di Alessandro Scuro
Senza confinare le proprie ricerche ad un ambito preciso né attribuirsi alcun titolo o specializzazione, Fourier non si considerava né un filosofo né un inventore o uno scienziato; non si riteneva niente di più di un esploratore della natura umana capace di cogliere e comprendere quel che gli altri non volevano o non riuscivano a vedere, pur possedendo, al suo pari, identici mezzi.
Le leggi dei quattro movimenti si ispiravano al calcolo gravitazionale di Newton, che aveva svelato le leggi del movimento materiale; Fourier ne ammirava il genio, ma ne biasimava le vedute limitate, per non aver saputo estendere la propria scoperta all’ambito dell’organizzazione sociale né metterla in relazione con gli altri movimenti della teoria fourieriana. Il paragone più ricorrente è quello con Cristoforo Colombo, la cui scoperta, frutto di infinita curiosità e di audacia, prima che d’astuzia e d’ingegno, aveva stravolto le fondamenta della ragione umana, ridisegnando i confini del mondo e, con essi, le frontiere del possibile.
Allo stesso modo Fourier si attribuiva il merito di aver svelato l’analogia tra i quattro movimenti che regolano i principi dell’universo e i loro futuri sviluppi, ma non difendeva la paternità di nessuna invenzione. Quel che rivelava era frutto di un’attenzione maniacale alle dinamiche degli uomini e dell’universo, ai loro rapporti e alle loro relazioni, il risultato di un’osservazione accanita e di una notevole dedizione. Si racconta che durante i suoi viaggi, armato di metro, misurasse edifici e monumenti, per dedurre le migliori proporzioni da applicare alle costruzioni armoniane, e lucide visioni della vita futura del Falansterio sono ricche particolari così minuziosi (sui costumi, sul cibo, sull’arredamento etc.) da sembrar quasi testimonianze da un mondo già esistente.
Si può comprendere come Fourier fosse in grado di osservare la sua contemporaneità da distanze tanto incolmabili se si considera il distacco con il quale si inclinava sulla storia dell’umanità, spingendo lo sguardo ben aldilà dei sui confini visibili. Per far ciò è necessario rifiutare per completo la civiltà, risalire a monte del momento in cui le sue leggi hanno sostituito l’impero della natura, espellendo dall’umana memoria l’esperienza della vita prima del pregiudizio e della morale.
Il meccanismo fondamentale della società armoniana aveva un precedente agli albori del genere umano. Le serie progressive, l’organizzazione delle diverse sessioni che avrebbero regolato la cangiante attività lavorativa degli abitanti del falansterio, condizionando per intero la vita della comunità fourieriana, avrebbero prodotto un funzionamento a quello delle prime tribù, favorite a suo parere, all’origine dell’umanità, dall’assenza di pregiudizi, dalla scarsa popolazione, dall’assenza di segni rappresentativi della ricchezza, dall’assenza di bestie feroci, oltre che dalla straordinaria bellezza e prestanza degli esseri umani a quel tempo.
Fourier sostiene che in un momento indefinito nel tempo, precedente alla Storia, alcune o la totalità di quelle condizioni fondamentali vennero meno e gli uomini, incapaci di adattare gli antichi costumi alla nuova situazione, ritennero allora opportuno addomesticare gli istinti indomabili senza più sfogo, rimediando con la legge ai disordini prodotti dalla disperazione per il benessere perduto. Fu a quel tempo che l’efficienza e la sicurezza si imposero sull’audacia e sull’immaginazione. Allora, per impedire che nostalgia di quell’origine perduta sconfortasse l’umanità, sprofondandola in una disperazione nostalgica, alcuni saggi dovettero riunirsi, decidendo di occultare e custodire il segreto di quella felicità smarrita. Quella verità scottante fu talmente ben celata che, con il passare delle generazioni, mentre l’umanità dimenticava quell’epoca aurea della quale non restava memoria, i sacerdoti stessi, detentori del segreto, erano ormai incapaci di decifrarla o di interpretarla. A quel tempo risale la catastrofe che segna il primo passo del tragico cammino della storia.
L’idea di un’era primigenia felice nella quale l’uomo, senza conoscere né costrizioni, né morale, concede libero sfogo alle proprie passioni, non è certamente esclusiva di Fourier. Spesso però tali rievocazioni di un passato primordiale rendono conto di una nostalgia per qualcosa che fu e che non tornerà mai più ad essere, un’immagine immobile e bucolica degli uomini prima dell’umanità, intangibile e irrecuperabile. Altrettanto di frequente si scambia poi tale era con un passato più recente, primitivo e selvaggio, riemerso nell’immaginario europeo a partire dalla scoperta di nuovi continenti, e basato sull’osservazione degli usi e dei costumi delle popolazioni invase e colonizzate. Ma l’epoca alla quale Fourier faceva riferimento si perdeva in un tempo senza precedenti, si collocava alle origini dell’uomo, all’epoca in cui ogni scelta era ancora possibile ed ogni sviluppo imprevedibile; prima che il vento della civiltà, del progresso e della storia deviasse il cammino dell’umanità.
Pur non avendo mai dedicato uno studio sistematico al pensatore francese, Walter Benjamin ha decisamente contribuito alla fama di Fourier, o quanto meno a mantenere viva la fiamma del suo lume. Convinto che la storia non fosse una costruzione di eventi puntuali, consecutivi, consequenziali e irrimediabili, Benjamin non ricercava la realtà dei fatti, ma considerava la storia come una materia malleabile, reversibile e atta a infinite combinazioni; non una cronaca, ma una narrazione di immagini istantanee che si manifestano con urgenza nel momento del pericolo, il tempo sufficiente per essere afferrate e ricondotte al presente, amplificato di tutti i riferimenti possibili tra costellazioni senza tempo della memoria. Benjamin credeva che l’opera umana non andasse misurata soltanto in relazione alla propria contemporaneità, utile, ma non sufficiente, ad apprezzare esperienze capaci di evocare al tempo stesso passati lontani e futuri inafferrabili.
Tra i vari riferimenti citati da Benjamin ce n’è uno particolarmente importante nella forma-zione di quello che nel suo ultimo saggio conosciuto definirà il «concetto» di storia: si tratta di Carl Gustav Jochmann, del quale l’autore commentò l’opera intitolata «La regressione della poesia». Considerando la poesia come prima espressione dell’uomo, primo atto al di fuori della mera sopravvivenza, linguaggio arcaico di un’immaginazione possente e senza limiti Jochmann giustificava il suo evidente declino in ragione dell’accresciute conoscenze tecniche dell’uomo, che avevano saputo sopperire nel tempo, con mezzi più efficienti e più immediati, ai bisogni che essa anticamente soddisfaceva. Se l’uomo si era servito in origine della poesia per memorizzare e trasmettere le proprie conoscenze, ed essa gli era indispensabile indispensabile per conoscere e interpretare il mondo, all’epoca in cui Jochmann parla (nacque nell’anno della rivoluzione francese e morì nel 1830, sette anni prima di Fourier) essa si rivelava – già – ormai inutile; altri mezzi più efficienti e affidabili erano in grado di assolvere le sue funzioni e, oggigiorno, la loro supremazia è indiscutibile.
Mano a mano che l’umanità muove passi sul cammino dell’evoluzione il potere della sua immaginazione viene meno e, viste le migliori condizioni di sussistenza garantite, ogni sua applicazione a qualsiasi ambito della conoscenza, risultando più complessa e laboriosa del dovuto, senza garantire maggior profitto, risulta inattuabile; ma, se l’uomo rinuncia gra-dualmente alla forza della propria immaginazione, al proprio potere creativo, in favore di una vita più comoda e più sicura, che cosa accadrà nel momento in cui, delegata oramai o-gni abilità a dispositivi esterni, essi diventeranno indispensabili anche per accedere alla conoscenza?
Si può credere che l’uomo si trovi al culmine delle proprie possibilità e che non resti più niente da fare sulla via di un’evoluzione tracciata della quale soltanto il futuro potrà svelare il cammino; o si può credere altrimenti. A ben giudicare, un parere non vale più dell’altro e le prove si dimostrano altrettanto opinabili. Benjamin sosteneva che nel caso in cui si considerasse la Storia come una scienza esatta, dello stesso titolo avrebbe dovuto venir insignita anche la cartomanzia o l’arte di prevedere l’avvenire poiché, se si accorda senza timore fiducia al ricordo, la stessa fede dovrebbe attribuirsi anche a un presagio. Dello stesso parere era anche Juan de Mairena, per il quale l’arte di preterire (di scegliere, di selezionare, di escludere alcune possibilità in favore di altre) il passato non era così distante da quella di presagire il futuro. Non ci si deve mai spaventare – sosteneva – di quel che si pensa o quel che si dice. Detto questo: è sempre necessario, prima di sbandierare e difendere la libera espressione del pensiero, difendere la libertà del pensiero stesso.
…Alessandro Scuro, in questo nuovo interessante articolo, riparte da C. Fourier, rarissimo esempio, credo, di pensatore utopico-pragmatico in quanto con coraggio cercò, nel suo programma di organizzazione sociale, di attenersi al suo concetto amplissimo della Storia. Un pensiero informato da una idea di libertà illimitata, non compresso dai pregiudizi e dalla morale ricorrente, la quale ragiona secondo categorie prefissate atte a riempire, giustificandolo, un vuoto, la memoria sepolta delle nostre origini secondo natura…Come Fourier, anche W. Benjamin e C. G. Jochmann affermarono la stessa necessità di scardinare il relativismo temporale, cercando di vedere più lontano, sia nella direzione del passato che del futuro, riportandolo in maniera attiva e non astratta al presente…
Alessandro Scuro accosta Fourier -che condivide comunque lo schema di una condizione edenica originaria e di una caduta senza spiegazione e senza peccato- a Benjamin che considerava “la storia come una materia malleabile, reversibile e atta a infinite combinazioni”. E valorizza in ambedue, e in C. G. Jochmann, citato da Benjamin e contemporaneo di Fourier, un’idea di storia non costretta nello schema “teologico” ma come apertura a un futuro non immaginabile.
“Si può credere che l’uomo si trovi al culmine delle proprie possibilità e che non resti più niente da fare sulla via di un’evoluzione tracciata della quale soltanto il futuro potrà svelare il cammino; o si può credere altrimenti. A ben giudicare, un parere non vale più dell’altro e le prove si dimostrano altrettanto opinabili”.
E’ questa una frase di Scuro, forse nell’intenzione riassuntiva delle idee di Jochmann, comunque non strettamente una citazione. Ah sì, così sia, si deve sperare. E sottoscrivo anche la conclusione del testo: “è sempre necessario, prima di sbandierare e difendere la libera espressione del pensiero, difendere la libertà del pensiero stesso”, come -mostra- l’hanno voluta affermare Fourier, Benjamin e Jochmann.