di Leopoldo Attolico
ANTAGONISTI MANCATI
( gli orrendi anni ’80 )
Alla mia generazione è sempre mancata
l’ambizione di colpire e sparire
come conviene ai guastatori;
il genio della guerriglia
di cui era maestro Garibaldi
La mia generazione è sempre stata interessata
a battersi le mani e a questuare voti
in una realtà feriale banale e dispersiva
di apparizioni, di umori salottieri
di saldi di fine stagione fra dame e cicisbei
Gli sono mancate le palle
quelle che fanno voltare le spalle
al disvalore delle vane parole
non solo per disaffezione
ma per amore
soltanto per amore
1990
IO E LORO
In questa epoca di emotività a entropia crescente
il valore che do’ alle parole mi ha insegnato
che hanno un profondo senso della vergogna
e soffrono se usate male
Quindi niente strep tease intellettuale
o cuccia calda di sentimentalismo deamicisiano;
solo un silenzioso sfiorarsi di gomiti
nel comune destino di riconoscerci inadeguati
ELUCUBRANDO ELUCUBRANDO
Può darsi che la pernacchia rientri nel novero
di una evoluzione della comunicazione
o sanzioni il superamento della parola
la fine del logos
il suo smarrirsi in degradazione sonante
rumore senza più continenza
e onomatopeicamente vincente…
MINIMALISMO METROPOLITANO
Al ragazzotto che abbaia a brutto muso
non ti meno giusto perché sei un vecchio babbione
faccio notare sommessamente
che la segnaletica stradale mi dava la precedenza
e che mi picchiasse pure, tranquillo, senza remore
perché sono giovanissimo dentro
AL ZANZOTTO DI “EUROSIA”
In un involucro malato e odoroso d’epoca,
in sontuosi acrilici costumi
si addentano le parole
e si dilaniano con educato mestiere
Oh bei tempi andati dei cavalieri futuri!
Umani, androidi,
robottini dorati e fosforescenti
lessici galattici, elettroniche totalitarie
tutti giù giù nell’imbuto geometrico
e ossessivo del nulla…
STORNI SU PIAZZA DEI CINQUECENTO
Anche stasera, a migliaia
fanno delle loro evoluzioni
un palinsesto surrealista, dadaista, impressionista.
Sono, in fondo, la poesia
la sua anarchia che fa quello che vuole
che non è mai quello che avevamo pensato un attimo fa
Nell’indisciplina dell’armonia
che coniuga il probabile al possibile
s’inciela la prossima poesia?
SCENDEVA DALLA SOGLIA…
(A Guido Ceronetti che non trova pace)
(…) accade così di fare confusione
per tutta la vita
tra Erba Gramigna e Malerba
e quando, in questa compulsione vegetale
riusciamo finalmente a intravedere un valore infinito,
il riverbero dell’essenza, dell’assoluto,
ecco scendere dalla soglia di uno di quegli usci in erba
e venirci incontro
la luttuosità del sociologo della devianza
a dirci che la poesia è morta
che è stata sepolta dalla Linea Lombarda
e che anche da viva, al più, ha sempre lasciato soltanto
la buona impressione e i due punti
come nel gioco del pallone
TI AMO
Ti amo per l’indifettibile morire
e rinascere ogni volta impertinente e feconda
agitando quel tuo codice binario
che non muove un congegno ferroviario
ma una parola d’amore ove la punta d’estasi
coincide con la suprema crisi
Atropa come la risacca semantica degli elegiaci
galvanizza le mie sinergie
innervandole di Emilio Villa
e devastandole con la valduga
UN ATTIMINO
Niente di che, è solo un attimino
spettacolo verbale verso il quale si è ormai smaltita
ogni residua forma di consenso o di rifiuto.
E’ quindi passato in giudicato
Pensiamo un attimino, e custodiamolo
come valore aggiunto, riconoscendogli
la perla di blandire l’impazienza
che la dimensione temporale ascrive
all’attimo fuggente, insopportabilmente lungo
MAGGIO DI ROSE E CAVOLFIORI
Il tempo dell’afrore del cavolfiore da fornello
ci riporta sulla terra, Osvalda
e contende alle rose la terrestrità che più ci occupa,
la nostra misura domestica che devasta l’olfatto
reclamando la pietas di una finestra aperta
Tra rose e cavolfiori
s’immilla (!) di colore e insofferenza
il mio e il tuo tempo, amore;
col sine die a perpetuarne il dramma
ANTELUCANA
L’ironia nelle risate dei gabbiani sul Lungotevere
raggiunge il poeta rampante
in attesa sotto casa del critico famoso
che porta a spasso il cane
alle cinque di mattina
Alle cinque di mattina
è facile assegnare all’intraprendenza
un decoro, una plusvalenza
ma il solfeggio di gabbiani impertinenti
può rovinare la festa
UNGARETTIANA
Una intera giornata
con l’assenza di carta e matita penetrata nell’ossa
buttato su una panchina dei giardinetti pubblici
a guardia dei nipotini che si mangiano la ghiaia
ho pianto lacrime amare da taglio di cipolla
Ma crepuscolosa
annunciata in lontananza dal verde esclamativo
di un semaforo
e dalla marcia trionfale dell’Aida,
una figura in nero di straordinaria ineleganza
colmava di futuro la mia disperata inanità:
-Leopoldo, sarai ampiamente risarcito
da vent’anni di poesia à la carte
EGO TE ABSOLVO
-Padre, sogno ragazze col seno di neve e le ciliegine.
-E lo vieni a dire a me, figliolo?
-E a chi altri, padre?
-Ma alla tua poesia perbacco!
Quale monitoraggio responsabile può dribblare
un disastro incoronato da un sapore colorato?
Lui certifica l’adagio che tra scrittura e vita
non c’è frattura. Fanne tesoro! Fatti coraggio!
PER UNA CULTURA DELLA PACE
In questa caldana d’enfasi esantematica
che tifa per la pace senza meritarla
la pace tiene duro e latita, come è giusto che sia.
E’ più che mai uno zombi
scettico per tutto questo fervore di circostanza.
I tarantolati dalla colomba bianca iconografica
non sanno neanche dove sta di casa
quel battito di pietas quotidiana
che è la sola premessa per andare in piazza
con le carte in regola e dare alla pace
quello che si merita. Sono mille miglia lontani
dall’idea di fare il contropelo alla retorica
e i conti in tasca a un empito cui manca
la benzina e il firmamento per andare a segno
e legittimare una istanza.
La pace a gogò non è una cosa seria
quando ci si scanna fino a cinque minuti prima
di farne un avamposto fideista.
La guerra ha bisogno di interlocutori all’altezza,
non di aria fritta che starnazza e blatera
PASQUA ’93
Celebriamo la liturgia della Pasqua
come evento senza tempo
in cui nulla di nuovo accade
e tutto è memoria.
E misuriamo quanto in questi giorni
essa, la Pasqua, il racconto fondatore
della cultura occidentale, giaccia in fondo a noi
non pensato. Eppure è esso che ci ha portato
l’idea del futuro che realizza i desideri profondi:
ci ha insegnato che la storia umana
può avere un senso, un fine e una fine
Gli uomini di chiesa hanno paura di pensare
e ripetono l’insignificante; gli uomini di cultura e di scienza
non credono più che si possa pensare il destino;
al massimo consentono che lo si subisca
come un banale avvenimento, come cronaca minore
che subentra quando la Storia non ha più volto
Eppure la Storia bussa con urgenza in questi giorni
con tanta più forza quanto meno siamo disposti ad ascoltarla.
Vi è un crocifisso che non risorgerà nella Pasqua del ’93;
il popolo di Bosnia
Febbraio/Marzo ’93
LA GIOIA NEI COLORI
(In ricordo di Achille Serrao)
Ora che ormai
soltanto un’eco può sorprenderci
lasciandoci nel cuore i resti di un sorriso,
per contro
i tuoi colori sono il pane di una consuetudine
di una relazione feconda e ineludibile
Quando la sua crosta scricchiola
con il suono più vicino all’amore
risillaba le parole che lo fanno esistere
e le traduce in sensi e luoghi
in gioia inestinguibile
effusiva come una scolaresca di bambini in gita.
A MIO FIGLIO
I
Questi tuoi occhi come mani nel cielo
e la sera che si annuncia malandrina
declinazione di tenerissimi colori …
Non ho molto per te.
Sono una guida che sbanda
e dimentica i fondamentali
E’ così grande il peso della terra;
tu me ne additi un soffio solamente…
Hai tante cose per me.
Il tuo dire è un madrigale di suoni
ed io non ho difese
II
Se questo tuo graffito sul soffitto
non è più inno, non è più poesia
non è più vita della vita mia
io non mi chiamo più Leopoldo Attolico.
Questo, corrivo, brucia dentro me
Adriano
aspirante uomo a spasso su un armadio
e piccola emanazione del mio essere al mondo.
Forse è proprio la luce del vederti in cielo
a farmi fare, con te, passi d’astronauta.
Il pianeta di verde epifania che trascorre i tuoi occhi
mi ricorda
che un giorno, poco fa,
ti son passato accanto
Leopoldo Attolico vive ed opera a Roma, ove è nato il 5 Marzo 1946.
Dalla seconda metà degli anni ’80 si occupa principalmente di poesia performativa e delle sue modalità espressive foniche , ironiche / autoironiche e antistress.
I suoi titoli di poesia
-
Piccolo spacciatore , Il Ventaglio 1987 , raccolta antologica di versi giovanili premiata l’anno successivo con il Mecenate da una giuria presieduta da Giorgio Bassani.
-
Il parolaio , Campanotto 1994 , con prefazione di Luigi Fontanella e una gouache di Ernesto Treccani.
-
Scapricciatielle , El Bagatt 1995 , compendio di poesia performativa , con una nota di Vito Riviello e due chine di Giacomo Porzano. Premio Franco Matacotta.
-
Calli amari , Edizioni di Negativo , Bologna / Roma 2000.
-
Mix , Signum Edizioni d’Arte 2001 , con sette disegni di Ermes Meloni.
-
Siamo alle solite , Fermenti 2001 , con prefazione di Giorgio Patrizi e due chine di Giuseppe Pedota.
-
I colori dell’oro , Caramanica 2004 , con una nota di Giuliano Manacorda.
-
La cicoria , Ogopogo Edizioni d’Arte 2004 , con due chine di Cosimo Budetta.
-
Mi (s)consenta , Signum Edizioni d’Arte 2009 , con sette opere di Ester Ciammetti.
-
La realtà sofferta del comico , Aìsara 2009 , con prefazione di Giorgio Patrizi e postfazione di Gio Ferri.*Per approfondimenti http://www.attolico.it/
Sempre grato ad Ennio Abate , anche per il passato .
leopoldo –
Ho apprezzato la selezione di poesie di L. Attolico perché esse sono andate a toccare corde legate nel profondo alle stagioni perdute e al pensiero di quale lascito si potrà passare in eredità (*Non ho molto per te./ Sono una guida che sbanda/ e dimentica i fondamentali*, da “A mio figlio”).
E nello stesso tempo concordo con il *…niente strep tease intellettuale/
o cuccia calda di sentimentalismo deamicisiano*, (da “Io e loro”).
Anche se poi dà da pensare l’ultima battuta, sempre della stessa poesia, *solo un silenzioso sfiorarsi di gomiti/nel comune destino di riconoscerci inadeguati*: ma quale fu l’inadeguatezza? Nella difficoltà a cogliere la complessità del rapporto guerra/pace?
*La pace a gogò non è una cosa seria/quando ci si scanna fino a cinque minuti prima/. [..] La guerra ha bisogno di interlocutori all’altezza,/non di aria fritta che starnazza e blatera*, da “Per una cultura della pace”.
Ma le ho apprezzate anche per l’uso del mezzo poetico che, in questo caso, diventa parte vibrante dell’artista, così come accade al grande suonatore di violino con il “suo” strumento, con il quale fa tutt’uno per coniugare materialità, virtuosismo e bellezza. Stupenda, a tale proposito, mi è sembrata la poesia “Maggio di rose e cavolfiori”.
E a proposito di poesia, meravigliosa – e significativa – anche “Storni su piazza del Cinquecento” che mi piace riprendere per intero: *Anche stasera, a migliaia/fanno delle loro evoluzioni/un palinsesto surrealista, dadaista, impressionista./Sono, in fondo, la poesia/la sua anarchia che fa quello che vuole/che non è mai quello che avevamo pensato un attimo fa/.Nell’indisciplina dell’armonia/che coniuga il probabile al possibile/s’inciela la prossima poesia?*.
Grazie (e anche a Ennio che le ha proposte).
R.S.
Non mi reputo all’altezza di poter dire qualcosa, che abbia senso critico, in merito a queste poesie di Leopoldo Attolico. Lo considero tra i poeti che meglio mi insegnano la lingua italiana. Lui e pochi altri. Per qualità, tra quanti scrivono nel linguaggio di questo tempo, è poeta come pochi in Italia – Mi fermo, mi fermo!
Tra i vari piaceri, quello estetico non è di poco conto.
Dove ho cercato poesia? Nel “verde esclamativo / di un semaforo. Dove mi sono divertito? Al punto esclamativo di “s’immilla (!)”.
Dove tra queste, Attolico è stato, per me, ancor più grande poeta? Qui:
Quando la sua crosta scricchiola
con il suono più vicino all’amore
risillaba le parole che lo fanno esistere
e le traduce in sensi e luoghi
in gioia inestinguibile
effusiva come una scolaresca di bambini in gita.
E’ un modo di fare poesia, questo, che mi sorprende e affascina: le molte immagini e il senso trattenuto; in equilibrio tra passato e presente. Sei righe ed è un solo verso. Doveva essere tanta l’emozione (l’amore, il dispiacere) se ha provocato una tale forza di (artistico) controllo. Nel volo.
Quando penso alla poesia performativa, sono portato a credere, certo sbagliando, che si tratti di teatralità; quindi voce e spartito. Non un accadimento perfettamente e compiutamente scritto in un testo.
Rende performante la prestazione del lettore.
Ringrazio Poliscritture per la grande opportunità che mi avete offerto.
Quanto all’inadeguatezza ( delle parole ) cui accennava Rita Simonitto – che ringrazio , unitamente a Lucio Mayoor Tosi – posso dire che mi riferivo alla consapevolezza di quanto siano sempre approssimative nel tentativo di rappresentare – compiutamente – la nostra ” verità ” o punto di vista che sia .
Il ” silenzioso sfiorarsi di gomiti “vorrebbe indicare una complicità ( o comune solidarietà ) nella precarietà espressiva che da sempre ci occupa .
…sono poesie veramente molto belle queste di Leopoldo Attolico: a largo spettro per le emozioni, i sentimenti e le convinzioni che le attraversano. E sempre informate, pur nella profondità, da una straordinaria misura sia quando esprimono sentimenti di sofferenza o di tenerezza o diventano ironiche, autoironiche o sarcastiche…Anche le poesie con un risvolto umoristico sono in qualche modo garbate e consapevoli e non sguaiate e superficiali come certa scrittura comica dei nostri giorni…grazie
In maggioranza le poesie sono costruite sulla base di una opposizione, una tesi e un commento, esemplare EGO TE ABSOLVO “-Padre, sogno ragazze”/”Quale monitoraggio responsabile può dribblare…”
Molte condividono la letterarietà come condizione . Per esempio la riflessione sulle parole di UN ATTIMINO, la parola è sottoposta a una perversione semantica ma stirata per raggiungere anche nuovi significati
“… E’ quindi passato in giudicato
***
Pensiamo un attimino, e custodiamolo
come valore aggiunto, riconoscendogli
la perla di blandire l’impazienza
che la dimensione temporale ascrive
all’attimo fuggente, insopportabilmente lungo”
TI AMO è raffinata: combina riferimenti idiosincratici, ma regge accostando termini scelti e del tutto decontestualizzati.
Altre poesie si riferiscono alla colonizzazione letteraria immaginaria (UNGARETTIANA con ironiche riprese di attacchi e del ma avversativo) altre con sarcasmo verso il linguaggio (il virtuosismo sulla pernacchia di ELUCUBRANDO ELUCUBRANDO) o verso certi comportamenti, in ANTELUCANA. Ma c’è anche l’invettiva sociale e politica di PER UNA CULTURA DELLA PACE.
L’amore compare spesso, anzi è presente quasi sempre, per tenerlo a distanza, nella sua maggiore serietà nella chiusa lancinante di ANTAGONISTI MANCATI, ma con l’insofferenza drammatica di MAGGIO DI ROSE E CAVOLFIORI
“Tra rose e cavolfiori
s’immilla (!) di colore e insofferenza
il mio e il tuo tempo, amore;
col sine die a perpetuarne il dramma”
E poi è l’amore vero di un padre per suo figlio
“Se questo tuo graffito sul soffitto
non è più inno, non è più poesia
non è più vita della vita mia
io non mi chiamo più Leopoldo Attolico.”
accompagnano come un amico con il quale concordi situazioni culturali, di stretta quotidianità e di (consunte) strettoie civili – queste poesie, non più “inedite” finalmente. e con quel linguaggio così tenue ed impegnativo, raro dalle nostre parti.