Strategie e schieramenti in Europa

di Cristiana Fischer

1. Il 28 ottobre esce sul blog L’Italia e il mondo un articolo di Roberto Buffagni: “Due appelli, due Europe”, che analizza due documenti pubblicati sullo stesso sito qualche giorno prima.
Il primo si chiama “Appello per il rinnovamento democratico” ed è stato promosso da una importante istituzione democratica che ha sede a Bruxelles, nell’ambito del Forum 2000 riunito in maggio a Praga. L’Appello apre con la dichiarazione che “la liberal-democrazia è minacciata e chi la ha a cuore deve accorrere in sua difesa”. La minaccia proviene non solo da stati come Russia, Cina e altri regimi autoritari, ma anche da paesi illiberali, da governi che sono incapaci di rispondere alle sfide della globalizzazione, da processi politici sclerotizzati e disfunzionali, da burocrazie lontane e opprimenti. La conclusione del breve Appello dice: “Non ci sono scuse per restare in silenzio e per non agire. Non aggrappiamoci a una falsa illusione di sicurezza, mentre la democrazia è in pericolo. La attuale crisi offre ai democratici la possibilità di mobilitarsi, e dobbiamo coglierla.”
L’articolo di Buffagni tratta più ampiamente del secondo documento, uscito pochi mesi dopo l’Appello di Praga, redatto da un gruppo di noti intellettuali e politici conservatori in rapporto tra loro. Questo secondo documento, noto come la Dichiarazione di Parigi, si intitola “Un’Europa in cui possiamo credere” e propone un’idea dell’Europa, della sua tradizione e del suo ruolo politico, su cui immagina possano convergere forze politiche europee di destra e di estrema destra populista.

«Una collaborazione tra conservatori e populisti può sventare un pericolo molto grave: la polarizzazione radicale delle posizioni politiche e culturali, specialmente sul tema decisivo dell’immigrazione. La identity politics perseguita da decenni dalle forze progressiste di tutto il mondo occidentale, e imposta ossessivamente nel linguaggio dispotico del politically correct, negli Stati Uniti ha già prodotto un contraccolpo eguale e contrario, e alimentato la formazione di una cultura politica di destra radicale, la Alt-Right, nella quale, insieme a posizioni accettabili e anzi interessanti, si sono già cristallizzate posizioni di vero e proprio razzismo su base scientistica, affatto inammissibili ed estremamente pericolose [...] La presenza significativa di forze conservatrici, che si rifanno alla civiltà europea e alla cultura cristiana, nell’alleanza anti UE, diminuisce di molto i rischi di una deriva razzistica e tribale del campo in cui ci situiamo.»

L’Europa è la nostra casa “un luogo dove le cose sono familiari e dove veniamo riconosciuti per quanto lontano abbiamo vagato. Questa è l’Europa vera, la nostra civiltà preziosa e insostituibile”. La Dichiarazione di Parigi si rivolge a politici e intellettuali, indicando come nemico da combattere il globalismo democratico della UE, quello rappresentato dall’Appello di Praga, che per Buffagni è un atto di guerra “una dichiarazione di guerra totale all’Europa come realtà storica e come tradizione culturale”.
Conflitto e guerra sono le parole-chiave che Buffagni applica al campo politico rappresentato in modo contraddittorio dai due documenti.

2. Nel suo blog Tempofertile Alessandro Visalli risponde a Buffagni con “Lo scontro tra le diverse Europe”. Innanzitutto attutendo i termini del conflitto. Anche Visalli critica l’Appello di Praga, un elenco di banalità e di sicumera con cui gli estensori, affermando la superiorità della democrazia liberale sulle altre forme politiche, tacciano gli altri di relativismo, ma diventano a loro volta assolutisti.
Alla Dichiarazione di Parigi però Visalli imputa chiusure di tipo filosofico e difese di privilegi di ceto e di classe.

«Tratti caratteristici che sono richiamati nella Dichiarazione [di Parigi], anche in questo radicalmente estranea al liberalismo (sia classico sia contemporaneo), sono le tradizioni religiose (con “virtù nobili” come “l’equità, la compassione, la misericordia, il perdono, l’operare per la pace, la carità”) e lo spirito del dono, ma anche quelle classiche, l’eccellenza, il dominio di sé, la vita civica […]
 Su questa via il progetto europeo, tracciato sulla via del cosmopolitismo liberale e della dissoluzione delle solidarietà nazionali, è designato come nemico. E con essa è designato, con aspra franchezza, come nemico anche il movimento di liberazione dei costumi e antiautoritario che ha attraversato l’occidente al finire degli anni sessanta. Un movimento che viene connesso sia con la riduzione delle autorità, sia con l’esplosione dei consumi e di uno stile di vita edonista e individualista. Ovvero è denunciato come fattore di disgregazione sociale [...]
 Qui comincia a divergere quindi la mia sensibilità: pur comprendendole, parole come “gerarchie sociali e culturali” e “senso della grandezza spirituale”, riverberano troppo da vicino il grande tema dei privilegi di rango, la società divisa in caste e ordini... »

Anche sulle alleanze tracciate da Buffagni, Visalli non concorda pacificamente. Per ora riporta senza commentare (ma riprenderà più avanti il discorso su marxismo e sinistra) il giudizio di Buffagni sulla sinistra: indisponibile a produrre una riflessione critica, e tanto meno un’azione politica, contro la UE, si estromette dunque automaticamente dal campo dello scontro.
Riguardo il populismo condivide invece il pensiero di Carlo Formenti, cioè di un populista “di sinistra”.

«Ciò che dobbiamo, io credo, ricercare è la costruzione di una “comunità di tutti quelli che lavorano e lottano in un dato territorio” (Formenti, “La variante populista”, p.9) che indirizzi una tensione aperta ed inclusiva a fare “Nazione”, nel pieno rispetto della vocazione e del diritto eguale delle altre (ovvero in direzione di un autentico multipolarismo plurale) [...] Ciò non è affatto incompatibile con gli obblighi che intendiamo auto assumerci nei confronti dell’umanità in generale, ma li sostanzia: la causa dell’umanità si sostiene, infatti, difendendola entro di noi e nelle istituzioni con le quali abbiamo a che fare; compiendo la “buona gara” di renderle ognuna esempio per l’altra.»

3. Nel nuovo articolo di Buffagni “I Manifesti nemici”, uscito in due parti di nuovo sul blog L’Italia e il mondo, l’opposizione tra progressisti e conservatori (posizioni differenti per cultura politica, che non coincidono con la destra e la sinistra parlamentari) viene riportata al rapporto con il trascendente. Progressismo comporta l’assenso a “universalismo politico e relativismo spirituale” mentre conservatorismo comporta l’assenso a “endiadi di universalismo spirituale e relativismo politico”.

«Dicendo “Europa” non si designa soltanto una realtà geografica, politica, storica: si designa la tradizione culturale, egemonica nel mondo, dalla quale nascono entrambe le culture politiche, conservatrice e progressista, che nei due manifesti nemici vediamo prendere le armi l’una contro l’altra. Assistiamo dunque, e anzi volenti o nolenti partecipiamo, alla ripresa in forma trasfigurata delle guerre di religione che hanno scosso l’Europa cinque secoli fa. Scrivo “guerre di religione” perché il conflitto in corso non si svolge soltanto, e credo neanche soprattutto, sul terreno della potenza; si svolge sul terreno dello spirito, là dove si pongono domande quali “che cos’è uomo, storia, comunità, destino, mondo, vero, falso, bene, male?” E’ la dinamica, a parti e rapporti di forza rovesciati, che inaugurò la guerra di religione in seno alla Cristianità europea: la reciproca accusa di eresia. Il manifesto di Parigi è l’analogo delle 95 tesi luterane.»

Per Buffagni il fine ultimo dell’uomo non è in questo mondo. Alla radice della civiltà europea c’è un tema continuamente riproposto e interrogato: la tensione irriducibile tra potenza e spirito.
Attraverso la mediazione del concetto filosofico e metafisico di natura umana, egli arriva anche a ipotizzare una frattura interna al marxismo e la possibile alleanza con una parte della sinistra.

«... azzardo una previsione. La linea di frattura lungo la quale la sinistra si spaccherà, dividendosi nei due campi della guerra civile di religione che si prepara, è quella che corre fra la sinistra umanista-marxista e quella post-strutturalista: perché qualsiasi umanismo deve fare appello (magari con qualche incoerenza, nel caso dell’umanismo di derivazione marxista) a un’idea di dignità e natura umana e a una visione sostantiva del bene, una mossa che i critici della modernità e del capitalismo di famiglia foucaultiana non possono e non vogliono compiere. La parola chiave è: visione sostantiva del bene e dell’uomo; “sostantiva” nel senso forte che la parola “sostanza” prende nella tradizione filosofica greco-romana e cristiana.»

Eguaglianza, come fraternità e libertà, sono valori cristiani ma la storia moderna li ha rescissi dal legato greco-cristiano, rifiutando il peccato originale e la consapevolezza che gli uomini non sempre agiscono secondo ragione. Il tentativo di realizzare quei valori “in una visione del mondo e dell’uomo secolarizzata e antimetafisica come quella illuminista e progressista”, ha provocato effetti antitetici a quelli desiderati. Questo è il frutto dello gnosticismo politico “cioè a dire la trasposizione sul piano storico, immanente, delle categorie escatologiche cristiane”.

Le disuguaglianze sociali sono un fatto permanente, tuttavia Buffagni vuol tenere aperte possibili alleanze su quel terreno.

«Non tocco, qui, il tema “quali eguaglianze, quali gerarchie siano desiderabili e perché”. Ne potremo discutere, con Visalli e con altri, in seguito. Quel che mi preme, per ora, è indicare il contesto entro il quale questa discussione mi pare fruttuosa: che non è l’antitesi radicale e principiale eguaglianza/gerarchia, progresso/reazione; ma le forme e i contenuti concreti delle eguaglianze, delle differenze, delle gerarchie possibili.»

4. Nell’ulteriore risposta “Dell’uguaglianza: dialogo sui due Manifesti”, Visalli ripercorre gli argomenti dell’intera discussione.
Respinge il tema della frattura netta tra una sinistra umanista e una poststrutturalista e precisa che “se comunque la questione dirimente fosse l’ancoraggio ad un concetto di natura umana ‘fondato religiosamente e/o metafisicamente’” saremmo riportati alla guerra civile europea della prima metà ‘900 [si veda: Ernst Nolte, La guerra civile europea 1917-1945. Nazionalsocialismo e bolscevismo].
Concede a Buffagni che sarebbe ridicolo disconoscere la regolarità storica di ceti e classi, e che non sia immaginabile l’eliminazione della disuguaglianza sociale. Ammette che vi sia un impegno per il bene comune nell’espressione “ethos aristocratico”.
Ma soprattutto si impegna sul concetto di eguaglianza. Che è quella affermata dalla rivoluzione americana e da quella francese, e significa: non riconoscere che alcuni uomini siano superiori agli altri.
Eguaglianza è anche ciò che san Paolo scrive nella Lettera ai Galati: “non c’è né ebreo né greco, né schiavo né uomo libero, né uomo né donna, perché tutti voi non siete che uno in Cristo Gesu”.
Questa eguaglianza radicale, ammette Visalli, è tuttavia ‘spirituale’, non politica, non è un’eguaglianza democratica. Egli obietta però a Buffagni, che questo messaggio cristiano è stato raccolto dal “ripensamento seicentesco” (di cui fa parte il protestantesimo), è stato ripreso dall’illuminismo, e condiviso dalle due rivoluzioni, quella americana e quella francese.
La conclusione dell’articolo è:

«In accordo con una lontana tradizione l’uguaglianza davanti a dio e naturale ha ancora una dimensione strettamente morale, e solo questa.
 Quello evocato dal nostro interlocutore [Buffagni] è, insomma, un antico terreno di battaglia.»

5. Ho seguito, in questo scambio – individuando i punti di raccordo e quelli di differenza – le forze ideologiche che aspirano a governare il mondo (quello occidentale, almeno), in collegamento al protestantesimo o al tradizionalismo cristiano e cattolico. Non mi riconosco nel tradizionalismo religioso ma neanche nella linea filosofica cristianesimo-illuminismo-etica proposta da Visalli, dato che non ha saputo correggere né impedire l’orrore realizzato negli ultimi tre secoli.
Ho seguito lo scambio da una posizione di distacco, senza esserne implicata. Ho fatto più o meno gli stessi studi, ho percorso gli stessi avvenimenti storici, ho dato attenzione alla stessa politica, ho studiato la storia del pensiero, della religione, ma ho osservato le mosse e i passaggi di questo incontro/scontro, pubblico, che ha definito due posizioni, l’una conservatrice e gerarchica, l’altra illuminista e egualitaria, come una spettatrice. Infatti in questo scambio io c’ero e non c’ero, mai la parola donna è comparsa negli articoli dei due autori.
Le donne sono citate della Dichiarazione di Parigi ma solo come madri o nel legame matrimoniale o per le politiche di parità, anche se, dopo cinquantanni di femminismo, il protagonismo delle donne (Merkel, May, Clinton, Le Pen…) si è imposto in occidente!

Governare spiritualmente il mondo è anche la grande scommessa del femminismo, un’alleanza di pace tra le donne, e tra le donne e gli uomini, in base a reciproche relazioni di riconoscimento. Il pensiero femminista e la politica delle donne non tracciano segnali di guerra, si orientano sulle relazioni, sul confronto, sull’attenzione.
Ho seguito uno scontro che riguarda quasi solo uomini maschi, che affrontano le faccende politiche in termini – ahimè – guerreschi e che, tra morti e distruzioni, governano il loro mondo e il nostro. E se la logica dei fatti, insieme con le posizioni emerse dallo scambio, portasse a conseguenze difficili per tutti nei prossimi tempi, di nuovo anch’io, come tutte le donne, in proprio o per i maschi a cui siamo legate, sarei interamente coinvolta.

Tutti gli articoli citati si trovano raccolti in: http://italiaeilmondo.com/category/dossier/europa-e-unione-europea/

8 pensieri su “Strategie e schieramenti in Europa

  1. Grazie alla signora Fischer per il riassunto e l’analisi dello scambio di idee tra Visalli e me. Francamente non saprei se la responsabilità del conflitto e della guerra sia da attribuire ai maschi o invece agli uomini, donne comprese. In ogni caso, come rileva la signora Fischer in chiusura, maschi e femmine sono coinvolti entrambi, da sempre, nella storia e nei conflitti.

    1. La condizione di essere coinvolti è in effetti comune a tutti. Che la gestione, e la responsabilità, del conflitto e della guerra siano altrettanto comuni non lo credo proprio. Riprenderò una frase di Lea Melandri da un’intervista (Il dubbio, 24 nov 2017): “Si ha la consapevolezza che il rapporto tra i sessi e il dominio del patriarcato sono alla base di tutte le forme di dominio. Si vedono i legami che ci sono tra le diverse forme di violenza: ed è chiaro che il sessismo le attraversa tutte.”
      Il dominio si radica dove è una separazione e una debolezza. La separazione è quella del corpo maschile del figlio rispetto al corpo amato e differente della madre. La debolezza è quella fondamentale del corpo materno nella generazione e nell’allevamento. Sono molto sintetica. Ma occorre focalizzare il punto in cui si innesta la possibilità e l’effettualità del dominio, il pensiero femminista lo radica qui, nella differenza iniziale dei due sessi.
      Poi l’idea del dominio si manifesta nelle forme storiche e psicologiche che conosciamo.
      Certo, a questo punto ci sono anche donne potenti, e uomini deboli e vinti. Ma il ripresentarsi del sessismo e della violenza chiede di ragionare su un altro piano.

      1. Scusi se non intervengo sul tema da lei sollevato: di pensiero femminista so zero, evito di dire sciocchezze. Francamente a me sembra che niente sia meglio ripartito tra gli uomini e le donne della cattiveria e del desiderio di dominio, ma forse è solo un pregiudizio, non me ne voglia.

  2. …secondo me, questo scontro tra Buffagni e Visalli sul presente futuro dell’Europa risuona come un ingorgo stagnante di pensieri eurocentrici che non apre lo sguardo sulla situazione mondiale, di cui facciamo parte…Mi sta bene quella dimensione del femminismo che abbraccia le aspettative di emancipazione di molti movimenti presenti sulla scena del mondo, se ne fa portavoce e dialoga con gli ultimi…

  3. Schematicamente e sperando di poter approfondire nella discussione che potrebbe aprirsi.
    Pur trovando il tema importante e dichiarando ammirazione per le competenze filosofiche di entrambi i “duellanti” (Buffagni e Visalli) di questa polemica, devo dire che mi respinge, perché entrambi riportano le interrogazioni di POLISCRITTURE sull’Europa e su mondialismo e nazionalismi (Cfr. documento «Per Poliscritture 2» di prossima pubblicazione) troppo al di fuori del dibattito politico e del che pensare/che fare dentro *questa* sempre più drammatica piega degli avvenimenti in Italia, in Europa, nel mondo.

    Infatti, a me pare che nelle posizioni di Buffagni viene bloccata e liquidata definitivamente ogni ripensamento (per me ancora fondamentale) della storia e della prospettiva del comunismo:

    «E’ possibile e desiderabile, un’azione politica tendente a eliminare la diseguaglianza sociale? Si badi bene: eliminare, non ridurre, o modificare ricostruendola su basi anche radicalmente diverse?
    3) No. L’eliminazione della diseguaglianza sociale è impossibile, e dunque indesiderabile, perché produce effetti enantiodromici. La dinamica è la seguente: a) per eliminare la diseguaglianza sociale è necessario intervenire sulla realtà sociale non egualitaria b) per intervenire efficacemente sulla realtà sociale è indispensabile il potere c) il potere non può essere esercitato da tutti, sennò l’eguaglianza ci sarebbe già d) il potere viene invece esercitato da alcuni: come sempre il potere, che è per sua natura un differenziale di potenza, + potente/- potente d) risultato: più eguaglianza sociale si vuole ottenere, più dispotismo politico risulta necessario impiegare e) alla fine delle operazioni, si ottiene molta eguaglianza per i molti, molto potere per i pochi.)
    E’ un obiettivo immaginario e pertanto distruttivo ed enantiodromico l’abolizione delle diseguaglianze sociali, è un obiettivo reale e pertanto costruttivamente perseguibile una loro diminuzione, e/o una loro diversa composizione e legittimazione. Uno dei dati di realtà da tenere in conto è il conflitto dei valori: libertà/sicurezza, eccellenza/eguaglianza, democrazia/capacità decisionale, etc.
    […]
    Per concludere. Non tocco, qui, il tema “quali eguaglianze, quali gerarchie siano desiderabili e perché”. Ne potremo discutere, con Visalli e con altri, in seguito. Quel che mi preme, per ora, è indicare il contesto entro il quale questa discussione mi pare fruttuosa: che non è l’antitesi radicale e principale eguaglianza/gerarchia, progresso/reazione; ma le forme e i contenuti concreti delle eguaglianze, delle differenze, delle gerarchie possibili».

    E, d’altro canto, Visalli resta “immobilizzato” al riconoscimento dell’importanza di «un antico terreno di battaglia», un “giusto ideale” che non so se e quanto ritiene ancora praticabile:

    «Ma, come ricorda anche Buffagni, questa uguaglianza (davvero radicale) è tuttavia “spirituale”, non è affatto politica. Non è per niente una eguaglianza democratica.
    Per molti secoli nessuno (o quasi) ha tratto, infatti, conseguenze politiche dal lascito verbale del cristianesimo. L’intero sistema di credenze ed istituzioni lo impediva, lo rendeva non pensabile. La sovversione interna di questo messaggio potenziale avviene lentamente a partire dal ripensamento seicentesco e, in America, dalla tradizione puritana. Ancora nella Enciclopedia, curata da Diderot, la voce afferma essere la “uguaglianza assoluta” una “chimera”, e sottolinea “la necessità delle diverse condizioni, dei gradi, degli onori, delle distinzioni, delle prerogative, delle subordinazioni che devono regnare in ogni governo”. In accordo con una lontana tradizione l’uguaglianza davanti a dio e naturale ha ancora una dimensione strettamente morale, e solo questa.
    Quello evocato dal nostro interlocutore è, insomma, un antico terreno di battaglia»..

    La posizione di Cristiana Fischer: «Non mi riconosco nel tradizionalismo religioso ma neanche nella linea filosofica cristianesimo-illuminismo-etica proposta da Visalli, dato che non ha saputo correggere né impedire l’orrore realizzato negli ultimi tre secoli» coglie, a mio parere, questo limite delle «due posizioni, l’una conservatrice e gerarchica, l’altra illuminista e egualitaria» (astrattamente, aggiungerei per il secondo aggettivo), ma mi pare inaccettabile quando esemplifica il « protagonismo delle donne» con figure come Merkel, May, Clinton, Le Pen, che rientrano del tutto in una delle due posizioni appena respinte.
    E poi, quando allude ad una prospettiva di «governare spiritualmente il mondo» e ad una a-conflittuale «alleanza di pace tra le donne, e tra le donne e gli uomini, in base a reciproche relazioni di riconoscimento» a me pare riduca il femminismo ad ideologia che prende il posto delle precedenti ideologie.

  4. Alle due osservazioni di Ennio rispondo: 1) che ho esemplificato “il «protagonismo delle donne» con figure come Merkel, May, Clinton, Le Pen” rispetto al modo in cui la Dichiarazione di Parigi le nomina: madri e spose, entro una politica di parità (promossa alla grande anche a casa nostra). Proprio le signore citate mostrano invece di non averne avuto bisogno! Aggiungo anche che le donne non vogliono la parità “con gli uomini” (sono spesso più brave) ma la libertà e la differenza.
    2) La alleanza di pace tra le donne, e tra le donne e gli uomini, non può essere a-conflittuale se si innesta sul diverso rapporto del figlio e della figlia con il corpo della madre, con quello che ne segue nella storia e nella cultura. Una alleanza è una possibilità, spirituale perchè contro il dominio e il sessismo. Che sia una ideologia è come dire che è una bandiera, una meta, uno scopo. Di diverso dalle “precedenti ideologie” ha l’essere una trasformazione molecolare, di contagio relazionale, che implica la sfera emotiva e razionale.

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