di Ennio Abate
con una nota di Ezio Partesana e un parere di Roberto Bugliani
In «Questioni di frontiera» (1977) Franco Fortini analizzò questo aforisma di Karl Kraus (da «Detti e contraddetti», Adelphi, Milano 1972): «L’uomo erotico concede alla donna chiunque al quale non la concederebbe». E, trovando la frase singolare ed oscura, s’impegnò a chiarirne i significati possibili, che semplificando, presenterei così:
– primo: l’uomo che s’intende di amore e di sesso non ostacolerebbe la donna con la quale fa l’amore, se lei scegliesse di farlo con un altro; ma non sopporterebbe che un suo rivale scegliesse lui, in piena autonomia, di far l’amore con la medesima donna;
– secondo significato: questo stesso uomo in modo apparentemente libero o liberale concede quel rapporto con un altro alla donna perché, concedendola, trae «qualche piacere e non solo di generosità»;
– terzo significato: la «concessione fatta alla donna» non avviene «a favore di chiunque»; il «rivale» deve essere «inferiore o ritenuto tale» dall’uomo in questione.
Nell’aforisma di Kraus – è evidente – la donna è oggetto, proprietà dell’uomo. Ed è su tale aspetto, tipico dell’ambiente borghese dei tempi di Kraus, che Fortini si concentra per osservare che, se cadesse quell’«esclusivismo proprietario», non si avrebbe più «reale diversità […] fra i sessi». La sua analisi, dunque, riconosce una parità sostanziale (mgari non già realizzata ma auspicabile e a venire) tra l’uomo e la donna, entrambi per lui in possesso della libera «capacità di scegliere» il partner/la partner e di «condividere la concezione che l’altro ha dell’eros».
Noterei a questo punto due cose. Fortini sembra ignorare o trascurare volutamente il controverso tema della differenza sessuale, sollevato persino rumorosamente dal movimento femminista negli stessi anni Settanta in cui egli scriveva questa nota; ed è particolarmente attento al problema del rapporto erotico «da superiore a inferiore», soffermandosi sul caso in cui «la terza persona (quella destinata ad essere, diciamo così, sedotta) non partecipi, almeno coscientemente, della concezione dell’eros» del seduttore o dei seduttori; anzi è «vissuto dai due come soggetto imperfetto, reificato, destinato all’inganno o al disprezzo». Oppure – aggiunge – «all’educazione», che potrebbe concludersi «con l’emancipazione e quindi con la fine o la trasformazione del rapporto» in partenza diseguale, non paritario, tra seduttori e sedotto [1]. E non a caso fa l’esempio letterario della «classica storia di Caudàule» [2] che mette in scena l’inatteso rifiuto della donna (moglie e regina, comunque) a «fungere da inconscia referenza al piacere da esperti di suo marito e di Gige». Anche qui noterei che Fortini tocca un tema del femminismo anni Settanta senza nominarlo: quello dell’indipendenza della donna dal piacere maschile che la vuole soltanto o soprattutto come oggetto bello («mera cosa» dice Fortini). Proprio la storia di Caudàle e Gige svela che, mentre un oggetto non può mai decidere di sottrarsi o di non farsi vedere, la donna, non solo si sottrae ma si vendica: offesa perché non è lei che ha deciso di mostrarsi nuda, arriva a «sospingere l’eletto» (Gige, che nella realtà è una semplice guardia del corpo, e dunque «mera cosa», inferiore anche lui ma da lei «promosso invece da cosa a persona») a «sgozzare il sovrano e assumere il titolo».
In conclusione, la riflessione di Fortini sull’aforisma di Kraus ribadisce un principio egualitario nel godimento del piacere: l’«esercizio di piacere e conoscenza» tra due amanti si deve fondare sulla «premessa della reciprocità ossia dell’eguaglianza», altrimenti «si muta in un rapporto non dialettico di padrone e di servo, in un rapporto immutabilmente unilaterale e irrigidito, come in Sade». E tuttavia – altra notazione importante – Fortini non si limita a ribadire un dover essere. Mostrandosi ben consapevole della specifica qualità e complessità del rapporto di piacere tra uomo e donna in una società di diseguali, scrive infatti: «Sade sapeva benissimo come l’emancipazione e l’eguaglianza che ne consegue tende a smussare la virulenza del piacere nato dall’altezza dei dislivelli».
Ne deduco che egli avesse presente due concezioni e pratiche del piacere: una sorta di piacere derivato dal dominio, fondato sul dislivello superiore/inferiore e che offre «il piacere di essere padrone, e quello di essere servo», naturale o più naturale, ma in effetti consolidatosi in secoli di storia; e una che mira alla reciprocità e (tendenziale perché problematicamente in fieri) eguaglianza tra i partner, secondo la quale – con le parole di Fortini – «ognuno ha da scegliersi nei propri desideri, ognuno ha da decidere di essere quel che vuol essere».
C’è, però, un punto di questo scritto di Fortini che non mi è chiaro: quando afferma che l’eguaglianza corre in aiuto del piacere «con la recitazione delle diseguaglianze, il teatro delle differenze, la forma scenica della società messa a disposizione della coppia di amanti, ossia una finzione culturale», si deve forse intendere che il piacere derivato dal dominio va sostituito o può essere sostituito dalla «recitazione delle diseguaglianze», dal «teatro delle differenze», ossia da una «finzione culturale»? Come dire che, raggiunti rapporti di reale eguaglianza tra uomini e donne e messo da parte il«piacere di essere padrone e quello di essere servo», potremo anche fingere la diseguaglianza o scherzare con la diseguaglianza, prenderci gioco della diseguaglianza?
Non so poi se per Fortini «teatro della diseguaglianza» o «teatro delle differenze» fossero le opere artistiche o le immagini che l’amante si costruisce dell’amato/a. O entrambe le cose. Mi pare una interpretazione possibile, perché in un paragrafo precedente Fortini, sempre ricorrendo a termini hegeliani, ha scritto: «La reificazione è una componente essenziale di qualsiasi rapporto erotico; e lo fonda; ma a condizione di dialettizzarsi intensamente col suo opposto, ossia la coscienza della coscienza altrui». Anche qui, con parol tradurrei in parole più semplici e direi così: nel rapporto amoroso è un bene “reificare” l’altro/a, ma, allo stesso tempo, sapere che l’altro/a è e resta soggetto, coscienza; e non è mai riducibile solo ad oggetto. In altri termini, ciascuno dei partner usi (nel senso di godere) l’altro/a (o il corpo, e non solo, dell’altro/a) come cosa, come oggetto, ma può/deve essere a sua volta cosa o oggetto per l’altro, senza mai dimenticare che non si è *mai* soltanto oggetti.
P.s.
Ho ripescato questo vecchio scritto di Fortini in coincidenza con il dibattito apertosi attorno ai casi Weinstein o Woody Allen e al contrasto tra la Deneuve e altre donne (Cfr. ad esempio le posizione di Ida Dominijanni qui o di Dacia Maraini qui), perché mi pare che vi sia toccato il vero nodo *politico* del rapporto tra uomini e donne, quello di un’eguaglianza nel godimento, aggirato o eluso o decisamente censurato in molti dei discorsi odierni sulle “molestie sessuali”.
Note
[1] Da «Attraverso Pasolini»
Il tema del rapporto erotico «da superiore a inferiore» è affrontato da Fortini anche in «Attraverso Pasolini». In particolare trovo interessanti le pag. 174-175 del libro, dove scriveva:
«A me sembra che il senso negativo della corruzione (ossia del comportamento che induce a dissolvere una qualità di legami preesistenti) si dia soprattutto quando alla relazione che induce tale *dissolvimento* succede la *interruzione* della relazione stessa, lo stato della solitudine; tanto del ‘corruttore’ quanto del ‘corrotto’» (p. 174). E più avanti: «Nella realtà, la relazione è ineguale. Fra eguali invero non si dà corruzione. Il ragazzo ( il ‘minore’) che un adulto (un ‘maggiore’)induce a un comportamento (in questo caso, erotico, etero o omosessuale; ma potrebbe trattarsi di ogni altra specie di comportamento) prima non praticato e vissuto come inconciliabile con la antecedente norma personale, familiare o sociale, non vuole essere lasciato solo,proprio perché, ormai, non è più individuo bensì diviso, sdoppiato, contaddittorio. *Una parte di sé è gestita dall’altro* e se l’altro non lo restituisce a se stesso continuando a considerarlo un’unità, una unità *nuova* in formazione e in progresso, egli si sentirà solo con se stesso incomprensibile a se stesso, finché il tempo e gli altri non gli abbiano dolorosamente restituita una identità perduta. Questa la radice – spesso chiamata amore – dell’attaccamento del sedotto al suo corruttore. Per costui, il corruttore è fonte di conoscenza, è colui che ‘sa’ un ordine ( diverso naturalmente da quello che ha contribuito a distruggere) e fosse pure un ordine composto solo di loro due e dei loro segreti» (p. 175)
[2] Caundàule e Gige dalle Storie di Erodoto
Secondo le Storie di Erodoto, Candaule si vantò dell’incredibile bellezza della moglie con Gige, la guardia del corpo che maggiormente prediligeva. Disse:”Gige, mi sembra che tu non mi creda quando ti parlo della bellezza di mia moglie: per gli uomini, infatti, le orecchie sono più infide degli occhi; fa’ dunque in modo di vederla nuda”[1]. Gige rifiutò, non volendo disonorare la regina vedendola nuda; temeva però anche quel che il re avrebbe potuto fargli se non avesse accettato[2].
Dato che Candaule insisteva, Gige non aveva altra scelta che obbedire; Candaule espose dettagliatamente un piano in base al quale Gige avrebbe dovuto nascondersi dietro una porta della camera da letto regale per vedere la regina spogliarsi prima di andare a dormire. Gige si sarebbe poi allontanato dalla stanza quando la regina gli avrebbe dato le spalle. Quella notte, il piano venne realizzato; la regina però vide Gige allontanarsi dalla stanza e capì subito di esser stata tradita e offesa dal marito. Facendo finta di nulla, rimase zitta e cominciò a pianificare la vendetta.
Il giorno seguente la regina convocò Gige nella sua stanza. Come dice Erodoto, “credendo che ella non sapesse nulla di quanto era accaduto, venne al richiamo; era solito presentarsi anche prima, quando la regina lo chiamava. Appena arrivò, gli disse: “Delle due strade che ora ti si presentano, ti do la scelta, Gige, di prendere quella che vuoi: o uccidi Candaule e hai me e il regno di Lidia; oppure devi morire subito […]. Deve morire l’autore di questo inganno o tu, che mi hai visto nuda e hai fatto cose non lecite[3].
Gige pregò la regina di non costringerlo a tale scelta; dato che restava ferma nella propria decisione, Gige scelse di tradire il re per sopravvivere. La regina decise di uccidere Candaule nello stesso luogo nel quale aveva subìto l’offesa; Gige si nascose con un coltello datogli dalla regina dietro una porta della camera da letto regale e uccise il re nel sonno. Gige sposò quindi la regina e divenne re di Lidia, il primo della dinastia dei Mermnadi.
È da Candaule che deriva il nome di candaulesimo, dato alla pratica sessuale di esporre le nudità del partner. Una versione della vicenda di Candaule e Gige è narrata da Mario Vargas Llosa in “Elogio della matrigna”. La vicenda è rievocata (ed è implicitamente il termine di paragone della storia d’amore) nel film ‘Il paziente inglese’.
[3] Leonetti sullo scritto di Fortini
Francesco Leonetti (in Allegoria 20-21, 1996), commentando alla morte di Fortini questo scritto, vi vedeva «una trattazione dei «problemi del libero amore» e sottolineava la «conclusione stupenda»:«il desiderio del proprio, nell’altrui piacere, e dell’altrui promozione nella propria – il cosiddetto amore – passa attraverso l’aggregazione tendenziale, a una coppia autentica, di sempre e più numerosi diversi esseri, in una condizione di parità, di autonomia di rischio»; e esaltava – troppo ottimisticamente, dobbiamo dire oggi – un mito di allora: «la comune, il gruppo sociale autentico, la nuova società». Leonetti individuava pure lo sfondo letterario che Fortini aveva in mente (Laclos, Proust, Lawrence, gli «adultèri flaubertiani», il romanzo nero coi loro amours à trois nei quali «il fatto che il terzo non sia posto come pari semplifica tutto»; e, sempre per evidenziare qualcosa che a lui pareva divenuto attuale: «una parità delle scelte, quali che variamente siano», che non tanto avevano sostituito «il sentimento vecchio del dovere… col principio della felicità individuale», ma avevano fatto emergere la necessità di una «verifica di se stessi» in direzione di «un rifiuto del condizionamento» delle vecchie norme.
APPENDICE
1. Una nota di Ezio Partesana (14 gennaio 2018)
Lo scritto di Fortini mi pare pienamente inserito nella dialettica tra Signoria e Servitù. Mai dimenticarsi che quella dialettica è tra due funzioni e non tra due soggetti, anche se poi Hegel scrive di “servo” e “padrone”. Comunque la faccenda è questa e a suo modo semplice: la prima contraddizione tra Signoria e Servitù è sul riconoscimento, e solo dopo che la coscienza del per sé ha preso atto della conclusione della battaglia, il “per noi” rileva che in effetti il Signore dipende dal lavoro del Servo; nell’idealismo si chiama “Spirito”, noi potremmo dire “coscienza di classe”. Ecco, Fortini applica, secondo me, esattamente lo stesso schema; mi spiego: supponiamo che la tua, maschile, perversione sia usare la tua compagna come un soprammobile, ebbene, dovresti fare due cose contemporaneamente: farla diventare un oggetto, un soprammobile appunto, ma da qualche parte sapere che è in realtà un soggetto che tu hai fatto diventare un soprammobile, perché se prendi centrino e lo usi come soprammobile c’è poco di erotico da godere. È la reciproca riduzione dell’altro a oggetto che scatena la dialettica, secondo Hegel, dell’erotismo. E infatti, giustamente, De Sade è dall’altra parte, nietscheana diciamo, dove tutto l’altro, tutti gli altri, diventano un oggetto di manifestazione della propria forza. Poi la dialettica si vendica, è l’ultimo uomo è il più brutto, ma qui si va su cose complicate.
2. Uno scambio di pareri con Roberto Bugliani (18 gennaio 2018)
Caro Ennio,
ho letto con interesse il tuo scritto, superando l’iniziale diffidenza sul contenuto, perché pensavo che si trattasse d’un intervento strettamente in merito alla polemica suscitata dalla dichiarazione della Deneuve, alla cui origine c’è il bailamme fatto dagli attori hollywoodiani, ossia da un ceto sociale che non ha stringenti problemi economici e si può permettere d’esercitarsi sui diritti “cosmetici”, per usare l’aggettivo coniato da Luciano Barra Caracciolo. Mentre non ho finora letto (per mia disinformazione?) di denunce di prevaricazioni maschili, ricatti sessuali e abusi da parte di lavoratrici statunitensi delle fabbriche, d’addette alla grande distribuzione, di commesse di centri commerciali, ecc. da parte di clienti o loro superiori. Bisognerebbe dedurne che in quegli ambiti lavorativi, dove le coercizioni sono all’ordine del giorno, non ce ne siano mai stati? Che abusi e violenze sessuali non siano di classe, ma solo di genere? Insomma, di questa “nuova” mossa della società dello spettacolo (in senso classico, debordiano) non ho voluto interessarmene, e mi sono perfino impedito di rifletterci su dettagliatamente.
Ma vengo a Fortini. Ricordavo l’aforisma krausiano, e probabilmente lo ricordavo perché a suo tempo avevo letto il saggio di Fortini, ora da me dimenticato. Farò qualche osservazione, di vario tipo, sperando di non giocarmi la tua amicizia (scherzo, neh). A latere direi che in tema di piacere, godimento sessuale, ecc. Fortini non era molto qualificato a parlarne. Nella quotidianeità, almeno nei lunghi anni in cui l’ho frequentato, era più pudibondo d’un asceta, e mai ho sentito da lui osservazioni “piccanti” sulle donne, tutt’al più il commento più ardito era: “Una gran bella donna”. Vabbe’, c’è da dire che Fortini non era tenuto a confidarsi con me su argomenti erotici.
Questa premessa, d’ordine biografico, quindi in ipotesi non pertinente, direi però che inquadra l’interpretazione fortiniana dell’aforisma di Kraus. Il quale è oscuro per sua stessa natura, e forse anche perché lo stesso Kraus non aveva ben chiaro ciò che ha voluto costringere in una sentenza. Le intuizioni sono spesso legate ad un momento peculiare di riflessione, e lo stesso pensiero aforistico, se lo togli dal contesto in cui ha visto la luce, può risultare poco comprensibile. A mio avviso, comunque, Fortini ha compiuto un’astrazione “eccessiva” riguardo al tema padrone/servo a proposito del piacere sessuale. Ritengo infatti che l’interpretazione fatta da Fortini sia in qualche modo forzata, ovvero più filosofica che concreta (naturale, realista, ecc.), e che l’uguaglianza/reciprocità tra i partner escluda quelle differenze “naturali” d’ordine biologico, nella qualità e intensità del piacere, ossia vere e proprie dis-uguaglianze di base, che rendono possibile per l’appunto la pienezza del godimento sessuale. Insomma, come tui scrivi, “la riflessione di Fortini su quest’aforisma di Kraus ribadisce il principio egualitario anche nel godimento del piacere”, e per dirla in soldoni, mi pare che la premessa fortiniana della reciprocità tra i partner conduca all’ipotizzare un godimento sessuale… socialista. Mentre in tema di piacere sessuale io vedo all’opera uno sbilanciamento, una assimmetria, dovuta tanto a ragioni fisiologiche quanto culturali, tra i partner, che può anche prevedere la dialettica servo/padrone in campo sessuale, impersonata allo scopo di valorizzare il piacere sessuale stesso. Il che mi pare in consonanza con l’osservazione fortiniana su Sade: «Sade sapeva benissimo come l’emancipazione e l’eguaglianza che ne consegue tende a smussare la virulenza del piacere nato dall’altezza dei dislivelli», ma anche in contraddizione con la sua premessa della reciprocità tra i partner, a meno che, ripeto, il superamento dei dislivelli non abbia come finalità il godimento sessuale socialista. Comunque, se “ognuno ha da scegliersi nei propri desideri” (e questo brano lo intendo a livello di posizionamento del soggetto nei rapporti sessuali: etero, omo, trans, ecc.), ognuno però, aggiunge Fortini, “ha da decidere d’essere quel che vuol essere”, ossia, dico io, ciascuno è dunque libero di decidere se vuol appartenere alla coppia servo/padrone, scegliendo quindi lo status (o la parte) sessuale che più l’aggrada, nella quale sente valorizzata maggiormente la propria libido, o pulsione. Insomma, le pulsioni non si possono democratizzare più di tanto, c’è sempre un qualcosa che deborda, che sfugge, che si ribella. In questo senso mi pare vada interpretato il brano fortiniano da te sottolineato, «L’eguaglianza diminuisce il piacere di essere padrone e quello di essere servo qualora quello [il piacere] dell’eguaglianza *reale*, non lo [il piacere] soccorra con la recitazione delle diseguaglianze,il teatro delle differenze, la forma scenica della società messa a disposizione della coppia di amanti, ossia una finzione culturale
O meglio, l’eguaglianza diminuisce il piacere d’essere padrone e quello d’essere servo, fin qui concordo totalmente, ma dissento a partire dal “qualora”, ossia contesto l’esistenza d’un presunto piacere dell’eguaglianza (ovviamente, parlo sempre d’un ambito molto limitato e specifico dei rapporti umani, il rapporto sessuale e il suo godimento) che non soccorre alcunché, ma semmai si pone come succedaneo del piacere legato alla dialettica sessuale servo/padrone, quindi in posizione valoriale inferiore, e a cui non supplisce alcuna recitazione delle diseguaglianze. Per produrre piacere sessuale, le diseguaglianze, e cioè, se vuoi, le differenze, devono essere reali, o realmente percepite dai partner, non prodotto d’una finzione. Che piacere c’è in una finzione già stipulata e presentata come tale? O la rendi vera, in tutti i vari modi possibili, o ti astieni dal praticarla. E’ un po’ ciò che succede con la lettura d’un romanzo. Perché ti avvinca, le avventure lì narrate devi crederle e percepirle (come) vere, altrimenti che piacere ne ricavi?
Avrei poi anche qualcosa da dire sui tre significati attribuiti all’aforisma krausiano. Il rapporto lì ipotizzato, il menage à trois, il “trio”, non si basa (sempre) sulla conclamata inferiorità del terzo concesso dall’uomo alla propria partner in quanto elemento (tale inferiorità) di godimento sessuale. Quello è un caso, tra altri possibili. Ma questo aspetto mi pare poco importante, rispetto almeno a quanto detto sopra.
Questo è quanto mi è venuto a caldo, a una prima riflessione sullo scritto che mi hai proposto.
Un carissimo saluto
roberto
*
Grazie Roberto. Credo proprio che sullo sfondo di questo vecchio scritto di Fortini ci fosse una presa di distanza dal femminismo “differenzialista” dell’epoca. Problema non scomparso e che si ripresenta. Ho letto e segnalato proprio poco fa questo saggio di Carlo Formenti (qui), che individua dilemmi cruciali molto vicini a quello a cui tu accenni («Che abusi e violenze sessuali non siano di classe, ma solo di genere?»), anche se resto perplesso sulla sua scelta di definire un femminismo “socialista”. Passando a Fortini, il suo ascetismo sui temi della sessualità mi pare innegabile e del resto dichiarato […]. Resta da capire – e qui sono più possibilista di te – se anche un “asceta” non possa cogliere dei rapporti sessuali aspetti profondi. Fortini legge alla luce della dialettica hegeliana servo/padrone l’aforisma di Kraus ed è vero che tiene ferma l’idea di una uguaglianza/reciprocità tra i partner, ma non mi pare che ipotizzi «un godimento sessuale… socialista». Anzi molto realisticamente riconosce che Sade coglieva un punto fondamentale nei rapporti («Sade sapeva benissimo come l’emancipazione e l’eguaglianza che ne consegue tende a smussare la virulenza del piacere nato dall’altezza dei dislivelli»). Si tratta di stabilire se davvero l’unico o pieno piacere sessuale sia raggiungibile esclusivamente in un rapporto dove lo “squilibrio” tra i partner è indispensabile (anche se non volessimo ricondurlo, come invece fa Fortini, a una dialettica sessuale padrone/servo). Riflettiamoci. Il rischio che mi pare d’intravvedere nella tua posizione quando scrivi che «per produrre piacere sessuale, le diseguaglianze devono essere reali, o realmente percepite dai partner» è questo: il piacere (o il piacere più alto) è inseparabile da tale “squilibrio”, che da storico (come almeno io tendo a considerarlo) diventa “naturale” (o, non so, fisiologico) e quindi non condizionato o poco condizionato dalle differenze economiche, sociali, culturali dei due partner.
Un caro saluto
Ennio
SEGNALAZIONE
(dalla bacheca di Pierluigi Fagan)
* Nel mentre scrivevo il pezzo su Kraus e Fortini qui sopra il dibattito sulle “molestie sessuali” è andato avanti. Segnalo la posizione (in tre suoi commenti che ho stralciato) di Pierluigi Fagan. (E. A.)
A proposito di LE DONNE DEL CINEMA ITALIANO CONTRO LE MOLESTIE
http://www.repubblica.it/…/dissenso_comune_le_donne…/…
Pierluigi Fagan
1.
Il problema c’è e questa è ontologia, l’interpretazione, l’ermeneutica, viene dopo. A meno di non sostenere che è l’ermeneutica a dar l’impressione ci sia una ontologia ma -francamente- mi sembra una via impercorribile. Mettere in mezzo il sesso nella relazioni di lavoro, quando non tacitamente convenuto tra le parti, è un problema o no? Non so molti di noi dove fanno finta di aver vissuto fino ad oggi, mi pare evidente che il problema c’è. O sbaglio?
2.
… io parlo dei vari “o me la dai o scendi” ed annesse pressioni psico-manesche che hanno quel fine, agite dentro e fuori l’ambiente di lavoro. Penso esistessero ad Atene come a Roma ed anche prima. E’ forse relativo ad una diversa biologia sessuale ed è incastonato in forme culturali. Di questo parlavo, se vuoi, è fatto antropologico non sociologico.Non capisco cosa c’entri la mercificazione dei corpi e la sociologia del capitalismo. Ogni invasione militare, sin dai tempi più antichi, ha stuprato donne. Leggevo proprio ieri Postwar di Tony Judt, non so quante centinaia di migliaia di tedeschi (centinaia di migliaia dicono le fonti) sono figli di una donna tedesca e di un occasionale stupratore dell’Armata Rossa di passaggio vendicativo da quelle parti nella fase finale del secondo conflitto mondiale. Sono cose note dal tempo dei tempi, atterriamo sul concreto .
3.
Ripeto il concetto, mi pare se ne faccia una questione di dito e di luna. A me della lettere postata interessa less then zero, mi sembrava semplicemente riepilogare bene certi temi che da poco fanno rumore nel dibattito pubblico. la sociologia di questo dibattito è certo interessante ma rischia di essere di volume sproporzionato rispetto al fatto. Il fatto, la luna, c’è o non c’è? Quando discutiamo il fatto? Vogliamo invalidare la Rivoluzione francese perché nel casino son volate teste che non dovevano volare? Ah ma sono donne pubbliche, ah ma sono state cooptate dal pensiero liberal (male, ai miei tempi erano temi del movimento), ah ma hanno parlato tardi, ah ma chissà cosa c’è sotto. Ma di cosa stiamo parlando? La forma la discuteremo a parte, intanto occupiamoci della sostanza. O non c’è questa sostanza?
Carissimi, mi sembrate tutti fuori di testa, se testa testicoli e testimoni hanno la stessa incarnata ideologia. Certo che via affaticate, Fortini, Ennio, Enzo Partesana, Roberto Bugliani e ora anche l’ottimo Fagan amico della Francia, tutti a discettare di sesso e desiderio, come fosse struttura e sovrastruttura, cioè desiderio maschile e acconciamenti vari di ruoli per mantenerlo in vita (vivo o viceversa: vivificante) socialista, egualitario, o affidato alla biologia, o al rovesciamento sovrastrutturale/o dello spirito).
Carla Lonzi, che già aveva smontato il sessismo di Hegel, faceva autoerotismo con i suoi amici, e ne aveva. Fantasie di ruoli zero e differenza registrata.
Basta così, i giochi complici tra i sessi – in cui l’amore e il sesso sanno da millenni di culture come comportarsi – oggi richiedono niente più che una puntualizzazione, con le leggi e la civilizzazione di cui le donne si fanno forti interpreti. Il resto è ricami. (Rakam: numero, serie, ripetizione.)
@ cristiana fisher,
perdonami, ma il brano del tuo commento:
“Basta così, i giochi complici tra i sessi – in cui l’amore e il sesso sanno da millenni di culture come comportarsi – oggi richiedono niente più che una puntualizzazione, con le leggi e la civilizzazione di cui le donne si fanno forti interpreti. Il resto è ricami. (Rakam: numero, serie, ripetizione.)” non riesco bene a intenderlo. Be’, a dir la verità, anche il sintagna un rigo sopra: “differenza registrata” mi è oscuro.
@ Bugliani. Dal più facile: “registrata” da ambedue nel mentre del rispettivo autoerotismo.
I giochi complici: sopra sotto, master servant, terza tra due o più, carta che si scambia tra maschi (Meillasoux, hai presente?) sono tutti detti, ora le donne protagoniste li definiscono, incasellano, e relegano ai vostri discorsi. Che poi millenni, forse milioni, di anni regolino la propagazione della specie indefettibilmente e con piacere è solo un fatto.
@ Fischer
Sul ritmo di “Contessa” di Paolo Pietrangeli
(https://youtu.be/ogegul-UyII)
Che roba contessa, su Poliscritture
han detto la loro quei quattro ignoranti
mostravan testicoli desideranti
gridando, pensi, d’essere amanti.
Ma sono arrivata io, la Fischer-polizia
e a quei fuori di testa ho gridato ben forte
che ormai son chiuse le fighe e le porte,
il desiderio maschile deve morire.
Macché struttura! Che sovrastruttura!
Ho preso la falce e di Hegel l’uccello
tagliato spedirò per mail a quello
che con Kraus e Fortini fa il saputello.
O maschi per bene che baci cercate
socialisti, egualitari e altre cazzate
da me avrete proclami di guerra
voglio vedervi finir sotto terra
perché da secoli il prezzo l’abbiam pagato
il dogma femminista dev’esser applicato.
Sapesse, mia cara, la Lonzi mi ha detto
che l’intellettuale masturbazione
di questa gentaglia che boriosa discetta
mai orgasmerà la nostra cognizione.
Del resto, mia cara, di che si stupisce?
La differenza sessuale un professore
la scambia per un triangolo o un malore.
Se il maschio fischiava quand’era forte
ora straparla in attesa della morte.
Io femminista manco lo sto a sentire
è uno che può soltanto tradire;
orsù amiche sputategli addosso
ogni cosa rossa va messa in un fosso.
O maschi per bene che baci cercate
socialisti, egualitari e altre cazzate
da me avrete proclami di guerra
voglio vedervi finir sotto terra
noi per secoli il prezzo lo abbiamo pagato
e il dogma femminista dev’essere applicato.
Caro Ennio, se hai capito questo, pazienza.
Per me questo è un argomento da trattare seriamente e né tu né la Libreria delle donne o altro gruppo ne avete l’esclusiva. Quel che scrivo non è *na mappina* su cui pulirti/vi le scarpe sporche. Basta rileggere il tuo primo commento e vedrai che ho capito benissimo. Perciò ho replicato con la parodia di “Contessa”.
Nossignore. Il post di ieri presenta una scena, in cui tre uomini, più un quarto che è testimone muto, discutono su come posizionarsi nei confronti di una lei, che non c’è. Essi discutono anche sul come posizionarsi tra loro, in riferimento alla lei, che è parlata ma non parla.
La scena è assurda, anche tragica: come se cinquantanni di femminismo semplicemente non fossero mai esistiti.
(E’ anche vero che lei non “si deve” vedere, per ragioni… poco trasparenti. In parte perchè la moglie di Caudaule richiama possibilmente un matriarcato in cui era la regina a nominare re il suo sposo; in parte viene spontaneo pensare ad Artemide che uccide Atteone che voleva guardarla. Giovanni Semerano collega Eraclito con Atteone e Artemide, “la divinità della notte che illumina l’ambigua oscurità dei trivi”, ma non saprei interpretare oltre.)
Ho allora presentato una donna che ha parlato, Carla Lonzi, che in Sputiamo su Hegel, 1970, precisa che “nell’esperienza storica femminista la donna si è manifestata interrompendo per la prima volta il monologo della civiltà patriarcale”. Non starò a raccontare il testo, cito solo questa frase: “Nel manifestarsi della donna quale ‘eterna ironia della comunità’ (Hegel) noi (Carla Lonzi e Rivolta femminile) riconosciamo la presenza dell’istanza femminista in tutti i tempi”.
Ma soprattutto era pertinente all’argomento del post un comportamento di Lonzi con suoi amici artisti (lei era critica d’arte) cui accenna non so se in Autoritratto o in Taci, anzi parla. Gli incontri amorosi che nomina erano basati sull’autoerotismo in comune. C’era intimità, nudità, e separatezza. Riconoscimento di due differenti. Piuttosto interessante, no?, rispetto a reciprocità egualitarie o di differente potere.
Questo il mio ragionamento – da arrabbiata, anche molto e credo si possa capire perchè. Quello che invece non si capisce come a questo ragionamento risponda il tuo iperbolico sfogo, o forse fantasma, proiezione della solita logora figura della vagina dentata, o della menade furiosa, ma forse vorrai spiegarlo.
“Il post di ieri presenta una scena, in cui tre uomini, più un quarto che è testimone muto, discutono su come posizionarsi nei confronti di una lei, che non c’è. Essi discutono anche sul come posizionarsi tra loro, in riferimento alla lei, che è parlata ma non parla.
La scena è assurda, anche tragica: come se cinquantanni di femminismo semplicemente non fossero mai esistiti.” (Fischer)
Ma che dici?
La tua prima replica sarebbe un “ragionamento”? Tu ragioni premettendo che i tuoi interlocutori ( messi in *mucchio* tra l’altro) sembrano “tutti fuori di testa” o dicendo che si “affaticano” etc?
Prova a rileggere ora la mia “prima replica”, forse la capirai meglio. Quello che non spieghi però è come puoi farmi impersonare la tua iperbolica Contessa, infatti nulla ho scritto di quello che le attribuisci.
Io ho solo commentato un passo che l’amico Ennio mi ha mandato, chiedendomi delucidazioni; non ho espresso una posizione su questo o su quello, ho solo cercato di chiarire quale potesse essere una delle fonti di Fortini. E mi sono ricordato di un libro di Carla Lonzi che aveva come titolo “Sputiamo su Hegel”, riportandone, in breve e in forma amicale a Ennio, alcune premesse.
Un saluto,
Ezio Partesana
…ragionando un po’ insieme a voi, ritenendo comunque l’argomento sempre aperto…quell’accenno al “godimento sessuale …socialista” di R. Bugliani e “il mito” del “libero amore”, come possibilità di realizzazione tra uguali consapevoli nella “comune, il gruppo sociale autentico, la nuova società” di cui parla F. Fortini alla fine mi sembrano le soluzioni più ardite e, nello stesso tempo, moderate, capaci di conciliare natura e cultura…Mai realizzate davvero. Da una parte è innegabile che la storia abbia privilegiato il primato del desiderio maschile (a pari passo con la società di stampo patriarcale) nel rapporto sessuale, come il movimento femminista ha evidenziato, ma nel cambio di prospettiva la posizione di alcune femministe, come C. Lonzi, ha portato a un eccesso opposto di attenzione…Se si arriva a dire “Io parlo solo con le donne”, la sfida per il superamento di un conflitto finisce lì. Così avverto problemi e preoccupazioni comuni anche nel campo erotico: la corsa per la spartizione di una forma di potere, la sopravvalutazione di quanto sta in gioco da entrambe le parti ( se si esclude il discorso sulla procreazione, l”uccello di fuoco” e l'”oro vaginale” non dovrebbero diventare due feticci da difendere come valori assoluti), la paura dell’ignoto cioè di quel qualcosa di non ancora esplorato che ci spaventa, legato a forze della natura sconosciute…
@ Locatelli
Preciso che nella parte finale del post a parlare di “mito” del “libero amore”, come possibilità di realizzazione tra uguali consapevoli nella “comune, il gruppo sociale autentico, la nuova società” è Francesco Leonetti, che commentava quello scritto di Fortini su Kraus su “Allegoria”.
Cara Annamaria, la paura dell’ignoto produce tutte le parti che si mostrano via via. Che sono anche modi per nominarlo e “possederlo”. Qualcosa ormai si sa: che la nominazione ha appartenuto principalmente a uno dei due sessi. Per questo è facilmente comprensibile che, 50 anni fa, il doppio autoerotismo in compagnia e io parlo solo con le donne, siano stati passi indispensabili.
Ma ri-proporre oggi il discorso di uno solo, ecco, questo mi pare intollerabile.
…tuttavia, Cristiana, mi sembra che gli appunti politici esposti, da vari autori, e il dibattito seguito riportino come consolidato il passaggio essenziale per cui la donna da mero oggetto venga considerata soggetto alla pari nel rapporto erotico…nel gioco erotico possono sussistere altre modalità finalizzate al piacere, ma che non neghino la prima condizione…non ti pare? Il linguaggio di rottura di C. Lonza forse è stato necessario per porre con forza il problema, ma il discorso va integrato con altri aspetti…E’ talmente complessa quell’esperienza che vale la pena indagare ancora: lì entrano istanze contrastanti come la forza il dominio ma anche la tenerezza l’attaccamento alla vita…
@ Annamaria: “per cui la donna da mero oggetto venga considerata soggetto alla pari nel rapporto erotico…”: ma è ancora *oggetto*!, del discorso tra maschi.
Come fai a non visualizzare questo dato?
Discorso fatto oggi con testi quasi contemporanei a quelli di Lonzi. Dunque non è successo niente, siamo ancora alle [loro] problematiche anni 70.
Io non parlerei di rapporto pari sul piano erotico: la donna è nettamente superiore. Anche solo se si pensa all’elevato numero di orgasmi che può avere, e senza nemmeno provare ansia di prestazione.
@ Tosi
A me pare che per partito preso nessuno/a abbia la pazienza e la modestia di analizzare l’intero post e l’appendice. Si preferisce saltarlo e riaffermare la propria visione, sbeffeggiando e cancellando la *problematicità* con cui ho cercato di risollevare la questione del rapporto uomo-donna.
Anche la tua obiezione mi pare vagabonda e deviante: a un pregiudizio più o meno biologico-maschilista (la famosa invidia del pene) contrapponi un altro pregiudizio più o meno biologico- femminista (l’elevato numero di orgasmi della donna).
Quanto più arioso, dialettico, aperto al possibile il discorso dell'”ascetico” Fortini che ho cercato di riassumere! Ad es. qui: “Ne deduco che egli avesse presente due concezioni e pratiche del piacere: una sorta di piacere derivato dal dominio, fondato sul dislivello superiore/inferiore e che offre «il piacere di essere padrone, e quello di essere servo», naturale o più naturale, ma in effetti consolidatosi in secoli di storia; e una che mira alla reciprocità e (tendenziale perché problematicamente in fieri) eguaglianza tra i partner, secondo la quale – con le parole di Fortini – «ognuno ha da scegliersi nei propri desideri, ognuno ha da decidere di essere quel che vuol essere».
Non posso esprimermi circa i desideri di Franco Fortini, mi sembra dalle tue parole che anche in fatto di eros faccia appello a principi di libertà e democrazia. E sia, siamo tutti d’accordo.
Tutti non mi pare. Proprio per questo ho cercato di valorizzare l’attenzione che Fortini aveva ( e io pure) per una concezione dei rapporti che non si rifà affatto “ai principi di libertà e democrazia” tantomeno nei rapporti in cui è in primo piano la ricerca del piacere sessuale. E non a caso il riferimento era Sade. Come non a caso Fortini non negava l’esistenza di un piacere fondato sul dislivello superiore/inferiore e che offre «il piacere di essere padrone, e quello di essere servo». Non che l’approvasse ma non poteva (non possiamo) certo chiudere gli occhi su questa realtà, saltandola o coprendola con l’ideologia (socialista o femminista o cattolica, ecc.). E il recente dibattito sulle “molestie sessuali” dimostra quanto sia facile dare addosso al “piacere di essere padrone” di un Weinstein ora che è stato “smascherato” ( e bisognerebbe capire qual è il contesto che ha permesso tale operazione, secondo me di facciata) e quando sia difficile tener conto del *piacere di essere servo ( o serva)*, come si è visto nelle accuse o nelle insinuazioni contro Daria Argento.
Gli spunti presenti nello scritto di Fortini mi paiono più interessanti del discorso trionfalistico, settario e dogmatico di Carla Lonzi.
Ben più attenzione alla vischiosità, alle complicità e alla problematicità dei rapporti tra uomini e donne ho trovato nelle prese di posizioni di Lea Melandri. E il 9 gennaio 2016 su POLISCRITTURE FB ne avevo segnalato una particolarmente pregnante sul tema della violenza, che pur ribadendo l’assunto tipicamente femminista della responsabilità del patriarcato e del maschilismo (si legga il titolo dell’articolo) riconosceva però apertamente vischiosità e complicità tra i due sessi. La copio qui, avvertendo che non tocca direttamente la questione del *piacere* di cui stiamo parlando:
*
SEGNALAZIONE E NOTA MIA
Il genere della violenza, gli orrori hanno un sesso
di Lea Melandri
Può darsi che il rapporto di potere tra i sessi e le inevitabili complicità che ne hanno permesso una così lunga durata non siano, come sono portata a pensare, il maggiore ostacolo materiale e psicologico a una convivenza più umana, più giusta e solidale. Ma finché non vengono portati alla coscienza e fatti oggetto della riflessione che meritano, non sapremo mai se dobbiamo rassegnarci a una “naturale” violenza maschile, o sperare nella possibilità di un cambiamento che non riguarderebbe solo il sessismo, ma tutte le forme di distruzione e di morte che gli uomini hanno agìto contro i loro simili.
Come è possibile che ancora oggi, dopo tanto parlare di patriarcato e di maschilismo, non si riesca a scalfire la maschera di neutralità che impedisce di riconoscere ai responsabili di tanti orrori l’appartenenza a un sesso? Che cosa impedisce agli uomini sinceramente convinti di dover operare per la pace nel mondo di interrogarsi sulla matrice “virile” della violenza? Perché, a loro volta, le donne sono così poco inclini a chiedersi quando e come un figlio, un marito, un amante passano dalla tenerezza alla violenza?
[…]
A questo punto arriva puntuale la domanda: «Allora le donne che uccidono cosa sono?». Che anche le donne abbiano pulsioni aggressive mi pare fuori di dubbio. Aggiungo anche che, se avessero avuto fin dall’inizio della storia umana la forza fisica, il possesso delle armi e tutto il potere che si è arrogato l’uomo, non è da escludere che avrebbero potuto farne un uso altrettanto selvaggio. Non ho mai pensato che l’esperienza della gravidanza e del parto potessero agire in modo deterministico su quelle che artificiosamente sono state considerate le “naturali” doti femminili di oblatività, dolcezza, altruismo. Gli infanticidi, la violenza sui bambini non sono purtroppo estranei alla maternità.
Sta di fatto che non è andata così e, che piaccia o meno, le guerre, le devastazioni, gli stupri privati e pubblici, gli stermini di interi popoli li ha fatti il sesso maschile.
http://ilmanifesto.it/il-genere-della-violenza-gli-orrori-hanno-un-sesso/
Nota mia:
E però ammette Lea Melandri: « Aggiungo anche che, se [le donne] avessero avuto fin dall’inizio della storia umana la forza fisica, il possesso delle armi e tutto il potere che si è arrogato l’uomo, non è da escludere che avrebbero potuto farne un uso altrettanto selvaggio.»- Affacciare questa ipotesi a me pare una smentita del legame *naturale* o *necessario* tra violenza e sesso maschile.
Non sarebbe più opportuno allora tornare a scavare nella storia generale delle società umane e negli eventi che hanno costruito le condizioni della preminenza del patriarcato (violento)?
Non ritengo poi, come invece pare pensare Melandri) che a interrogarsi sulla violenza dovrebbero essere innanzitutto gli uomini per il solo fatto che essi la esercitino di solito più spesso o quasi sempre. Perché, secondo me, le femminili « inevitabili complicità che […] hanno permesso una così lunga durata» della violenza (maschile nell’esercizio, ma avallata e condivisa spessissimo dalle donne) hanno un peso, se non equivalente, comunque rilevante. E poi non si dimentichi l’avallo delle Istituzioni statali e spesso anche religiose. ( Si dirà che anch’esse sono in maggioranza fatta da maschi, ma anche in questo caso l’avallo delle donne non è mai trascurabile). Insomma la spiegazione della violenza proposta dal femminismo (e qui dalla Melandri) non mi ha mai convinto.
E’ pratica comune in battaglie politiche (forse è anche meccanismo di autotutela nei confronti di tesi ficcanti) dividere il campo avverso ritagliando possibili alleanze e isolando le posizioni che appaiono inaccettabili. Così fa Ennio che definisce Carla Lonzi trionfalista, settaria e dogmatica, mentre trova più accettabili gli scritti di Lea Melandri, e spesso la cita.
Non dubito che egli conosca il pensiero e buona parte degli scritti di Lonzi, e sia al corrente di convegni e saggi dedicati al suo pensiero politico (chi vuole informarsi può frequentare questa pagina di Iaph Italia, http://www.iaphitalia.org/?s=carla+lonzi) tuttavia gli voglio anche ricordare che l’esponente di un pensiero realmente nuovo ha sempre suscitato ripulsa e negazione, in chi viene dalle nuove tesi sorpreso e destrutturato nel corso delle sue convinzioni.
Quanto al -temperatissimo- accordo che egli sente nei confronti di Lea Melandri, credo che vada riportato alla meno immediata valenza politica degli interventi di Lea, che punta soprattutto a dare visibilità a una storica complicità femminile, sul piano della psicologia del profondo, con l’immaginario e il potere maschile.
Naturalmente questo lavoro è importantissimo per l’autocoscienza femminile, e alle donne è diretto. Non ad accarezzare un possibile sollievo maschile perché, invece, occorrerebbe immaginare un livello più profondo da cui dipenderebbero -per tutti e tutte- i mali storici del patriarcato.
Trovo curioso, che un pensatore della storia come Ennio si sforzi di immaginare un ipotetico livello extrastorico, per superare in volo il patriarcato di cui invece la storia occidentale è teatro.
Ma questo riuscirebbe a svuotare di significato la differenza sessuale (che quindi sarebbe una fra le tante differenze: LGBTQI…) e la riflessione teorica e politica che ne deriva.
Di questo importante ambito del femminismo si occupano altre, nel femminismo mondiale. E cominciano ad occuparsene uomini, a volte in modo maldestro e sbrigativo, così Formenti.
Al pensiero della differenza Lonzi ha dato inizio e impulso fondamentale.
Dibattito interessante. Registro il fatto che quanto più eguali sono diventate le donne e gli uomini, quanto più questa eguaglianza viene predicata e persino imposta, tanto più si è diffusa la moda del sadomaso. Chissà perchè.
@ Buffagni
Roberto, vedi che ho scritto:
“Ne deduco che egli avesse presente due concezioni e pratiche del piacere: una sorta di piacere derivato dal dominio, fondato sul dislivello superiore/inferiore e che offre «il piacere di essere padrone, e quello di essere servo», naturale o più naturale, ma in effetti consolidatosi in secoli di storia; e una che mira alla reciprocità e (tendenziale perché problematicamente in fieri) eguaglianza tra i partner, secondo la quale – con le parole di Fortini – «ognuno ha da scegliersi nei propri desideri, ognuno ha da decidere di essere quel che vuol essere».”
Non a caso ho parlato di eguaglianza “tendenziale” e “problematicamente in fieri”, da volere, da costruire praticamente non da predicare.
Di predicazione in effetti ne vedo parecchia. Di imposizione meno.
Né credo che “la moda del sadomaso” sia una reazione trasgressiva a questa predicazione o a qualche imposizione. Per me ha altre spinte e, come detto, radici storiche profondissime ( Vedi anche l’articolo di Lea Melandri che ho segnalato). Queste spinte ( arcaiche, patriarcali, come vuoi) di per sé non fanno moda, ma si esprimono in comportamenti solo parzialmente condizionati dalle mode. Queste ultime per imporsi attingono *anche* a quelle spinte ma sono costruite (con investimenti di capitali, commercializzazioni di simboli, ecc.).
Non sono esperto di questi temi ma sarei curioso di capire chi sono gli sponsor della moda del sadomaso.
Ancora @ Buffagni
(una conferma – mi pare – su qanto dicevo a proposito della construzione di una moda o modello…)
“Anche prima della rivoluzione sessuale propriamente detta, quella degli anni ‘60, due grandi forze hanno preparato la liberazione sessuale: Freud e Hollywood. Freud ha sostenuto che le donne, al pari degli uomini, sono mosse da un istinto sessuale indifferenziato – il che, all’epoca, era davvero rivoluzionario. (Si pensi al famoso caso di Dora, mossa da una sessualità divorante). Era un modo rivoluzionario di pensare una sessualità che fino a quel momento era stata concepita come pura. E Hollywood ha creato modelli visivi corrispondenti a questo nuovo mito della sessualità femminile. È evidente non solo nei film di Hitchcock, che si ispira esplicitamente a Freud, ma in tutta l’industria cinematografica. È così che il corpo femminile si è imposto come una merce visibile il cui valore consiste nella capacità di risvegliare le fantasie maschili. Diversamente dalle attrici di teatro del Settecento o dell’Ottocento, che potevano essere vecchie e brutte, le attrici e le modelle moderne devono essere giovani e belle. Ed è in questa forma che sono diventate modelli culturali. Hollywood ha reso il corpo sessuato della donna un oggetto di appropriazione visiva maschile – e questo vale per tutto lo spettro che va dai normali film commerciali all’industria del porno.”
(http://www.leparoleelecose.it/?p=31175#more-31175)
Sempre per chiarire meglio questo passo del mio articolo:
““Ne deduco che egli [Fortini] avesse presente due concezioni e pratiche del piacere: una sorta di piacere derivato dal dominio, fondato sul dislivello superiore/inferiore e che offre «il piacere di essere padrone, e quello di essere servo», naturale o più naturale, ma in effetti consolidatosi in secoli di storia; e una che mira alla reciprocità e (tendenziale perché problematicamente in fieri) eguaglianza tra i partner, secondo la quale – con le parole di Fortini – «ognuno ha da scegliersi nei propri desideri, ognuno ha da decidere di essere quel che vuol essere».”
nell’intervista che appare oggi su “Le parole e le cose” questi due brani aiutano bene a capire cosa è in gioco tra le due “concezioni e pratiche del piacere” e avallano – mi pare- la posizione fortiniana:
1.
“Teoricamente, se le donne fossero violente, potrebbero penetrare il corpo dell’uomo con oggetti. Teoricamente, dato che gli uomini possono essere violentati per via anale da altri uomini, potrebbero esserlo anche da una o più donne. Ma questo non succede perché, per la donna, la sessualità non è fonte di potere. Gli uomini possono utilizzare il loro sesso come un arma: è un fatto indiscutibile. Ma non si tratta di erotismo. Lo stupro non è in alcun modo un’esperienza erotica. Di certo non lo è per la donna e, a mio parere, nemmeno per l’uomo. Quello che gli uomini cercano nello stupro è il piacere del dominio, dell’esercizio del potere e dell’assoggettamento.”
2.
“«Il potere è la dimensione invisibile e tuttavia tangibile che organizza i rapporti di genere – qualcosa che deve essere localizzato ed espulso dalla relazione intima», lei scrive. La filosofa Judith Butler, al contrario, ritiene che il potere sia un aspetto intrinseco della sessualità, «una dimensione assai eccitante». Bisogna espellere il potere dalla sessualità o giocarci insieme?
Nell’antica Grecia e a Roma i padroni violentavano regolarmente gli schiavi, ed è per questo che la definizione della mascolinità si fondava sull’essere colui che penetra. «Non esser penetrato!» è diventato una specie di ossessione della mascolinità eterosessuale occidentale. La performance della sessualità nell’antica Grecia era una performance di potere. Immagino che non sia questo il potere che eccita Judith Butler. Per lungo tempo, in Occidente, alle donne è stato proibito di essere attive, di esprimere apertamente il loro desiderio e il loro piacere, mentre all’uomo è spettato di prendere l’iniziativa e di controllare i termini dello scambio sessuale. È questo il potere che eccita Judith Butler? Oso sperare di no. Quello di cui parla Judith Butler, verosimilmente, è la messa in scena teatrale del potere all’interno di una relazione sessuale consensuale. Non il vero potere nella sessualità, quello che ti priva della possibilità di sentire il desiderio, che ti fa provare vergogna nei confronti del tuo stesso desiderio. Chi pensa che il potere sia necessario per alimentare il desiderio manca di immaginazione, si accontenta di replicare i nostri clichés. La mia coppia ideale è quella di Diderot e Sophie Volland. Una coppia estremamente egualitaria, in cui ciò che Diderot ama in Sophie Volland è proprio il fatto che lei gli sia pari: lui non la domina e non deve dominarla per farla felice. L’uguaglianza è estremamente sexy ed erotica.”
(da Le donne, sconfitte dalla rivoluzione sessuale?
Intervista a Eva Illouz, a cura di Martin Legroshttp://www.leparoleelecose.it/?p=31175#more-31175)
Caro Ennio,
devo dire che l’affermazione “per le donne la sessualità non è fonte di potere” mi ha colpito, evidentemente non ho capito niente dei fatti della vita, in 61 anni. L’assenza di protuberanze atte alla penetrazione nel corpo femminile non mi sembra sufficiente per suffragare la tesi.
Personalmente trovo l’eguaglianza – non l’eguaglianza sociale, giuridica, economica, etc., ma l’eguaglianza tout court – erotica come uno stracchino di Nonno Nanni.
Trovo invece assai interessanti le infinite differenze che si registrano tra uomo e donna, tra le quali le giuridiche, sociali, economiche mi sembrano le meno importanti, almeno in sede erotica. Antiquato? Antiquato.
Eppure a me non pare che esista una sessualità indipendente dai rapporti storici, che si sono costruiti accentuando le diseguaglianze sociali, giuridiche, economiche, ecc. Sono questi che la modellano, la condizionano, la possono far espandere o deprimere o reprimere. Non è la presenza o assenza di “protuberanze atte alla penetrazione” di altri corpi l’elemento discriminante o fondante.
Non so se se il rapporto di coppia egualitaria fra Diderot e Sophie Volland fosse più sexy ed erotico di quello trattato da Sade, ma perché escluderlo?
Se in tanti ci provano vuol dire che come minimo non esiste un Unico Piacere.
Non so. E comunque forse io sono più antiquato di te!
“L’uomo è antiquato”, caro Ennio. (La donna pure).
…un argomento infinito per semplicità e per complessità…non riesco a dire nulla, ma mi è capitato di leggere questi promettenti versi di Wislawa Szymborska
Cercheremo un’armonia,
sorridenti, fra le braccia,
anche se siamo diversi
come due gocce d’acqua.
SEGNALAZIONE
Eccitazione. La logica segreta delle fantasie sessuali
di Nicole Janigro
http://www.doppiozero.com/materiali/eccitazione-la-logica-segreta-delle-fantasie-sessuali
Stralcio:
Come riuscire a eccitarci, come tenere insieme il desiderio sessuale, che dalla pubertà in poi è sempre con noi, il piacere che possiamo ricavare dalla sessualità, con il timore di non essere adeguati, di poter fare del male all’altro, con la vergogna di istinti giudicati bestiali? Come, soprattutto, riuscire a essere spietati: preoccupati solo di se stessi, capaci di usare senza eccessive preoccupazioni l’altro? Piaceri desiderati si scontrano con piaceri proibiti, a volte si genera un conflitto stressante, decisivo nella vita di coppia. Nella realtà si trovano “compromessi e accomodamenti”, ma, dice Bader, la fantasia sessuale è solo nostra: qui le immagini che più ci eccitano vanno in scena in sicurezza e non fanno male a nessuno. “La mente inconscia è interessata soprattutto a garantire la nostra sicurezza”, perché “la ricerca della sicurezza psicologica è al centro della vita psicologica” ed “è un concetto cruciale per rivelare il mistero della passione sessuale”, “che guida i nostri tentativi di tradurre il linguaggio dell’eccitazione fisica in quello dei significati psicologici”.
Nella vita reale Jan è una donna forte e schietta, nella sua fantasia usa un linguaggio osceno e crudo, si immagina dominata e violentata da uno sconosciuto. Quando riesce a raccontare tutto ciò al suo terapeuta – anche nella stanza d’analisi è più facile parlare di sesso che descrivere le proprie fantasie sessuali –, può affrontare il timore di essere troppo disinibita, di essere una masochista e iniziare ad accettare il suo bisogno di un marito capace di tenerle testa, che non soccomba davanti ai suoi attacchi. Durante i rapporti con la moglie Robert fantasticava di avere sopra di lui una donna forte e allegra che lo legava e si divertiva. La fantasia dello schiavo serviva a rassicurarlo: non era dunque lui a fare del male alla moglie che vedeva sempre triste.
Il ruolo del “dominatore” e del “sottomesso” sono, a prescindere dal genere e dall’orientamento sessuale, e con infinite variazioni soggettive, tra le fantasie più diffuse. In esse non c’è nulla di patologico; se indagate ci aiutano a conoscere noi stessi, a svelare ricordi e imprinting relazionali familiari. È con questa lente che Bader interpreta il feticismo e il voyeurismo, indaga il convenzionale e il bizzarro, le fantasie di incesto e quelle sadomasochiste. Nel mondo edonistico contemporaneo il sentimento di colpa ha perso la sua centralità, ma i sentimenti inconsci di colpa conservano ancora una grande funzione.
“È più facile comprendere come il sesso provochi vergogna che non come possa essere utilizzato per superarla. È più facile vivere il sesso come una perdita di controllo che come un tentativo di riacquistarlo. Tuttavia, le fantasie e le preferenze sessuali negano le sensazioni di vergogna e ribaltano le sensazioni di impotenza. Tenendo conto dell’enorme creatività inconscia richiesta per questo sforzo, esse rappresentano il costante tentativo della mente, sulla via per il piacere, di dominare e trascendere questi sentimenti”.
Eccitazione. La logica segreta delle fantasie sessuali è un testo illuminante per chi ha interesse ad afferrare il significato psicologico della trama della propria fantasia sessuale, che rimane ricorrente e difficilmente muta; utilissimo per il clinico, perché la teoria di Bader, lontana da un’idea di psicoanalisi autoreferenziale, riflette sugli effetti empirici della cura che migliorano quando il paziente si sente più sicuro. E può mettere in atto una distorsione inconscia della regola d’oro: “Tratta gli altri come vorresti essere trattato tu diventa Fai agli altri ciò che un tempo gli altri hanno fatto a te”. Un transfert che chiede all’altro di rivivere attivamente conflitti e ferite rende possibile il “capovolgimento da passivo in attivo”: nel qui e ora è il terapeuta che subisce e deve mostrarsi capace di non soccombere.
Ma questo gioco di proiezioni e rovesciamenti, a partire dai copioni originari, assume un’importanza determinante nella relazione sessuale di una coppia. Se le fantasie sono complementari l’intimità funziona, ma se, per esempio, il senso di inadeguatezza dell’uno non permette di capire quella dell’altro, la posizione preferita da uno ferisce, per il suo significato nascosto, l’altro, il fraintendimento è garantito, la noia e il rifiuto prevalgono sul piacere.
Anche se l’autore non ha voluto stilare un glossario delle fantasie sessuali, la sua attenzione al rapporto tra psiche individuale e dimensione collettiva lo porta a cercare i collegamenti tra conflitti universali ma anche socialmente costruiti con la produzione di valori e immagini dei mondi interiori. La generazione della maggioranza dei suoi pazienti ha avuto padri assenti, fuori casa per lavoro, e madri presenti, tristanzuole e insoddisfatte. Oggi invece si incontrano donne stremate dal carico in casa e fuori, uomini a cui è richiesto di essere, insieme, virili ma sempre gentili, spaventati dalla potenza sessuale della figura femminile. La mente inconscia sociale è conservatrice, affezionata allo stereotipo storicamente persistente della rappresentazione scissa della donna madonna/puttana, dell’uomo che non deve chiedere mai. Da questo punto di vista l’autore riconosce il suo debito con i lavori di Nancy Friday che, già negli anni settanta, si è occupata di fantasie sessuali.
Infine, l’autore ci confessa la sua fantasia. La sua fiaba preferita è I vestiti nuovi dell’imperatore e la sua identificazione è da sempre con il giovane che osa dire all’imperatore la verità: è nudo.