DIALOGANDO CON IL TONTO (13)
di Giulio Toffoli
In questi giorni di metà luglio, con una canicola che non cede, ci sono due sole possibilità: chiudersi in casa o affrontare il sole e l’arsura senza abbandonare le proprie abitudini.
Dopo lungo ponderare ho deciso di resistere e andare a fare il classico giro in centro.
Arrivo in piazza Vittoria, insigne esempio del razionalismo piacentiniano, e mi siedo ad un tavolino al bar Repubblica. Fino a qualche anno fa mi capitava di entrare al Caffè Impero, bar storico, sostanzialmente conservatosi quasi indenne per ottanta anni. Solo che, ciò che non poté il crollo del regime poté la globalizzazione e un giorno lo trovai con la serranda abbassata per lavori di ammodernamento che, come è consuetudine, erano destinati a non concludersi mai.
Allora ho optato per la Repubblica …
Appena seduto mi si para davanti, con un abbigliamento che fa pensare più a una spiaggia che al centro di una placida città padana di provincia, il Tonto che dice:
“Non mi si invita? Ho proprio la gola secca …”
Gli rispondo: “Mi prendi in giro … la scena si ripete così da anni. Come al solito mi costringerai a pagarti una consumazione e per rivalsa ti costringerò a dirmi la tua opinione su un tema che mi angustia non poco …”
“Ovvero – mi dice, dopo aver preso posto, guardandomi con un sorriso quasi beffardo – cosa può esserci che ti angustia. Qui non c’è quasi nulla che funziona, i media ci prendono ogni giorno per i fondelli e l’intera politica di questo paese sembra girare intorno ad una prossima, quanto mai fatidica, attesa della data delle elezioni. Davvero mi chiedo cosa possa angustiarti … siamo piuttosto a livello di una farsa da finale di partita”.
“Sarà come dici tu, ma io mi chiedo come ci si debba porre nei confronti del disegno di legge Fiano, quello che rafforza il divieto di apologia del fascismo. Per storia e habitus mentale non posso che essere favorevole, ma c’è qualche cosa che mi suona male … E’ come se una buona causa fosse gestita male … molto male …”.
“E’davvero una bella domanda. Ti risponderei quasi: «Lasciamo che il tutto affondi all’interno del gioco delle opposizioni di maniera parlamentare e del naturale deperire di notiziole come quella della spiaggia di Chioggia che è diventata per un giorno l’argomento sulla bocca di tutti: l’ultimo rifugio di un regime che è o almeno avrebbe dovuto essere defunto settantacinque anni fa.
Morto per sua colpa e per sua responsabilità».
Ma si sa questo è un paese particolare. Ci si accapiglia per una statua del ventennio da ricollocare al suo posto in questa piazza e in Eritrea invece con il concorso dell’UNESCO hanno lanciato un progetto di recupero dell’intero centro di Asmara proprio perché significativo esempio di razionalismo architettonico di età coloniale. Ma si sa: mille teste mille idee.”
“In questo modo però non mi hai risposto … pretendo una risposta che sia all’altezza degli euro della spremuta che hai ordinato …”.
“Sai, io nel carosello delle idiozie che politicanti, giornalisti e polemisti di mestiere, pronti a dire della stessa cosa un giorno bianco e l’altro nero, non ci voglio entrare.
Però sono disposto a riconoscere che in questo paese non si siano davvero mai fatti i conti con il fascismo, favorendo in tal modo esiti paradossali. Mi chiederai quali. Facile a dirsi.
Come primo e decisivo atto una amnistia, firmata da Palmiro Togliatti, nei confronti dei fascisti con una formula tanto ampia da aver consentito che l’anima conservatrice di questo paese, che si era vestita nel 1920 di orbace, potesse continuare nei fatti a governare.
Credo che avesse pienamente ragione Giuseppe Bottai quando affermò che il fascismo era morto nel luglio del 1943. Ciò che sopravvisse nel biennio successivo fu un tragico simulacro e ciò che si incarnò nel MSI dopo il 1945 era nulla più che il volto di quei settori conservatori che avevano fatto proprio l’antimodernismo alla Evola, il mito dell’azione violenta alla Sorel, l’idea di sacro alla Guenon e per i più semplici i miti delle origini alla maniera di Tolkien. Come vedi un mondo composito, che si riveste dei paludamenti e delle cianfrusaglie del Ventennio che però, attenzione qui cade l’asino, spesso erano a loro volta retaggio della tradizione socialista e ancor prima di quella della Rivoluzione dell’89 e del mito della Repubblica.
Sì, quella dell’antica Roma.”
“Sarà anche vero ma, se ben capisco, Fiano vuol colpire forme particolarmente virulente che si stanno mostrando di recente in varie realtà …”.
“Sai, sono costretto ancora una volta a chiederti di spostare la tua mente ad un’età ormai passata, alla fine degli anni sessanta. Troppi dimenticano, e si tratta di una dimenticanza colpevole. In quegli anni i neofascisti erano virulenti nelle loro azioni tanto e ben più di oggi. Come dimenticare nel 1967 l’uccisione sulle scale della Università di Roma dello studente Paolo Rossi, primo di una catena senza fine. Infatti negli anni successivi i neofascisti furono arruolati al servizio dello stato. Sono loro i responsabili materiali delle Stragi di Stato che hanno segnato indelebilmente la storia di quel decennio. Il paese mancato, di cui ha parlato uno storico qualche anno fa, è proprio un’Italia liberata dalle bardature fasciste che non si è mai realizzata. Le riforme sociali sono state parziali e sempre contraddette da una prassi burocratica che ne depotenziava fin dall’inizio la forza.
In quegli anni fu lanciata una dura campagna per mettere fuori legge i gruppi del neofascismo; quale ne fu l’esito? L’alleanza fra i servizi segreti e le frange del neofascismo sotto l’alta tutela dei servizi segreti della NATO.
Da quel fallimento sono poi seguiti a cascata gli altri fino a quella che è stata definita la trattativa fra lo stato e la mafia e l’oscura stagione che stiamo ancora vivendo.
No, non mi convince la proposta Fiano, un’ulteriore grida spagnoleggiante che si aggiunge alle altre in una legislazione farraginosa e sempre più contraddittoria.”
“Allora secondo te bisogna lasciare che tutto vada avanti senza fare sentire una voce di protesta?”
“Certo non ho detto questo, ma attenzione: io credo che la giustizia possa e debba operare contro le condotte violente e non contro le idee e, mi si conceda, neppure contro le nostalgie, più o meno macabre che siano. Le idee si combattono con altre idee migliori e che sappiano intervenire nel corpo delle contraddizioni della società portando maggiore giustizia e libertà.
Chi si fa portavoce di crociate contro il libero pensiero non può con il tempo che diventare esecutore di una società autoritaria e illiberale.
D’altronde nel «Fatti avanti cretino» che queste situazioni generano c’è stato subito un Brunetta di turno che ha proposto di inserire accanto al reato di apologia del fascismo quello di apologia del comunismo. Per Brunetta La corazzata Potemkin non è solo «una cagata pazzesca», ma un vero e proprio corpo di reato. Mi aspetto che ne chieda l’esecuzione con tanto di boia sulla pubblica piazza …”.
Non mi sono trattenuto da una risata e il Tonto serissimo ha aggiunto: “E che la neonata Polizia Del Pensiero (PDP) venga in casa mia, come in tutti gli uffici pubblici e nelle case di migliaia di altri italiani, per ritirare l’Enciclopedia Italiana che, come è universalmente noto, nel suo XIV volume presenta la voce La dottrina del Fascismo scritta da Lui in persona … Non solo apologia, ma programma politico che qualcuno potrebbe, con le dovute modifiche, far suo.
Che si fa, mandiamo al rogo la Treccani?”
Ma di quale “crociata contro il libero pensiero” state parlando, scusate? Qui si tratta piuttosto di difendere e preservare i principi fondativi (costitutivi e costituzionali) della nostra società, democratica e antifascista. Questi, sì, a rischio!
Fascismo, razzismo e “omofobia” invece non sono idee da difendere e preservare (ma sarebbe meglio dire “restaurare”), ma reati da perseguire, senza se e senza ma.
E chi sostiene il contrario, scusate se ve lo dico, si mette, volente o nolente, dalla parte della restaurazione, dell’oscurantismo e della reazione.
Sì, lo so, sono tranchant, ma non mi sembra proprio il momento di andare per il sottile, con un’Italia ed un’Europa che stanno andando sempre più a destra e con forze “di sinistra” che inseguono le destre xenofobe e oscurantiste in una insensata corsa verso il baratro, civile e culturale. L’antifascismo è una cosa seria… appunto! Pratichiamolo, per favore!
Mi dispiace, non sono d’accordo con Lei, ma le cattive idee si combatto con idee migliori, altrimenti la strada verso un totalitarismo è bella che spianata.
L’antifascismo in assenza di fascisti è una sciocchezza inaudita scaturita da una mente vuota come quella del deputato del PD Fiano.
una bella ….storia . che ci dipinge nei passi fatti in una democrazia “ballerina”, dove di colpi di spugna ce ne sono stati tanti . come in una opera di Pistoletto , riflette e fa riflettere su cosa eravamo e su cosa siamo diventati …..e questo spaventa !
@ Claudio Resentini
Sì, Claudio, sei non solo troppo tranchant ma poco disposto ad approfondire la questione che qui viene affrontata. Toffoli risponderà, se lo riterrà necessario. Io, essendomi già pronunciato in senso critico su questo problema del cosiddetto “ritorno del fascismo” su POLISCRITTURE FB e in altre bacheche già in alcuni scambi attorno all’anniversario del 25 aprile e avendo, inascoltato, proposto per una discussione materiali per una riflessione storica su fascismo e l Resistenza nella mailing list del Comitato 16 marzo,mi limito a una domanda:
si ha voglia (hai voglia…) di uscire dalla propaganda e spingersi (-ti) sul piano della riflessione o no?
Perché l’antifascismo come «cosa seria» mi pare pienamente “praticato” e in modo intelligente nel pezzo di Toffoli. Se invece, senza replicare né alle obiezioni che ti feci né entrare ora nel merito dei vari argomenti del Tonto e del suo interlocutore, insisti su «reati da perseguire senza se e senza»( senza specificare quali siano i reati in questione) o lasci intendere che chi – come me o Toffoli – vuole *ragionare* (perché è quello che credo facciamo) « si mette, volente o nolente, dalla parte della restaurazione, dell’oscurantismo e della reazione», il confronto tra noi diventa davvero arduo, se non impossibile. Siamo in un momento difficile? Proprio per questo c’è bisogno di «andare per il sottile», non cedere alle semplificazioni della propaganda .
Almeno questo è il compito che Poliscritture, qualificandosi come «laboratorio di cultura critica», persegue da quando (nel 2005) è nata.
Disponibilissimo a spingermi sul piano della riflessione, Ennio, ed è quello che ho fatto, esponendo le mie riflessioni. Mi piacerebbe però che queste venissero considerate come tali e non liquidate, lasciamelo dire, un po’ sprezzantemente, come “propaganda”. Chiedo troppo?
L’intervento di Resentini è peggio che propaganda, è uno scatto emozionale che nasce da una mentalità tipicamente fascistica. Dico tipicamente perché fa ricorso ai metodi fascisti per combattere gli avversari, siano essi, in questo caso, i “fascisti” in senso più proprio. Il sillogismo è semplice:
1) O il fascismo è considerato un evento storico ormai finito, e allora il reato di propaganda del fascismo non può esistere, ma casomai esiste la nostalgia per quel periodo storico ormai finito, così come si può avere la nostalgia per qualsiasi altro periodo, ad esempio le rivoluzioni del 1917 e del 1989 o della Grecia di Pericle ecc.
2) Oppure il fascismo è una categoria non più legata al periodo fascista, e allora andrebbero individuati e precisati quei comportamenti che, considerati “fascisti” e criminali, devono essere puniti. Ma in questo caso ci si accorgerebbe subito che vi è una notevole sovrapposizione fra quei comportamenti “fascisti” e altri non così definiti ma, nella pratica, identici, ad esempio l’uso della violenza e l’uso di simboli vari che si richiamano a organizzazioni e ideologie che hanno predicato e praticato la violenza.
La legge in discussione, presentata alla Camera dei deputati il 2 ottobre 2015 da Fiano (primo firmatario) e altri 63 deputati, è una legge fascista, nel senso sopra definito, e anticostituzionale perché mira a perseguire reati di opinione che di per sé non costituiscono un crimine e nemmeno una minaccia di crimine e, per di più, con dettato elencatorio e generico che porterebbe, in sede di applicazione, o alla sua pratica decadenza o a possibili estensioni arbitraria. In sostanza, un giudice prudente e intelligente non l’applicherebbe, uno fanatico ne farebbe un uso estensivo e liberticida.
La legge non intende sostituire le precedenti leggi (legge Scelba 645/1952, legge Mancino 205/1993) che perseguono già i reati di ricostituzione di partiti e movimenti fascisti e di propaganda fascista, ma intende rafforzarle, aggiungendo nell’elenco dei reati altre fattispecie e questo in seguito a due serie di eventi, il primo è una serie di sentenze della Corte di Cassazione che hanno assolto persone che, secondo Fiano e gli altri firmatari, non dovevano venire assolte; il secondo è la sempre più massiccia diffusione telematica di elementi, scritte e idee considerate di propaganda fascista.
Quindi la legge mira a restringere il campo del dubbio e della possibilità di venire assolti per atti di propaganda fascista (atti in cui l’intento e la sostanza di propaganda non è chiaro e diretto) e mira ad aumentare le possibilità di controllo di ciò che circola in Internet.
Entrambe le finalità, se realizzate, porterebbero a una restrizione di libertà la cui gravità mi fa dire che l’animus della legge è di tipo fascista.
Del resto, diversi studi pubblicati in questi ultimi anni dimostrano che l’Italia di oggi è ancora largamente un’Italia fascista, nel senso che un’enorme quantità di leggi, a partire dai codici, di organizzazioni burocratiche, di comportamenti di enti e uffici vari risalgono al periodo fascista e gli aggiornamenti e le riforme apportate non hanno inciso abbastanza in senso democratico.
In effetti l’elemento di fondo dello Stato fascista e dello Stato cosiddetto democratico di oggi è lo stesso: lo Stato ha sempre ragione e il cittadino torto, fino a prova contraria che spetta al cittadino far valere, con i tipico rovesciamento del rapporto fra accusa e difesa. Questa norma vale non solo per il sistema fiscale, ma per tutta un’altra serie di rapporti fra Stato e cittadini.
Ma è poi ancora fascista anche nella sua pretesa sempre più invasiva nei confronti della vita privata dei cittadini, non avendo mai attuato una serie di principi costituzionali e legislativi, come ad esempio il principio di sussidiarietà. Anche in questo caso il rapporto di sussidiarietà è rovesciato ed è quello tipico di uno stato autoritario: il cittadino non è libero di fare tutto ciò che può fare da solo, con lo Stato che interviene a sussidiare ciò che i cittadini da soli non riescono a fare; no, è lo Stato che decide tutto ciò che vuole fare nel suo interesse e nell’interesse dei ceti politici e dirigenti che ne traggono vantaggio, lasciando che i cittadini facciano liberamente il poco che gli rimane ed è consentito. Questo accentramento dei poteri lo si può senza dubbio definire fascistico o fascista o comunque autoritario.
La sinistra alla Fiano, che crede nell’onnipotenza dello Stato e nella sua azione illuminata, non può che produrre leggi liberticide ogni volte che ritiene di poterlo fare impunemente o, anzi, con vantaggio propagandistico ed elettorale. Ma io, da cittadino, osservo che: a) non credo che Fiano sia illuminato; b) anche se lo fosse non mi fido di una legge che si presta a un uso liberticida.
E veniamo alla proposta di legge in discussione, che è costituita da un solo articolo che dice:
Art. 1.
1. Nel capo II del titolo I del libro secondo del codice penale, dopo l’articolo 293 è aggiunto il seguente:
«Art. 293-bis. – (Propaganda del regime fascista e nazifascista). – Chiunque propaganda le immagini o i contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco, ovvero delle relative ideologie, anche solo attraverso la produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni raffiguranti persone, immagini o simboli a essi chiaramente riferiti, ovvero ne richiama pubblicamente la simbologia o la gestualità è punito con la reclusione da sei mesi a due anni.
La pena di cui al primo comma è aumentata di un terzo se il fatto è commesso attraverso strumenti telematici o informatici».
C’è di che mettersi le mani nei capelli! La relazione di presentazione del disegno di legge chiarisce, e aggrava, quello che i firmatari intendono attuare. La relazione infatti polemizza contro sentenze della Corte di Cassazione e di altri istanze processuali su due fattispecie particolari: la prima è il saluto fascista allo stadio (o in altri luoghi) e la seconda è la vendita di oggettini, gadget e souvenir che ricordano il fascismo.
Ma in questi casi si commette un reato? No, in nessuno dei due casi, salvo definire il reato come infrazione di una legge, trasformando in reato l’illecito e in reato sostanziale, vero, solo ciò che una legge ingiusta prevede come reato.
La logica giuridica del reato è che si ha reato quando si offende un diritto soggettivo giuridicamente protetto, previsto dalla legge e sanzionato penalmente dalla stessa. Ma uno che fa il saluto romano in uno stadio non offende concretamente nessuno, cioè non ferisce e nemmeno tenta di ferire, non ruba, non commette violenze, non danneggia beni pubblici e così via; e tanto meno lo fa qualcuno che vende magliette con la faccia di Mussolini. In entrambi i casi le due fattispecie e altre simili possono offendere gli altri solo in senso estetico e ideologico, ma questa rientra nelle opinioni, non nei delitti. Un’opinione può offendere in senso estetico, logico e ideologico, ma questo non è certo un reato.
Diventerebbe reato solo se l’opinione, il saluto, la vendita della maglietta, fossero accompagnati da comportamenti concreti che mirano ad organizzare movimenti o azioni di tipo fascista. Non sono reato in sé. Trasformarli in reato in sé è un grave provvedimento tipico di uno Stato autoritario e inoltre, per analogia, dovrebbero essere perseguitati tutti i comportamenti analoghi di qualunque indirizzo ideologico fossero.
Ad esempio: c’è una fiera del collezionismo, o dei gadget tipo «militaria» e ci sono centinaia di bancarelle (cosa che a Milano capita regolarmente e periodicamente). In una bancarella si vendono stemmi, medaglie e spille con immagini e simboli fascisti, nazisti, stalinisti, maoisti, castristi, islamisti, di sette sataniche, della massoneria, di film dell’horror in cui si ammazza la gente e così via. Con la proposta di legge Fiano solo la vendita dei simboli fascisti e nazisti sarebbe reato, mentre tutti gli altri simboli andrebbero via lisci, compresi quelli che inneggiano a Pol Pot e le bandiere nere dell’Isis.
Come definire una legge simile, se non liberticida e strumento destinato a sostenere abusi?
Gli esempi si possono moltiplicare a centinaia e tutti portano a dei risultati assurdi.
Quando invece si tratta di vera propaganda accompagnata da comportamenti concreti di organizzazione di movimenti, associazioni, gruppi fascisti, si rientra nelle fattispecie di reato già perseguitati dalle leggi esistenti, per cui la proposta Fiano è inutile.
***
Infine, la proposta di legge è iniqua perché non perseguita tutte le analoghe azioni di qualunque indirizzo politico siano, purché rappresentino un’opinione che, sviluppandosi in organizzazione, può essere pericolosa, ma perseguita solo quelle fasciste e naziste. Eppure oggi il terrorismo islamico è ben più pericoloso ed attuale e anche l’islamismo estremo che esprime opinioni a favore del Califfato ha i suoi simboli, le sue forme di saluto ecc. Ma fino a oggi questi sono al massimo oggetto di osservazione da parte delle forze dell’ordine, ma non considerati reato in sé, se non accompagnati da propositi, tentativi organizzativi, detenzione illegale di armi e di esplosivi e di progetti per effettuare attentati terroristici. Insomma, scrivere in una pagina Facebook «W Mussolini» diventerebbe reato, scrivere «W ISIS» o «W Abu Bakr al-Baghdadi» no. Che logica c’è, se non fascista, in questo?
Un’ultima considerazione ci porta a esaminare un altro aspetto gravissimo. A 72 anni dalla fine del fascismo un partito di governo come il Pd sente la necessità di formulare una legge così meschina e imprecisa per combattere il fascismo? Ma allora, che cosa hanno fatto le forze politiche, compresa la sinistra, in questi 72 anni, per combattere il fascismo e sradicarlo dalla cultura e dalle coscienze dei giovani? Che cosa ha fatto la scuola statale? Che cosa ha fatto l’esercito e tutti i corpi militari e paramilitari dell’apparato pubblico? Che cosa ha fatto tutta l’amministrazione dello Stato? Perché si sente il bisogno dell’ennesima legge? Perché un problema di cultura lo si vuole ancora una volta trasformare in un problema da codice penale?
Chi propone la legge ha la coscienza tranquilla? È sicuro che troppe azioni politiche alle quali ha collaborato non abbiano agito a favore del fascismo peggio della propaganda di piccoli gruppi che adottano simboli e saluti neofascisti?
“credo che la giustizia possa e debba operare contro le condotte violente e non contro le idee e, mi si conceda, neppure contro le nostalgie, più o meno macabre che siano. Le idee si combattono con altre idee migliori e che sappiano intervenire nel corpo delle contraddizioni della società portando maggiore giustizia e libertà”.
Anche questa separazione tra condotta e idee appare come una “grida”! Infatti c’è una costante: che i violenti di toni e linguaggio poi si scopre che sono fascisti, che i “valori” ordine e pulizia ricorrono a un’ideologia fascista per farsi inquadrare, che un larvato razzismo in discorsi banali è… fascista. Che un disperato qualunquismo si aggrappa a qualche cardine fascista, magari sono fascisti impliciti, magari neanche se ne rendono conto.
Questa vasta zona grigia (marezzata di nero) viene facilmente strumentalizzata, come lo è stata negli anni delle stragi di stato.
Un ribadito divieto di apologia di fascismo sottolinea che la questione non riguarda solo la libertà di opinioni, ma che in quelle opinioni il rapporto con la violenza è congenito.
Poi chi vuole in cuor suo si senta anche fascista, ma sappia anche che gli altri conoscono il legame tra fascismo e violenza, quindi la pratica verrà contenuta.
Due sole brevissime notazioni.
1 – Uno stato che si definisce di diritto e invece di colpire specifici atti criminosi interviene a sanzionare le idee è in ogni caso uno stato degno di 1984. Tanto più che già la legge Mancino colpisce la propaganda di fascismo con condanne fino a 2 anni e 8 mesi. Ma par non basti, dove si vuole arrivare? O ben altri sono i problemi come ho cercato di far notare …
2- Tanto per dare l’idea di un clima che non è nuovo, si colpisce chi dissente e si propongono leggi contro la destra che resteranno strumenti senza incidenza, leggo con stupore e grande preoccupazione quanto presentato sul sito di Contropiano (http://contropiano.org/news/politica-news/2017/07/13/denunciato-lavvocato-critico-piazza-la-legge-minniti-093893) e che riporto qui di seguito:
Denunciato l’avvocato che criticò in piazza la Legge Minniti
di Sergio Cararo
A occhio sembra una pezza peggiore del buco ma nulla toglie alla gravità dell’accaduto. Il giovane avvocato romano Gianluca Dicandia, è stato denunciato in base all’articolo 290 del codice penale, che punisce il “vilipendio della Repubblica, delle istituzioni costituzionali e delle forze armate”. L’accusa è di aver criticato pubblicamente i decreti Minniti-Orlando durante una manifestazione in piazza del Pantheon a Roma. Il fatto è avvenuto lo scorso 20 giugno, in occasione della Giornata mondiale del rifugiato, quando l’avvocato Di Candia era intervenuto termine di un flash-mob promosso da Amnesty International a Roma, denunciando le conseguenze della Legge Minniti sulla vita dei migranti e dei poveri. Di Candia è un avvocato ed attivista della rete ‘Resistenze Meticce’.
“È importante denunciare secondo me oggi, a due mesi dall’entrata in vigore del primo dei decreti che porta la firma di Minniti e Orlando, il fatto che i rifugiati, i richiedenti asilo, sono destinatari di norme allucinanti, norme che eliminano qualunque tutela e qualunque possibilità per i migranti di stare nel nostro paese in un modo degno” aveva detto in piazza.
Parliamo di pezza peggiore del buco perché l’enormità del caso è stata determinata dall’intervento della polizia al termine dell’intervento di Di Candia in piazza del Pantheon.
Gli agenti gli avevano chiesto i documenti per identificarlo proprio sulla base di quello che aveva detto. Di fronte alle proteste degli altri manifestanti gli agenti avevano chiesto i documenti a tutti. Insomma un intervento molto al di sopra delle righe che la denuncia per vilipendio intende in qualche modo formalizzare per lasciare la patata bollente ai magistrati.
Non sappiamo se ci sarà o come andrà un eventuale processo – e lo seguiremo con attenzione, curiosità e solidarietà – quello che è certo è che quanto avvenuto è di una gravità inaccettabile in una Repubblica Costituzionale. In uno Stato di polizia sarebbe la norma. Ma è questo il discrimine sul quale verificare come stanno effettivamente le cose nel nostro paese.
Restituisco al mittente la dura critica (ma sarebbe più corretto chiamarlo insulto) di Luciano Aguzzi. Nel suo lungo intervento infatti non spiega minimamente perché il mio, lo ammetto, “scatto emozionale” scaturirebbe da una “mentalità fascistica” e si lancia invece in un lungo intervento contro il disegno di legge Fiano.
Aldilà degli insulti, che, ripeto, restituisco al mittente, rimango sul merito.
In Italia, il fascismo, caro Aguzzi, e lo ammette lei stesso, non è affatto un fenomeno storico archiviabile come se nulla fosse. Se la mentalità “fascistica” è ancora così diffusa, come dice lei, non ne consegue allora logicamente la necessità dell’antifascismo?
Ma una legge antifascista sarebbe una legge fascista dice lei, perché limiterebbe le libertà dell’individuo. Ma quale legge non limita la libertà dell’individuo, scusi?
Qualsiasi norma prescrive o vieta comportamenti che limitano le libertà individuali.
A meno che lei sia il sostenitore di una società totalmente anarchica e anomica si tratta dunque di definire STORICAMENTE quali libertà debbano essere limitate e quali tutelate. E la storia dell’Italia la conosciamo.
Il punto dunque è quello di capire QUALI sono i limiti da porre alle libertà individuali e non quello che bisognerebbe evitare di porre limiti alle libertà individuali, utopia quest’ultima che posso anche condividere come orizzonte ideale, ma che tale rimane.
Facciamo un esempio: l’incitamento all’odio razziale, per quello che ne so, è perseguibile per legge. Ritiene “liberticida” anche la norma che lo punisce? La ritiene una norma “fascista”? (Tra altro, il legame tra fascismo e razzismo è storicamente tutt’altro che secondario, basti pensare alla vergogna delle cosiddette leggi razziali).
Capisco le sue preoccupazioni, ma la libertà di parola e di espressione però non può arrivare a consentire a qualcuno di rivolgersi ad un altro chiamandolo “negro di merda” o “sporco ebreo”, ma neppure, aggiungerei sperando in una legge “anti-omofobia” che credo non esista ancora, “finocchio schifoso”. Ne conviene?
E tanto per complicare la faccenda la invito a riflettere sul fatto che una quantità di condotte considerate reato o comunque punite dalla legge si basano proprio sulla “parola” e conseguentemente, di fatto, sulla limitazione, appunto, della libertà di parola. Pensi non solo alla diffamazione e alle ingiurie, ma alle minacce. Pensi ai tentativi di corruzione o di concussione. E potremmo andare avanti all’infinito…
Vorrebbe davvero che in nome della libertà di parola si consentisse a chiunque impunemente di poter dire “Se non paghi ti spezzo le gambe” o “Se mi firmi questa concessione/autorizzazione/ecc. ti do tot.” ecc.?
Non credo che queste limitazioni delle “libertà individuali” le creino scandalo, no? Ma è del tutto evidente che anche qui si limita la libertà di parola e di espressione, non crede?
Insomma, per concludere, veda lei, caro Aguzzi… io ho più domande che risposte, più dubbi che certezze. Ma una piccola certezza ce l’ho: io non sono fascista!
L’antifascismo è una cosa seria? Ok, ragazzi. Allora non diamo del fascista a Tolkien, anche se piace ai fascisti. Tolkien era un cattolico tradizionalista, un reazionario vero che esorcizzava i microfoni quando teneva conferenze, e il suo Mordor era una allegoria di nazismo+comunismo+industrialismo capitalista, che l’incauto metteva nello stesso mazzo.
Segnalo altresì che la voce dedicata al fascismo nella Treccani l’ha sì firmata Mussolini, ma l’ha scritta Giovanni Gentile, un filosofo che nel suo ultimo libro scrisse che “il comunista è un corporativista impaziente”.
Buone vacanze.
Carissimo Buffagni
Per ciò che riguarda Tolkien ovviamente hai ragione. Si tratta di una discrasia fra scrittore e fruitori. Come ben sai i neofascisti usarono lo scrittore come loro bandiera. E solo in quel senso il Tonto lo ha citato ben riconoscendo la distanza con gli altri autori citati.
Per la voce fascismo della Treccani è ben noto che è firmata da Mussolini anche se la stesura fu di Gentile… il problema dei rapporti fra i due che non certo lineare sono stati tema di innumerevoli studi. Si può discutere se Mussolini avesse la capacità teorica di realizzare una simile sintesi che per molti punti di vista è più tradizional-conservatrice che prettamente fascista ma qui si finirebbe in una analisi che fatalmente supera le 7000 battute circa dei nostri dialoghi. Si tratta di un limite che qualche volta costringe a non fermarsi su alcune finezze. In ogni caso ben venga chiarire…
Caro Toffoli,
da parecchio tempo lancio la proposta di una moratoria decennale sulle parole “fascismo” e “antifascismo”, tanto per chiarirsi un po’ le idee. Ma nessuno mi ascolta, avrò torto io.
Carissimo Buffagni sul tema della moratoria per ciò che riguarda l’uso della parola fascismo sfondi una porta aperta. Sono profondamente convinto che quel termine sia stato abusato oltre ogni misura per sostenere retoriche politiche che hanno sempre più nascosto il vero esito del processo politico post 1945: la creazione di uno stato autoritario consociativo, una specie di strano ibrido con un a crosta partecipativa e un’anima profondamente legata alla difesa dei privilegi tradizionali. Certo le sinistre nel loro abuso del termine fascismo sono state aiutate dalla sopravvivenza di settori legati al regime e poi dal neofascismo fino alle odierne sigle più la solita tendenza nostalgica che costituisce un nocciolo duro .
Per ciò prevedo che dovremo fare ancora i conti con figuri che si rifanno a quei simulacri…
Addenda: ciò vale ovviamente anche per antifascismo… infatti il titolo mi è parso fin dall’inizio l’elemento più debole del dialogo ma, e chiedo venia, non ne avevo trovato uno migliore.
@ Buffagni e Toffoli
Non credo nell’efficacia di una “moratoria decennale sulle parole “fascismo” e “antifascismo”, tanto per chiarirsi un po’ le idee”.
Ma al di là del fatto che nessuno di noi ha l’autorità per imporre questa moratoria ai parlanti/pensanti, come si chiarirebbero meglio le idee se, invece di usare con la massima precisione possibile questi due concetti e studiare, con altrettanta cura, le pratiche storiche che li hanno accompagnati (ad. esempio precisando di quali tipi di fascismo o antifascismo parliamo), ci trovassimo *senza parole*?
E poi la stessa moratoria non la si dovrebbe chiedere per tante altre parole abusate ( amore, pace, realtà , ecc.)?
Altri per indicare quello che Toffoli definisce “uno stato autoritario consociativo, una specie di strano ibrido con una crosta partecipativa e un’anima profondamente legata alla difesa dei privilegi tradizionali”, hanno parlato di *democratura* (http://www.treccani.it/vocabolario/democratura_%28Neologismi%29/). Non so se sia più efficace, ma – ripeto – temo di più il silenzio, l’arresto del tentativo di capire, l’indifferenza, il qualunquismo. Che è altra cosa della sospensione cauta del giudizio di fronte a quella parte degli eventi che non si lasciano afferrare.
AL VOLO
Roberto, giù il « nazismo+comunismo+industrialismo capitalista», per te l’unica cosa seria è Tolkien? fallimentari fascismo e comunismo, dovremmo tornare al precapitalismo?
Mi limitavo a difendere il poveroTolkien che col fascismo c’entra proprio zero. Dove andremo non lo so.
Appoggio la mozione di Ennio, moratoria su “amore, pace, libertà, eguaglianza…” sono apertissimo a nuovi inserimenti.
@ Resentini
«Luciano Aguzzi […] non spiega minimamente perché il mio, lo ammetto, “scatto emozionale” scaturirebbe da una “mentalità fascistica”» [Resentini].
L’ho spiegato chiaramente e lo ripeto: «mentalità tipicamente fascistica. Dico tipicamente perché fa ricorso ai metodi fascisti per combattere gli avversari». E poi spiego perché il disegno di legge Fiano nasce da una concezione dello Stato, dei rapporti fra Stato e cittadini e della lotta politica improntata all’autoritarismo. Quindi, se non fascista in senso storico, certamente fascistica come mentalità.
Lei, Resentini, nella sua replica mette insieme capre e cavoli confondendo troppe cose. Ma una legge è un provvedimento giuridico che rientra in un ordinamento giuridico e produce effetti – in questo caso di tipo penale – che incidono, o che dovrebbero incidere, sul comportamento dei cittadini.
Se tutte le leggi limitano la libertà dei cittadini, non tutte lo fanno allo stesso modo e non tutte in modo legittimo e giustificato. Ci sono delle leggi che producono, come conseguenza, quella di reprimere certi atteggiamenti non perché dannosi ad altri, ma perché ideologicamente antipatici a chi fa la legge. Quando la legge viene strumentalizzata in questo modo autoritario e parziale io dico che siamo di fronte a un atto autoritario, fascistico. Una legge del genere, pertanto, non combatte il fascismo come categoria generale, perché è essa stessa un atto fascistico, ma combatte solo qualche aspetto o frangia ideologica non nelle sue eventuali azioni criminose, ma nelle sue opinioni. La proposta di legge Fiano non combatte il fascismo, ma è espressione di quel fascismo in senso lato che è una modalità dello Stato, più in particolare una categoria specifica che rientra in quella più vasta di Stato autoritario.
Il limite da porre alle libertà individuali è stato definito da tempo e ribadito dall’art. 4 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, che recita:
«La liberté consiste à pouvoir faire tout ce qui ne nuit pas à autrui: ainsi l’exercice des droits naturels de chaque homme n’a de bornes que celles qui assurent aux autres Membres de la Société, la jouissance de ces mêmes droits. Ces bornes ne peuvent être déterminées que par la Loi».
«La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri». Il non nuocere agli altri è l’unico limite legittimo della libertà dei cittadini e ogni volta che la legge supera questo limite e toglie ai cittadini il potere di fare cose che non danneggiano nessuno, diventa espressione di un potere arbitrario e dittatoriale. Ciò riguarda tutti gli aspetti della vita, da quelli di competenza delle leggi amministrative a quelli delle leggi civili e a quelli delle leggi penali. In ogni settore, in Italia (ma il discorso vale per la maggior parte dei Paesi statalistici), le leggi valicano il loro confine e impongono ai cittadini regolamenti invasivi la cui utilità, in termini di bene individuale e collettivo è nulla o decisamente negativa, ma che però spostano masse ingenti di denaro od orientano interessi particolari a favore di settori della società. In questo modo lo Stato non agisce da agenzia imparziale nei confronti di tutti i cittadini, secondo libertà e giustizia, ma agisce da gruppo lobbistico che difende i propri interessi privati di gruppo. Questo Stato è intrinsecamente fascista, a qualunque ideologia si richiami come mascheramento di facciata, sia essa di tipo democratico, di tipo fascista in senso storico, di tipo stalinista ecc. ecc.
Inoltre lo Stato non dovrebbe avere una propria ideologia, una propria etica, un proprio punto di vista su tutto ciò che riguarda i cittadini in quanto privati. La Costituzione degli USA afferma il diritto di perseguire la felicità, ma poi lascia che siano i cittadini, privatamente, a scegliere la loro idea di felicità e i modi per conseguirla. Le costituzioni che impongono una loro idea di felicità, necessariamente non condivisa da tutti, sono costituzioni dittatoriali.
Dopo queste premesse più generali, rispondo al suo esempio. Lei scrive: «Facciamo un esempio: l’incitamento all’odio razziale, per quello che ne so, è perseguibile per legge. Ritiene “liberticida” anche la norma che lo punisce? La ritiene una norma “fascista”? (Tra altro, il legame tra fascismo e razzismo è storicamente tutt’altro che secondario, basti pensare alla vergogna delle cosiddette leggi razziali)».
Rispondo: L’incitamento all’odio razziale non è un’opinione, è un’azione e, secondo la legislazione italiana, è un reato. Come tale è legittimamente perseguibile e punibile.
Alla base, secondo le dottrine libertarie (ma anche di una tradizione giuridica ormai vecchia di millenni) vi è il principio di non aggressione. Se il comportamento, anche limitato a sole parole, costituisce un’aggressione contro qualcuno (e quindi reca danno a qualcuno), è punibile. Infatti, non si tratta più di libertà di pensiero e di parola, ma di una precisa fattispecie giuridica che rientra nei codici penali di tutte le comunità. Il corrispettivo del reato di aggressione è il diritto di adottare comportamenti di difesa, di legittima difesa, di cui, in materia penale, salvo i casi di emergenza e di necessità nel corso di una aggressione, si fa carico lo Stato con il suo apparato di repressione dei reati (in sintesi: ordinamento giuridico, forze dell’ordine, magistratura, luoghi di detenzione per scontare le pene inflitte).
Ma se il razzista a cui l’esempio si riferisce si limita ad esprimere una sua opinione, senza aggredire nessuno, nemmeno a parole, non può e non deve essere perseguito penalmente, perché reprimere penalmente un’opinione, per quanto non condivisibile, comporterebbe conseguenze negative peggiori e meno sopportabili del fatto stesso che, fra i 60 milioni di italiani, ce ne siano un certo numero che ha in testa idee sbagliate. Certo, a volte è difficile distinguere fra mera opinione e azione aggressiva, ed è per questo che in casi assai simili arrivati a processo si sono avute sentenze diverse. Ma l’applicazione delle leggi non è una scienza esatta e, soprattutto nelle fattispecie di confine, ci sono e ci saranno sempre delle incertezze e delle diversità di giudizio. Ma non bisogna mai dimenticare che la giustizia penale non deve colpire le idee moralmente ritenute sbagliate, ma solo i comportamenti (gli atti e le omissioni) che recano danno ad altri. E non bisogna nemmeno dimenticare il principio antichissimo, già formulato dal diritto romano oltre duemila anni fa, che «In dubio pro reo» («nel dubbio, giudica in favore dell’imputato»). È proprio degli Stati autoritari, sia della tradizione di destra sia di quella di sinistra, pretendere di sanzionare penalmente le idee di rilievo solo morale e non penale e di condannare anche nel dubbio, secondo il principio tirannico che dice: meglio un innocente in galera che un colpevole libero. Uno stato democratico deve sempre affermare il principio opposto: meglio un colpevole libero che un innocente in galera.
Facciamo degli esempi in ordine scalare: 1) se uno, in base ad una sua convinzione culturale, ritiene che il popolo A sia antropologicamente superiore al popolo B, non commette, per ciò solo, reato. E tanti grandi personaggi che riempiono le enciclopedie lo hanno pensato, nel passato, compresi santi cristiani e laici, campioni dell’illuminismo e del socialismo ecc. 2) Ma se poi si passa a dire che il popolo A, essendo superiore, ha il diritto di ridurre in schiavitù il popolo B o aggredirlo e limitarne le libertà in altro modo, da una posizione culturale si passa a una ideologica, cioè a una dottrina. In questo caso il diritto di libertà di pensiero e di parola si fa più problematico, ma in genere gli ordinamenti penali non perseguono le dottrine, finché restano solo dottrine espresse all’interno del dibattito culturale. 3) Ma se si fa un ulteriore passo e la dottrina si organizza in movimento che mira a realizzare il programma secondo il quale il popolo A ha diritto di ridurre in schiavitù il popolo B ed agisce di conseguenza, allora siamo di fronte a una forma palese di aggressione che la legge deve punire. Il nazismo, fin dal suo sorgere negli anni Venti, ha avuto questa caratteristica ed avrebbe dovuto essere dichiarato illegale fin dal 1923. Nel comportamento dei singoli individui la logica è la stessa: si ha reato quando la cultura razzista si manifesta in forme di aggressione, anche solo verbale come un insulto.
Ma la proposta di legge Fiano, come spiegavo nel mio precedente intervento, non combatte le forme di aggressione (anche solo verbale) ma le forme di propaganda e ritiene propaganda anche la sola esibizione di un simbolo. Ciò comporta, e l’ho già scritto ma forse conviene ripeterlo, due distorsioni rispetto a una corretta applicazione della giustizia. Distorsioni tipiche dello Stato autoritario che difende una propria ideologia contro la libertà di pensiero della varietà ideologica dei cittadini.
La prima distorsione è che punisce penalmente e anche in forma severa degli atti che non hanno e non dovrebbero avere in nessun caso rilievo penale, perché non producono danno a nessuno. Esempi richiamati nella stessa discussione della proposta di legge: saluto fascista allo stadio, indossare simboli fascisti (come una maglietta col faccione di Mussolini), vendere oggetti che richiamano il fascismo, pubblicare in Facebook o analoghi social scritte del tipo «W Mussolini»).
La seconda distorsione è che non si individuano precisi comportamenti criminosi dal valore e dall’aspetto generale, ma ci si rivolge solo a quelli che si considerano legati al fascismo e al nazismo, con una discriminazione ideologica orientata che trasforma lo Stato in uno Stato di parte ideologicamente caratterizzato. Perché indossare una maglietta con Mussolini dovrebbe essere reato, mentre indossarla con Mattarella o Renzi non è reato? Si può rispondere: perché Mussolini evoca una politica aggressiva e violenta, antidemocratica. Ma allora si può ribattere: perché indossare una maglietta con Che Guevara o Stalin o Pol Pot non sarebbe reato? Forse Guevara o Stalin o Pol Pot non evocano una politica aggressiva e violenta e antidemocratica?
E via dicendo. Sotto ogni profilo la proposta di legge Fiano è contraddittoria e controproducente perché non elimina le incertezze che portano a sentenze diverse, ma si limita ad abbassare la soglia dell’incertezza comprendendo fra gli atti punibili anche atti ora non punibili perché non considerati reato, e lo fa a senso unico facendo perdere alla legge il carattere generale che è proprio della legge correttamente intesa.
In pratica una legge del genere sarebbe ingestibile e comunque aumenterebbe il potere di arbitrio della polizia e della magistratura, stracciando ulteriormente i confini della certezza e della separazione fra gli atti, giusti o sbagliati, dell’ambito delle idee e della moralità e quelli dell’ambito penale.
Infine tutto questo dibattito concerne anche il «politicamente corretto» che le proposte alla Fiano, come altre della Boldrini e di tanti altri, tendono a trasformare da orientamento culturale (che per me è, fra l’altro, sbagliatissimo, per i suoi effetti di mummificazione del linguaggio stesso) a orientamento penale. Le conseguenze di ciò si vedono già nelle autocensure che gli operatori di Internet applicano ai propri programmi per non incorrere in condanne o comunque in danni di immagine e la già “mitica” libertà di Internet è diventata una realtà di molto più modesta portata.
Racconto qui due aneddoti significativi. Molto meno significativi del fatto raccontato da Toffoli, che è davvero grave, ma comunque indicativi. Negli ultimi mesi la mia posta elettronica ha subito due censure dal server, che ha cancellato automaticamente parte del messaggio, in entrambi i casi delle fotografie. Nel primo caso si trattava di foto tipo famiglia con persone in costume da bagno, cancellate perché sospette di pedofilia!!! Nel secondo caso, di pochi giorni fa, la foto cancellata era quella di un libro inviatami da una libreria antiquaria. Si tratta di un libro degli anni Venti sulla propaganda fascista, cioè un manualetto del partito fascista di istruzioni su come fare bene la propaganda, che interessa oggi per motivi di studio o di collezionismo. La foto è stata cancellata con la scritta: «Bloccato un allegato per i contenuti potenzialmente pericolosi»!!! Non pericoloso in senso informatico, perché tutto il resto del messaggio è rimasto inalterato e la censura era del server non del mio antivirus. In sostanza, sempre più, per piegarsi alle pressioni di personaggi politici, i servizi di Internet pongono automaticamente in atto delle censure limitando le libertà degli utenti.
E nessuno dice niente: anzi, i tipi alla Fiano e alla Boldrini credono di essere di sinistra gridando: «di più di più»!
“Pas de liberté pour les ennemis de la liberté” lo diceva Saint-Just. Fascista anche lui?
Il fascio è comparso qualche volta fra la simbologia dei movimenti giacobini e sono invenzioni giacobine diverse pratiche adottate poi (e per esplicito riferimento, richiamo e imitazioni) dai regimi totalitari: dai massacri di massa all’uccisione senza processo degli avversari (o comunque ritenuti avversari), dal nessun rispetto delle regole democratiche da essi stessi proclamate all’incoraggiamento e premiazione delle spie popolari, cioè del popolo che si trasforma in controllore della moralità e legalità pubblica con la trasformazione del cittadino in spia del vicino di casa. All’energia giacobina, alla cosiddetta democrazia diretta, democrazia di piazza e fenomeni analoghi, fino ai linciaggi effettuati da “masse” e squadre militanti, si sono rifatte tutte le dittature moderne, da quelle di destra a quelle di sinistra. A partire da Napoleone ammirato ed imitato nei tanti casi di caudillismo latino-americano fino ai casi ancora presenti in tutti i continenti.
Di conseguenza, vedi tu se Saint-Just è stato fascista o no. Di certo non era democratico né libertario. La frase da te citata, correttamente intesa sulla base del comportamento concreto di Saint-Just, significa: «Nessuna libertà per i nemici della mia idea di libertà». Il che è tipico di ogni dittatura.
Di fatto, in basa alla ragioneria storica, tirate le somme, risulta che fra i morti ammazzati per opera di, o anche di, Louis Antoine de Saint-Just non vi sono solo nemici della libertà, ma anche tanti rivoluzionari e amici della libertà epurati dal più puro Saint-Just, il quale, poi, come è noto, ha trovato uno ancora più puro di lui che l’ha messo a morte come nemico della libertà.
Ciò rientra in un tipico schemino che si è ripetuto, sia pure con varianti, in quasi tutte le rivoluzioni, a partire da quelle “religiose” del cinquecento. Lo schemino si riscontra anche nei due maggiori totalitarismi del Novecento, quello nazista e quello sovietico, dove tanti “eroi rivoluzionari” della prima ora sono poi stati ammazzati come traditori.
Insegnamenti da trarne? Alla larga dai tipi come Saint-Just.
Il fascio sta pure sul sedione di marmo dove siede la statua di Lincoln, nel Campidoglio americano…
Caro Aguzzi, lei continua a non spiegare le ragioni del suo “insulto” nei miei confronti. Chiamiamolo così per semplificare… ma visto che lei continua a ripeterlo senza spiegarlo, io ovviamente mi sento legittimato e, anzi, rafforzato, nel ritenerlo tale. E francamente comincio a sentirmi un po’ offeso e anche un pochino preso per i fondelli.
Lei scrive: “L’ho spiegato chiaramente e lo ripeto: «mentalità tipicamente fascistica. Dico tipicamente perché fa ricorso ai metodi fascisti per combattere gli avversari». E poi spiego perché il disegno di legge Fiano nasce da una concezione dello Stato, dei rapporti fra Stato e cittadini e della lotta politica improntata all’autoritarismo. Quindi, se non fascista in senso storico, certamente fascistica come mentalità.”
E quindi si lancia in un’ulteriore intricatissima sequela di “capre e cavoli” che nulla hanno a che fare con me e con i miei supposti metodi “fascisti”.
Ma che cosa ha spiegato, scusi?!
Quando avrò tempo e voglia leggerò meglio le sue elucubrazioni e le commenterò punto per punto . Nel frattempo la invito a prendere atto di non aver spiegato nulla e le chiederei cortesemente di chiedermi scusa per i suoi insulti (mettiamoci anche le “capre e i cavoli”, anche se su questi le ho già risposto per le rime).
Stia tranquillo non le manderò i miei secondi, al limite smetterò di leggere i suoi commenti (e me ne dispiace perché avevo trovato molto arguto quello sulla corazzata Potemkin)
Ad ogni modo un paio di capre e cavoli suoi mi piacerebbe commentarli. Come antipasto, diciamo…
Lei scrive: “L’incitamento all’odio razziale non è un’opinione, è un’azione e, secondo la legislazione italiana, è un reato. Come tale è legittimamente perseguibile e punibile.”
Mi limito a constatare che anche l’apologia di fascismo, anche senza l’approvazione del disegno di legge Fiano, è già reato in Italia. Quindi non si capisce bene di cosa stiamo parlando visto che seguendo la sua logica anche l’apologia di fascismo sarebbe considerata un’azione dalla legge italiana. Senza contare che odio razziale e fascismo sono strettamente connessi, come già detto in precedenza.
Poi però si lancia in una serie di distinguo che (mi scusi l’ironia, ma è un mio tratto distintivo, che talvolta sfocia in sarcasmo) sembra configurare che l’unica possibilità di intervento della legge “antirazzista” sia di fronte ad un gruppo di armati a cavallo con i cappucci bianchi e le croci infuocate, magari nel momento in cui stanno mettendo il cappio al collo di un povero “clandestino” (chiedo scusa per la parola oscena che però rende l’idea… come il “negro” o il “finocchio” del post precedente)
Comunque viste le manifestazioni nazifasciste che vanno moltiplicandosi, con buona pace di Aguzzi e degli anti-antifascisti (io almeno ho il buon gusto di non chiamarla “fascista” o “fascistico”), non siamo poi così tanto lontani da scenari di questo genere.
Restiamo a guardare e aspettiamo le croci uncinate fiammeggianti o cerchiamo di prevenire questa deriva? E lo chiedo MOLTO seriamente!
p.s. Ma davvero, Aguzzi, non capisce che differenza passa tra il pensiero che intende esprimere chi indossa una maglietta con l’effigie di Ernesto “Che” Guevara (presumibilmente la lotta contro l’oppressione) e il pensiero di chi indossa una maglietta con l’effigie di Benito Mussolini (presumibilmente l’auspicio di uno stato autoritario)?!
Faccio fatica perfino a pensarlo…
Caro Resentini,
io, come pacifista non violento, credo di non avere mai aggredito né insultato nessuno nei 74 anni della mia vita (salvo, forse, in qualche baruffa da ragazzini ai tempi delle elementari). Pertanto, se lei si sente offeso, le posso tranquillamente chiedere scusa. Ma ciò detto, la sostanza del discorso non cambia.
Lei rinnova il suo punto di vista, secondo me sbagliato e che nasce da una cultura e mentalità statalistica e ideologica autoritaria (così dicendo spero di non offenderla, pur mantenendo il mio punto di vista diverso dal suo). Ne è prova anche la sua distinzione fra il significato della maglietta alla Mussolini e quella alla Che Guevara, distinzione legittima in sede di dibattito culturale e politico e anche storico, ma tuttavia distinzione soggettiva che non può essere fatta propria come tale da una legge e, in applicazione di essa, da un tribunale senza con ciò dare allo Stato uno specifico orientamento ideologico di parte. Orientamento che lo Stato non deve avere. Lo Stato non deve dare giudizi ideologici ma difendere i cittadini e le istituzioni dalle aggressioni criminali, pertanto non può legittimamente dire che l’apologia del fascismo è proibita, ma può dire, ad esempio, che l’apologia della violenza è proibita, da qualunque parte avvenga e a qualunque dottrina ed esperienza storica si rifaccia.
Come lei dice, le leggi già esistenti proibiscono e puniscono la propaganda fascista e l’apologia del fascismo. Il loro essere è stato giustificato (anche dal sottoscritto, quando si è discusso di esse) in riferimento alla particolare situazione italiana di Paese uscito da una guerra scatenata dal regime fascista. Si trattava, pertanto, di una tipica situazione “speciale” che produce leggi speciali. Ma che oggi, a distanza di 72 anni dalla fine della guerra, anziché allontanarci da quelle leggi speciali le si voglia rafforzare aumentando le fattispecie di reato estese anche a comportamenti di pura manifestazione di un’opinione, mi sembra gravissimo. E mi sembra anche il segno viziato di 72 anni di storia che non sono riusciti, perché non si è voluto (da parte dei partiti di governo, compreso il Pci e poi i suoi discendenti), a sradicare il fascismo dalla cultura e dalla mentalità degli italiani, ma solo a mascherarlo sotto un velo solo parzialmente definibile democratico. Le proposte di legge alla Fiano non combattono il fascismo, perché nascono da una logica fascista, ma si limitano a cucire altre brutte pezze addosso alla brutta democrazia italiana.
Gaetano Salvemini, certamente non imputabile di simpatie fasciste, già negli anni Cinquanta sosteneva che la “nuova” democrazia italiana non era altro che una forma di fascismo senza Mussolini. E tale è rimasta.
La lotta contro il fascismo, se vuole essere sincera, si attua smantellando tutte le strutture fasciste ancora oggi largamente esistenti e restituendo quella enorme porzione di sovranità popolare rubata al popolo e di libertà individuali rubate ai cittadini. Non con leggi ideologiche e imprecise tipo le grida di manzoniana memoria.
Con i miei rispetti, Luciano Aguzzi
Scuse accettate e incidente chiuso.
Nel merito, devo rilevare innanzitutto che nei suoi ragionamenti lei confonde continuamente l’autoritatività con l’autoritarismo. L’autoritatività dello stato, vale a dire la possibilità di rendere cogenti le norme e le leggi, non ha nulla a che fare con l’autoritarismo, che consiste invece in un’abnorme limitazione delle libertà individuali.
La sua visione liberale (o liberistica) probabilmente è talmente estrema da confliggere con questo tipo di distinzioni fino a renderle irrilevanti. (Detto per inciso, non si capisce perché non si applichi mai la categoria di “estremismo” ai liberali, che sembrano sempre, quasi ontologicamente, dei moderati. A me non sembra!)
E’ perché confonde autoritatività e autoritarismo che si permette di definirmi “statalista” e “autoritarista”.
Nel merito delle questioni da lei sollevate, lei dice che “Lo Stato non deve dare giudizi ideologici ma difendere i cittadini e le istituzioni dalle aggressioni criminali, pertanto non può legittimamente dire che l’apologia del fascismo è proibita” e che se tale proibizione è esistita era giustificata e legittimata dalla particolare situazione storica e dalla contingente necessità di leggi “speciali”.
Bene, ora, tralasciando la sua visione riduttiva del ruolo dello stato che discende dalla visione liberale estremistica di cui sopra, non ritiene che ci troviamo (ORA, non 72 anni fa!) in una nuova situazione storica particolare in cui la convergenza di fattori sociali, economici e politici stia facendo emergere in maniera del tutto evidente in Italia e in Europa il ritorno a movimenti e a ideologie come il fascismo e il nazismo, queste sì, autoritarie e totalitarie?
Non ritiene che l’utilizzo di simboli che richiamano quelle ideologie comporti seriamente il rischio di incitare all’uso della violenza contro coloro che vengono additati da irresponsabili leader estremisti e xenofobi come il capro espiatorio della crisi economica, ovvero gli immigrati (come gli ebrei negli anni ’30)?
Infine, lasciando perdere per un attimo il discorso della contingenza storica, d’altra parte a mio avviso innegabile, le chiedo se non ritiene che l’uso di quei simboli non comporti COMUNQUE un neanche troppo implicito incitamento alla violenza, al razzismo e al totalitarismo?
Se la sentirebbe davvero di sostenere che chi si tatua una croce uncinata sul braccio sia animato da benevole intenzioni nei confronti degli ebrei o di altre minoranze o che chi tiene il busto di Mussolini in soggiorno abbia una visione liberale e libertaria dello stato e non si dichiari invece, in tal modo, favorevole all’uso indiscriminato della violenza contro coloro che ritiene nemici della Nazione?
(NB Può anche considerarle domande retoriche, se preferisce…)
Mi scuserete se esulo almeno parzialmente dal tema ma davvero mi sembra macabro che ci si strappi le vesti per qualche saluto romano e poi il processo Borsellino dopo un quarto di secolo si concluda con un nulla di fatto… tutti assolti perché l’inquinamento delle prove ha impedito l’individuazione dei colpevoli. Si sbracciano quando è il momento per ricordare le vittime della mafia e poi le istituzioni sono ampiamente colluse.
Mi viene sempre più il dubbio che davvero, rifacendosi almeno parzialmente anche alle parole di Aguzzi, abbia ragione un amico che mi ha detto: inutile litigare il fascismo non è altro che una variante di quella ideologia totalitaria che è chiamata democrazia borghese
Concordo con l’affermazione del suo amico: «il fascismo non è altro che una variante di quella ideologia totalitaria che è chiamata democrazia borghese».
L’ho già scritto altre volte e sul tema e categoria della «democrazia totalitaria» esiste ormai una vasta letteratura, le cui radici sono già presenti nei dibattiti di fine Settecento.
Ogni volta che la presunta democrazia decide a maggioranza (ma quasi sempre con una maggioranza fittizia, che nasce da meccanismi elettorali e procedurali che non rispettano in modo rigoroso il principio di maggioranza) su diritti e libertà individuali che non riguardano interessi comuni, compie un atto di tipo dittatoriale. E non rispetta i diritti delle minoranze, altro principio senza il cui rispetto non può esistere la democrazia, né in senso formale né in senso sostanziale. Si configura, di conseguenza, un vero e proprio totalitarismo “democratico” ogni volta che allo Stato e alla maggioranza (reale o presunta) che lo sorregge si attribuiscono compiti, facoltà e poteri che violano i diritti e le libertà inalienabili delle minoranza e dei singoli individui.
Perché una decisione sia legittima, non basta che venga presa a maggioranza, ma deve rientrare nei legittimi poteri di quella maggioranza. E se i poteri della maggioranza vengono accresciuti oltre ogni legittimità, tutte le decisioni prese a maggioranza risulteranno decisioni dittatoriali.
Nell’enorme, smisurata crescita di poteri attribuiti allo Stato è da individuare la radice di ogni tipo di governo autoritario, fascista, dittatoriale, totalitario. E questo fascismo, che è il vero fascismo di oggi, si combatte solo smantellando tutti i poteri superflui dello Stato restituendoli ai cittadini sia come individui sia come organizzazioni di vario livello e di carattere giuridico pubblico o privato.
La lotta al fascismo che parta da ideologie stataliste e superstataliste non è altro, nei casi migliori, la lotta di un tipo di fascismo contro un altro tipo. È, in sostanza, una guerra fra bande per la spartizione del bottino, raccolto rapinando («legalmente» e illegalmente) i cittadini.
La posizione liberale di Aguzzi è corretta, lo stato proibisce l’apologia della violenza non l’apologia di una parte ideologica piuttosto che un’altra (stranamente però proibire l’apologia di *tutte* le parti ideologiche violente è stata invece la posizione del governo *liberale* di Berlusconi con gli ex fascisti dentro).
Perdipiu’ il fascismo è finito 72 anni fa e basta etichettare tutto di fascismo! Anzi, diremo: che il fascismo è una posizione ideologica da foro interiore, una opinione, e non si proibiscono le opinioni. E diremo piuttosto che c’è un vero fascismo nelle strutture sociali economiche e politiche che limitano ancora da allora la sovranità dei cittadini ed è quello da combattere non i saluti romani.
Tutto risolto quindi, lo stato liberale che non entra nelle opinioni, e lo stato materiale che si trascina dentro un occulto fascismo eterno, quello sì da combattere (chi come quando non si sa).
Poi ci sono fatti come le curve degli stadi con striscioni e parole che ripetono l’ideologia fascista, oggi non 72 anni fa, e c’è un Carminati qualunque che si dichiara fascista (anche Reina), e qui l’opinione confina da vicino con comportamenti pericolosi agli altri. Insomma le distinzioni liberali non riescono a ordinare in modo pulito la realtà, che è molto più densa degli schemi. Ma è in quella densità che bisogna mettere le mani legiferando.
Ora la proposta di legge di Fiano (che non conoscevo) è superflua e formale, ma avvertire l’emergenza del ripresentasi del nesso violenza-fascismo non lo è. Anche perché quel nesso di massa sostiene – con comportamenti e non per ideologia – quelle strutture fasciste ancora oggi largamente esistenti di cui Aguzzi scrive.
Concordo su quasi tutto, ma non sulla definizione di liberale, per quanto messa tra virgolette, di Berlusconi. Questo leader ormai stracotto è partito da promesse liberali che ha poi regolarmente smentito e tradito.
Osservo inoltre che il liberalismo, come dottrina politica, in tutte le sue varianti, afferma una serie di principi che poi, in pratica, nel corso della storia, non ha rispettato. E fin qui ciò trova un’analogia in tutte le dottrine politiche che, passando dalla teoria ai fatti, si smentiscono, come è avvenuto anche per il socialismo e il comunismo.
Ogni volta che una dottrina parla di libertà e di diritti che poi cerca di applicare in forme violente e di parte, a favore di alcuni e a danno di altri, smentisce i propri principi. Ciò è inevitabile e ormai, credo, ne siamo tutti convinti. Ma il solo modo di attenuare le conseguenze dannose non sta nella ricerca di una maggiore purezza, ma nell’ampliare le libertà e i poteri dei cittadini e diminuire quelli dello Stato.
La frase: «Lo Stato siamo noi» è una palese menzogna. Non solo in via di fatto, ma anche in via di diritto, perché le dottrine giuridiche distinguono con precisione fra Stato come apparato e Stato come comunità. Quando lo Stato come apparato opprime la comunità e i singoli individui che la compongono non si può dire che lo Stato siamo noi, ma si deve dire che lo Stato è il nostro principale nemico.
Il fascismo come atteggiamento anche interiore, come mentalità violenta, ha origini diverse che vanno dalla natura umana (un certo numero di individui tende alla violenza, ama la violenza, e probabilmente questo è un fatto che perdurerà per lungo tempo), all’ambiente e alla cultura che poi realizzano in forme diverse la natura umana di ognuno. Sull’ambiente e sulla cultura si può agire, ma non è detto che l’azione penale sia sempre la migliore, anzi. Qui non è possibile un discorso sulla cultura contro la violenza perché sarebbe troppo lungo. Mi limito a ricordare solo la necessità di applicare il principio di “responsabilità”, sempre più trascurato nella cultura odierna. E di certo lo statalismo che vuole dei sudditi e non dei cittadini non è l’ambiente migliore per educare al principio di responsabilità. E la disgregazione culturale e sociale delle comunità di base che perdono ogni autonomia è un altro fattore che non aiuta il formarsi, fin da piccoli, del senso di responsabilità.
p.s. ho risposto ad Aguzzi delle 5.28 a Resentini.
Segnalo sul tema un interessante articolo di Donatella Di Cesare dal Corriere della Sera:
http://www.corriere.it/opinioni/17_luglio_16/apologia-fascismo-ae67a2c2-6982-11e7-8ca5-a296e06be357.shtml
Proprio perché non siamo più all’epoca del fascismo, ciascuno ha il diritto di pensarla come vuole. Per i nostalgici del fascismo, e i nuovi arrivati, è fatto divieto di alzare il braccio (destro) e di rompere le scatole, punto. Siccome però non siamo fessi come pensano quelli del PD (son cacciatori di voti, mentre votano a favore delle banche si preoccupano di non perdere la faccia a sinistra), possiamo facilmente renderci conto che queste ulteriori misure restrittive vanno a toccare internet e relativi controlli. Ecco, io solo per questo diffido: perché con la scusa del fascismo qualcuno potrebbe estendere la sorveglianza su ogni altra faccenda, per poi stabilire se la tal cosa detta possa essere tacciata di fascismo. In sostanza, pare a me che queste nuove misure son state pensate per dare contro a ogni estremismo. Le leggi contro il fascismo già esistenti sono bastate fin qui a costringere i fascisti a non potersi quasi nemmeno dichiarare tali, non gli han dato speranza. Poi si sa che fascismo non è una parola soltanto, ma almeno un argine c’è.
Ricordino dal piccolo mondo antico.
Sotto la monarchia dei Savoia, sino al fascismo escluso, in Italia continuavano a esserci tanti circoli borbonici, frequentati dai nostalgici del Regno delle Due Sicilie. Non avevano avuto la mano leggera con i legittimisti borbonici, i Savoia, quando s’era trattato di unificare l’Italia: chiamandoli “briganti”, decretando lo stato d’assedio, facendogli una guerra spietata che costò 50.000 morti, tra cui molti civili. Però, i circoli borbonici i Savoia non li chiusero. Li chiuse il cav. Benito Mussolini, insieme ai circoli degli altri partiti. Meditare.
“Non avevano avuto la mano leggera con i legittimisti borbonici, i Savoia” (Buffagni)
Qualcuno obietterebbe che invece, a partire da Togliatti, i “vincitori” del fascismo la ebbero, eccome, coi fascisti…
Secondo te la IIGM è “mano leggera”? Leggi bene, Ennio: DOPO la conclusione delle ostilità, DOPO aver vinto sui legittimisti borbonici, i Savoia NON infierirono sui vinti. Prima sì, dopo no. Prima decretarono lo stato d’assedio, votarono la legge Pica conforme la quale chiunque, nell’ex Regno delle Due Sicilie, se colto a possedere anche la banale doppietta per le lepri poteva essere passato per le armi sul posto (e quanti ne furono fucilati!), fecero 50.000 morti, in breve adottarono una linea di estremo (e sciagurato, benchè parzialmente giustificabile) durezza.
Poi, una volta consolidata la vittoria, non impedirono a nessuno di dichiararsi pubblicamente legittimista, non richiesero abiure, non inserirono nello Statuto il divieto di ricostituzione del partito legittimista, etc.
Perchè? Erano buoni, i Savoia? Mah, non direi che fossero particolarmente buoni. Però non avevano bisogno di convalidare il loro regno con l’antilegittimismo perenne, di coalizzare un ampio fronte culturale e politico con il collante dell’antilegittimismo, questo orrore metafisico che da un momento all’altro può rispuntare nelal vita italiana, bla bla bla.
Carissimo Buffagni
Interessante la tua notazione. Anzi ti aggiungo che qualche tempo fa mi capitò casualmente di finire in un circolo di studiosi gentiliani e scoprii connun certo stupore che vi era una non piccola componente tardoborbonica che esaltava le istituzioni scolastiche pre unitarie… Questo però mi consente di farti notare che i Savoia non usarono la mano dura contro i borbonici, se si escludono forse frange radicali di tradizionalisti aristocratici , ma contro quelle plebi che per fare il verso a Verga avevano male inteso l’arrivo della libertà di cui avrebbe dovuto essere araldi il Garibaldo… d’altronde l’unità fu da molti punti di vista un compromesso fra classi dirigenti. Qui emerge il nostro eterno problema sulla dialettica di classe ma è tema troppo complesso per queste poche righe. Poi sull’opera del figlio del fabbro romagnolo meglio un velo di silenzio…
Caro Toffoli,
si dà il caso che io sia diventato amico di un discendente di ufficiale che, al servizio di Sua Maestà di Borbone, combattè valorosamente contro le truppe italiane nella “guerra al brigantaggio”; tra le quali combatteva anche un antenato mio. Bene: ti certifico che l’antenato del mio amico, di famiglia tedesca da generazioni al servizio del Re di Napoli, come le truppe regolari e le bande irregolari che combattevano con lui, lo facevano in nome di Sua Maestà, per la restaurazione del Regno delle Due Sicilie. C’erano sicuramente anche istanze sociali, tra quelle bande irregolari, dove alcuni comandanti, e non dei meno bravi, s’erano schierati con Garibaldi per poi cambiare bandiera una volta scoperto che Garibaldi non portava “la giustizia” che loro attendevano. Ma combattevano tutti per “‘O’ Re”; e anche per la Chiesa. Se l’aspettavano da loro, la giustizia. Sarebbero rimasti delusi, se avessero vinto? Forse, probabile. Ma intanto per il re e per la religione, combattevano. Poi vedi tu.
Quanto a Mussolini, fu lui a porre termine a questa tolleranza monarchica: vedi il suo “discorso dell’Ascensione”: http://cronologia.leonardo.it/storia/a1927v.htm
SEGNALAZIONE
* E’ un articolo di un annetto fa e positivamente problematico. E’ del tutto in tema con la discussione di questo post, che è rimasta – a me pare – un po’ sospesa a mezz’aria. [E. A.]
25 Apr. 2016
C’è un pericolo fascista? E in che senso?
Scritto da Aldo Giannuli.
http://www.aldogiannuli.it/ce-un-pericolo-fascista-e-in-che-senso/
Sono un vecchio antifascista (praticamente da sempre, perché cresciuto da una zia di formazione azionista) ed il 25 aprile è una data che mi ha sempre detto qualcosa. Mi pare giusto dedicare il pezzo di oggi ad un tema connesso: è ancora attuale parlare di un pericolo fascista?
Badate bene: non ne consegue affatto che se non lo fosse, non sarebbe neppure attuale l’antifascismo, che è questione diversa da affrontare in separata sede (l’antifascismo non è stato solo un “contro” ma ha avuto anche un contenuto positivo di nuova democrazia di cui parleremo prossimamente). Qui vogliamo occuparci del se i fascisti possono rappresentare, ed in che modo, un pericolo ancora attuale. Inutile negare che ci siano segnali di un certo dinamismo dell’estrema destra in Europa: in Francia esiste la possibilità (poco probabile, peraltro) di una vittoria del Fn della Le Pen, in Ungheria Jobbik ottiene percentuali considerevoli e lo stesso partito di governo che passa per “liberale” è influenzato fortemente dalle tematiche del suo rivale di destra e non è poi così distante da posizioni fascistoidi. In Grecia il movimento di Alba Dorata, pur lontano da possibilità di vittoria elettorale, ha però un seguito tutt’altro che trascurabile. In Italia è possibile (ma poco probabile) un successo di Fratelli d’Italia a Roma, con la Meloni, soprattutto, si assiste ad un certo dinamismo di gruppi classicamente nazi-fascisti dediti ad un attivismo violento come Forza Nuova, Casa Pound ecc. Eccetera eccetera…
Guardiamo un po’ dentro queste realtà: dove i gruppi fascisti hanno percentuali tali da poter diventare forze di governo magari partecipando coalizioni a coalizioni in posizione subalterna (Italia, e soprattutto Francia), si tratta di forze che hanno messo molta acqua nel vino fascista di origine: il gruppo della Le Pen e quello della Meloni sono solo pallidissime imitazioni del fascismo storicamente conosciuto. Hanno una ispirazione nazionalista, sono xenofobi e magari razzisti, sono anticomunisti, ma non mi pare che meditino di sciogliere gli altri partiti e sostituire il Parlamento con la Camera dei fasci e delle corporazioni, magari gli piacerebbe ripristinare confino e Tribunali Speciali, ma sanno che la cosa non ha alcuna possibilità di realizzazione, quanto all’originario antisemitismo, mi pare non ci sia più traccia. Sostanzialmente si tratta di varianti interne allo schema neo liberista, con accenti autoritari.
Diverso è il discorso dei gruppi “militanti” come Forza Nuova, Casa Pound, Alba Dorata, Jobbik, ecc, dove l’identificazione con il fascismo storico è più netta ed evidente, ma salvo i casi particolari di Jobbik ed Alba Dorata, si tratta di gruppi che non hanno molto seguito, soprattutto elettorale: quasi mai superano l’1% dei consensi. Ma questo non vorrebbe dir nulla: nel 1919 la lista fascista si presentò solo a Milano per prendere 4.000 voti in tutto, ma tre anni dopo c’era la marcia su Roma.
Dobbiamo chiederci se ci sono le condizioni storiche per l’affermarsi di un regime fascista e ci sono almeno due differenze decisive rispetto agli anni venti. Nell’esperienza storica, non è mai successo che un movimento fascista sia arrivato al potere (come in Italia, Germania, Spagna, Portogallo ecc.) senza aver ricevuto l’appoggio decisivo del gran capitale (o, più in generale, dei ceti economicamente dominanti) che lo ha utilizzato quale sua stampella utile superare particolari momenti di crisi. Non mi sembra che oggi l’iper capitalismo finanziario abbia interesse alcuno ad una soluzione di tipo fascista, non fosse altro perché la concezione statuale del fascismo (totalmente interna al modello westfalico) è semplicemente antitetica al modello di governance che si sta affermando e risulterebbe di disturbo alla libera circolazione dei capitali. Il neo liberismo ha realizzato già una dittatura: quella della finanza sull’economia e la società, una dittatura politica sarebbe solo un impiccio. Anche sul piano del militarismo, non si può dire che il potere neo liberista ne sia indenne, ma esprime un modello di militarismo diversissimo da quello fascista.
Peraltro, c’è anche una fitta rete di accordi internazionali e di organismi che condiziona l’azione di governo di ogni singolo paese e che, forse, potrebbe essere incrinata solo da una vasta rivolta popolare. Ma questo richiederebbe un forte radicamento popolare e, qui veniamo alla seconda differenza: il fascismo degli anni venti ebbe una sua massiccia base sociale che, tanto nel caso italiano quanto in quello tedesco, attinse all vasto serbatoio dei reduci e similmente accadde in Ungheria, Romania, Austria, mentre in Spagna questa base fu fornita alla Falange essenzialmente dal tradizionalismo cattolico. Oggi non sembra che ci siano le premesse sociali necessarie ad una espansione di un eventuale radicamento fascista. I gruppi di estrema destra esprimono un accentuato dinamismo giovanile, ma circoscritto ad alcune migliaia (al più qualche decina di migliaia) di militanti, ma hanno un serbatoio non particolarmente ampio dal quale attingere e, pertanto, hanno limitate prospettive di crescita. Quando ai due casi “anomali” di Grecia ed Ungheria, va detto che si tratta di piccoli paesi di scarso peso politico. Dunque, eccezioni circoscritte e poco espandibili.
Dunque, possiamo concludere che di rischi di affermazione di un regime fascista non ce ne sono, almeno entro un orizzonte storicamente prevedibile. Se poi arrivano gli Ixos è un altro paio di maniche, ma per ora questo è fuori dal campo del reale.
Ne conseguirebbe che dunque, potremmo anche disinteressarci di questi gruppetti rumorosi, salvo che per la molestia delle loro attività squadristiche che, però, rappresentano più che altro un problema di polizia e non politico.
In realtà le cose non stanno così, e, se non ci sono le precondizioni per l’affermarsi di un regime fascista, questo non vuol dire che i fascisti, anche quelli dei gruppi più estremi, non abbiano una loro incisività a livello sistemico.
In primo luogo, non è da sottovalutare il loro ruolo a cavallo fra criminalità comune e corruzione politica: il caso Mafia Capitale lo dimostra. Mi si potrà rispondere che tanto la Mafia quanto la corruzione politica esistono e collaborano benissimo anche senza il contributo di Carminati. Certamente, però i fascisti, anche quando hanno smesso di occuparsi di politica, hanno un “valore aggiunto” rispetto alla malavita comune. Il malavitoso ha esclusivamente fini di lucro personale e pensa essenzialmente in questi termini, mentre il fascista, che è pur sempre un “soldato politico”, porta una capacità di inquadrare in un contesto politico anche gli affari di Mafia, ha una maggiore capacità di muoversi in ambienti politici, soprattutto, quelli più affini di centro destra, e, cosa che non guasta, ha spesso maggiore dimestichezza con gli ambienti dei servizi segreti di quanto non accada normalmente a mafiosi e tangentisti. Storicamente i rapporti fra n’drangheta e servizi sono stati propiziati dal comandante Borghese, così come gli ordinovisti milanesi furono efficace cerniera fra i trafficanti d’armi e gli ambienti dei servizi, per non dire del ruolo della destra romana con la Banda della Magliana (lontana radice di Mafia Capitale). E questo ha i suoi riflessi politici.
In secondo luogo, i fascisti, hanno un ruolo non trascurabile nel fornire una base attivistica (non solo in termini squadristici, ma anche di propaganda ed organizzazione) per tutto il fronte di destra e di centro destra. Non è un mistero che gruppi di destra, insieme alle “curve” da stadio che egemonizzano, abbiano avuto spesso un ruolo di primo piano nell’organizzare le manifestazioni del Cavaliere che si disobbligava con qualche generosa regalia, ma anche con qualche concessione politica. E questo non accade solo in Italia.
Ma l’effetto di maggiore rilievo è nell’osmosi di culture politiche. I gruppi fascisti offrono un modello organizzativo attivistico, hanno una cultura politica che si presta magnificamente alle campagne xenofobe e fornisce teorizzazioni antiegualitarie perfettamente funzionali allo spirito neo liberista. Insomma il neo fascismo oggi rappresenta una sovrapposizione batterica sul fenomeno neo liberista che prepara qualcosa di nuovo, prodotto da questa contaminazione. Un nuovo tipo di autoritarismo funzionale al potere finanziario, ma più aggressivo e pericoloso dell’involucro liberale in cui esso è stato avvolto.
Ed è a partire da queste considerazioni che occorre ripensare ai modi ed alle forme del contrasto al fascismo. E allo stato attuale ho l’impressione che il fenomeno sia, tutto sommato, sottovalutato nella sua pericolosità reale. Non so se le forme più adatte a contrastarlo siano quelle della levata di scudi contro ogni loro manifestazione, il che, oltre che avere uno sgradevole sapore di specularità del fenomeno che si vuol combattere, è anche un eccellente modo di fargli pubblicità.
La realtà è molto più complessa ed occorre trovare i contenuti e le forme di comunicazione che limitino ulteriormente la loro presa potenziale su ambienti giovanili. Occorre soprattutto comprendere che il nemico principale non sono loro ma quell’iper capitalismo finanziario da cui prende origine l’ondata neo liberista su cui si stanno sovrapponendo.
Aldo Giannuli
SEGNALAZIONE
* Sempre sul tema del cosiddetto “ritorno del fascismo”. Tutta da studiare questa prima parte di una sorta di nuova *autobiografia di una nazione in crisi* che Claudio Vercelli ha appena pubblicato su DOPPIO ZERO. Aspettando la seconda. [E. A.]
Né destra né sinistra, semmai peggio
Claudio Vercelli
http://www.doppiozero.com/materiali/ne-destra-ne-sinistra-semmai-peggio
Stralci:
1.
In altre parole, perseguire penalmente una condotta in quanto reato non può costituire una scorciatoia rispetto all’afasia e alla paralisi dell’azione politica. Detto questo, rimane il fatto che in Italia il fascismo non torna per il semplice motivo che non se ne è mai andato. Senz’altro il regime politico mussoliniano è ingloriosamente tramontato in ragione di una congiura di palazzo, dopo vent’anni di diretta corresponsabilità da parte delle classi dirigenti “afasciste”, a partire dalla monarchia. Non di meno, la cupa e delirate Repubblica sociale italiana si è accartocciata tragicamente, per poi estinguersi in quanto fantoccio insufflato dal «camerata germanico». Storia vecchia, forse. Ma il calco antropologico del fascismo, la sua funzione pseudo-modernizzante nell’età della nazionalizzazione delle masse, con il loro pieno ingresso nella sfera pubblica in posizione subalterna, non si è mai esaurito. In quanto di impronta si tratta, destinata quindi a sopravvivere alle manifestazioni temporanee del soggetto che l’ha impressa. Certo, non tutto quello che tentiamo di definire, a volte con un eccesso di disinvolta nomenclazione, come «fascismo», risponde ai precisi esiti politici della sua trascorsa espressione storica. La tentazione di rubricare ciò che disgusta e repelle sotto un’unica voce, rischia più di rendere una cortesia a quanto si dice di volere contrastare, estendendone il campo del dominio semantico e simbolico invece che assolvere al ruolo di denuncia. Rimane il fatto che se di un calco si va parlando, allora esso esiste perché alla forma che ci consegna corrispondono delle copie.
2.
Già Umberto Eco, nel suo discorrere sulle componenti idealtipiche dell’«Ur-fascismo», aveva composto un sistema di falsi valori identificato con il culto della «tradizione»; nel sincretismo ideologico connotato da un’asfissiante inconsistenza teorica a fronte di una devastate propensione ad invadere tutti gli ambiti della vita associata; in una imprescindibile vocazione all’arbitrarietà e all’opportunismo pseudo-culturale; nel camuffamento di un violento bisogno di dominio con il possesso e il deposito di «verità ancestrali», di cui il progetto politico si incaricherebbe esclusivamente di tradurne operativamente l’inderogabilità; nel rifiuto della varietà culturale ma anche nell’esaltazione del scientismo e della tecnologia come elementi neutrali nell’esistenza civile; nel culto dell’azione fine a se stessa, intesa essenzialmente come esibizione vitalistica, dove non si lotta per vivere meglio ma si deve orientare la propria esistenza per la lotta; nella concezione del pluralismo e della critica come di un disaccordo che mina alle basi la continuità dei legami sociali; nell’uso politico della frustrazione e del disagio, indicando come soluzione alle crisi identitarie il riconoscersi in una meta-appartenenza, quella della «nazione etnica»; con l’ossessione paranoide per la storia come complotto, generato da potenze metafisiche, di cui gli ebrei sarebbero la quintessenza umanoide; nell’idealizzazione negativa dei «nemici», così forti da minacciare l’altrui diritto all’esistenza ma anche così meschini e ripugnanti da dovere essere battuti; nell’elitismo come cognizione aristocratica del ruolo di guida in un percorso comune; nell’eroismo come angosciante erotismo necrofilo fino alla concezione della lotta come guerra e della guerra come prosieguo dell’esercizio prevaricatorio del dominio di genere; nel conflitto semantico e con l’istituzione di una neolingua dai significati contratti, dalla sintassi basica ed elementare, espressione di una logica primitiva.
3.
Questo insieme di elementi, sia sempre detto e quindi ripetuto a scanso di equivoci, non corrisponde ad essenze immutabili bensì ad un vero e proprio apparato pulsionale, che poi si fa anche regime politico, qualora se ne diano le condizioni reali. La forza del fascismo che rimane è, d’altro canto, la sua capacità metamorfica. Del pari ad un suo fratello in armi, l’antisemitismo, trattandosi di due patologie della contemporaneità che frequentemente si incrociano, solidarizzando e rinforzandosi vicendevolmente. Va comunque da sé che la questione non si chiuda in questi soli termini.
4.
Se si vuole avere un indice di riferimento, risparmiandosi voli pindarici così come arrampicate nel cielo delle astrazioni, è un buon esercizio seguire l’ossessionante diluvio di compiaciute diffamazioni che si è riversato su Laura Boldrini, combinato disposto tra false notizie, veicolate sempre più spesso dai Social Network, fittizie cronache su quotidiani nazionali e corredo di invettive, vituperi e insulti. Poiché dallo strame della ragione che accompagna l’aggressione pressoché quotidiana nei riguardi della donna che ricopre la terza carica dello Stato in funzione di rappresentanza collettiva, si coglie tutto il deposito mentale, ossia sub-culturale, che rimanda, come un link funzionante in automatico, al fascismo perenne, persistente, eterno e paludato che dir si voglia. Il problema, come già avevamo avuto modo di rilevare, in questo caso non è il giudizio politico su Boldrini ma il suo essere divenuta il bersaglio di una serie di violenti, diffamatori e strumentali attacchi a prescindere, ossia che esulano dai riscontri di fatto, cercando semmai di sostituirsi essi stessi ai fatti, per affermarsi come una sorta di realtà parallela, che vive una esistenza propria. La qual cosa indica non solo che chi ascolta e recepisce certe cose non intende sottoporle a verifiche ma che con il suo fare è alla ricerca di una realtà “altra”.
5.
Va poi registrato che negli indici di aggressività si stanno contraddistinguendo non pochi quotidiani nazionali, in parte collocati a destra dello spettro politico, come «Libero», «il Giornale», «il Tempo», «la Verità», in parte più mediani o “neutrali” (a volte anche il sansonettiano «il Dubbio», quasi una sorta di contrappasso alla testata diretta da Belpietro, definendosi come «il quotidiano che sbatte i diritti in prima pagina»). Si tratta di una vera e propria strategia della confusione, tra cosiddette «fake news» e uno pseudo-dibattito politico, quest’ultimo basato sulla maniacale reiterazione sempre degli stessi cliché. In questo agone confluiscono tratti tipici della fascisticità, ancorché spuria, per l’appunto calco antropologico piuttosto che ideologia politica, che peraltro ha sempre faticato a riconoscersi fino in fondo come tale: machismo e sessismo; un razzismo che si propone come interclassismo xenofobico; l’ossessione da invasione e il rimando all’«identità» come se essa fosse una sostanza eterea ed eterna; il sovranismo e l’appello alla «difesa dei confini», materiali e simbolici; l’angoscia da perdita e l’evocazione persistente di un risarcimento senza il quale si è, e si rimane, «vittime».
6.
Un altro indice è il gioco allo sparigliamento delle carte al quale personaggi televisivi già da tempo ci avevano abituati, salvo trovare ora nuovi aedi. Il tratto comune tra generazioni diverse è il ricorso a quella che potrebbe essere definita la tecnica dei chiasmi, o dei riversamenti parossistici nell’opposto: gli “autentici” fascisti sarebbero gli antifascisti (tra i diversi esempi possibili, un Diego Fusaro d’annata su: «il fascismo dell’odierno antifascismo»). Si contraddistingue, in questo bailamme, la sequela di articoli che da diversi giorni accompagnano e corredano le ampie fogliate giornalistiche sulla proposta di legge presentata da Emanuele Fiano. Anche qui, al netto dei giudizi sulla bontà e sulla opportunità o meno di tale disposizione a venire, quel che residua è l’atteggiamento, così come gli stilemi linguistici, che corredano il suo rifiuto da parte di una destra che richiama gli altri all’obbligo della liberalità quando, per ciò che la concerne, se ne esenta in automatico, con assorto spirito auto-assolutorio. Il linguaggio della denigrazione è un collante universale, riducendo a stereotipi e a bozzetti macchiettistici idee e persone: espressioni oramai non solo ricorrenti ma consolidate, quindi di senso comune, come «buonismo» e «radical-chic», appartengono ad un’idiomaticità che, etichettando circostanze e attori, evita di entrare nel merito dei problemi per attribuirne la responsabilità, a prescindere da qualsiasi concreta verifica, a chi ne è fatto derisoriamente destinatario.
7.
Da sempre, d’altro canto, la strategia di irridere risponde a due bisogni: coprire il proprio senso di inadeguatezza, ovvero la mancanza di una controproposta di merito, e al medesimo tempo stigmatizzare e deformare l’immagine dell’avversario. Si concentra su quest’ultimo l’attenzione collettiva, distogliendola dal vuoto pneumatico del proprio dire. L’anti-intellettualismo è tornato in auge da molti anni ed è il vero corredo, come nel più classico fascismo, delle posizioni che simulano una disponibilità all’azione o, comunque, una reattività basata sull’enfatizzazione della pulsione, a tratti quasi etologica, comunque pavloviana.
8.
Il vero rischio che si sta correndo, soprattutto in alcuni ambienti politici, è di convincersi che la risposta a questo stato di cose sia garantita da un pericoloso baratto, quello che sostituisce alle battaglie per i diritti sociali l’enfasi esclusivista sui diritti civili, intendendo questi ultimi come la garanzia del pluralismo quand’essi, in assenza di reali possibilità di accesso alle risorse materiali ed espressive per una parte sempre più rilevante della popolazione, potranno essere fruiti esclusivamente come diritti alla differenza individuale o di gruppo.
9.
Oggi il problema non è il ritorno del fascismo vecchio stile, e del suo corredo razzista, ma l’affermarsi di una vera e propria egemonia sub-culturale che rimanda al radicalismo delle destre estreme, nobilitate, in alcuni loro aspetti, a elementi delle culture di governo. Il dispositivo antisemitico sta dentro questa traiettoria collettiva. Il discorso in tal senso ricorrente demanda a diverse parole chiave, variamente declinate: «identità», «straniero», «invasione e minaccia», «popolo e morale» (soprattutto nel senso di una ipotetica rottura dell’ordine naturale e della funzione della politica come strumento per ripristinarlo), «élite e popolo» (ovvero della lotta dal basso contro l’alto), quindi «prossimità e distanza» così come «autenticità e artificiosità» (alla ricerca delle radici perdute del legame sociale) ma anche «Europa e antieuropeismo».
10.
La sfida lanciata da tempo dalla destra radicale sta nel suo passaggio dalla conservazione al movimento, per ripristinare «l’ordine naturale perduto», presentandosi come soggetto che intende guidare il mutamento e, nel medesimo tempo, contrapporsi ad un liberalismo che si limita a registrare i cambiamenti, dipingendoli e spacciandoli per neutrali, poiché di essi ne beneficia, a discapito della «comunità di popolo».
11.
Ciò a cui stiamo assistendo è un ribaltamento dei poli, dove l’antagonismo viene letteralmente metabolizzato dentro l’identitarismo populista. Si tratta della restaurazione di una «teologia politica» fondata sulla «nazione». La quale cosa implica il riposizionamento del legame sociale, il suo nuovo radicamento in un determinato territorio ma anche il vivere il rapporto con gli omologhi come un destino tanto ineluttabile quanto imprescindibile. E come tale da desiderare.
12.
Da ciò deriva il comunitarismo di ritorno tipico del radicalismo di destra: il «suolo», in quanto istanza generativa di identità e tradizione, viene contrapposto alla «tecnica»; è enfatizzato il valore della lentezza in contrapposizione alla velocità delle transazioni, soprattutto finanziarie; è identificata la prossimità nelle relazioni interpersonali come indice di veracità morale; si stabilisce un’affinità tra le persone in base ai vincoli di reciprocità etno-culturale e non al contratto e alle intermediazioni, altrimenti garantite dal diritto; si rimanda all’“autenticità”, che è tale sempre e comunque solo se perduta nei miasmi della contaminazione causata dai processi migratori (e come tale da ritrovare attraverso un’opera collettiva di risanamento della società, identificando chi può fare parte di quest’ultima a pieno titolo e chi no); si accentua il ruolo delle emozioni come fonte sorgiva della comunità politica (l’immediatezza, la “spontaneità”, ancora una volta la naturalità di contro alla distanza, alla mediazione, alla ragione e al calcolo, freddi strumenti di una borghesia eurocratica). Già da questo primo novero di temi, non si avrà difficoltà a ritrovare alcuni lineamenti di fondo della vecchia e mai tramontata «rivoluzione conservatrice», il vero filo nero dell’intelligenza fascista nel Novecento. E tuttavia il catalogo non si esaurisce con questi accenni. Fondamentale, ad esempio, è il rimando al tema, già citato, del «panico identitario», che nasce dal bisogno di ridefinirsi «in rapporto a comunità molto coese». Si tratta di un gioco degli specchi: la percezione che gli “altri” siano un fronte unito, minaccioso, induce a riflettere sulla propria condizione presente, sempre più spesso intesa come uno stato di miseria che nasce dal non identificarsi in una dimensione intersoggettiva.
13.
Ciò che resta di una sinistra senza spirito e priva di corpo si fa dettare l’agenda dalla “vecchia-nuova” destra illiberale. Un paradosso che non nasce solo dall’inanità culturale della prima ma in primis dalla inconsistenza del “liberalismo” del quale si ritiene depositaria. È proprio quest’ultimo elemento ad alimentare, come se si trattasse di una sorta di risarcimento, i fantasmi miracolosi di un ritorno ad un passato edenico, che si dice perduto. Ne deriva, come conseguenza prevedibile, l’insistenza sui «valori» e sulla restaurazione della morale. Lo scambio conflittuale che viene proposto è quello di «rimoralizzare spazi senza regole» di contro alla minaccia anomica.
Rileggendo le cose dette ,mi sono immedesimato in Bertoldo , non quello di Bettimo, ma quello della maschera e…. sono rimasto trafelato ed esterefatto ! Tante parole servono solo ad esternare una condizione che si trova solo nei …libri….e nel linguaggio culturale . Ci si è mai domandati cosa ne sanno del fascismo i ragazzi ? …quasi nulla , anzi nulla … la stragande maggioranza lo vede come un periodo in cui si è fatto ” qualcosa” !!! La deriva è forse foriera di una scuola che ha avuto una grande “disattenzione” a far conoscere questo periodo e spiegarlo anche storicamente ? Anzi pecca nelle sue forme anche nel farlo ri-conoscere ,come nell’architettura, usata dal regime per imprimere fasti ,che mai ci sono stati . Magari spiegando che la scuola milanese , vicino al razionalismo, si oppose alla scuola romana del monumentalismo del Piacentini e creò alcune cose degne di essere ricordate. E da qui che bisogna ripartire,per far “capire ” e non per “inculcare” il seme della libertà !
Questo articolo di Vercelli mi fa concludere che sì, l’antifascismo è una cosa seria, come si dice “malattia seria”, e nel suo caso a quanto pare acuta.
@ Roberto Buffagni
Le “malattie serie” si curano , non si deridono. Ma l’analisi di Vercelli non mi pare abbia a che fare con nessuna malattia.
Temo che l’antifascismo (di oggi) sia incurabile, e quindi ci rido bonariamente su.
Il fascismo eterno è una cosa che NON esiste.
Ci sono e ci possono essere cose anche molto peggiori del fascismo (storico, realmente esistito) ma NON sono avatar del fascismo. Siccome ne sento parlare e ne discuto da una quarantina d’anni, del fascismo eterno, ammetto che mi sono un po’ stancato. Posso contare sulle dita di una mano le persone provenienti da cultura “antifascista” con le quali ho dialogato su questo tema, e che, pur conservando differenze culturali e politiche anche molto profonde rispetto alle mie posizione, convenivano, in buona sostanza, con la mia persuasione (ragionata): che il fascismo eterno NON esiste. Una è morta (Preve). Va bene così, magari abbiamo torto noi.
Anch’io ho molte riserve sulle teorizzazioni troppo “archetipiche” dell’Ur-fascismo di Eco. Vorrei rimanere coi piedi nella storia.
Per chi volesse documentarsi sul testo: http://www.punk4free.org/articoli/18-politica/3087-umberto-eco-lur-fascismo-il-fascismo-eterno.html
DA POLISCRITTURE FB A POLISCRITTURE SITO
Claudio Resentini
Caro Ennio,
scusami se te lo dico con la consueta franchezza, ma a me sembra che mentre noi a sinistra, stiamo qui a guardarci, un po’ troppo, come al solito, l’ombelico, dall’altra parte stiano affilando i coltelli per tagliarci la testa.
Mi sembra che il dibattito in corso sia un po’ anacronistico e cito a questo proposito un brano del dotto scritto da te postato, che credo renda bene l’idea: “La tentazione di rubricare ciò che disgusta e repelle sotto un’unica voce, rischia più di rendere una cortesia a quanto si dice di volere contrastare, estendendone il campo del dominio semantico e simbolico invece che assolvere al ruolo di denuncia.”
No, no e poi no! Non è più il tempo in cui ciò che non ci piaceva (e soprattutto CHI non ci piaceva) veniva etichettato come “fascista”, che lo fosse o meno! (Caso mai, sia detto en passant, dovremmo discutere di coloro che usano, mutatis mutandis, il termine “comunista” con tale funzione).
Non è più il tempo delle sedute di autocoscienza o di psicanalisi per fare i conti con il nostro passato e/o con un nostro ipotetico super-io autoritario. Guradiamo piuttosto al presente, e se possibile al futuro.
Dobbiamo affermare con forza e senza tentennamenti la necessità dell’antifascismo nel momento in cui (di questo Saverio Ferrari ci ha acutamente messo in guardia) il fascismo si riveste di una patina “rvoluzionaria”, attrattiva nei confronti delle nuove generazione e del loro “naturale”, mi si passi il termine, “ribellismo” giovanile”.
Va bene non dimenticarci la storia (ovvio!), ma, e lo dico provocatoriamente, lasciamo perdere l’amnistia togliattiana per i grigi funzionari del regime e pensiamo piuttosto a contrastare con tutti i mezzi il proselitismo e lo squadrismo attuali!
E poi, in questa fase, la storia più istruttiva sarebbe, caso mai, soprattutto quella del periodo precedente il “ventennio” e non quella del periodo successivo.
Un saluto.
Ennio Abate
Caro Claudio, con altrettanta franchezza ti dico:
– a quali “noi a sinistra” ti riferisci, se oggi quella che *fu* la sinistra è una diaspora di discorsi e sigle inconcludenti e litiganti?
– non credo di essere tra quelli che si guardano l’ombelico e non faccio che proporre SEGNALAZIONI antiombelicali;
– l’analisi di Vercelli non è «un po’ anacronistica» , ma puntuale e capace di distinguere un fenomeno complesso, che tu invece , secondo me, tendi a semplificare e a ricondurre al “fascismo storico” in modo, questo sì, anacronistico ( e vedi anche la mia segnalazione dell’articolo di Giannuli di ieri:http://www.aldogiannuli.it/ce-un-pericolo-fascista-e-in…/;
– Il passo di Vercelli che tu stralci non fa che confermare quanto appena detto; io lo condivido, come condivido gran parte dell’analisi, tanto che ho proposto di *studiarla*;
– Ma quali «sedute di autocoscienza o di psicanalisi»! Non faccio che invitare a discutere *politicamente* e a fare *l’analisi concreta della situazione concreta*; e dunque a *ragionare* (come fanno Vercelli, Giannuli e altri che sto proponendo);.
– Vercelli e Giannuli dicono bene ( e forse meglio) le stesse cose di Saverio Ferrari: – « Il vero rischio che si sta correndo, soprattutto in alcuni ambienti politici, è di convincersi che la risposta a questo stato di cose sia garantita da un pericoloso baratto, quello che sostituisce alle battaglie per i diritti sociali l’enfasi esclusivista sui diritti civili» (Vercelli); – « potremmo anche disinteressarci di questi gruppetti rumorosi, salvo che per la molestia delle loro attività squadristiche che, però, rappresentano più che altro un problema di polizia e non politico. In realtà le cose non stanno così, e, se non ci sono le precondizioni per l’affermarsi di un regime fascista, questo non vuol dire che i fascisti, anche quelli dei gruppi più estremi, non abbiano una loro incisività a livello sistemico» (Giannuli)
– Quello che sto facendo su Poliscritture e gli articoli che propongo ( e le discussioni che invano invoco nel Comitato 16 marzo o altrove) è uno dei modi per « contrastare con tutti i mezzi il proselitismo e lo squadrismo attuali». Ce ne sono altri? Migliori di questi? A te l’onere della prova.
DA POLISCRITTURE FB A POLISCRITTURE SITO
Claudio Resentini
Con riferimento alla tua prima domanda è ovvio che mi riferisco alla sinistra in senso lato.
Sulle questioni “ombelicali vs. antiombelicali” (bello “antiombelicale”! :-)) o “anacronistici vs. attuali” è evidente che abbiamo opinioni diverse. Io penso che continuare a dibattere su questioni come la giustezza o meno dell’amnistia di Togliatti sia un po’ onanistico, ma magari mi sbaglio e ferverà il dibattito… vedremo.
Per quanto riguarda la tua ultima domanda non credo che esistano modi “migliori” o “peggiori” di affrontare le questioni. Occorre sempre considerare il contesto. Un conto è “Poliscritture”, un conto è il Comitato 16 marzo, un conto ancora è Facebook.
Sui social (è il loro limite e la loro forza) occorrono messaggi semplici, ad effetto, slogan, immagini, ecc. se non si vuole correre il rischio dell’autoreferenzialità. I social media non sono certo il luogo dell’approfondimento.
Detto ciò trovo i tuoi spunti, suggerimenti e provocazioni sempre molto stimolanti. Alcuni però faccio un po’ fatica a seguirli. Un mio limite, senza dubbio. A volte culturale, a volte di capacità di concentrazione, spesso di tempo, ecc. ma temo di essere in buona compagnia. Spero di sbagliarmi… e lo dico davvero. Ma non temo di no.
Claudio Resentini
p.s. dimenticavo: Per me ha sicuramente poco senso stare a fare tante analisi per domandarsi se uno sia da considerarsi fascista o meno quando si presenta con una svastica tatuata sul braccio gridando “Viva il duce!” e facendo il saluto romano. Cui prodest? Quando poi sono in mille a farlo a Milano è bell’e che risolto aper quanto mi riguarda anche il problema dell’esistenza o meno di un pericoloso ritorno al fascismo. Ma si sa io sono un ragazzo semplice… 😉
Ennio Abate
“Un ragazzo semplice” (?) vede uno che ” si presenta con una svastica tatuata sul braccio gridando “Viva il duce!” e facendo il saluto romano” e dice: fascista. E poi? Cosa fa? Cosa chiede di fare agli altri? Cosa suggerisce quando invoca l’urgenza di «contrastare con tutti i mezzi il proselitismo e lo squadrismo attuali»?
Degli adulti “complicati” (come Giannuli e Vercelli ed altri) ti suggeriscono di riflettere sui diversi contesti storici in cui questi tipacci operano prima di gridare “Al lupo! al lupo!”. Se una rondine no fa primavera, un gruppo neofascista (la galassia dei gruppi…) non fa il “ritorno del fascismo”. Per cui, studiando la fase dell’avvento del fascismo invece che l’amnistia di Togliatti ( ma perché ti dà tanto fastidio quell’operazione?), la storia , che “magistra vitae” non è e non si studia come un manuale pratico per risolvere i piccoli o grandi guasti politici, ci darebbe il rimedio giusto o ci farebbe evitare gli errori dei nostri antenati. Insistendo anzi sull’*analisi concreta della situazione* si vuol dire che tutto è più complicato. E, scherzando ma non troppo, viene da pensare che invece di aspettarci e prepararci ad un “bel fascismo” inequivocabile e facilmente etichettabile, ci potremmo trovare semmai di fronte – occhio al titolo di Vercelli! – a qualcosa di PEGGIO.
O come scrive Giannuli nell’articolo che ho linkato a una “pericolosità reale” del tutto sottovalutata:
“I gruppi fascisti offrono un modello organizzativo attivistico, hanno una cultura politica che si presta magnificamente alle campagne xenofobe e fornisce teorizzazioni antiegualitarie perfettamente funzionali allo spirito neo liberista. Insomma il neo fascismo oggi rappresenta una sovrapposizione batterica sul fenomeno neo liberista che prepara qualcosa di nuovo, prodotto da questa contaminazione. Un nuovo tipo di autoritarismo funzionale al potere finanziario, ma più aggressivo e pericoloso dell’involucro liberale in cui esso è stato avvolto.
Ed è a partire da queste considerazioni che occorre ripensare ai modi ed alle forme del contrasto al fascismo. E allo stato attuale ho l’impressione che il fenomeno sia, tutto sommato, sottovalutato nella sua pericolosità reale. Non so se le forme più adatte a contrastarlo siano quelle della levata di scudi contro ogni loro manifestazione, il che, oltre che avere uno sgradevole sapore di specularità del fenomeno che si vuol combattere, è anche un eccellente modo di fargli pubblicità.
La realtà è molto più complessa ed occorre trovare i contenuti e le forme di comunicazione che limitino ulteriormente la loro presa potenziale su ambienti giovanili. Occorre soprattutto comprendere che il nemico principale non sono loro ma quell’iper capitalismo finanziario da cui prende origine l’ondata neo liberista su cui si stanno sovrapponendo”.
Insomma, non solo non guardare solo l’albero e non badare alla foresta, ma chiedersi IN CHE TIPO DI FORESTA questi alberelli neofascisti stanno crescendo.
Mi pare una preoccupazione che anche i “ragazzi semplici” debbono avere.
Avendomi Luigi Paraboschi inviato questa sua poesia e ritenendola una prova che i “ragazzi semplici” – poeti o meno – possono sempre intuire “IN CHE TIPO DI FORESTA questi alberelli neofascisti stanno crescendo”, mi affretto a pubblicarla, anche senza chiedergli il permesso [E. A.]
Globalizzazione
Basterebbe riandare a Dickens per capire
lo sfruttamento del lavoro minorile
ed anche il vecchio Cronin
può raccontarci dei minatori nell’800
eppure l’Iron Lady li ha domati di recente
al punto che al suo funerale qualcuno
s’è sbronzato con due o tre pinte di birra scura.
La storia è solo ripetizione
d’un vizio che a Treviri qualcuno
ha chiamato sfruttamento
ma dove il capitale non c’è più
il vecchio zio Vania del Cremlino s’ inventa
il gulag a costo zero e scava la Siberia.
Come on, my friends, non raccontiamoci bugie,
se davvero un tempo col vecchio Mao
la stella rossa ha brillato sulla Cina
ditemi come si conciliano adesso
i Ferraristi di Shangai con i rottamatori
di computer nelle discariche a cielo aperto
andiamo su, possiamo accettare l’indignazione
per i Jack Pot, o scrivere che il fumo nuoce,
sapendo di mentire, come qualcuno disse
in una canzonetta di Sanremo ?
Ma se producono in Vietnam anche le pentole
che regalano ai pensionati in gita offerta,
come faccio a non pensare che forse
hanno usato le vecchie bombe americane del 67,
se un reggiseno è in vendita dal marocchino
ad euro uno e due scarpe per euro tre
qual è il prezzo di produzione in Bangladesh ?
Cuciamo palloni e intanto tagliamo le palle
ai ragazzini del sud est, diffondiamo la democrazia
con i chip dei telefonini per i quali occorre il coltan
e lo scavano nel Congo con le mani
e alla C.I.A ci leggono anche i pensieri
con i droni che volano a sei kilometri,
così la morte è solo un segno rosso
di calore sullo schermo dell’operatore
che difende solamente il suo P.I.L.
Festeggiamo l’indipendenza del Sud Sudan
e sottobanco vendiamo armi alla Jiad
buttiamo corone di fiori nel canale di Sicilia
ma per l’accoglienza teniamo
immensi palazzi vuoti e sfitti
e ci raccontiamo che i soldi allo I.O.R
non sono anche dei traghettisti
e del cartello di Medellin
Altro che Dikens ci vorrebbe,
non bastano Saviano a Nuzzi
il marcio ci annega, ora
che il sogno degli ultimi proletari
è di andare a Cuba a fottere
oppure d’imbarcarsi sulla Costa Crociere
per sostare al sole di Sharm el Sheik
ditemi,
con chi lo volete cambiare il mondo ?
Forse solo con quegli illusi dei poeti.
Gran parte dell’articolo (almeno per questa I parte) dello storico Claudio Vercelli è dedicato a individuare una antropologia, “il calco antropologico del fascismo” che “non si è mai esaurito”, ma che anzi si diffonde in modo crescentemente pericoloso nella situazione.
Trovo interessante, di Vercelli, sia l’attenzione a un “apparato pulsionale, che poi si fa anche regime politico”, sia quella rivolta alla lingua. Su un sincretismo di falsi valori, inconsistente, arbitrario, intollerante e invadente, può innestarsi una semplificata ideologia, composta con riassuntive definizioni e giudizi, e per mezzo di operazioni retoriche che mettono in atto meccanismi mentali elementari: proiezione, negazione, perversione. Il tutto produce una “neolingua” che a sua volta rinforza le coordinate mentali da cui l’ideologia è prodotta.
Chi sono costoro, prigionieri di tale povertà culturale e ideologica?
E’ sul nesso stretto tra istruzione scolastica ridotta al minimo e sua integrazione attraverso intenzionali messaggi mediatici, che occorre riflettere. Se un terreno è stato superficialmente dissodato e coltivato, e seminato con povere e secche sementi, occorreranno poi dei capi che conducano a razziare terreni vicini più fertili e ricchi.
E’ in questo il pericolo fascista, un terreno arido su cui forze e interessi possono intercettare manodopera disponibile, e farla operare per gli scopi desiderati.
Il fascismo che c’è sempre stato, che c’è potenzialmente sempre, il fascismo eterno è, prima che l’intenzione conservatrice o reazionaria di élites economiche o politiche, una condizione di abbandono a loro stesse di parti della popolazione. Se lo stato è anche coordinamento e distribuzione di funzioni e di beni -materiali e ideali-, il neoliberismo che ha ridotto e limitato il ruolo dello stato, ha lasciato i meno socialmente protetti isolati e in balia delle forze economiche, alla fine in balia dei loro stessi semplificati moduli di difesa e di attacco.
Ormai però tutto è avvenuto: la riduzione dell’istruzione, la riduzione del benessere, l’assillo del bisogno, la chiusura dell’orizzonte futuro. L’uomo nuovo, il ragazzo, la ragazza, hanno un impulso fondamentale: cavarsela, sfangarla, attaccare chi li ha ridotti a quel punto e chi vuole far credere che tutto questo va bene, è giusto, e deve perciò continuare.
Per questo il fascismo, quello organizzato e intenzionale, è un pericolo reale, perchè la base è stata preparata.
Cosa fare, come fare? Mettere dei vincoli all’espressione palese di valori fascisti avrà almeno una funzione di freno e contenimento. Ma occorre rinforzare le agenzie educative in senso lato (come erano i partiti e la chiesa), non perdere di vista e non consentire la decadenza della lingua, curare le canzoni, le mode. Sostenere in tutti i modi il significato e il valore della politica e, in questo caso, perfino accettare, come Togliatti fece l’amnistia, che il fascismo si manifesti, in parole, proposte e discussioni, portandolo dentro il terreno della politica dove, la libertà di opinione e di parola, costringono a uscire dal bozzolo torvo della vendetta/persecuzione attiva e passiva.
DALLA BACHECA FB DI CLAUDIO VERCELLI A POLISCRITTURE SITO
Ho condiviso sulla bacheca FB dello storico Claudio Vercelli il commento di Cristiana Fischer e copio ora qui la sua risposta:
Claudio Vercelli
Grazie mille della segnalazione, Ennio. A breve dovrebbe uscire la seconda parte, che comunque correda quanto già pubblicato. Detto questo, rispetto alle considerazioni della signora Fischer, sarei tentato di rispondere – in riflesso – che il fascismo, quello “eterno”, declinato quindi antropologicamente, ha sia una caratura metastorica che extrapolitica, identificandosi fino in fondo con la sua funzione mitopoietica. Si genera da sé come puro mito, superomistico, di razionalismo magico e quant’altro. Il suo nocciolo, le ci si vuole rifare a pur discusse categorizzazioni, è una vera e propria pulsione di morte, il cui fondamento sta sia nell’omologazione dell’individuale ad una dinamica gruppale organicista (dove l’uniformità corrisponde alla cancellazione di ogni residuo di soggettività) sia in una sorta di irrisolta “passione per l’inorganico” (i simbolismi così come i ritualismi, spesso macabri, derivati dall’esperienza della “decomposizione” dei corpi e delle individualità nelle trincee della Prima guerra mondiale, dove carne e tecnica si fondevano, per usare una immagine alla Ernst Jünger). Poste queste premesse, una pedagogia antifascista – evidentemente non ascrivibile solo ad un atto politico ma ad una educazione alla partecipazione democratica in senso lato – richiederebbe la rivitalizzazione sia delle agenzie collettive di intermediazione (di contro alla prassi della disintermediazione, oggi in voga e fortemente legata all’onda lunga del neoliberalismo) che, più in generale, la rivitalizzazione dell’umano, e dei suoi scambi, di contro all’ipetrofia del legame tra tecnologico e contabile, due unità di misura che si sono erette a finalità. Mi rendo conto di fare io stesso, quindi per parte mia, voli pindarici quando affermo queste cose, soprattutto le ultime. Ma la decadenza della reciprocità, della cooperazione e della coalizione sociale è il terreno se non dei fascismi propriamente intensi senz’altro delle forme di fascistizzazione degli scambi collettivi. A partire dalla trasmissione culturale per arrivare a tutto il resto. Mi rendo conto di essere rimasto sul generico ma, purtroppo, uno scambio di battute su un Social network non agevola la profondità argomentativa.
“Il fascismo eterno è una cosa che NON esiste”, R. Buffagni 26 luglio 16,26. Credo che l’iperbole fascismo eterno, o la colta formula ur-fascismo, servano anche a prendere le distanze dalla rozza massa fascista. Si legge con facilità l’irrisione di Eco nel suo scritto, e mi fa ricordare di un atteggiamento che avevamo assunto noi ragazze femministe, negli anni 70, di poter uscire da sole di notte senza avere paura, perchè lo stesso non avere paura “teneva le distanze” e ci avrebbe rese intoccabili. Nella maggior parte dei casi era vero, oggi non saprei. Analogamente Eco, persona di classe superiore, è ironico perchè crede che non sarà colpito dal nesso aggressività-repressione poliziesca che, non bisogna dimenticare, ha fatto la forza del fascismo storico.
Ho usato anch’io i termini fascismo eterno perchè il problema *fascismo* è una latenza che tende a ripresentarsi, Genova 2001 ha mostrato che il nesso tra un’antropologia e un potere può balzare all’evidenza in un momento qualsiasi.
Per questo è interessante il discorso sulla caratura metastorica e extrapolitica del fascismo, spero di trovarlo sviluppato nella seconda parte che Vercelli ha annunciato. La funzione mitopoietica della scelta fascista organizza il nesso violenza-potere in modo da comprendere non solo gli esclusi da un livello primario di socializzazione democratica. La “passione per l’inorganico” (rinuncia alla soggettività, perversione sadica) produce ideologie che si radicano nella aggressività naturale, su cui hanno lavorato, negli anni tra le due guerre, W. Reich e Adorno-Horkheimenr con gli studi sulla personalità autoritaria. Ma sicuramente oggi ci saranno altri lavori più avanzati.
APPUNTI POLITICI
1.
Ho riletto il testo di Eco sull’Ur-Fascismo e le mie riserve restano. Certo, se uno segue la polemica spicciola sui social può facilmente ricondurre certi clichè ad una o all’altra delle 14 caratteristiche che Eco attribuisce a questo weberiano e astorico tipo di Fascista. Verrebbe però subito da obiettare: ma allora parliamo tout court del Male o, nella nostra tradizione, del Diavolo! Perché il fascismo storico, i fascisti concreti vengono incasellati in un’idea archetipica come i cavalli platonici nella cavallinità. ( E questo criterio varrebbe anche per altre tipologie: il cristiano, il borghese, il comunista, l’ebreo, l’arabo, ecc.).
2.
Velocemente su alcuni dei punti.
Scrive Eco: «1) La prima caratteristica di un Ur-Fascismo e’ il culto della tradizione». Toh, ma la tradizione viene coltivata (in vari modi) dalle Chiese, dai Partiti, dalle Famiglie, dagli Stati. Anch’essi rientrano allora nell’Ur-Fascismo?
Oppure: «nelle librerie americane portano l’indicazione “New Age”, troverete persino Sant’Agostino, il quale, per quanto ne sappia, non era fascista. Ma il fatto stesso di mettere insieme Sant’Agostino e Stonehenge, questo e’ un sintomo di Ur-Fascismo». Ma allora tutto il postmodernismo sarebbe infetto da Ur-Fascismo?
«Il rifiuto del mondo moderno era camuffato come condanna del modo di vita capitalistico». Ma allora tutto il romanticismo e il neoromanticismo andrebbero condannati in blocco?
«Ci dovra’ essere una battaglia finale, a seguito della quale il movimento avra’ il controllo del mondo. Una simile soluzione finale implica una successiva era di pace, un’eta’ dell’Oro che contraddice il principio della guerra permanente».
Ma allora che dire di tutti i vari discorsi della «presa del Palazzo d’inverno» o delle varie utopie del Comunismo. Liquidarle e stop?
«L’elitismo e’ un aspetto tipico di ogni ideologia reazionaria, in quanto fondamentalmente aristocratico».
Come se di elitismo così non ce ne fosse a destra e a manca. E cosa fu il partito leninista, allora?
«ma nell’ideologia Ur-Fascista l’eroismo e’ la norma».
Sarà lì la norma, ma in tutte le esperienze socio-politiche e religiose gli eroi o i santi hanno trovato i loro altarini.
«trasferisce la sua volonta’ di potenza su questioni sessuali …questa l’origine del machismo». Interrogare le femministe degli anni Settanta o le donne dell’ex-PCI. «l’eroe Ur-Fascista gioca con armi, che sono il suo Ersatz fallico: i suoi giochi di guerra sono dovuti a una invidia penis permanente».
E allora che si dovrebbe dire di tutti gli eserciti e, in questo periodo, particolarrmente degli USA?
«Il popolo e’ cosi’ solo una finzione teatrale».
Invece le elezioni della democrazia rappresentativa sono la vera espressione popolare e non devono essere sfiorate da alcuna critica?
«l’Ur-Fascismo deve opporsi ai “putridi” governi parlamentari».
Allora la critica di Marx , di Lenin, degli anarchici alla “democrazia formale” è fascista?
(Meno male che Eco – alludendo vagamente alle possibili commistioni di questo discorso, aggiunge: «ma elementi di Ur-Fascismo sono comuni a forme diverse di dittatura»; e quando parla della«neolingua» orwelliana concede che « dobbiamo essere pronti a identificare altre forme di neolingua, anche quando prendono la forma innocente di un popolare talkshow »).
3.
La prima parte del saggio di Claudio Vercelli evita in parte – gli prendo i termini – i « voli pindarici» e le « arrampicate nel cielo delle astrazioni» a cui si abbandona Eco. E torna coi piedi per terra ponendo il problema politica che abbiamo di fronte. E cioè quello di « una sinistra sbiaditamente liberale, già debitrice del tramonto dei modelli socialdemocratici, fortemente individualista, tentata dalla censura nei confronti di ciò che, non riuscendo a definire in termini diversi, derubrica a minaccia da perseguire attraverso il ricorso alla sanzione di natura giurisdizionale».
A proposito di antifascismo, porta un esempio dell’impotenza di questa sinistra persino in tempi meno sospetti: « Nel 1972 la procura della Repubblica di Milano chiese, ed ottenne dalla Camera dei Deputati, l’autorizzazione per procedere contro Giorgio Almirante, segretario del Msi, ipotizzando il reato di ricostituzione del partito fascista. Di fatto, dopo il trasferimento dell’inchiesta a Roma, nulla ne derivò. La peggiore delle soluzioni, a conti fatti, poiché rafforzando in molti democratici l’impressione che effettivamente il partito neofascista costituisse, di per sé, il prosieguo non solo ideale ma anche organizzativo, del vecchio regime e dei suoi epigoni saloini, non dava però seguito alle premesse penalistiche, alimentando invece negli aderenti all’organizzazione missina la convinzione di essere per davvero gli aedi di una formazione politica antisistemica. Una sorta di legittimazione».
Infine, rispondendo implicitamente alla domanda che serpeggia in questo post, e cioè se l’antifascismo sia una burletta anacronistica o una cosa seria, indica – mi pare – , al posto dell’afasia e della paralisi dell’azione politica, la via “seria”, quella appunto di una lotta politica e culturale:« l’articolo 21 della Carta fondamentale, difficilmente si presta alla punizione di generici richiami ai trascorsi fascisti, dovendo primariamente tutelare, come garanzie universale, il diritto all’opinione e alle sue manifestazioni, entro i limiti di un dibattito che non può mettere in discussione l’ordinamento democratico ma deve comunque riuscire a contrastare gli atteggiamenti più radicali soprattutto attraverso gli strumenti della politica e della cultura».
4.
E però Vercelli, malgrado l’occhio storicamente vigile, con la sua « fascisticità» si rifà in pieno all’ Eco dell’Ur-Fascismo, perché, partendo da una posizione che insiste (giustamente secondo me; e soprattutto secondo le tesi di Claudio Pavone) sulla *continuità* tra fascismo e repubblica italiana (« rimane il fatto che in Italia il fascismo non torna per il semplice motivo che non se ne è mai andato»), parla di un « deposito mentale, ossia sub-culturale, che rimanda, come un link funzionante in automatico, al fascismo perenne, persistente, eterno e paludato che dir si voglia».
Per lui questo «calco antropologico del fascismo, la sua funzione pseudo-modernizzante nell’età della nazionalizzazione delle masse, con il loro pieno ingresso nella sfera pubblica in posizione subalterna, non si è mai esaurito. In quanto di impronta si tratta, destinata quindi a sopravvivere alle manifestazioni temporanee del soggetto che l’ha impressa». (Si potrebbe intendere un “calco storico” – la manzoniana «orma» stampata da Napoleone? – e non proprio un archetipo alla Jung, ma certamente siamo là:« se usiamo il rimando all’antropologia allora ci riferiamo ad un sistema di simbolismi e di segni fortemente radicati»).
5.
C’è da aggiungere che Vercelli precisa: «Questo insieme di elementi, sia sempre detto e quindi ripetuto a scanso di equivoci, non corrisponde ad essenze immutabili bensì ad un vero e proprio apparato pulsionale, che poi si fa anche regime politico, qualora se ne diano le condizioni reali». E questo permette di stare di più sul piano storico e di accostare il suo discorso a quello di Giannuli (https://www.poliscritture.it/2017/07/14/lantifascismo-e-una-cosa-seria/#comment-74450). Proprio perché indica l’ assenza di politica come causa dell’imporsi del calco antropologico: «il fascismo perenne non è mai un “di più” di politica, costituendone semmai la sua estinzione, sostituita da simulacri identitari e da un vuoto ripetersi di formule ossessivamente manipolatorie. Il discorso fascista è allora suggello della crisi radicale dell’universalismo egualitario, sostituito dal bisogno di uniformità come anche da un narcisismo tanto debole quanto diffuso. Le due cose, infatti, non sono per nulla in contrasto». Come indica il difetto dell’attuale antifascismo “non serio” nel «pericoloso baratto, quello che sostituisce alle battaglie per i diritti sociali l’enfasi esclusivista sui diritti civili, intendendo questi ultimi come la garanzia del pluralismo quand’essi, in assenza di reali possibilità di accesso alle risorse materiali ed espressive per una parte sempre più rilevante della popolazione, potranno essere fruiti esclusivamente come diritti alla differenza individuale o di gruppo».
6.
Pienamente condivisibile mi pare il suo lavorio critico per smontare «la tecnica dei chiasmi, o dei riversamenti parossistici nell’opposto: gli “autentici” fascisti sarebbero gli antifascisti (tra i diversi esempi possibili, un Diego Fusaro d’annata su: «il fascismo dell’odierno antifascismo»)» e indicare la debolezza logica della « strategia di irridere», che, mirata a « stigmatizzare e deformare l’immagine dell’avversario […]concentra su quest’ultimo l’attenzione collettiva, distogliendola dal vuoto pneumatico del proprio dire». O l’indicazione del Web come «nuovo contenitore di questo campo di aggressività». Come pure la conclusione: «Oggi il problema non è il ritorno del fascismo vecchio stile, e del suo corredo razzista, ma l’affermarsi di una vera e propria egemonia sub-culturale che rimanda al radicalismo delle destre estreme» che martella su questi temi:««identità», «straniero», «invasione e minaccia», «popolo e morale» (soprattutto nel senso di una ipotetica rottura dell’ordine naturale e della funzione della politica come strumento per ripristinarlo), «élite e popolo» (ovvero della lotta dal basso contro l’alto), quindi «prossimità e distanza» così come «autenticità e artificiosità» (alla ricerca delle radici perdute del legame sociale) ma anche «Europa e antieuropeismo».
7.
Mi par di capire che per Vercelli lo scontro principale sia tra liberalismo e destra radicale: «La sfida lanciata da tempo dalla destra radicale sta nel suo passaggio dalla conservazione al movimento, per ripristinare «l’ordine naturale perduto», presentandosi come soggetto che intende guidare il mutamento e, nel medesimo tempo, contrapporsi ad un liberalismo che si limita a registrare i cambiamenti, dipingendoli e spacciandoli per neutrali, poiché di essi ne beneficia, a discapito della «comunità di popolo». E che egli rimproveri la sinistra di essere poco liberale: «inconsistenza del “liberalismo” del quale si ritiene depositaria».
Ma qui mi fermo in attesa della seconda parte del saggio.
AGGIUNTA AGLI APPUNTI POLITICI
Mi chiedevo ancora: non sarebbe meglio risalire ad Adorno, che non si ferma alla “psicologizzazione” dei fenomeni, come fa Eco con l’Ur-Fascismo? E ho ripreso in mano “Contro l’antisemitismo” (manifestolibri 1994).
Dalla prefazione di Stefano Petrucciani un passo che, pur riferito all’antisemitismo, ben si presta al discorso di un “antifascismo serio” che qui si tenta di fare:
“Un punto che viene messo ben in chiaro [da Adorno],e che conserva un valore anche per la discussione odierna sull’antisemitismo e più in generale su razzismo, è che si dice troppo poco finché ci si confronto con questi fenomeni considerandoli essenzialmente come forme di rifiuto o di incapacità di accettare l’ “altro”, il “diverso”. Il rifiuto del diverso, comoda chiave interpretativa onnicomprensiva , non spiega, ci dice Adorno, assolutamente nulla; anzi, è proprio esso che ha bisogno di essere spiegato. Ma la ricerca di una spiegazione ci porta a riflettere su connessioni sociali più ampie, a cercare nelle strutture e nelle dinamiche della società i fattori che innescano la recrudescenza dell’antisemitismo, del razzismo, del pregiudizio e della demagogia. A questo proposito la tesi di Adorno espressa in due parole, è che il punto rilevante non è tanto un generico rifiuto del diverso, quanto il fatto che in esso si trasferiscono gli antagonismi e i conflitti della società. si capisce poco dell’antisemitismo [e io aggiungerei del cosiddetto “ritorno del fascismo”]SE NON LO SI INSERISCE NEL QUADRO DEI CONFLITTI TRA LE CLASSI E LE NAZIONI, SE NON LO SI COMPRENDE NON TANTO A PARTIRE DAL RIFIUTO DEL DIVERSO, QUANTO DELLE GRANDI DINAMICHE ANTAGONISTICHE CHE ATTRAVERSANO LE NOSTRE SOCIETA’.” (pag.11-12)
… della serie: “Nomina sunt consequentia rerum” (?).
Se sul “fascista” D. Trump sono state spese parole a fiumi, qualcuno mi saprebbe commentare l’attuale politica di E. Macron, definito al tempo della sua vittoria elettorale “il democratico baluardo” contro la fascista M. Le Pen?
Tanto per non allontanarci dall’analisi della “situazione concreta”.
R.S.
Dovrebbero rispondere quanti hanno dato questa definizione elogiativa di Macron. Non mi pare ce ne siano tra quanti commentano qui.
… no, non volevo l’elenco dei pro o contro Macron all’interno di Poliscritture!!!
Avevo fatto una premessa di metodo attraverso la citazione latina.
Volevo solo capire:
a) perché le valutazioni dei fatti (es. nazionalismo, ecc.) siano diverse a seconda delle diverse appartenenze politiche di chi li propugna;
b) perché, ad es. negli anni ‘30, Mussolini e la sua politica coloniale (il fascismo, quindi, non era il Male) erano ben valutati dagli Stati Uniti al punto che lo aiutarono nell’impresa sia pecuniariamente sia con armi. Ovviamente, non gratia et amore dei, ma dietro una cospicua mercificazione di opere d’arte italiane avvenuta per mano della critica d’arte Margherita Sarfatti, all’epoca amica intima del Duce. La Sarfatti, nel 1934, si recò negli S.U e fu accolta ufficialmente alla Casa Bianca da Eleanor Roosvelt (moglie del 32° presidente degli Stati Uniti D’America, il democratico liberal F. D. Roosvelt) con gli onori riservati alla moglie di un capo di stato.
Poi, come spesso accade, i venti cambiano e l’amico diventa il nemico da distruggere.
c) le parole, come è loro destino, si lasciano usare. Io volevo solo capire alcuni fatti senza pregiudizi interpretativi, etichette messe a priori.
Ma forse questo non era il contesto e sono andata fuori tema: allora me ne scuso.
R.S.
Credo che qualche risposta o spunti per una risposta si trovino negli Appunti politici riguardanti le analisi di Adorno che ho pubblicato oggi.
a) Fermo restando che sono una sostenitrice del non abbandonare la memoria storica alla quale ci dobbiamo approcciare per rielaborarla, altrimenti siamo condannati a ripeterla. E pertanto dobbiamo farne un lutto, dargli una connotazione ‘storica’ e lì ancorarlo, perché è sviante il pensare nei termini di *fantasma di un orrore che si ostina a non morire della sua propria morte*: quel tipo di fantasma non si dilegua da sè alle prime luci dell’alba!
b) Fermo restando che condivido l’osservazione *Considero il perdurare del nazionalsocialismo *nella* democrazia potenzialmente più pericoloso del perdurare di tendenze fasciste *contro* la democrazia*.
c) io non intendevo parlare di nazionalsocialismo (termine sottoposto a ideologizzazione) ma puntare l’attenzione sui due concetti che vengono spesso sovrapposti: quello di nazionalismo (termine sottoposto a ideologizzazione) e quello di Nazione.
Nazioni che a quanto pare esistono ancora in barba al globalismo (altro termine sottoposto a ideologizzazione)! E ciò a partire dai movimenti di Macron con i suoi tentativi di nazionalizzare i cantieri Stx in violazione di un accordo precedente con Fincantieri: gli interessi di una Nazione portati avanti contro gli interessi di un’altra.
Ma in questo post il tema trattava dell’antifascismo e quindi il mio intervento rimane O.T.
R.S.
Petrucciani: “si capisce poco dell’antisemitismo [e io (Ennio Abate) aggiungerei del cosiddetto “ritorno del fascismo”] SE NON LO SI INSERISCE NEL QUADRO DEI CONFLITTI TRA LE CLASSI E LE NAZIONI, SE NON LO SI COMPRENDE NON TANTO A PARTIRE DAL RIFIUTO DEL DIVERSO, QUANTO DELLE GRANDI DINAMICHE ANTAGONISTICHE CHE ATTRAVERSANO LE NOSTRE SOCIETA’.”
Questa affermazione è un truismo, non permette di differenziare la specifica forma di reazione fascista rispetto ad altri tipi di politica della reazione. Tipicamente infatti la vecchia classe liberale, e il cattolicesimo maggioritario, hanno creduto di poter usare il fascismo e di potergli assegnare una scadenza, invece Vercelli mette l’accento sulle specifiche “sovrastrutturali” con cui il fascismo dà una risposta ideologica agli antagonismi nella sfera produttiva.
La violenza è l’elemento chiave per distinguere tra i vari modi di rapporto tra ideologia e sistema produttivo, la aggressività è primaria, naturale e biologica ancora prima di diventare culturale, è un punto di innesto tra antropologia e cultura. L’impiego della violenza da parte del potere, diretta o o mediata, razionale o articolata in modo da dissimularsi (ad esempio la sparizioni in America latina, o i rimpalli burocratici al posto dei semplici divieti, nel nazismo e fascismo), è un modo per distinguere tra stati autoritari e stati liberali.
Le teorie dello stato moderno fissano un taglio, l’esercizio della violenza è riservato allo stato nelle forme che la giustizia disciplina; il fascismo e il nazismo mantengono aperto e percorribile nei due sensi il canale tra violenza antropologica e potere. Fascismo e nazismo hanno ammesso anche che la giustizia-violenza fosse esercitata da una parte della popolazione contro il resto, si è già detto arruolata come; poi, con la moltiplicazione dei corpi di polizia, come fu la milizia fascista, hanno riconosciuto il ruolo autoassunto da privati in sostegno di un costituendo potere.
Anche gli stati liberali ammettono e usano corpi armati illegali o semilegali, ma la legge nega, almeno formalmente, la loro reale forma di esistenza.
@ Rita, ragionando da complottista direi che hanno fatto vincere Macron perchè avrebbe realizzato in modo più performante esattamente il programma della -a questo punto troppo ingenua- Le Pen.
1.
“Questa affermazione è un truismo, non permette di differenziare la specifica forma di reazione fascista rispetto ad altri tipi di politica della reazione”.
Ma Petrucciani non affrontava questo problema .
2.
“ragionando da complottista direi che hanno fatto vincere Macron perché avrebbe realizzato in modo più performante esattamente il programma della -a questo punto troppo ingenua- Le Pen”.
A me viene in mente D’Alema richiamato in servizio per la guerra contro la Jugoslavia.
Di “ingenui” a questi livelli non ne vedo.
1. Appunto, Petrucciani non vede l’importanza di quel tema.
2. La sera in cui Le Pen ha avuto il confronto con Macron prima delle elezioni, alcuni commentatori (che probabilmente la avrebbero votata se fossero stati francesi) hanno compreso che avrebbe perso, per il tono di sfida e l’aggressività dimostrata, e quindi per l’incapacità di catturare gli elettori di centro: se non è ingenuità, questa! Insipienza, si può anche dire, per non aver saputo scegliere dei consiglieri adatti. Sulla non-ingenuità di D’Alema concordo.
” Petrucciani non vede l’importanza di quel tema”.
Non penso. Non lo tratta perché sta contestando il limite della spiegazione dell’antisemitismo e del razzismo come “rifiuto del diverso” e propone di leggere il fenomeno nel suo contesto: “nel quadro dei conflitti tra le classi e le nazioni”. Non affronta, nella sua introduzione, la questione della “specifica forma di reazione fascista rispetto ad altri tipi di politica della reazione”.
AD HOC. A PROPOSITO DI TRUMP, MACRON, ECC.
QUANDO I PENSATORI PENSAVANO.
“Ci si vuole liberare del passato: a ragione, poiché è assolutamente impossibile vivere alla sua ombra, e perché il terrore non avrebbe mai fine se ci si volesse rivalere delle colpe e violenze subite con nuove colpe e nuove violenze; a torto, perché il passato a cui ci si vorrebbe sottrarre è ancora vivamente presente. Il nazionalsocialismo sopravvive, e fino ad oggi non sappiamo se solo come fantasma di un orrore che si ostina a non morire della sua propria morte, o se sia, invece, la morte dello stesso nazionalsocialismo a non essere ancora sopraggiunta; se la disponibilità all’indicibile continui ad allignare negli uomini come nelle circostanze che li attanagliano. Non vorrei affrontare la questione relativa alle organizzazioni neonaziste. Considero il perdurare del nazionalsocialismo *nella* democrazia potenzialmente più pericoloso del perdurare di tendenze fasciste *contro* la democrazia. Le infiltrazioni sono un dato di fatto; ambigui individui riescono a celebrare il loro *come back* in posizione di potere in quanto favoriti dalle circostanze”.
(T.H. Adorno, Che cosa significa elaborazione del passato, in “Contro l’antisemitismo”, pag. 21, manifesto libri, Roma 1994)
APPUNTI POLITICI
Ha scritto Vercelli nel suo pezzo: «rimane il fatto che in Italia il fascismo non torna per il semplice motivo che non se ne è mai andato».
In che senso?
Mi pare di trovare una risposta e una sintonia ( ma non ci giuro) con quanto scriveva Adorno nel testo di cui ho già riportato un passo circa « il perdurare del nazionalsocialismo *nella* democrazia». Lo dice chiaramente in questo altro passo: «Che il fascismo continui a esistere; che la tanto citata elaborazione del passato fino ad ora non sia riuscita degenerando nella sua caricatura, in vuoto e freddo oblio, dipende dal fatto che esistono ancora i presupposti sociali oggettivi che hanno prodotto il fascismo [notare: « presupposti sociali oggettivi» e non solo « deposito mentale, ossia sub-culturale» o «calco antropologico», come in Vercelli]. Nella sua essenza, non lo si può ricondurre a una predisposizione soggettiva [come fa in modo esclusivo Umberto Eco]. L’ordinamento economico e, sul suo modello, anche l’organizzazione economica in senso lato, spinge la maggioranza, oggi come in passato, alla dipendenza da condizioni sulle quali non ha voce in capitolo, e ad uno stato di minorità. Se vogliono vivere non resta loro altro che adeguarsi alle condizioni date, piegarsi; devono cancellare proprio quella soggettività autonoma alla quale si appella l’idea di democrazia, possono preservarsi solo rinunciando a se stessi. Smascherare il contesto di accecamento esige da loro proprio quel doloroso sforzo di conoscenza che viene impedito dalle strutture della vita, non ultima la totalizzante industria culturale. […] Poiché la realtà non soddisfa quella autonomia, in ultima analisi quella possibile felicità che il concetto di democrazia in realtà prospetta, essi assumono un atteggiamento di indifferenza nei confronti di queste istanze, se non addirittura, intimamente, di odio». (T.H. Adorno, Che cosa significa elaborazione del passato, in “Contro l’antisemitismo”, pag. 31, manifesto libri, Roma 1994).
E più avanti insiste: «Il pericolo è oggettivo, non è primariamente nelle persone» e sottolinea anche i limiti di una «pedagogia illuminata» ( anche ad es. dei tanti post su FB di cui abbiamo parlato). Scrive, infatti,:«Che [essa pedagogia] sia impostata sociologicamente o psicologicamente, in pratica raggiunge per lo più solo quelli che sono aperti a questo discorso e proprio perciò difficilmente inclini al fascismo»( p. 32). E anche se non ritiene inutile «rinsaldare anche questo gruppo» o formare «qualcosa che assomigli a dei quadri il cui agire in vari settori potrebbe quindi toccare l’insieme», sa che questa azione non può bastare. E che anzi certi «tentativi di rischiaramento pubblico» su questi temi finisce per suscitare «un’ostinata resistenza e un effetto contrario a quello desiderato» (p. 33). Perché afferma: «A me sembra cheil conscio non può mai veicolare tanta sventura come l’inconscio, il semiconscio e il preconscio. Probabilmente dipenderà dal modo in cui si richiama alla memoria il passato; dipende se ci si ferma al semplice rimprovero o se si affronta l’orrore con la forza di capire persino l’inconcepibile» (p.33). E richiama l’esigenza di una «educazione degli educatori» e prospetta persino «qualcosa come un’analisi di massa». O quantomeno l’influsso di «una seria psicanalisi» che inducesse a « non vibrare fendenti verso l’esterno, ma [a] riflettere su se stessi e sul proprio rapporto con coloro contro cui solitamente infuria la coscienza incallita» (p. 33). Adorno è del tutto consapevole che la propaganda è «manipolazione razionale dell’irrazionale» e che è un potere in mano agli avversari, per cui «coloro che vi si oppongono non dovrebbero imitarne i modi in cui avrebbero inevitabilmente la paggio» (p.34). Per lui l’antisemitismo, il razzismo sono difficili da confutare «proprio perché l’economia psichica di un’infinità di persone ne aveva bisogno e, in misura ridotta, probabilmente ne ha bisogno ancora oggi». E sottolinea che «tutto ciò che si fa propagandistico, rimane ambiguo». Porta l’esempio di una donna che aveva assistito a una rappresentazione teatrale del «Diario» di Anna Frank e che alla fine, sconvolta, aveva detto: «ma *almeno* la ragazza avrebbero potuto lasciarla viva». E così commenta: « Certo, non c’è male come primo passo per una presa di coscienza. Ma il caso individuale, che dovrebbe rischiarare esemplarmente l’orrore del tutto, nello stesso tempo, in virtù della sua stessa individualità, è diventato un alibi del tutto, di cui quella donna si è dimenticata» (p.34). Quindi, per Adorno, malgrado la «conoscenza di alcuni indistruttibili trucchi propagandistici che si conciliano proprio con quelle predisposizioni psicologiche della cui presenza, negli uomini, dobbiamo tener conto», che potrebbero funzionare come una sorta di vaccino, «il rischiaramento soggettivo, anche se affrontato con tutt’altro vigore e con tutt’altra intensità rispetto al passato, non basterà. Se si vuole oggettivamente controapporre qualcosa al pericolo oggettivo, non basta la sola idea, neanche quella di libertà e umanità che, come abbiamo avuto modo di imparare, nella sua forma astratta non significa poi granché per gli uomini» (p.35). E si limita a raccomandare che ricordare i rischi di un «risveglio, aperto o mascherato, del fascismo» ( guerra, sofferenza, privazioni) «colpirà la gente molto di più dei rimandi agli ideali o addirittura alla sofferenza degli altri, di cui, come aveva già intuito Larochefaucauld, ci si dimentica relativamente presto» (p.35).
Preve è morto, se non fosse morto interverrebbe di sicuro perchè su questo tema non riusciva a stare zitto, e allora lo faccio parlare io tipo seduta spiritica:
Ripensare Marx oltre la destra e la sinistra
di Costanzo Preve/Luigi Tedeschi – 31/05/2007
Fonte: Italicum
“[…] Ma torniamo al problema. Come mai, se oggi il “fascismo” sono la Fallaci e Magdi Allam (e cioè gli editori Rizzoli e Mondadori), e non Evola o Irving, si fa tanto casino? Forse che Preve, se pubblica da un editore, deve condividere (o è sospettato che condivida) tutti i titoli in catalogo oppure le eventuali idee politiche dell’editore? Neppure l’inquisizione spagnola sarebbe giunta a tanto. E allora, quali sono le radici teorico-simboliche di tutto questo? Qui bisogna andare sul filosofico, cari amici. E le radici sono almeno due, e cioè l’Immaginario Paranoico, prima, ed il Pensiero Magico, poi. Esaminiamole separatamente.
Iniziamo dall’Immaginario Paranoico. Dal momento che il fascismo propriamente detto è finito in Europa nel 1945, e dopo ci sono stati soltanto dei regimi golpisti tipo CIA, cui il termine “fascismo” non calza storiograficamente troppo (colonnelli greci, golpisti turchi, eccetera), siamo stati per più di sessant’anni (1945-2006) di fronte ad un Antifascismo senza Fascismo (anche qui, non sottovaluto affatto gli apparati golpisti ideologicamente neofascisti, che erano però semplici guardie plebee di forze al potere ufficialmente antifasciste e postfasciste). Questo teatro dell’assurdo aveva ovviamente la sua razionalità, da parte azionista di tramandare la condanna crociana e gobettiana del fascismo come male assoluto, e da parte comunista di legittimare se stessi come la parte più risoluta del fronte antifascista. Si è allora costruito un Immaginario Paranoico quadruplice della Cospirazione (fascista), dell’Infiltrazione (fascista), della Contaminazione (fascista), ed infine del Tradimento (di tutti coloro che a “sinistra” non accettavano questo immaginario paranoico). Non sto ovviamente dicendo che non ci siano state delle infiltrazioni e delle cospirazioni. Ci sono state, è ovvio. Ma da questo all’immaginario paranoico ce ne passa.
Passiamo al Pensiero Magico. E’ questa una categoria presente nella storia del Marxismo di Kolakowski (terzo volume, Sugarco, Milano). Secondo Kolakowski (ed io concordo) i comunisti poststaliniani novecenteschi erano caratterizzati da un pensiero magico, per cui l’impurità della fonte contamina anche i contenuti che vengono espressi. Di qui il fatto che se le critiche a Stalin vengono fatte da una fonte impura (liberali, trotzkisti, eccetera) sono ritenute false e frutto di manipolazioni CIA o Quarta Internazionale, mentre se le stesse identiche critiche vengono fatte nel 1956 dal papa-babbione della ditta autorizzata Krusciov allora tutti si stracciano le vesti gridando ipocritamente: “Ma come è stato possibile? Ma come mai non l’abbiamo saputo prima?”, ed altre porcherie del genere.
Oggi la buffonata si ripete, anche se quello che un tempo era tragedia oggi è farsa. Il mio appoggio ad una moderata geopolitica euroasiatica è lo stesso del signor Sorini sull’Ernesto” e del signor Chevènement nel socialismo francese, ma se lo scrivo sulla benemerita (capito: benemerita) rivista di Mutti “Eurasia” allora diventa un’infiltrazione della mummia egizia del defunto Thiriart. E allora ditemi, cari sapientoni: dove potrei scrivere e pubblicare le stesse idee? Sull’Unità? Sul Manifesto? Su Liberazione? Ma per favore, come dice il comico Ezio Greggio!
Chi per caso avesse letto i miei due libri di filosofia pubblicati dal Settimo Sigillo (Filosofia del Presente e Per un buon uso dell’universalismo) noterà che il contenuto è perfettamente compatibile, se fossimo in una situazione culturale normale, non solo con la Mondadori e con la Rizzoli, ma addirittura con la filosofia ufficialmente professata da Manifestolibri e dagli Editori Riuniti: uso critico di Marx, razionalismo filosofico, anticapitalismo integralmente democratico, anticolonialismo, antiimperialismo, estraneità radicale alla cultura tradizionalmente definita di “destra”. Leggere per credere, E allora, perché tutto questo casino?
Lo so bene perché. Finché chiacchieri dottamente su Marx, Engels, Hegel e Althusser non rompi i coglioni a nessuno e non infrangi le regole ferree del Politicamente Corretto, dell’Immaginario Paranoico e del Pensiero Magico. Ma quando cominci a diventare un critico di questa Trinità, allora sì che sei veramente un “eretico”. Ebbene, in questo senso eretico lo sono, lo rivendico, e con questo tolgo il disturbo e vi saluto.”
Escludendo una mia inclinazione alla paranoia, mi sento anche di usare liberamente quel che conosco di Marx e del marxismo. Oltre tutto non ho mai assunto obblighi di fedeltà nei confronti di qualche partito costituzionale.
Detto questo, il tema originale che Toffoli ha posto e su cui poi si è discusso in maggioranza è:
1. il fascismo storico è finito nel ’43;
2. ci fu un compromesso dell’Italia repubblicana con l’anima conservatrice del paese che aveva sostenuto il fascismo;
3. i gruppetti neofascisti violenti “furono arruolati al servizio dello stato” e sostenuti dai servizi segreti nazionali “sotto l’alta tutela dei servizi segreti della NATO”. Questo, in “un’Italia liberata dalle bardature fasciste che non si è mai realizzata”.
E’ stato facile, da queste premesse, passare nella discussione al riemergere sulla scena, europea e non solo nazionale, di gruppi che oggi si richiamano al fascismo e nazismo, e sull’effettivo pericolo di qualche forma di ripresa di analoghi regimi. La discussione si è quindi allargata anche alla domanda: chi sono quelli che formano questi gruppi? E: perché aderiscono a queste voglie (o ideologie)?
Buffagni fa dire al fantasma di Preve “non sottovaluto affatto gli apparati golpisti ideologicamente neofascisti, che erano però semplici guardie plebee di forze al potere ufficialmente antifasciste e postfasciste”, e sia: non è fascismo, sono solo APPARATI GOLPISTI IDEOLOGICAMENTE NEOFASCISTI, ma IN REALTA’ al servizio di forze al potere ufficialmente antifasciste. E che altro ha detto il Tonto?
E di che si preoccupano i “quadruplici paranoici” della cospirazione, tradimento, eccetera, se non che questi golpetti possano venire rinverditi?
Da qui l’indagine tentata nei vari commenti sulle condizioni di possibilità. Sui disponibili a fornire la truppa di movimento. Sulle condizioni produttive che producono quella parte di popolazione che potrebbe arruolarsi. Se sia più opportuno, per soffocare l’entusiasmo di aderire, moltiplicare divieti come farebbe la legge Fiano, o allargare il confronto di idee per assorbire anche quelli del *calco antropologico del fascismo*.
A questo proposito, mi sembra che i brani di Adorno riportati da Ennio, individuino la maggioranza conservatrice che fornirebbe il consenso per resa interna, psicologica (“il conscio non può mai veicolare tanta sventura come l’inconscio, il semiconscio e il preconscio”) piuttosto che gli arruolabili neofascisti attivi. Tuttavia mi sembra vero che per ambedue le categorie, i neofascisti attivi e la maggioranza conservatrice, valga la “passione per l’inorganico” nominata da Vercelli: culto del corporale neutro e della morte per gli attivi, passività e resa inconscia dalla parte della conservazione.
@ Buffagni
Ho conosciuto tramite l’amico comune Attilio Mangano e ospitato su POLISCRITTURE n.6 (cartaceo) del dicembre 2009 l’”eretico” Preve. Il suo intervento è reperibile sulla copia on line della rivista cliccando sotto la testata in “La rivista in PDF”.
L’ho anche ricordato al momento della sua morte nel novembre 2013 (https://www.poliscritture.it/vecchio_sito/index.php?option=com_content&view=article&id=328:in-morte-di-costanzo-preve&catid=1:fare-polis&Itemid=13) e partecipai anche a suoi funerali a Torino (assieme a te, Roberto). Quindi, censure da parte mia non ce ne furono e non ce ne sono. L’ho considerato un epigono della “nostra storia” (di sinistra, comunista) che, nella grande confusione di quest’epoca sbandata, mi pareva facesse suo l’ultimo invito di un altro studioso di Marx, Claudio Napoleoni: «Cercate ancora»; e lavorasse in direzione fortiniana (ancora, in parte e con la consapevolezza forse di un addio imminente da quella cultura, come si legge nella sua testimonianza su Fortini al link citato). Ho letto fra gli anni ’80 e ‘90 molti dei suoi libri, prendendo appunti (per ora inediti); e misurando sui vari temi da lui trattati vicinanze e distanze. Non fui però d’accordo su alcune sue provocatorie prese di posizione a favore di Marine Le Pen né sulla piega “comunitarista” presa dalla sua riflessione. Ho anche ritenuto deleteria (per entrambi) la rottura del suo sodalizio con Gianfranco La Grassa ; e ho i guardato con crescente diffidenza le sue aperture verso De Benoist e la “cresima” concessa al suo giovane e troppo brillante allievo Diego Fusaro, ora imperversante senza controllo sui media. Anche sul modo suo e tuo (http://www.conflittiestrategie.it/destra-e-sinistra-di-r-buffagni) di affrontare il tema “oltre la destra e la sinistra” ho molte riserve e critiche; e sul tuo scritto pubblicherò – spero presto – uno dei miei “appunti politici”.
P.s.
Il testo di Preve che qui proponi non mi pare molto significativo per la discussione che stiamo tentando di approfondire. Perché dà per assodato quello che per me è problematico: che saremmo « di fronte ad un Antifascismo senza Fascismo»; e non precisa però a *cosa* saremmo di fronte, troppo preso dalla polemica con i suoi ex-compagni che l’hanno respinto o censurato. Gli stessi concetti astratti (fascismo come male assoluto, Immaginario Paranoico, Pensiero Magico) che usa mi paiono psicologizzanti e scivolosi. Come quello dell’Ur-Fascismo di Eco.
Grazie della replica. Mi ricordo benissimo dei funerali di Costanzo e della conversazione che facemmo poi, e so che conosci i suoi lavori. Certo, ci sono scritti suoi che analizzano a fondo la questione, ma come sai sono troppo lunghi per essere postati qui. Quanto a Fusaro, Costanzo sapeva che personaggio sia. La solitudine non è una buona consigliera, specie quando si è vecchi. Ciao
SEGNALAZIONE
* «Non va dimenticato che il problema centrale è rappresentato dalla democrazia oligarchica e dai suoi meccanismi. Questa è la forma del dominio da parte dell’élite economica, così come, negli anni ’20 e ’30, con condizioni storiche e sociali molto diverse, lo era il fascismo» (D. Moro). Dunque: Antifascisti? Sì, ma contro chi? [E. A.]
Quale antifascismo nell’epoca dell’euro e della democrazia oligarchica?
di Domenico Moro
https://sinistrainrete.info/politica-italiana/10606-domenico-moro-quale-antifascismo-nell-epoca-dell-euro-e-della-democrazia-oligarchica.html
Stralci:
1.
Oggi, la diffusione a livello di massa del nazionalismo e della xenofobia sono in gran parte il prodotto dell’Europa. In parole semplici, la Le Pen è il prodotto dei Macron, o meglio di chi gli sta dietro, cioè l’élite del capitale. Pretendere di curare il male, rappresentato dalla prima, con il secondo è come curare la febbre, cioè il sintomo, inoculando altre dosi di virus, cioè con la causa. Ma c’è dell’altro, più importante. L’Europa determina la ripresa del vero nazionalismo – non quello plebeo e populista – ma quello concreto degli interessi geostrategici e economici, mediante l’aumento dei divari tra potenze europee e la riduzione della domanda interna, che accentuano la tendenza all’espansione estera. Ne consegue la modifica dei rapporti di forza pregressi e quindi l’aumento della competizione e della concorrenza, non solo tra capitali ma anche tra stati, e della aggressività militare. In sostanza si afferma, pur nel contesto della globalizzazione e dell’ideologia cosmopolita, un nuovo nazionalismo. L’aggressione della Francia contro la Libia di Gheddafi, al fine di scalzare l’Italia dal controllo di petrolio e appalti, non sono dovute alla Le Pen, ma al “democratico” Sarkozy, mentre lo stop alla acquisizione dei cantieri navali francesi da parte di Fincantieri non è dovuta alla nazionalista Le Pen ma a Macron, all’alfiere dell’internazionalismo liberale e dell’europeismo.
2.
Dunque, se, da una parte, va condotta una lotta contro il fascismo tradizionale e classico, utilizzando ogni strumento possibile, non va dimenticato che il problema centrale è rappresentato dalla democrazia oligarchica e dai suoi meccanismi. Questa è la forma del dominio da parte dell’élite economica, così come, negli anni ’20 e ’30, con condizioni storiche e sociali molto diverse, lo era il fascismo. La vera analogia sta nell’essere entrambi espressione diretta e immediata (sottolineo: diretta e immediata) del potere oligarchico dello strato di vertice del capitale, associato all’élite burocratica e tecnica statale (e, oggi in Europa, anche sovrastatale). La classe socio-economica che ormai quasi cento anni fa, nel ’22, trovò espressione nel fascismo oggi, mutata essa stessa, lo trova nelle forme della democrazia oligarchica e nei meccanismi dell’integrazione europea. È per questa ragione che l’antifascismo è non solo attuale, ma è ancora più attuale oggi rispetto a qualche decennio fa. Non solo e non tanto per prevenire lo sviluppo dei gruppi dichiaratamente fascisti e di estrema destra, che pure stanno rialzando la testa e vanno contrastati. E certamente non perché in Italia sia possibile una opzione fascista, scartata a favore di altre forme di soluzione delle contraddizioni sociali già negli anni ’60 e ’70, in contesti ben più “caldi” di quelli odierni. Ma perché lo strato di vertice del capitale, come negli anni ’20 e ’30 in Italia e Germania durante il fascismo, sta affermando il suo dominio senza mediazioni o con mediazioni corporative e non di classe, ricreando analoghe situazioni e meccanismi di concentrazione del potere politico all’interno e di espansione, anche aggressiva e militare, all’esterno. In entrambi i casi il sistema parlamentare è sostituito da un sistema governamentale, in cui è l’esecutivo (e all’interno di esso il premier) a dominare, egemonizzato nel fascismo dalla persona del duce o del führer (ma in Italia con una sorta di diarchia con la monarchia), oggi in modo più direttamente “elitario” e oligarchico.
3.
I gruppuscoli fascisti rialzano la testa perché annusano l’aria di cambiamento, e sentono affinità elettive con il contesto. Non si può essere antifascisti, in modo concreto e adeguato all’attualità, senza capire il ruolo non solo del neoliberismo ma degli strumenti concreti con cui si è attuato in Italia e in Europa occidentale, attraverso le leggi elettorali maggioritarie, la concentrazione del potere mediatico nelle mani dei grandi gruppi, la creazione di forme partito leggere e personalistiche, e soprattutto attraverso la leva dell’integrazione economica e valutaria europea. Non si può difendere la Costituzione o pensare alla sua attuazione senza affrontare il contesto dei vincoli europei e il fatto che il suo stesso testo è gravemente minato dall’introduzione dell’obbligo del paraggio in bilancio. Pretendere di essere antifascisti oggi senza capire tutto questo vuol dire pensare l’antifascismo soltanto come memoria storica, cosa che pure è importante, e non come componente vitale e perciò più forte del nostro essere e del nostro agire nel presente.
Il punto principale, va sempre ricordato, è sempre quello di capire la forma e le specificità del dominio (comprese analogie e differenze con il passato), per poterlo affrontare con efficacia.
4.
Dal commento di Eros Barone:
«Il fascismo, infatti, non è una ‘parentesi’ nel corso progressivo della storia – parentesi che si è chiusa con la fine di Hitler e Mussolini -, ma è ìnsito nella natura stessa del capitalismo e, quando e dove ci sono le condizioni, risorge puntuale come la morte. Diversamente, come spiegare la dittatura dei colonnelli nella Grecia del 1967, la dittatura di Videla nell’Argentina del 1972, quella di Pinochet nel Cile del 1973 e, giungendo all’attuale periodo, il regime nazifascista in Ucraina?»