarda gli articoli di La Grassa, mi dà l’idea che lì ci sia un tentativo di portare avanti una analisi teorica relativa non soltanto ai movimenti di superficie – ovvero quel * rilievo culturalpolitico che élites decidenti e confliggenti stanno in “rapporti di forza in merito al controllo di determinate sfere d’influenza”* (Cristiana) -, ma anche ad un motore profondo identificato, per via di ipotesi, in un tendenziale movimento di disequilibrio per cui i momenti di equilibrio rappresentano soltanto parziali assestamenti prima che il processo disequilibratore riparta ancora.
    Sul versante ‘Fagan’ – che * non avanza analisi ma descrive le forze di fatto in campo* (Cristiana), modello pur esso utile – ci si immagina * di poter spingere, convincendo, verso una federazione dei paesi del sud Europa (e non solo), di contro alla estinzione della UE.* (sempre Cristiana).
    Ma quanto di questo ‘convincimento’ può corrispondere a delle basi reali e specifiche di questi eventuali paesi confederati o non invece ad un nostro desiderio, più che legittimo, di armonizzazione e di stabilità?
    Perché se *“fra diecimila anni ci saranno ancora i tribunali”* (Mao) ciò significa che i conflitti ci saranno ancora, magari fra soggetti diversi, forse non più riducibili ad una ‘classe’, ma riconducibili a dei ‘qui ed ora’ di difficile prevedibilità.
    Ciò significa che ci troveremmo sempre a partire da una ‘tabula rasa’? No, perché dovremmo farci supportare dall’esperienza, ma senza utilizzarla in modo preconcetto.
    Fagan (11.04, h. 10.28) scrive: * dovremmo tutti spingere su un punto: l’estensione e l’intensione di processi di democrazia diffusa rivolgendoci di più alla società, alle persone concrete e meno alle teorizzazioni astratte ed alla rappresentanza istituzionale, quella viene “dopo”. Il mondo lo fa la massa critica delle persone che lo abitano o una élite. La seconda modalità è da me fortemente avversata, sia che si tratti di quella liberal-capitalista, sia che si tratti dell’avanguardia leninista*.
    Vorrei solo precisare che sarebbe utile – soprattutto in tempi attuali, quando i termini vengono utilizzati ‘a cascata’, ovvero discostandosi molto dal loro significato originario -, essere chiari nel proprio intendimento:
    – democrazia diffusa. Se è diffusa, non è più espressione del potere del demos (che non contemplava tutti).
    – le teorizzazioni astratte. La teoria dovrebbe partire da un confronto con la realtà e la sua astrazione non è che l’esito del lavoro teorico. Diversa è la teorizzazione che si basa ‘sulle teorie’, per cui diventa difficile poi “riavvicinarsi alla cosa stessa”, come indicava Husserl.
    – la massa critica. E’ una contraddizione in termini se diamo al concetto di ‘critica’ un valore conoscitivo e non soltanto dell’effetto ‘critico’ che una massa in movimento produce, al pari di una valanga che non ha la consapevolezza di quanto può succedere. Per questo le masse hanno bisogno di un leader, o di una élite che le guidi. Il guaio che si è finora verificato è che i capi (o le elite) hanno sempre utilizzato il riconoscimento delle masse per rifornire il loro (reciproco) narcisismo.
    In un mio intervento su Trump e i trumpini scrissi che le masse, secondo gli ultimi studi sui gruppi, riversano sui capi non la loro funzione di Ideale bensì quella più primitiva. Basti osservare i fatti: i clamorosi episodi di corruzione (da qualsiasi gruppo politico fossero provenuti) non hanno certo provocato defezioni in massa fondate su queste motivazioni, bensì hanno fatto loro serrare i ranghi per la paura che venisse perso il potere del proprio gruppo dominante. O, se defezioni ci sono state, rappresentavano il passaggio verso un cavallo più potente (non certo ‘più giusto’).

    R.S.

  10. ** Trump si è purtroppo dimostrato una specie di Silvio Berlusconi, più stupido e più potente. Con questa pericolosissima idiozia + il licenziamento di Flynn e Bannon suoi principali collaboratori ha raggiunto l’obiettivo di a) compromettere la sua base elettorale b) comunicare agli altri collaboratori che il capo è un quaquaraqua = d’ora in poi non rischiano neanche un raffreddore per lui, anzi cominceranno a parlare del dopo con gli avversari c) rischiare uno scontro diretto con la Russia d) avvicinare Russia e Cina.
    Bravo Donald, sei proprio un cretino, e mi do del cretino anche io per aver accolto con sollievo la tua vittoria contro il mostro Clinton. Tu non sei un mostro ma sei un imbecille + uno psicolabile, non so cosa sia peggio; almeno il mostro è più prevedibile. La cosa più preoccupante è che i suoi avversari politici lo applaudono e lo incitano a fare encore un effort (naturalmente non smetteranno di tentare di farlo fuori).** (R. Buffagni, 9.4 h. 19.29)

    Mi dispiace contraddire questo passo di Buffagni, che stimo e leggo molto volentieri e con il cui pensiero mi trovo a volte d’accordo.
    Trump non è un ‘cretino’, è a capo di una potenza che deve trovare le strade più opportune – anche se in apparenza ‘impopolari’ – per mantenere e ampliare lo stato di supremazia del suo Paese sfidando le insidie di un multipolarismo emergente. Probabilmente sono percepiti alcuni scricchiolii, non solo lasciati in eredità dalla gestione precedente, ma anche inerenti ad un sistema non più così sicuro!
    Quindi si trova a doversi muovere in acque melmose che i suoi ‘democratici’ avversari politici continuano a riempire di trappole e di alligatori. Vedi le ingerenze decisionali in merito alla politica estera – Afghanistan – da parte di Obama, il quale non si è limitato a fare il presidente ‘uscente’. Do you remember il 1961 (ovviamente con attori repubblicani-democratici invertiti rispetto alla situazione attuale), con la fallimentare invasione americana della baia dei Porci? (1). Anche il quel caso, un presidente uscente non si rassegnò al cambio della guardia, ma impose una azione di guerra.

    E, per ribadire che, oltretutto, le cose non vanno come a noi vengono raccontate, aggiungo anche un ulteriore episodio che caratterizzò il conflitto USA-URSS ai tempi della guerra fredda e che ci fa vedere i retroscena di una apparente sconfitta degli USA. Sulla scorta di testimonianze attendibili in merito alle ‘trattative’ Kruscev-Kennedy sulla gestione dei missili a Cuba (ottobre 1962), pare che ci fossero degli scambi segreti tra le due potenze (“io do una cosa a te e tu dai una cosa a me”), ragion per cui la conseguente paura dello scoppio di una terza guerra mondiale sconvolse soltanto i piani più bassi. In realtà non ci fu un vero rischio di tale genere. (Vedersi e godersi il film di S. Kubrick, “Il dottor Stranamore” del 1964).

    In definitiva, a noi poveri mortali viene riservato uno spazio esiguo di valutazione.
    Posso immaginare – semplificando e azzardando – che ci siano tre livelli in cui possiamo inserire gli accadimenti e le relative differenze di lettura.
    Un primo livello concerne il ‘semplice’ cittadino che ha accesso limitato alla stanza dei giochi e il più delle volte ciò che gli arriva è mediato da una informazione di parte. Ovvero, si fa un’idea attraverso quello che fonti più o meno accreditate o autorevoli lo portano a credere. Il ‘terrorismo psicologico’ funziona così: il tam tam del sentito dire diventa un frastuono e non c’è modo di risalire alle fonti.
    Un ‘classico’ è anche rappresentato dalle persone ‘di sinistra’ che leggono i giornali ‘di sinistra’, o vedono i programmi televisivi ‘di sinistra’. Mentre quelli ‘di destra’ fanno altrettanto.
    Poi c’è il livello in cui assistiamo ad uno scontro tra fazioni politiche, dove di politico non c’è nulla ma solo la gestione del potere: guelfi contro ghibellini, bianchi contro neri, democratici contro repubblicani, comunisti contro fascisti, ecc. ecc.
    Solitamente vince il più forte, il più equipaggiato a livello mediatico (le promesse che riuscirà a fare), e non il più giusto. Il ‘semplice’ cittadino è chiamato all’agone con la convinzione che l’ago della bilancia, per un avvenire diverso/migliore, dipenda da lui. In questo caso egli è oggetto di corteggiamento, non di tutela.
    Infine c’è il terzo livello, il più difficile da decrittare perché è il più mobile: è quello che contempla la strategia degli Stati, delle loro improvvise rotture e alleanze apparentemente inconcepibili, ed il cui fine non è soltanto quello del livello 2, cioè mantenere il potere imbonendo l’elettorato, bensì quello di ampliare e perpetuare il potere stesso allargando sempre di più le sfere di influenza. Per ottenere i risultati voluti, a questo livello, non si esitano a sacrificare anche i propri cittadini (vedi la sia pure controversa – cospiratoria? – dinamica dell’entrata in guerra degli Stati Uniti – fino a quel momento osteggiata dal Congresso – dopo l’incidente di Pearl Harbor).
    Le ‘forme’ assunte a quel livello saranno le più variegate (avevamo visto con Obama la ‘politica del caos’ che però non diede tutti quei risultati voluti): si tratta allora di assumerne altre e, per farlo, il referente sarà l’establishment di quel momento, la sua forza e le basi economiche su cui si appoggia, e non certo l’elettorato.

    Allora noi che dobbiamo fare? Accettare di essere relegati agli ultimi posti o invece utilizzare il pensiero? Solo che, anziché utilizzarlo come clava per lanciarsi ‘teoria contro teoria’, fare un lavoro di spola che, lavorando in orizzontale e in verticale, cerchi di fare connessioni e ipotesi.

    (1) da Wikipedia.
    “L’operazione, programmata dal direttore della CIA Allen Welsh Dulles durante l’amministrazione Eisenhower, fu lanciata nell’aprile 1961, neanche tre mesi dopo l’insediamento di John Fitzgerald Kennedy alla presidenza degli Stati Uniti, il quale, non approvando l’assalto (?) decise di non sostenere le forze della CIA con l’esercito americano. Le forze armate cubane, equipaggiate ed addestrate dalle nazioni filosovietiche del blocco orientale, sconfissero la forza d’invasione in tre giorni di combattimenti”.

    R.S.

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