di Arnaldo Éderle
Il suo rosso cuore
Pettinatela bene
la barese del mare,
che lei ci teneva
ai suoi capelli ricci
di permanente,
ricci e rossi, il suo ultimo
perpetuo colore: rosso
come il suo dolce forte
cuore.
Per la sua vecchia umanità
“Ma non vivere di lamento come un cardellino accecato” G.Ungaretti
Vedi quanto rimane dei colori
del mondo quando gli occhi si chiudono
l’ultima volta. Ma non è a te che parlo.
Parlo a me stesso e agli altri
che credono di perdere tutto
quando il corpo
viene avvolto nel lenzuolo.
Io non so che pensare, ma voglio
mantenere una speranza:
che quando si lascia il mondo
il nostro spirito, una particella,
rimanga nell’aria, e se c’è ancora
qualcosa da fare, sia pronta,
per la sua vecchia umanità.
Foglia
Foglia che non vuoi staccarti
dal tuo fusto, gialla ormai
da giorni, forte nella tua leggera
consistenza,
mi ricordi un’altra presenza
simile a te. Ma la vita non è eterna,
e tu ne sai qualcosa.
Ti aiuterò
a terminare qui la tua esistenza,
e a vivere oltre,
senza i nostri acciacchi.
Il ponderoso obbligo
L’ultima cosa letta: la brughiera,
rovi ginestre felci cavallini.
L’ultima ricordata:
“total body”, una frase clinica
che pronunciavi con un che
di esotico ed elegante nei tuoi
discorsi sulla vita in una
prospettiva temuta e distanziata
dal sorriso, ogni tanto, così
per ridurre al conversare quieto
e serenante il ponderoso obbligo
d’una fine segnalata.
Le tue cose
“Ho tanta roba”, ne avevi sempre
più del necessario, ti ho creduto
mentre sentivo in questi scoppi
di autosufficienza una volontà
di affermarti davanti a chissà quali
negazioni, fatte da chi? perché?
So che in quei fazzoletti che mi
prestavi qualche volta c’era una
rivalsa di qualche tua sofferenza
dovuta a qualcuno che non ti voleva
bene. E che tu combattevi
affermandoti nelle cose che erano
tue e che ti aiutavano a vivere.
Pensai a un’anima
Una piuma di colomba sul davanzale
della finestra da letto. Via, quel
rigurgito di crescita.
Con un gesto deciso della mano tentai
di cacciarla. Lei con due piroette
ritornò da me.
Fu allora che pensai a un’anima,
a quel frammento di spirito in cui
io credo.
La accolsi, sul mio comò era il posto,
credo, dove voleva stare la piccola
piuma. Così l’accettai come saluto
generoso. Così la conservo, accanto
alla tua foglia che mi si è posata
sul piede.
Il tiepido momento
Riordina il tuo corredo,
hai un mucchio di cose bianche
stipate nei cassetti,
ti servirà per il tuo letto d’aria,
i tuoi ampi cuscini dove posi
i tuoi ricci rossi. Aspetterai
che venga qualcuno a spianarli
prima che vi posi la tua testa
leggera, colma di pensieri
che te la gravano sul cuscino.
Quanti sogni benigni ti auguro!
Quante mani calde e gentili che
ti accarezzino la piccola persona,
quanti baci che ti addolciscano
il sonno come
a una bambina che abbia appena
sussurrato alla madre
il suo piccolo buonanotte.
Le stelle e la luna ti veglino
come care sorelle
fino al momento tiepido
del risveglio.
Non morire più
Ho avuto la tua persona
avanti agli occhi, limpida
come un’istantanea perfetta
in bianco e nero, solo
il rosso dei tuoi ricci
era il colore che v’avvampava.
Ho potuto sfiorare le tue guance
con carezze
del voler bene, del compianto
per le tue braccia magre
abbandonate sulla coperta,
o rosa impallidita dal dolore.
Mi hai di nuovo colpito mia cara.
Ti scongiuro:
non morire più.
Il demente che ti ha spenta
Un’altra ondata di dolore
giunta dal tuo letto della veglia
eterna, dai posti
contati e divisi tra riposo e
riposo. Non posso scordarmi
la tua figura eretta, la tua
schiena diritta, pronta sempre
a passeggiare all’aria di questi
pomeriggi, delle sere.
Spiritello mio, ti richiedevo
un sorriso e tu me ne accordavi
mille.
Ti riordinavo i pensieri e tu
li raccoglievi come fiori
nel prato.
Maledizione
a ciò che ti ha troncato il gambo,
al demente che ti ha spenta.
Sappiamo che ti piace il mare
Vieni vieni
avvicinati, guarda che bella
sedia per te presso
il ceruleo del mare.
Non distrarti in pensieri
di vita e morte appiccicati
al cervello che vuole,
dietro la fronte,
governarti con i suoi labirinti.
Il mare ti vede in una lente
che ingrandisce il tuo volto,
mentre stormi di pesci
lo solleticano lì sotto
e ti parlano con bocche aperte
dicendoti: resta resta,
sappiamo che ti piace il mare,
abbraccialo!
Dolce e chiaro
Che chiaro, la luna!
Striscia sulla tua casa
a punta il bianco della luce.
La quiete dei campi intorno
lucidi di pietre verticali,
rimbalzare lo fanno
sugli archi e sugli angoli,
un tastiera di lunghi
respiri.
Li senti gli armonici che
tracciano il silenzio?
Dolce e chiaro arrivi
questo saluto a te,
che riposi tra coperte naturali.
(26 luglio 2009)
Eccomi a commentare, caro Arnaldo, il tuo canto per Carmencita. E spero di non deluderti. Comincerò con questi tuoi due versi:
“Li senti gli armonici
che tracciano il silenzio?”
Perché dalle riletture che ho fatto, alla fine afferro il lembo che mi permette di seguire il labirinto di versi e di immagini. E di idee. Ma partendo dai suoni, quelli aperti di “chiaro casa bianco arco”, i piccoli trilli il tasto leggero che ripete su due note di luna luce, le omofonie in *a* “la tua persona/avanti agli occhi, limpida/come un’istantanea perfetta” e poi in *e*: “sfiorare le tue guance/con carezze/del voler bene … per le tue braccia magre… abbandonate” e poi di nuovo la chiusa in *a e e*: “o rosa impallidita dal dolore”.
E da lì subito passo a rilevare le scansioni di arsi e tesi, e gli allungamenti dattilici, e il libero flusso cantante. Materia sonora per strutture, per simmetrie e chiasmi, non di composizione atomistica come quella di Amelia Rosselli.
Versi o prosa? Scrittura che va a capo? Qual è la ragione del verso?
In “Le tue cose” ogni verso è una affermazione, un porre, non potrebbe essere né piu lungo né piu corto, “più del necessario ti ho creduto”, “di autosufficienza una volontà”, “negazioni, fatte da chi? perché?” non si legano a prima né a dopo, sono affermazioni in sé, e per questo sono un verso.
Nella successiva “Pensai a un’anima” è la velocità con i réjet a dettare i versi.
In “Il tiepido momento” è l’andamento ritmico:
che vènga qualcùno a spianàrli
prìma che vi pòsi //la tùa tèsta
leggèra, còlma di pensièri
che te la gràvano sùl cuscìno.
Quanti sògni benìgni ti àuguro!
Quante màni càlde e gentìli che
(ho messo gli accenti più o meno bene…)
Da qui, dalla materia linguistica, i colori percettivi dei corpi e dei luoghi, le aperture dei nomi, dei letti, dei luoghi di mare, del sotto, dell’aria.
E, in questi spazi, la corporeità diritta, precisa, i ricci rossi: “la tua figura eretta,/la tua schiena diritta, pronta sempre/a passeggiare all’aria”. E la presenza: i fazzoletti che mi prestavi. E poi la sopravvivenza, un piccolo elemento “una particella/rimanga nell’aria”, spirituale come una foglia e una piuma, resti, consunzioni, messaggi, presenze, “quel frammento di spirito in cui/io credo”.
…il poeta Arnaldo Ederle in queste poesie sa scegliere immagini molto delicate in onore della persona cara scomparsa, per riportarla in vita attraverso il ricordo di lei nei suoi atteggiamenti caratteristici e vitali e poi nella malattia quando il corpo diventa fragile, pur conservando, nel caso di Carmensita, la capigliatura fiammeggiante tipica delle persone dal carattere indomito…”Il ponderoso obbligo” del corpo malato viene sostituito dal “total body”, l’immagine leggiadra offerta da una donna che sino in fondo vuole difendere la sua dignità e bellezza…L’intensa sofferenza del poeta si legge nei versi in memoria ma anch’essa è stemperata nella tenue convinzione che qualcosa resti di noi, della nostra anima oltre…così aiuta una foglia ormai da tempo gialla a terminare la sua esistenza “…e a vivere oltre, senza i nostri acciacchi” e raccoglie una piuma di colomba arrivata dalla finestra “…Fu allora che pensai a un’anima” e entrambe le pone sul suo comò, presenza ancora viva accanto a sè…L’accettazione di una perdita non è tuttavia scontata e il poeta lancia un urlo di rabbia e di dolore nel terribile verso: “Il demente che ti ha spenta”…Le poesie si chiudono però con la immensa visione del mare “Sappiamo che ti piace il mare” e con gli ultimi bellissimi versi di commiato: “Dolce e chiaro arrivi/ questo saluto a te,/ che riposi tra coperte naturali.”
non so fare commenti alti, però mi sento di dire che questi versi li ho sentiti sinceri, profondi, intrisi di sofferenza e anche di speranza in una vita oltre la vita. E’ tutto. Grazie
Eccomi a risponderti subito, carissima Cristiana. Un commento davvero stupendo e
commovente, per me naturalmente e anche per gli altri che lo leggono. Sei veramete
bravissima e sottile nelle tue chiose e nei tuoi apprezzamenti. Ti dichiaro la mia completa adesione a tutto quelo che mi hai mandato. Ti sarò sempre grato delle tue
precisissime parole. Un fortissimo abbraccio, cara Cristiana, e a risentirci presto.
Tuo Arnaldo (scusami i numerosi -issimi, ma te li meriti tutti)
Cara Annamaria, grazie del tuo sentito commento. Lo trovo suggestivo e appagante,
forse sono troppo esplicito con l’aggettivo “appagante”, ma è la verità. Ti saluto con
affetto e ti mando un caro saluto. Arnaldo
Caro Paraboschi. Grazie mille del suo del suo bel commento. Ci risentiremo presto.
Arnaldo