Il Novecento passato a contrappelo (1)
di Ennio Abate
Questa scheda sotto forma di “tema svolto” a partire da alcuni documenti, molto didattica e rivolta ai giovani, l’avevo preparata lavorando a “Di fronte alla storia”, un manuale per le scuole superiori. E’ la prima di una serie che pubblicherò qui su POLISCRITTURE ritenendola di aiuto sia ai lettori giovani che al dibattito sui temi attuali toccati dai vari collaboratori e commentatori. [E. A.]
Documenti:
“Osserva il gregge che pascola davanti a te: non sa che cosa sia ieri, che cosa sia oggi: salta intorno, mangia, digerisce, salta di nuovo. E’ così dal mattino alla sera e giorno dopo giorno, legato brevemente con il suo piacere ed il suo dispiacere, attaccato cioè al piolo dell’attimo e perciò né triste né annoiato… L’uomo chiese una volta all’animale: Perché mi guardi soltanto senza parlarmi della felicità? L’animale voleva rispondere e dice: Ciò avviene perché dimentico subito quello che volevo dire – ma dimenticò subito anche questa risposta e tacque: così l’uomo se ne meravigliò. Ma egli si meravigliò anche di se stesso, di non poter imparare a dimenticare e di essere sempre accanto al passato: per quanto lontano egli vada e per quanto velocemente, la catena lo accompagna. E’ un prodigio: l’attimo, in un lampo è presente, in un lampo è passato, prima un niente, dopo un niente, ma tuttavia torna come fantasma e turba la pace di un istante successivo. Continuamente si stacca un foglio dal rotolo del tempo, cade, vola via – e improvvisamente rivola indietro, in grembo all’uomo. Allora l’uomo dice ‘mi ricordo’.”
(F. NIETZSCHE. Considerazioni inattuali – Sull’utilità e il danno della storia per la vita, 1884)
2. “La distruzione del passato, o meglio la distruzione dei meccanismi sociali che connettono l’esperienza dei contemporanei a quello delle generazioni precedenti, è uno dei fenomeni più tipici e insieme più strani degli ultimi anni del Novecento. La maggior parte dei giovani alla fine del secolo è cresciuta in una sorta di presente permanente, nel quale manca ogni rapporto organico con il passato storico del tempo in cui essi vivono. Questo fenomeno fa sì che la presenza e l’attività degli storici, il cui compito è ricordare ciò che gli altri dimenticano, siano ancor più essenziali alla fine del secondo millennio di quanto mai lo siano state nei secoli scorsi. Ma proprio per questo motivo gli storici devono essere più che semplici cronisti e compilatori di memorie, sebbene anche questa sia la loro necessaria funzione”.
(E. J. HOBSBAWM, Il secolo breve, Milano 1997)
“Mai si è parlato tanto di memoria storica da quando è caduto il muro di Berlino nell’autunno ’89, e tuttavia questo discorrere concitato restava ingabbiato nel nominalismo: i fatti riesumati non erano che flatus vocis, il cui significato sembrava essere destinato a sperdersi (…) La storia recente dell’uomo europeo si riassume in questa incapacità di cadere nel tempo e di conoscerlo. Di lavorare sulla memoria, ma anche di oltrepassarla per estendere i confini e costruire su di essa (…) Quel che ci salva, che ci dà il senso del tempo, è il nostro “esser nani che camminano sulle spalle dei giganti”. I giganti sono le nostre storie, i successivi e contraddittori volti che abbiamo avuto in passato, e in quanto tali personificano il vissuto personale e collettivo che ci portiamo dietro come bagagli. Dalle loro alte spalle possiamo vedere un certo numero di cose in più, e un po’ più lontano. Pur avendola vista assai debole possiamo, col loro aiuto, andare al di là della memoria e dell’oblio”.
(B. SPINELLI, Il sonno della memoria, Milano, 2001)
“La memoria è il rombo sordo del tempo, scandisce il distacco dal passato per tentare di capire quel che è accaduto”.
(E. LOEWENTHAL, “La Stampa”, 25.1.2002)
Riassumiamo le tesi sostenute dai vari autori, facendo attenzione anche ai titoli e alle date delle opere da cui i brani sono tratti:
1) F. NIETZSCHE. Considerazioni inattuali – Sull’utilità e il danno della storia per la vita 1884 Esiste una differenza tra animale e uomo rispetto allo scorrere del tempo: l’animale vive nell’attimo, solo nel presente, e subito dimentica, l’uomo no (non sa dimenticare, è “incatenato” al passato, che «torna come fantasma» conturbante e lo rende infelice). Il titolo dell’opera di Nietzsche è particolarmente indicativo della sua posizione scettica verso la storia: la storia (la memoria storica) può essere utile, ma anche dannosa per la vita.
2) E. J. HOBSBAWM, Il secolo breve, Milano 1997 A fine Novecento si è avuta una crisi dei «meccanismi sociali» che finora hanno formato e trasmesso la memoria storica del passato. C’è il rischio di una frattura irreparabile tra passato e presente, tra adulti e giovani, perché questi ultimi vivono interamente nel presente e ignorano quasi del tutto il «passato storico». Indispensabilità del lavoro degli storici, «il cui compito è ricordare ciò che gli altri dimenticano».
3) B. SPINELLI, Il sonno della memoria, Milano, 2001 La caduta del muro di Berlino nel 1989 ha svelato anche la gravità della crisi della memoria storica. Esigenza del suo recupero: i nani (le nuove generazioni), salendo sulle spalle dei giganti (gli antenati), potranno «vedere un certo numero di cose in più, e un po’ più lontano».
4) E. LOEWENTHAL, “La Stampa”, 25.1.2002 Solo il funzionamento della memoria permette il «distacco dal passato».
Nota
Il tema della memoria è generale. I materiali necessari per svolgere l’argomento (eventuali esempi) potrebbero essere tratti da qualsiasi periodo storico e in modo discreto anche dal proprio vissuto personale e familiare. Una particolare attenzione andrebbe data ai periodi di trapasso da un’epoca all’altra (ad es. Rivoluzione francese/Restaurazione), dove si coglie con più facilità la spinta contraddittoria tra custodire o dimenticare il passato.
Dati e concetti utili
Nietzsche: il passato incatena l’uomo; l’oblio caratterizza l’animale;
Hobsbawm: i giovani hanno perso un rapporto significativo con il passato e rischiano di vivere in un presente permanente; gli storici devono con il loro lavoro ribadire l’importanza della memoria;
Spinelli: la crisi del rapporto con il passato in Europa è databile al 1989, anno della caduta del Muro di Berlino e dell’inizio del declino dell’Urss.
Schema
Introduzione
Alla fine del Novecento il tema della memoria storica è tornato drammaticamente attuale. Cosa intendiamo per ‘memoria storica’: definizione, funzionamento, problemi.
Argomentazione
Analisi delle tesi (soprattutto di Hobsbawm e Spinelli) contrapposte a quella di Nietzsche) sostenute nei brani proposti. Alcune ragioni della crisi della memoria storica alla fine del Novecento con particolare riferimento ai giovani: la fine dell’equilibrio politico tra Usa e Urss; la caduta del mito sovietico; l’influsso della “rivoluzione informatica” nel rapporto dei giovani con il passato; gli effetti della mondializzazione sulla memoria storica.
Conclusione
Oblio del passato o salvaguardia della memoria storica? Quello che ancora ci può insegnare la storia, anche se non è più magistra vitae. Quello che può occultare l’elogio dell’oblio. Per un ritorno alla storia e al recupero della memoria storica in modo critico e problematico.
Un possibile svolgimento del tema:
Introduzione
Il tema della memoria storica ha avuto un grande rilievo in ogni epoca, ma negli ultimi decenni del Novecento è tornato alla ribalta in modo quasi drammatico. E due dei brani qui proposti (di Hobsbawm e della Spinelli) ne sono la prova. Prima di discuterne, però, è utile chiarire cosa intendiamo per ‘memoria storica’. Possiamo dire, semplificando, che la memoria storica è il ricordo del passato che si sedimenta negli individui e nei gruppi sociali di un Paese. Anche se parente della storia, la memoria storica è meno intellettuale, precisa e sistematica e più carica di mito, affetti e passioni politiche. Questa combinazione di conoscenze più o meno esatte, di sentimenti, ragionamenti e giudizi comincia a formarsi in noi a un certo punto della vita, quando, attraverso le testimonianze di genitori o parenti, lo studio scolastico e, oggi, la visione di film e trasmissioni televisive, incontriamo eventi e personaggi memorabili della storia che ha preceduto la nostra nascita. La memoria storica è influenzata più o meno vistosamente dal lavoro di sistemazione del passato compiuto dagli storici, che, specialisti del “ricordo pubblico”, con saggi, articoli, manuali scolastici e dibattiti orientano anche le nostre opinioni. È influenzata pure, indirettamente, dai metodi della ricerca storiografica prevalenti in un certo periodo (una volta gli storici erano attenti esclusivamente alla storia dei grandi personaggi e delle idee, poi hanno riconosciuto l’importanza dell’economia, poi quella della vita sociale o dell’immaginario, ecc.) e dallo stato degli archivi, che possono essere ben amministrati o trascurati o, a volte, manomessi e persino distrutti. E dipende molto anche dall’andamento della vita sociale e politica. Negli ultimi decenni, ad esempio, in Italia si è parlato spesso di un disinvolto «uso pubblico della storia» specie da parte dei mass media, che in modi propagandistici o scandalistici hanno usato per fini politici immediati o di parte i risultati della ricerca storica specialistica. Infine la memoria storica non sempre è un hobby per eruditi che contemplano tranquilli e distaccati il passato. I ricordi di un periodo storico o di un personaggio o di un movimento politico sono spesso oggetto di dispute. Di fronte al passato o ad un certo passato scomodo o controverso ora prevale la tendenza a cancellarlo ora a recuperarlo e magari a esaltarlo. C’è poi chi auspica che la ricerca storica e la cura della memoria storica siano affidate a pochi esperti e chi vorrebbe democratizzarle. E, nei periodi di profonde e difficili trasformazioni, accade che interpretazioni storiche consolidate e memorie in apparenza condivise (almeno dalla maggioranza dei cittadini di un Paese: era il caso da noi della Resistenza) non lo siano più. Succede allora che i monumenti storici di un Paese, prima vantati o venerati, e i documenti, che davano autorevolezza alle sue istituzioni, vengano visti sotto un’altra luce; che (pensiamo al crollo dell’Urss) personaggi storici o leader, prima esaltati, vengano abbassati al rango di cattivi maestri; e che le forze politiche e sociali al potere emarginino o criminalizzino gli avversari sconfitti, cambino i nomi delle vie prima a loro dedicate, abbattano statue, ne erigano altre, riscrivano i manuali di storia per la scuola. Interi continenti di ricordi s’inabissano e altri li sostituiscono.
Argomentazione
A questi complessi problemi rimandano i testi degli autori proposti, che a parte Nietzsche, insistono tutti sull’importanza di salvaguardare la memoria del passato, nella convinzione che senza di essa non si riesca a progettare nessun futuro. Allo storico Eric Hobsbawm, infatti, appare pericoloso che i giovani alla fine del Novecento, essendosi spezzato «ogni rapporto organico con il passato» crescano «in una sorta di presente permanente». E la giornalista Barbara Spinelli indica il 1989 – anno simbolo della fine dell’equilibro tra le due superpotenze (Usa e Urss) dominanti dopo la Seconda guerra mondiale – come il momento in cui in Europa questa rottura tra passato e presente e tra adulti e giovani è divenuta più palese. I due brani inducono a chiedersi perché proprio alla fine del Novecento la memoria storica risulti così danneggiata e in declino. Possiamo brevemente richiamare alcune cause. È evidente, innanzitutto, che l’indebolimento del rapporto tra i giovani e il passato ha ragioni politiche. Per una buona parte di loro il crollo dell’Urss, evocato dalla Spinelli, ha significato il venir meno del mito della Rivoluzione russa e del prestigio dello Stato sovietico a livello mondiale, che si erano in vari modi conservati per buona parte del Novecento presso nonni e genitori, ma dai quali già i movimenti giovanili del ’68 e del ’77 si erano staccati. Ma non si è persa o è stata rifiutata solo quella memoria storica. Alla fine del Novecento la “rivoluzione informatica”, vissuta da moltissimi giovani “in contemporanea” e intensamente (si può dire che alcune generazioni di giovani e giovanissimi si siano formati più sui mass-media e Internet che sui libri), ha imposto un nuovo tipo di memoria, basata su gigantesche «banche dati» elettroniche, impadroneggiabili da chiunque. Esse hanno sostituito e svalorizzato il precedente tipo di memoria storica. Il diverso rapporto col passato di adulti e giovani è un problema drammaticamente serio. Gli adulti si sono formati una memoria storica attraverso ricordi coerenti sistemati in una narrazione ragionata e all’interno di istituzioni (università, partiti, scuola, ecc.) ancora capaci di plasmare una visione abbastanza unitaria della realtà. I giovani, avendo imparato a percepire la realtà soprattutto attraverso cinema e TV e ora attraverso Internet, strumenti che parlano direttamente all’inconscio, sfumano o confondono il confine tra reale e virtuale e dilatano il «presente» in modo quasi totalizzante, hanno un tipo di memoria occasionale, frammentata, involontaria: quella indagata dagli psicanalisti o dalle opere letterarie di Proust e dei surrealisti, tanto che lo scrittore Franco Fortini non esitò a definire questo fenomeno dilagante già negli anni Ottanta col termine di «surrealismo di massa». Per ultimo è da tenere presente che la mondializzazione ha mostrato, tra l’altro, anche i limiti di una memoria storica fondata finora quasi interamente sulle storie nazionali (o, spesso, eurocentriche); e che almeno una parte dei giovani d’oggi che hanno più opportunità di viaggi nei cosiddetti “paesi extraeuropei” o che entrano in contatto con i migranti dei vari paesi che arrivano in Italia, sentono anche in questo campo l’angustia di un certo provincialismo.
Conclusioni
Il divario tra adulti e giovani, tra memoria storica degli adulti e memoria “involontaria” (o “surrealista”) dei giovani andrebbe riconosciuto come un dato. Ci si potrà poi chiedere se esso comporti davvero il pericolo paventato da Hobsbawm e se sia auspicabile e possibile sanarlo. Su questo punto i brani proposti sono in netto contrasto. Quello di Nietzsche, pur scritto nell’Ottocento, sembra in piena sintonia con il rifiuto della memoria storica prevalente oggi tra i giovani. Egli sottolinea che il passato è una catena e fa un implicito elogio dell’oblio, contrapponendo la condizione dell’animale che dimentica a quella dell’uomo ossessivamente catturato dai fantasmi del passato. Da questo punto di vista, tanto vicino al Leopardi del Canto notturno di in pastore errante dell’Asia, la fatica di un Enea, che, in fuga da Troia distrutta, appesantendo e rallentando il suo cammino, si carica sulle spalle il padre vecchio, Anchise – quasi un’allegoria del lavoro dello storico e di chi non vuole abbandonare il passato ma portarlo in qualche modo con sé nel futuro – appare controproducente e quasi ridicola. Hobsbawm e la Spinelli (ma anche la breve frase della Loewenthal) ribadiscono invece l’esigenza della memoria storica (e quindi il rifiuto di ogni oblio); il primo affidando il compito di salvaguardarla soprattutto agli storici; la seconda ricorrendo alla nota metafora dei nani (le nuove generazioni) che, solo salendo sulle spalle dei giganti (gli antenati), potranno «vedere un certo numero di cose in più, e un po’ più lontano». Evitando il moralismo di chi vede nell’atteggiamento dei giovani verso il passato solo un rifiuto dei padri o un rifiuto di crescere, ma anche il nichilismo (o il disincanto cinico di chi crede di abolire il passato con un colpo di spugna), va detto che oggi non è facile per tutti (storici o meno) scegliere con certezza se sia utile conservare o disfarsi di un certo passato o se, come dice Nietzsche nelle sue Considerazioni inattuali, la storia sia utile o dannosa. Anche se non più magistra vitae, la storia, comunque, insegna almeno che non esistono risposte preconfezionate al dilemma drammaticamente riapertosi alla fine del Novecento. Essa, infatti, ci dà le prove che a volte il “nuovo”, il “moderno”, il “rivoluzionario” s’è dimostrato peggiore del “vecchio”. In altri casi ci fa capire – si pensi alle scelte da compiere per arginare le catastrofi ambientali- che sembra davvero più “rivoluzionario” conservare che cambiare. Altre volte dimostra che la nostalgia per un passato troppo idealizzato o imbalsamato ha paralizzato le energie di un Paese. E riesce a farci capire che persino il «presente» o lo stesso «futuro» possono produrre chiusure narcisistiche o addirittura mummificazioni in anticipo di quello che potrà avvenire. L’elogio dell’oblio, desumibile dalla filosofia di Nietzsche, invece, rischia di esasperare la frattura tra passato e presente e tra generazioni. Ed è bene ricordare che l’oblio non porta di per sé “felicità” (Nietzsche stesso, tra l’altro, parla dell’animale come essere impenetrabile, immerso nell’attimo, «né triste né annoiato» e incapace di parlare della felicità). Se poi l’oblio del passato diventa rimozione degli orrori, delle ingiustizie, dei colonialismi, dei fascismi apparsi nella storia dell’umanità, di sicuro non produrrà né riconciliazione, né armonia; e neppure la pace che da esso ci si potrebbe aspettare. “Fare i conti” col passato, porsi di fronte alla storia pare, perciò, ancora utile. Si è visto, infatti, che se tanti hanno applaudito la caduta del muro di Berlino illudendosi di essersi lasciati alle spalle il passato (gli orrori del Novecento vissuti dai loro padri e nonni), presto, smentendo le tesi ottimistiche della «fine della storia» e le speranze di un “nuovo ordine mondiale”, altri orrori non dissimili (le guerre ad es.) sono tornati in altre forme. Bisognerà, dunque tornare, in modo critico e problematico alla storia e in una dimensione mondiale più complessa che in passato, per confrontare e ricomporre memorie storiche diverse: quelle della propria nazione, quella degli europei e quelle dei popoli fuori dall’Europa. Lavorando sulla memoria e, rielaborandola, si potrà oltrepassarla, come suggerisce la Spinelli. Sapendo in partenza, magari, che oggi, per vedere più cose e più lontano, bisognerà salire non soltanto sulle spalle dei giganti del nostro Paese, ma anche sulle spalle dei giganti di altri Paesi, meno noti o trascurati in Europa o in Occidente.
Il tema posto è la memoria storica, non la conoscenza storica. Se la memoria si forma in un processo di continuità con le generazioni precedenti, coinvolgendo anche le relazioni familiari e amicali, la fine del ‘900 ha introdotto due salti in questo ampio fiume unitario ancorchè conflittuale. Uno è un salto storico-politico: il mondo bipolare si è appiattito, è diventato un mondo solo, e formicolante di differenze. Ma il due regolatore del capitalismo-comunismo, il due del progresso e di quelli non-ancora, della civiltà e del primitivismo, il due non è più uno schema.
L’altro salto è stata la mondializzazione: i viaggi, i consumi, l’informazione di massa, ha portato consapevolezza di immense differenze, e di fondamentale uguaglianza, quella confermata da sport canzoni moda narcisismo.
Il testo che Abate presenta è una proposta educativa per i giovani, affinchè essi siano in grado di ristrutturare lacerti di memoria inzeppati di informazione disgregata e contraddittoria, secondo linee fondamentali e coerenti. Si tratta di agire per il futuro, e quindi trovare il modo di trasmettere funzioni interpretative che colleghino in modo semplice ed efficace passato e presente.
Dal centro Appennino in cui vivo però, in comunità legate a un localismo ristretto, ed essendomi fatta un’idea di cosa e quanto si impara mediamente nell’obbligo fino al diploma, è il radicamento in una memoria storica più antica, elementare, competitiva, quello che vedo prevalere. Cinica e rinunciataria, che punta su una concorrenza relazionale, un mercatismo attento e furbesco. Anche i migliori, i giovani che vanno a studiare a Bologna Roma e Milano (a Napoli non più), portano in sè un antico opportunismo, intelligente, e politicamente orientato secondo moduli di padrinaggio, in quanto cioè *appartengono* istintivamente a due culture, una definibile come conservatrice e una progressista. Riguardo le Conclusioni di Ennio, dal mio punto di osservazione direi che, Anchise, i novelli Enea se lo portano sulle spalle eccome, ma come memoria antropologica più che storica (flatus vocis). La separazione tra cultura urbana e tradizionalismo si ripropone anche attraverso le immigrazioni.
Con questa consapevolezza, che il lavoro razionale e critico sulla memoria storica riguarderà solo una parte, forse la più numerosa perchè urbanizzata, ma non ne raggiunge una grande altra, credo anche io che la necessità della memoria storica, dopo la frattura di fine secolo, impone che essa si attrezzi rinnovandosi con categorie più ampie e più radicali. Nelle ultime righe delle Conclusioni Ennio scrive: “Bisognerà, dunque tornare, in modo critico e problematico alla storia e in una dimensione mondiale più complessa che in passato, per confrontare e ricomporre memorie storiche diverse: quelle della propria nazione, quella degli europei e quelle dei popoli fuori dall’Europa.”
Faccio due esempi di come al presente sia o no sentita questa necessità di rinnovamento. Il primo esempio è la recensione di C. F. Fiori al libro “La schiavitù del capitale” di L. Canfora. Per Canfora è “caratteristica decisiva della nostra epoca la sopravvivenza e addirittura la ripresa della schiavitù come ‘modo di produzione'” mentre Marx la ha confinata nel mondo antico. Oggi i giovani sono bene in grado di verificare che il lavoro non è pagato per il tempo impiegato, ma per la disponibilità totale di tempo offerta in cambio di una eventuale chiamata. Rispetto ai valori di uguaglianza e giustizia sostenuti nel libro da Canfora, il recensore obietta che “la critica in senso proprio non si pone sul piano dell’imperativo morale, ma dovrebbe aspirare a individuare la necessità (dunque alla scienza)”. In realtà, il marxismo come aspirazione alla “scienza” storica ha creato finora solo memoria… sconfitta. https://www.sinistrainrete.info/teoria/9826-cosimo-francesco-fiori-la-schiavitu-del-capitale-di-luciano-canfora.html
L’esigenza di organizzare una nuova forma di memoria storica la mostra ieri Fagan nel suo blog, scrivendo della “Belt and Road Initiative – BRI”, un progetto di cui è capofila la Cina, che comprende l’eurasia e coinvolge il medioriente e l’Africa. Si tratta di una iniziativa ambiziosa che potrà occupare i prossimi trent’anni, in cui saranno coinvolti più e più paesi, in cui forse si arriverà a “recintare gli spazi di manovra dell’haute finance e costringerla a tornare ad investire nel mondo del concreto”.
Avverte Fagan: “Quando si ha a che fare coi cinesi, consiglio di procedere con cautela nell’applicare copia+incolla le nostre logiche perché loro sono un sistema, certo umano, ma nato, cresciuto e sviluppato parallelamente al nostro e in molti punti ha un diversa genetica, un modo diverso d’intendere le cose, una logica propria, un senso comune diverso.”
https://pierluigifagan.wordpress.com/2017/05/19/xi-jinping-e-lochetta-martina/
Molto interessante e ricco di spunti il post di Ennio.
Mi permetto di sottolineare che la cosiddetta ‘memoria’ è una ‘funzione della mente’, selettiva per sua natura, e che perciò viene utilizzata, lo si voglia o no, ad usum delphini.
Non solo nostro, ma anche, e soprattutto, da parte del gruppo di appartenenza e/o dominante.
La storia del ‘buon Enea’, caricatosi il padre sulle spalle, e pur commuovendo Didone e il pubblico in ascolto con il suo “infandum regina jubes renovare dolorem” (“oh, regina mi imponi di rimembrare un dolore inenarrabile”), non ha certo impedito allo stesso Enea di replicare incendi, distruzioni e sventure.
Certamente lo ha fatto ‘per Roma’, non per sé! E Roma, certamente, è diventata grande! Nulla da eccepire. Il cosiddetto ‘progresso’ procede sulle ‘macerie’.
Analizzando però il caso in questione, chi ci rimise fu Didone che aveva bisogno di credere nella ‘sofferenza’ di Enea e ciò la portò a pensare di potersi fidare.
Il fatto che noi oggi siamo costretti alle ‘giornate della memoria’, a scendere in piazza per ricordarci del principio basilare di ‘non uccidere’ (e che non riguarda solo il femminicidio), la dice lunga al proposito.
Non si può ricordare per obbligo, per legge. Questo significa che i nostri meccanismi di lutto sono stati resi inservibili. Perché la memoria è strettamente collegata alla esperienza del lutto! Abbiamo distrutto qualche cosa, abbiamo perso qualche cosa e ciò non può essere ininfluente nel nostro processo evolutivo!
Verrebbe da esclamare, come nel caso della Concordia, ai vari ‘Schettino’: “Torna a bordo ca…o!”.
Perciò, la cosiddetta memoria senza un pensiero rischia di farci diventare come i cani di Pavlov che rispondono a determinati stimoli. Parole certamente dense quanto a significato aizzano in noi risposte automatiche: fascismo, comunismo, democrazia, populismo, ecc. ecc.
Il punto sta, almeno secondo il mio punto di vista, non tanto nel riandare alla memoria bensì di leggere nel presente i segni della memoria.
R.S.
scusate se intervengo non per dissertare sul tema con argomenti validi come quelli che Ennio ha esposto e ai quali la signora Fischer e la Simonitto hanno portato i loro acuti commenti, profondi e centratissimi, come sempre, ma……..vorrei manifestare le mie banali perplessità attorno al progetto che Ennio ci ha esposto perché, dopo averlo letto mi/ e vi pongo una domanda : ma davvero ritenete che sia possibile riuscire a trasmettere quel senso critico della storia che tutti auspichiamo necessario per riflettere e capire meglio la direzione nella quale stiamo andando tutti ?
Presumo che molti di voi abbiano una profonda esperienza di insegnamento nella scuola, io non la posseggo, provenendo dal mondo del lavoro, ma per avere i risultati auspicati da Ennio, credo occorra un lavoro di preparazione che la scuola odierna non fornisce ( da quanto intuisco guardandomi in giro ) e di conseguenza nelle generazioni giovani, formate quasi esclusivamente sui c.d. social, viene a mancare lo stimolo per allargare la visione critica degli avvenimenti.
E i c.d *media* non aiutano il lavoro critico, i giornali, ammesso che siano uno strumento informativo, li leggono solamente gli anziani, basta chiedere ad un edicolante per saperlo ; esiste solamente internet, il compulsare frenetico e continuativo dei vari messaggini spediti e ricevuti, ma la sostanza per giudicare e per formarsi da dove la prendono i giovani ?
Non c’è più la politica, il dibattito ( quello con 3 bbb sul quale tanto si ironizza ) non esiste, si fa propaganda in una eterna campagna elettorale, insomma, per farla breve, io so di lasciare alla mia scompara, un certo numero di libri intelligenti per mio nipote, ma temo fortissimamente che avrà mai voglia di consultarli.
vogliate perdonare le mie parole di così poco spessore.
grazie per lo spazio.
L.P.
…in un solo respiro
trascorrono
passato presente e futuro…
per cui viene da pensare che nulla conti e valga la pena di fissare, ma non è così, anche se il nostro passaggio è brevissimo…Trovo perciò molto importante la lezione sulla memoria storica presentata da Ennio che, a proposito, ci prospetta, mediata da vari autori, una raggiera di convinzioni e atteggiamenti…I giovani, ma anche i meno come me, possono attingervi per una scelta o pluriscelta di prospettiva e di metodo: per attingere al passato, arrivando a prospettarsi delle idee anche sull’oggi che è profondamente mutato e il domani carico di incognite…Causa effetto? L’essere umano è sempre uguale a se stesso? Qualcosa lo ha cambiato con l’avvento delle nuove tecnologie? la storia di oggi sembra una matassa più intricata da sciogliere… Comunque, penso, sia sempre necessario disporre di una bussola per orientarsi…Il pensiero di E. Loewenthal: “Solo il funzionamento della memoria permette il “distacco dal passato”” mi colpisce particolarmente perchè non parla di oblio ma, credo, di una rielaborazione di fatti storici ed esperienze (vale anche sul piano personale) necessaria al superamento degli stessi nella prospettiva del vero progresso. L’affossarsi nell’oblio può generare “spettri”, che lavorano nell’ombra, come, credo, suggeriva Rita in un altro post…Molto interessante m’è parso anche il timore espresso da Luigi Paraboschi circa la capacità dei giovani di assimilare una lezione sulla memoria storica essendo perennemente occupati sui social media in un eterno presente e lo condivido ( a parte il “mai”, perchè un sentiero o altri sentieri sono sempre aperti come possibilità). Trovo grave il fatto che il bombardamento accennato tolga per cominciare ai giovani (ma non solo) quella che io chiamo la memoria emotiva (?) – ci accomuna agli animali che individualmente, nel branco e attraverso le esperienze della specie sanno attingervi per la sopravvivenza-, cioè paura, rabbia, amore, odio…come reazione alle esperienze dirette, sempre più sostituite o alterate da quelle virtuali. Magari sbaglio ma anche la memoria storica in parte vi è collegata…La distrazione dal corretto sentire ci allontana da noi stessi e dagli altri, con cui costruiamo la storia
@ L. Paraboschi
Le perplessità di L. Paraboschi non sono certo banali in quanto incentrate su un tema che, a dir poco, è di vitale importanza (volevo dire *complesso*, ma mi sembrava di ricalcare un luogo comune). Perché “vitale”? Perché riguarda il concetto di ‘critica’ e la sua funzione evolutiva.
L’appiattimento del linguaggio ha prodotto delle deformazioni rispetto al senso che viene dato al termine “critica”, confondendolo il più delle volte con la protesta, o il sovvertimento dell’esistente senza nessuna analisi e cioè “dove ci stavi prima tu adesso ci devo stare io”.
L. Paraboschi scrive: * E i c.d *media* non aiutano il lavoro critico*: e come è possibile un lavoro critico se non è contemplato porre domande perché ci sono già le risposte pronte a coprire dubbi e incertezze? Ma il problema non è tanto dei giovani bensì ‘a monte’, e riguarda la nostra difficoltà ad accettare che essi attraversino mancanze, sofferenze, dubbi. Genitori soccorrevoli, oblativi anche quando è superato il tempo dell’oblatività, non tolleriamo il pianto del bebè e subito gli tappiamo la bocca con il biberon. Ci sentiamo spinti a trovare soluzioni ancora prima che vengano formulati sia i bisogni che i desideri e facendo confusione tra le due istanze e le loro diverse priorità. Ma il problema è solo nostro, vale a dire la nostra difficoltà ad accettare le conflittualità, perché è nel conflitto tra ciò che c’è e ciò che manca si produce lo stato di crisi e pertanto viene stimolato il pensiero analitico con la sua funzione critica.
E ciò vale anche per la memoria (e qui rispondo ad Annamaria) che ci deve servire per elaborare e non per tranquillizzare la nostra coscienza: altrimenti, come ricordava Freud in “Ricordare, ripetere, elaborare”, rischiamo di ripetere. E i fatti storici confermano tragicamente questo.
Si mantiene una schizofrenia fra un settore e un altro della mente. Qui (magari in pubblico, in cortei) affermiamo una cosa e poi in privato (o per cosiddette ragioni superiori) applichiamo una politica diversa!
R.S.
SEGNALAZIONE
(A proposito del problema se valga la pena raccontare/ripensare il passato o no; e se la memoria abbia funzione idealizzante e museificante o recuperante: «L’utilità e il danno del passato per la letteratura e per le nostre vite. Su Pierre Michon» di Paolo Tamassia)
http://www.leparoleelecose.it/?p=27710#more-27710
Stralcio:
Ma allora, il tentativo di ridare consistenza a sé stessi e al mondo attraverso il racconto generato dal passato culmina in uno scacco? In realtà, come accennavo, alla fine del libro il narratore propone una differente strategia della memoria che permette di uscire dall’impasse. Per comprendere questa forma alternativa di ripresa del passato, mi sembra assai opportuno richiamare il duplice valore della memoria rivelato dalla metodologia ermeneutica nella linea Kierkegaard, Heidegger, Gadamer. In questa prospettiva sono in effetti contemplate due modalità della memoria: la reminiscenza e la ripetizione. La reminiscenza appartiene senz’altro alla tradizione metafisica (a partire dalla mnémosyne di Platone fino alla Erinnerung di Hegel): ripetendo all’indietro l’esperienza del passato, può solo osservare la storia dalla posizione privilegiata di una fine e in vista di un fine, di un telos, su un piano di eternità. Riconduce volontariamente, e comunque inevitabilmente, il movimento della temporalità dell’esistenza ad un’essenza stabile fissandola in un’immagine immobile.
La ripetizione, invece, è motivata dall’interesse e nell’interesse, ovviamente compreso etimologicamente come inter-esse(essere-tra): in altri termini, la ripetizione è motivata dall’intenzione dell’essere-nel-mondo temporale. Allora, mentre la rammemorazione compiuta dalla reminiscenza si dirige all’indietro, la memoria intesa come ripetizione si manifesta in una circolarità fenomenologica in cui «ci si ricorda avanzando». Al contrario della reminiscenza, la memoria intesa come ripetizione non è rappresentativa e ricognitiva, ma è storica perché è fondata sull’apertura dell’essere-nel-mondo, e dunque è proiettiva, «procedente». La ripetizione diventa, come afferma Heidegger, un processo di memoria del passato nel contesto della possibilità presente: si tratta della ripetizione autentica di una possibilità di esistenza che è stata, senza tuttavia mai produrre un’impossibile o illusoria restaurazione del passato[6]. Nella ripetizione non si intende dunque resuscitare un «passato in sé», oggettivo – in altri termini: idealizzato e dunque staccato dalla vita –, ma si tratta piuttosto di riprendere una possibilità di esistenza passata nel movimento dell’esistenza presente.
Detto in altri termini, forse più astratti (o più concreti?), e finito di leggere stamattina: “Il sapere corrisponde alla vita trapassandola e proiettandosi ‘oltre’ la vita, cioè infine nella morte: ‘Il sapere soffoca’. Oggetto del sapere è il *mortuum*: sapere di morte, sapere morente. Questa è la sua vita, perciò proprio vivendo trapassa. Nella insecuritas della parola il detto del sapere rende pubblici e comuni i significati dell’esperienza, ma in ogni ripetizione ed estensione universale il suo senso comincia a morire (pericolo estremo di una società interamente dedita all’informazione).”
Carlo Sini, Inizio, Jaca book, 2015, p. 217.