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di Ennio Abate
Ho cercato di seguire diligentemente alcune delle conferenze organizzate per il centenario della nascita di Franco Fortini: direttamente quelle di Milano e indirettamente, attraverso video pubblicati su You Tube o Vimeo, quelle di Piacenza e Torino. Qui sotto riporto i miei commenti a caldo e una lettera a Lorenzo Pallini, che sta compiendo un meticoloso lavoro di registrazione – da «compilatore medioval-digitale» dice lui – della riflessione accademica attorno alla figura di Fortini (Cfr. Lorenzo Pallini). L’impressione che ho ricavato da quel che ho sentito è amaramente negativa: mi pare stia prevalendo una stanca e ripetitiva ritualità sui i temi più importanti e spinosi del lascito di Fortini.[E. A.]
1.
DISCUSSIONE TRA GLI ORGANIZZATORI PIACENTINI DEL CICLO SUL CENTENARIO DELLA NASCITA DI FORTINI
Ho seguito tutto il discorso di Piergiorgio Bellocchio e vorrei sapere cosa ne pensate.
Pur essendo un discorso a ruota libera e preparatorio della conferenza di Piacenza per i cent’anni della nascita di Fortini Io l’ho trovato genericamente aneddotico e ripetitivo di cose che già si sanno sulla sua biografia: reticente, imbarazzato e velatamente ostile nel parlare dei suoi rapporti con Fortini (il suo “rimorso” di non aver obiettato di più a Fortini), portato più a ribadire che a smontare gli stereotipi sul suo “caratteraccio” ( Fortini contro il “godimento”; era molto “sospettoso”; diffidava dei sentimenti; “distruttore di gruppi”), in completo disarmo sul piano dei giudizi politici ( “ma in Occidente nessuno vuole la rivoluzione”).
Mentre condivido le sottolineature di Gianni D’Amo tendente a mettere in rilievo i dati politicamente anticonformisti di Fortini (“uomo libero nella testa”; “non obbediva a nessuna chiesa”; “senso del tragico” contro le tendenze “godereccie” del ’68) ben più importanti del suo “carattere”.
2.
CICLO SUL CENTENARIO DELLA NASCITA DI FORTINI. INTERVENTO DI ALFONSO BERARDINELLI
Tutta la lezione di Berardinelli con lettura di alcuni testi di Fortini la trovo assolutamente professorale, petulante, noiosa.
La mia attenzione è scattata solo quando uno del pubblico ha chiesto al relatore se condividesse tuttora le critiche che aveva mosso a Fortini nel suo libello “Stili dell’estremismo” (in «Diario», N. 10, 1993) e il video mi ha interessato solo dal punto 1:55:55, quando Berardinelli risponde.
Vi prego ancora di riascoltare e dirmi cosa ne pensate. Ho criticato numerose volte le attuali posizioni di Berardinelli e ribadisco il mio rigetto, che approfondirò più avanti, anche di fronte agli argomenti sottili e subdoli che qui usa. Schematicamente:
– perché contrapporre le diverse fasi della vita di Fortini (quella resistenziale, quella dei Quaderni Rossi e dei movimenti, quella della sconfitta e del testamentario “Proteggete le nostre verità”) giocando l’una contro l’altra per dare la preferenza a quella del Fortini militante del PSI, valorizzando sotto sotto un’ipotesi politica riformista con la scusa che Fortini allora poteva parlare ad un pubblico vasto e non a poche minoranze (come negli anni ’60 delle riviste)?
– la grandezza e non il limite di Fortini sta proprio nell’avere, con dubbi e contraddizioni cercato di mettere Kafka (la letteratura) insieme a Lenin e a Mao (la politica comunista), a differenza di Berardinelli e di tanti accademici che separano (a parole!) specialismo letterario e specialismo politico;
– sbeffeggiare la voce “Comunismo” (1989) di Fortini – la stessa che ho commentato analiticamente sul sito di POLISCRITTURE alcuni mesi fa – accusando contraddittoriamente il Fortini vecchio di “marxismo ortodosso” e di “misticismo” e travestendosi persino per un attimo, strumentalmente, da “marxista scientifico” o da “leninista” (si segua il punto in cui dice, all’incirca, se si vuol parlare di comunismo bisogna fare un’analisi delle classi sociali e fondare un partito che sia rivoluzionario) è il segno che sa solo separare e pensare, positivisticamente, malgrado i suoi richiami a Simon Weil, il presente che vede dal possibile che non vede più.
3.
Torino 27/10/17 – Tavola rotonda D’ELIA/FIORI/FRABOTTA/PUSTERLA
Una prima impressione dopo l’ascolto degli interventi. Secondo me il rischio è è un po’ quello di testimoniare il proprio incontro con Fortini (o con alcuni suoi testi) in assenza di un discorso chiaro e condiviso sulla sua figura e la sua opera alla luce dell’oggi. Fortini appare nello schema del Personaggio autorevole e il testimone nello schema del Giovane Poeta agli esordi.
Non nego l’importanza che può avere un aneddoto, il ricordo di cosa disse Fortini in quella occasione o il richiamo ad una sua poesia che parlò in modo particolare. Ma non è automatico che il ricordo, ammesso che sia sempre fedele ed esatto, sfugga al difetto di essere un “selfie con Fortini” ( a volte mettendo più in primo piano se stessi) o chiarisca davvero il punto decisivo – ma da quale punto di vista? – emerso da quell’incontro o scontro del testimone che oggi parla con Fortini.
Ho trovato molti punti discutibili negli interventi eccitati di D’Elia. Come si fa a parlare di solitudine e comunanza senza far un qualsiasi accenno al *comunismo* di Fortini, che con la comunanza non aveva a che fare? O rinchiuderlo nella tradizione dell’umanesimo “italiano” e proporre un ritorno a De Sanctis per liberarsi di Croce e parlare di “lumi sepolti nazionali” [da Campanella a Bruno a Pasolini e a Fortini] ? O appiattire il ruolo del neocapitalismo o del neoliberismo su quello della Chiesa (della Controriforma)? O valorizzare – pasolinianamente ma non fortinianamente – l’emozione (“lasciare fluire l’emozione”) quando Fortini ha sempre insistito sull*uscire di pianto in ragione*? E sorvolare sui contrasti tra Pasolini, Roversi e Fortini parlando genericamente di “sodali e rivali” (senza precisare in cosa erano sodali e perché rivali)? O addirittura ridurre l’idea di rivoluzione comunista a cui Fortini pensava a “rivoluzione permanente interiore”? Questa è davvero un’immagine di Fortini “Cavaliere della valle solitaria” vista da un ex di Lotta Continua che ha la mente troppo occupata da Pasolini e da un conflitto tra poeti e letterati (“i poeti ci hanno dato più dei critici”) che con la figura di Fortini saldamente poeta/critico c’entra quasi niente.
Della testimonianza onesta di Fiori ho poco da dire. Forse però accennare a quali furono le ragioni per cui a volte entrò in conflitto con Fortini avrebbe potuto far emergere un *rimosso politico* più interessante di quel che oggi si pensa. La stessa obiezioni farei all’intervento della Frabotta femminista che se la cava elusivamente (ma ride troppo!) leggendo la lettera inviatale da Fortini e liquidandola semplicemente e sbrigativamente come *misogina*.
APPENDICE
Lettera a Lorenzo Pallini (25 dicembre 2017)
Caro Lorenzo,
già ti ho detto che mi ha fatto piacere ritrovare in un giovane come te uno sguardo critico (e diciamo pure: sanamente sospettoso) abbastanza simile al mio nei confronti dell’ambiente del “fortinismo accademico” (chiamiamolo così). Ma immediatamente devo aggiungere – avvertenza che rivolgo sia a te che a me – che dobbiamo evitare il mugugno privato ai margini delle sue iniziative ufficiali, che a loro volta rischiano di essere borbottio marginale nell’insieme della Cultura vincente.
Il guaio è che oggi davvero si discute poco e sia quelli che stanno nelle nicchie accademiche sia quelli che ne stanno ai margini o le contrastano in modi rituali e astratti non riescono o non vogliono più «un diverso confronto». Dopo l’ascolto del conferenziere designato in base ad alchimismi poco chiari o amicali o che tengono conto degli equilibri di potere politico, i “colleghi” tacciono o lodano o ossequiano genericamente. Sull’unico sito esplicitamente fortiniano, “L’ospite ingrato”, si è deciso che lo spazio dei commenti non ci sia, forse con la scusa che lì si potrebbe dare la stura alla chiacchiera vuota o fastidiosa. Ma anche altrove è così. Su LE PAROLE E LE COSE, che seguo dalla sua nascita (2011, credo), quasi tutti gli autori accademici non rispondono ai commenti dei non accademici o a chi solleva critiche precise.
Il tuo atteggiamento “anti reduci” e il tuo affidarti al “fiuto” o al caso mi pare oggi quasi inevitabile. E però figure come Mengaldo, Luperini, Cataldi, Nava, Magrini, Bologna, che in modi diversi, in base a scelte che ad un certo punto non hanno neppure più discusso con i non accademici (come me ed altri, che al momento della fondazione del Centro studi F.F. non erano pochi) o con tutti i membri ufficiali del Centro F.F., hanno pur agevolato l’eclisse della immagine di Fortini. Tirandosi indietro, è venuta meno la possibilità di un confronto serrato tra studiosi più anziani e studiosi più giovani. (E, per rendersi conto del danno, basterebbe confrontare gli Atti del convegno ad un decennio dalla morte di Fortini con le iniziative a vent’anni da essa).
Ci sono – ripeto – fattori che vanno al di là delle scelte esistenziali dei singoli studiosi e si spiegano con la crisi della cultura di sinistra di questo Paese. Quindi io sono cauto e voglio evitare giudizi negativi drastici o definitivi. C’è però un mio rammarico per la dispersione di forze che, se accolte e messe in grado di confrontarsi – ad esempio in incontri seminariali su tematiche fortiniane (esplicite o facilmente riconducibili alle «questioni di frontiera» da lui tante volte indicate), che per un attimo pur erano stati prospettati in qualche incontro del Centro F. F. – avrebbero potuto tener vivo un dibattito critico più rigoroso e meno per specialisti o dottorandi in carriera. Invece, si è andata rafforzando ancor più la separazione tra studiosi di Fortini diciamo della “nuova leva” (quella che si è vista ai tavoli dei relatori in questo centenario) e gli altri, quelli che trovi nel libretto «Come ci siamo allontanati» del 2016, rimasto quasi clandestino.
A me pare il tuo lavoro di «compilatore medioval-digitale» sia prezioso. È di sicuro la premessa indispensabile per ragionare su quale “effetto” sta avendo oggi la figura di Fortini a livello accademico. Ma per questo ragionamento ci vuole un ascolto attento di ciascun contributo per arrivare ad una sintesi critica e dinamica capace di individuare un discorso non rituale.
Qui a Milano nel 2014 si era tentato di impostare un «Manuale per F. F.» di taglio sicuramente non specialistico (Vedi allegato), ma poi senza sostegno editoriale e a causa di una certa tiepidezza da parte di quanti avevo consultato, il progetto è rimasto nel cassetto. A riprova che anche i non accademici hanno le loro gatte che non riescono a pelare.
[…] Per ora buone feste e grazie per avermi scritto
Ennio
…trovo sostanzialmente giuste le osservazioni di Ennio Abate sulla natura delle conferenze svoltesi in occasione del centenario della nascita di Franco Fortini, per quanto non possa dire di essere una profonda conoscitrice dell’autore…I vari interventi sembrano o celebrativi, ma di una persona ormai passata a miglior vita e poco presente ormai nel dibattito reale, o tracciare dei paletti revisionisti sul personaggio Fortini…Mi sembra inoltre un po’ da scuola pitagorica che lo studio e la frequentazione di questo autore venga blindato da parte di alcuni circoli culturali…Al contrario ho trovato una cifra in più di condivisione e frequentazione di idee e di percorsi di vita nelle testimonianze rese da ex allievi di Franco Fortini nelle varie scuole dove ha insegnato e nella raccolta di saggi presenti in “Come ci siamo allontanati”, di autori vari…