Su “Stranieri residenti” di Donatella Di Cesare

Stranieri residenti. Donatella Di Cesare, Bollati Boringhieri, 2017

di Marisa Salabelle

Stranieri residenti, di Donatella Di Cesare, è un libro importante. L’autrice è una filosofa e si propone, con questo saggio, di fare una ricognizione sui modi in cui la filosofia ha affrontato, in passato ma soprattutto nell’ultimo secolo, concetti quali straniero, migrante, migrare, Stato, nazione, territorio e altri ancora. In apertura ci mette in guardia: non troveremo nel suo libro ricette o proposte su come affrontare gli sbarchi e gestire i flussi, né altri tipi di soluzioni pratiche. Di Cesare si propone di dare inizio a una “filosofia della migrazione” e inizia col raccontare di Ellis Island, l’isolotto in cui approdavano le navi colme di migranti diretti negli Stati Uniti, cento e più anni fa. Io sono stata a Ellis Island e sono rimasta impressionata da alcuni aspetti tipicamente concentrazionari, come le schedature, le iniziali usate per indicare la tipologia del soggetto, i controlli medici e psicologici… In ogni caso, il soggiorno a Ellis Island nella maggior parte dei casi era il preludio di un possibile ingresso nella “terra delle opportunità”.
Da qui l’autrice prende le mosse per affrontare il tema dello Stato. Filosofi come Locke e Hobbes sono stati tra i primi a elaborare il moderno concetto di Stato, seguono Hegel e Kant e molti altri autori del Novecento. Pur nelle grandi differenze tra i diversi esponenti del pensiero moderno, che sia liberale o autoritario, l’autrice mette in luce una costante, ed è proprio il concetto di Stato come comunità, un concetto che mentre include determinati soggetti deve necessariamente escluderne altri. Questo risulta evidente soprattutto nell’idea di Stato-nazione, un’idea tipicamente ottocentesca ma che vive ora un momento di forte rinascita.
La divisione del mondo, e in particolare dell’Europa, che da questo tipo di istituzione è afflitta in modo particolare, in stati-nazione è non solo arbitraria, ma basata su elementi opinabili e spesso infondati. Nazione, etimologicamente, è dove si nasce; Stato è l’istituzione che organizza e governa il territorio. Nello Stato-nazione si vogliono far coincidere i due aspetti, anche a costo di notevoli forzature. La nazione infatti è vista come una comunità di sangue e di suolo, ma nello Stato-nazione sono inevitabilmente presenti gruppi che non sono dello stesso sangue e che non sono nati su quel suolo. Pertanto lo Stato-nazione come insieme perfettamente omogeneo e puro è un’aberrazione, oltre a essere irrealizzabile nella pratica. Lo Stato, la nazione, la comunità sono concetti identitari ed escludenti: non si dà comunità senza l’esclusione di chi non le appartiene.
Non solo: i cittadini di uno Stato si sentono autorizzati ad avanzare una pretesa, e cioè che il territorio in cui per una serie di circostanze sono nati, o sono nati i loro avi, o sono venuti a vivere in un dato momento, sia di loro proprietà. Il «nostro» territorio, i «nostri» luoghi, la «nostra gente», le «nostre» donne.
Hannah Arendt, il cui pensiero viene riproposto e commentato da Donatella Di Cesare, è stata forse la prima a mettere in guardia da questa concezione proprietaria. Se il territorio è nostro, ne deriva che abbiamo tutto il diritto di dare cittadinanza a chi vogliamo, cacciare chi crediamo non abbia il diritto di risiedervi, escludere chi non ha i giusti requisiti. Ma ciascuno di noi non è che un passeggero su questa terra, la terra non ci appartiene, il primo che è arrivato non ne è diventato perciò stesso il padrone.
Questo mi è sembrato il concetto più interessante e più importante del libro. Se si avesse il coraggio di mettere in discussione l’idea di Stato, e di nazione, e di appartenenza che abbiamo tutti interiorizzato, capiremmo quanto siano assurde le leggi che cercano di arginare il movimento di persone e popoli, la ricerca di luoghi migliori in cui vivere, il concetto di confine, di frontiera, le barriere materiali di cui ci stiamo circondando e che oltre a escludere chi vorrebbe arrivare tengono prigioniero chi in un certo luogo già vive. Prigioniero non in senso stretto, ma soprattutto psicologico: assediato, minacciato, invaso, come a sproposito ci sentiamo. Mentre il mondo appartiene a tutti e ognuno ha diritto di cercare la propria strada ovunque la trovi.

68 pensieri su “Su “Stranieri residenti” di Donatella Di Cesare

  1. …quando li vediamo stipati e in bilico sui gommoni nel Mediterraneo, è chiaro che non non abbiamo riconosciuto a loro, quanto a noi, lo spazio sacro nomade che ci renderebbe tutti “Stranieri residenti”. Gli indiani d’America e anche anche altri popoli lo riconoscevano, ma si sa che noi siamo più “civilizzati”

  2. NAUFRAGIO CON SPETTATORE. SUL DIBATTITO ATTUALE

    Forse in nessun altro caso, come in quello della migrazione, è determinante la prospettiva […] che si assume e dovrebbe perciò venire subito esplicitata. Chi riflette, infatti, sta sulla riva e vede arrivare i migranti. […] Si può stare sulla riva in molti modi, persino opposti.
    Si può considerare quello che accade identificandosi nel “noi” di coloro che da tempo – secoli, decenni o anni – si sono stanziati sulla riva, rivendicandone la proprietà, si può cioè guardare dall’interno di una comunità nazionale, dei suoi confini stabiliti.[…] Si può reagire a quell’arrivo enumerando i migranti sbarcati, chiedendosi quanti sarà lecito accoglierne, tentando a tal fine di introdurre criteri per distinguere, con più imparzialità possibile, chi merita di essere ammesso e chi dovrebbe venire escluso. Per questo basterbbe accertare la loro provenienza e le cause cie li hanno spinti a quel viaggio azzardato, sconsigliabile, rovinoso per sé e per gli altri.
    Chi sta sulla riva scuote la testa, in segno di disapprovazione e insofferenza, per quei nuovi arrivati a cui non si sente di rivolgere un “benvenuti”, welcome, perché procureranno problemi alla sua comunità, almeno provvisoriamente obbligata ad ospitarli, se non addirittura a integrarli.
    Questa è stata la prospettiva assunta sinora da [quelli che] hanno affrontato il tema della migrazione. Certo non mancano le differnze tra quelli che fanno valere di più le esigenze della comunità e quelli che difendono il diritto degli individui alla libertà di movimento, tra i cosiddetti comunitaristi e i sedicenti libertari […]. A ben guardare, però, le affinità sono più numerose e profonde di quel che non s’immagini. Tutti osservano con distacco dalla riva. Discettano se i confini debbano restare chiusi, possano venire aperti, forse non proprio spalancati, ma in modo che appaiano almeno “porosi”. Discutono se e in che misura il contratto politico possa essere esteso ai nuovi venuti, senza pregiudizio per lo Statosociale. Ipotizzano misure e provvedimenti più o meno restrittivi per regolare l’inclusione e salvaguardare la sicurezza e l’ordine pubblico.[…].
    Il dibattito appare tanto monotono e noioso […], tanto sterile e inefficace da suscitare ben poco interesse […]. Dietro le intricate disquisizioni, i minuziosi rilievi, le sottili argomentazioni, si percepisce un’indifferenza emotiva, si avverte una fredda imperturbabilità, si coglie un impassibile distacco, che contrastano irritantemente con il dramma dei migranti. Chi ammettere? Come e perché? Aprire o non aprire i confini? L’impressione è che il dibattito non sia che un dissidio contenuto, un moderato scambio di idee tra bene-stanti e ben-pensanti,accomunati sia dall’intento di risolvere il problema, sia dalla prospettiva, tutta interna, da cui osservano quel che accade fuori. Come se, nella loro acquisita sedentarietà, il migrare non li toccasse.

    ( da Donatella Di Cesare, Stranieri residenti, pagg. 32-34)

  3. “[Nella democrazia liberale] la libertà è tutelata dentro, non fuori. […]Che sia radicale o liberale, la democrazia s’infrange alla frontiera e si ritorce, come un’onda, contro se stessa. Per affermarsi si autonega. L’inclusione democratica si rivela al contempo un’esclusione non democratica. I confini che separano i cittadini dagli stranieri possono essere modificati solo dai cittadini, pur dovendo essere rispettati dagli stranieri”.

    ( da Donatella Di Cesare, Stranieri residenti, pag. 55)

  4. Michael Walzer. Ne avete sentito parlare? E’ un esponente del cosiddetto “comunitarismo” (sovranista). Così la Di Cesare riassume le sue tesi:

    “Dentro” e “fuori” sanciscono un’irreparabile separazione politico-ontologica da cui Walzer […] non recede. [Per lui] l’idea di giustizia distributiva presuppone un mondo delimitato. Chi è dentro, ne usufruisce, chi è fuori può prendere parte allo scambio, anzitutto quello del mercato, ma rimane […] escluso da tutti i beni che la comunità distribuisce. Coloro che non hanno un “posto assicurato”, che sono esterni, sono i senza- Stato. “Essere senza Stato – commenta bonariamente Walzer – è davvero una condizione molto pericolosa.
    Questo non lo spinge a porsi il problema dei senza-Stato […] Il fenomeno [dei migranti, di coloro che si spostano dai paesi poveri e autoritari verso quelli più prosperi e liberi, tentando di cambiare residenza e cittadinanza] viene implicitamente condannato, senza che quella disparità sia fonte di interrogativi. […] Walzer si erge a portavoce del paese d’élite, dove tutti vorrebbero trasferirsi, parla come cittadino della comunità americana, dove tutti vorrebbero essere ammessi, passa alla prima persona plurale, rivendica la scelta del “noi”. E afferma: “siamo noi già membri, a fare la scelta, in base a ciò che significa per noi appartenere alla comunità e alla comunità che vogliamo”. Solo il “noi” sovran odei cittadini può decidere chi ammettere o chi escludere secondo i propri criteri. Gli altri, gli “estranei”, quelli che sono come noi, ma non sono dei nostri”, non hanno nessun diritto d’intervenire, nessun influsso, se non per caldeggiare la propria *ammissione*. Ricorre l’inquietante termine di “candidati”. I migranti sono come quei candidati che vorrebbero entrare nelle università d’élite dove, com’è noto, vige il numero chiuso. Il paragone, sconcertante e inopportuno, è destinato ad avere profonde ripercussioni. Passa così l’idea che che l’immigrazione comporti una sorta di esame in cui si può essere promossi o respinti. Ma diventano ovvi anche altri presupposti che, a ben guardare, non hanno alcuna ovvietà: che i cittadini debbano esercitare il potere sovrano della scelta; che sia costituibile a tavolino la compagine della propria comunità; che infine si possa decidere con chi coabitare. […] dopo Walzer la democrazia diventa compatibile con la politica di esclusione.

    ( da Donatella Di Cesare, Stranieri residenti, pag. 56- 58)

  5. In antitesi alle posizioni della Di Cesare un sovranista come Boghetta scrive:

    ” Ma questa migrazione, in Europa, impatta con un ceto medio e classi popolari che sono “in discesa” quanto a status e condizione. Lo scontro è invitabile, e se la situazione degli uni e degli altri non cambierà, esso diverrà endemico e si alzerà di livello. L’etnicizzazione del conflitto e della società sarà inevitabile e il conflitto rimarrà fra e nel popolo. Sarà un disastro. Peraltro, i migranti, solo in parte diventeranno lavoratori: molti ingrosseranno le fila della piccola borghesia, altri saranno sottoproletariato.
    Va compreso che ogni società ha un suo limite di accoglienza. Ed è tanto più basso quanto più bassa è la condizione sociale delle classi popolari e della maggioranza dei cittadini. Anche l’unità di classe ha un livello in cui può essere perseguita ed un altro dove c’è lo scontro. Se si vuole invertire la rotta, e consentire anche una capacità di accoglienza superiore ed un’unità di classe e di popolo, è dunque necessario regolarizzare, controllare i flussi: anzi concordare i flussi”

    (https://www.facebook.com/groups/sensocomune.pop/permalink/2260298463988067/)

    Non condivido per nulla. La questione delle migrazioni non è una faccenda tra migranti e “ceto medio e classi popolari” di questo o quel Paese. E la cosiddetta “unità di classe” di Boghetta non può diventare una variante del “prima gli italiani”. La questione di fondo, sommersa ma reale, è quella che la Di Cesare indica così:

    “Il migrante smaschera lo Stato. Dal margine esterno ne interroga il fondamento, punta l’indice contro la discriminazione, rammenta allo Stato il suo divenire storico, ne scredita la purezza mitica. E perciò spinge a ripensarlo. In tal senso la migrazione porta con sé una carica sovversiva”

    (D. Di Cesare, Stranieri residenti, pag. 21)

  6. IL PRIMATO DEI CITTADINI E IL DOGMA DELL’AUTODETERMINAZIONE

    “La gamma delle posizioni [sul tema dell’immigrazione] è ampia e va da quelle più “umanitarie”, disposte a introdurre di volta in volta criteri elastici, a quelle invece estremamente rigide che mirano a difendere solo i propri cittadini e a escludere in tutti i casi gli stranieri. Comunitaristi, nazionalisti, liberali e cosmopoliti moderati, pur con argomentazioni diverse, convergono nel sovranismo […]. Malgrado gli accenti diversi e le distinte sfumature teoriche, si possono individuare nelle posizioni di coloro che sostengono il respingimento, tre argomenti principali: l’autodeterminazione, l’integrità identitaria, la proprietà del territorio. […]. Riproposta in quest’ultimo decennio, pur se con forme diverse, la tesi che lega autodeterminazione e comunità di destino, decretando la priorità indiscussa dei cittadini sugli immigrati, ha goduto di un’enorme fortuna diventando il dogma delle recenti politiche migratorie. La chiusura dei confini va in gran parte ricondotta a questa tesi che sancisce l’esclusione del non-cittadino. […] Si tratta comunque di un’esclusione etnocentrica incompatibile con i principi di una democrazia. Nessuno sa né può dire perché la ragion di Stato dovrebbe avere la meglio sui diritti dei senza-Stato, perché l’insediamento dei cittadini dovrebbe prevalere sulla mobilità dei migranti.

    (D. Di Cesare, Stranieri residenti, pag. 63-65)

  7. …quando la cattiveria è sdoganata con la maschera del perbenismo ilare e feroce di Salvini, il “buon padre di famiglia”- eggià il bimbo in tutina rossa e azzurra ripescato dal mare non è “nostro”!- e oggi a Pontida si è meritato anche un gran bagno di folla, che fare?

    1. “che fare?” (Locatelli)

      Non lamentarsi, non tacere. Contrastare, smontare la menzogna (anche quando detta dall’amico), “proteggere le nostre verità”, parlare con la propria voce, visto che insieme non si può più parlare.

      ” Un docente che non accetta di essere relegato nella comoda e deresponsabilizzante condizione del tecnico (…). Ce ne sarà qualcuno?”

      Rispondo: basta che ce ne sia uno. In circostanze molto più ostili delle nostre, infatti, un insegnante come Toni Giuriolo ha organizzato una brigata partigiana di studenti chiamata “piccoli maestri” nelle montagne dell’Altipiano dei sette comuni e fra i suoi allievi c’era Gigi Meneghello. Giuriolo scriveva sul suo diario il 19 settembre 1939, pochi giorni dopo l’attacco di Hitler alla Polonia: “Quando si è caduti in basso, quando il disgusto di noi stessi ci sale fino alla gola, allora ci aggrappiamo disperatamente a un programma di vita severa e feconda, di rinnovamento totale: ma è un fervore che sbolle ben presto; succede poi la vita normale, ritorna l’incoscienza o meglio l’indifferenza; e ben presto si arriva alla nuova caduta. […] Si giunge al punto di non credere più in niente, nemmeno a se stessi; quando, ed è il migliore dei casi, non si preferisce colmare il vuoto interno con le belle parole, a cui non si presta più fede, con l’ipocrisia, cioè, che diventando un’abitudine si serve delle belle esaltazioni morali di una volta come incentivo a commettere il male più raffinatamente”. (http://storiamestre.it/2016/11/il-maestro-di-s/ )

      ( da https://www.laletteraturaenoi.it/index.php/il-presente-e-noi/811-i-margini-attuali-per-una-scuola-di-opposizione.html)

  8. SEGNALAZIONE

    Appello di padre Alex Zanotelli* ai giornalisti italiani: (Alex Zanotelli è missionario italiano della comunità dei Comboniani, profondo conoscitore dell’Africa e direttore della rivista Mosaico di Pace)

    «Rompiamo il silenzio sull’Africa. Non vi chiedo atti eroici, ma solo di tentare di far passare ogni giorno qualche notizia per aiutare il popolo italiano a capire i drammi che tanti popoli africani stanno vivendo

    Scusatemi se mi rivolgo a voi in questa torrida estate, ma è la crescente sofferenza dei più poveri ed emarginati che mi spinge a farlo. Per questo, come missionario e giornalista, uso la penna per far sentire il loro grido, un grido che trova sempre meno spazio nei mass-media italiani, come in quelli di tutto il modo del resto.

    Trovo infatti la maggior parte dei nostri media, sia cartacei che televisivi, così provinciali, così superficiali, così ben integrati nel mercato globale.

    So che i mass-media , purtroppo, sono nelle mani dei potenti gruppi economico-finanziari, per cui ognuno di voi ha ben poche possibilità di scrivere quello che veramente sta accadendo in Africa.

    Mi appello a voi giornalisti/e perché abbiate il coraggio di rompere l’omertà del silenzio mediatico che grava soprattutto sull’Africa.

    È inaccettabile per me il silenzio sulla drammatica situazione nel Sud Sudan (il più giovane stato dell’Africa) ingarbugliato in una paurosa guerra civile che ha già causato almeno trecentomila morti e milioni di persone in fuga.

    È inaccettabile il silenzio sul Sudan, retto da un regime dittatoriale in guerra contro il popolo sui monti del Kordofan, i Nuba, il popolo martire dell’Africa e contro le etnie del Darfur.

    È inaccettabile il silenzio sulla Somalia in guerra civile da oltre trent’anni con milioni di rifugiati interni ed esterni.

    È inaccettabile il silenzio sull’Eritrea, retta da uno dei regimi più oppressivi al mondo, con centinaia di migliaia di giovani in fuga verso l’Europa.

    È inaccettabile il silenzio sul Centrafrica che continua ad essere dilaniato da una guerra civile che non sembra finire mai.

    È inaccettabile il silenzio sulla grave situazione della zona saheliana dal Ciad al Mali dove i potenti gruppi jihadisti potrebbero costituirsi in un nuovo Califfato dell’Africa nera.

    È inaccettabile il silenzio sulla situazione caotica in Libia dov’è in atto uno scontro di tutti contro tutti, causato da quella nostra maledetta guerra contro Gheddafi.

    È inaccettabile il silenzio su quanto avviene nel cuore dell’Africa , soprattutto in Congo, da dove arrivano i nostri minerali più preziosi.

    È inaccettabile il silenzio su trenta milioni di persone a rischio fame in Etiopia, Somalia , Sud Sudan, nord del Kenya e attorno al Lago Ciad, la peggior crisi alimentare degli ultimi 50 anni secondo l’ONU.

    È inaccettabile il silenzio sui cambiamenti climatici in Africa che rischia a fine secolo di avere tre quarti del suo territorio non abitabile.

    È inaccettabile il silenzio sulla vendita italiana di armi pesanti e leggere a questi paesi che non fanno che incrementare guerre sempre più feroci da cui sono costretti a fuggire milioni di profughi. (Lo scorso anno l’Italia ha esportato armi per un valore di 14 miliardi di euro!).

    Non conoscendo tutto questo è chiaro che il popolo italiano non può capire perché così tanta gente stia fuggendo dalle loro terre rischiando la propria vita per arrivare da noi.

    Questo crea la paranoia dell’“invasione”, furbescamente alimentata anche da partiti xenofobi.

    Questo forza i governi europei a tentare di bloccare i migranti provenienti dal continente nero con l’Africa Compact , contratti fatti con i governi africani per bloccare i migranti.

    Ma i disperati della storia nessuno li fermerà.

    Questa non è una questione emergenziale, ma strutturale al sistema economico-finanziario. L’ONU si aspetta già entro il 2050 circa cinquanta milioni di profughi climatici solo dall’Africa. Ed ora i nostri politici gridano: «Aiutiamoli a casa loro», dopo che per secoli li abbiamo saccheggiati e continuiamo a farlo con una politica economica che va a beneficio delle nostre banche e delle nostre imprese, dall’ENI a Finmeccanica.

    E così ci troviamo con un Mare Nostrum che è diventato Cimiterium Nostrum dove sono naufragati decine di migliaia di profughi e con loro sta naufragando anche l’Europa come patria dei diritti. Davanti a tutto questo non possiamo rimane in silenzio. (I nostri nipoti non diranno forse quello che noi oggi diciamo dei nazisti?).

    Per questo vi prego di rompere questo silenzio-stampa sull’Africa, forzando i vostri media a parlarne. Per realizzare questo, non sarebbe possibile una lettera firmata da migliaia di voi da inviare alla Commissione di Sorveglianza della RAI e alla grandi testate nazionali? E se fosse proprio la Federazione Nazionale Stampa Italiana (FNSI) a fare questo gesto? Non potrebbe essere questo un’Africa Compact giornalistico, molto più utile al Continente che non i vari Trattati firmati dai governi per bloccare i migranti?

    Non possiamo rimanere in silenzio davanti a un’altra Shoah che si sta svolgendo sotto i nostri occhi. Diamoci tutti/e da fare perché si rompa questo maledetto silenzio sull’Africa.

  9. la lega sta aumentando il suo consenso, eppure non penso che la maggior parte degli italiani la pensi così sui migranti, o comunque è da provare…e un sistema potrebbe essere una raccolta di firme per indire un referendum -questo sì popolare- contro la chiusura dei porti alle ONG? Ci sono i presupposti giuridici?

  10. Penso che ti sorprenderesti, Annamaria, nel constatare quanto sia diffusa l’ostilità verso i migranti. Se sia maggioritaria non lo so, ma non mi meraviglierei. Perché non è diffusa solo tra coloro – e sono tanti – che approvano questo governo ma anche fra tanto cosiddetti “di sinistra” tra mille distinguo e mille ipocrisie!

    1. …è senz’altro vero, Marisa, che l’ostilità verso i migranti è molto diffusa e lo verifico nella periferia in cui vivo, dove può sembrare l’opinione della maggioranza, tuttavia mi resta il dubbio, cioè la speranza, sulla possibilità che non sia così. Di fatto a dirigere la banda dei respingenti c’è un trombone con una cassa di risonanza potentissima e questo può creare un effetto sonoro ipnotico su molti ma anche distorcente sull’opinione generale. L’ipotesi referendum comprende il rischio di potenziare quella voce, ma anche l’effetto di ridimensionarla

  11. SEGNALAZIONE

    Migranti, l’inarrestabile declino dell’Europa
    di Alessandro Dal Lago
    https://ilmanifesto.it/declino-europa/

    Stralcio:

    Bisogna ripeterlo: più di 700 milioni di abitanti di un continente sviluppato (o 400 se consideriamo solo la Ue) manifestano dovunque reazioni di rigetto, che si spingono sino al razzismo attivo, verso un numero di richiedenti asilo e migranti irrisorio, se consideriamo le proporzioni. E i governi, dopo aver aizzato per anni le popolazioni nazionali, vellicandone il senso di insicurezza, si adeguano, cambiando solo le tattiche. Se Minniti ha organizzato gli internamenti in Libia – in cui agonizza, tra umiliazioni, torture, stupri e uccisioni, un milione di migranti subsahariani – Salvini sfrutta le tragedie in mare per negoziare un po’ di spazio in Europa, che ovviamente non otterrà, e soprattutto per raccattare consensi in un elettorato spaurito, impoverito e ignaro delle vere poste in gioco. Naturalmente, con la connivenza dei grillini al governo, che fanno la parte dei poliziotti buoni, se non dei gonzi.

    E così africani e asiatici muoiono in mare, se sono scampati ai trafficanti in Niger, alle bande armate in Libia e alla guardia costiera di Tripoli. Più di cento solo il 28 giugno, mentre Salvini chiudeva i porti e ruggiva contro Malta. E gli altri, i salvati? Posta di ridicoli conflitti tra staterelli europei, che si illudono di contare qualcosa come ai tempi della regina Vittoria o del Kaiser, migranti e rifugiati saranno palleggiati tra leader piccolissimi che blaterano di taxi del mare, missioni di civiltà, identità nazionali e frontiere da difendere contro le invasioni. Esseri di carne e sangue come noi, i migranti, persi nelle terre di nessuno, morti assiderati, reclusi sine die nei campi di concentramento.
    I capetti europei pensano di essere realistici, ma stanno gettando le basi di un declino inarrestabile, mentre le vere potenze egemoni nel mondo osservano ghignando.

    1. “le vere potenze egemoni nel mondo osservano ghignando” perché sanno l’immigrazione abbasserà il costo del lavoro, e aumenterà il precariato… Se non si lavora su questo fronte, la questione razzismo-fascismo-antifascismo si tradurrà presto in chiacchiera.
      E basta con questi giudizi frettolosi e supponenti: “Salvini sfrutta le tragedie in mare per negoziare un po’ di spazio in Europa, CHE OVVIAMENTE NON OTTERRA’, e soprattutto per raccattare consensi in un elettorato spaurito, impoverito e ignaro delle vere poste in gioco. Naturalmente, con la connivenza dei grillini al governo, che fanno la parte dei poliziotti buoni, se non dei GONZI”.
      Qui ci si fa belli con le chiacchiere!

  12. Il precariato aumenta indipendentemente dall’immigrazione. Del resto anche migranti con laurea devono accettare lavori precari o in nero. Quindi perché incolpare l’immigrazione?
    Quanto a Salvini il giudizio di Dal Lago non mi pare né supponente né frettoloso. Cosa ha ottenuto dalla UE? L’otterrà più avanti insistendo con la politica dei porti chiusi? E a spese o no dei migranti che continuano a morire in mare? Quanto al M5S, se non c’è connivenza con Salvini, c’è balbettio.

  13. MIGRANTI CONTRO POVERI? SCIOVINISMO DEL BENESSERE

    [Sono sempre più diffuse le posizioni di] tutti quei populisti che, istigando all’odio, innescando la paura, sbraitano contro i flussi, gridano all’invasione. Il ragionamento molto gretto è questo: se è il Mercato, questa potenza occulta, di cui la politica non è che la lunga mano, a volere la mobilità globale, se è il Capitale a imporre la libera circolazione, allora non si pu che essere contro la migrazione, contro i migranti, per i confini, per la nazione…E vi di seguito, in questa deriva patriottica, che si declina non di rado in un sovranismo a sfondo razzista.
    A rendere la questione ancora più inquietante è che alcuni di questi temi abbiano potuto essere rilanciati persino a sinistra. Il che ha creato confusione e disorientamento. A una vecchia socialdemocrazia, che già prima dei grandi conflitti mondiali strizzava l’occhio al nazionalismo aggressivo,si è aggiunta la sinistra sovranista di nuovo conio, a ben guardare un misero controcanto della destra reazionaria. Si dovrebbe parlare più correttamente di “sovranismo” per indicare quel fronte politico che difende ad oltranza la sovranità della nazione. Non è un fronte trasversale – come qualcuno ha affermato – semplicemente perché non è di sinistra chi si schiera dalla parte dello Stato contro i migranti.
    [Secondo i sovranisti] l’immigrazione economica dovrebbe essere drasticamente ridotta, anzi del tutto fermata, perché toglie il lavoro ai locali, peggiora i salari, riduce gli incentivi alla produttività, aggrava il bilancio statale, offre sussidi sociali e assistenza sanitaria a stranieri che possono approfittarne, senza aver fornito alcun contributo. Si tratterebbe insomma di elemosina elargita a spese dei poveri, costretti, loro malgrado, a pagare. A rischio sarebbe la tenuta dello Stato sociale. Non è un caso che siano i paesi europei dove più saldo è il welfare, dove sono considerati sacri non solo gli standard di vita individuale, ma anche quelli di vita collettiva, a mostrarsi più duri e intransigenti. Non si può non ricoRdare la legge, approvata dal Parlamento danese il 26 gennaio 2016, che prevede la confisca di gioielli e denaro agli immigrati per garantirne il mantenimento. Provvedimenti simili sono in vigore in Svizzera e in alcuni Länder tedeschi, proprio i più ricchi, la Baviera e il Baden-Württemberg.

    (D. Di Cesare, Stranieri residenti, pag. 82-83)

    1. Dunque non ci troveremmo, come alcuni sostengono, tra incudine e martello: tra nuova povertà e liberalismo internazionale, sovranazionale, economia e finanza che si serve di forza lavoro indiscriminatamente… I migranti non sarebbero deportati economici, di fatto nuovi schiavi, ma persone (certo) da aiutare; e a tentare di porre un argine si diventa “sovranisti”; ma sovranisti di che, se tutto rientra nella globalizzazione?

      1. Bisogna capire se il sovranismo ( senza virgolette, perché sono reali correnti politiche diverse classificabili sotto tale concetto) possa davvero essere un argine. Per me non lo è.

  14. SEGNALAZIONE DA FACEBOOK

    Lanfranco Caminiti
    58 min ·
    l’immigrazione è il più grande conflitto potenziale contro il capitale, quello globale e quello nazionale. contiene, “dentro”, tutti i tratti del lascito più importante dei conflitti sociali del novecento, il rifiuto del lavoro salariato. per questo sto dalla parte dell’immigrazione. l’orrore delle nuove destre sta nell’essere riusciti finora a mostrarlo, invece, come un conflitto “dentro il lavoro” – ce lo rubano, si fanno pagare meno, profittano dei nostri diritti, ciondolano. i “democratici” non lo capiranno mai, perché stanno con il capitale. e il “popolo” non lo capirà, perché è schiavo del lavoro. finché opporremo solo il nostro umanesimo (certo, sono anche un uomo buono) saremo sconfitti. è questo che manca, la lucidità di un’analisi e la semplicità di parole d’ordine che riconducano il conflitto a una guerra contro il capitale

  15. Allora ti pongo una domanda, così evitiamo pareri già formulati e selezionati, non passibili di censura:
    Un’azienda agricola di qui, tra le risaie di Lombardia, ha bisogno di qualcuno per mungere le vacche. Gli si presenta un giovinotto italiano, in buona salute e con esperienza: poteva andare bene? No, perché ha chiesto subito quale fosse il costo orario della sua mansione; “Ma come” mi raccontava il contadino, “questo ancora prima di lavorare vuole sapere quando prenderà? VIA, A CASA!” Sicché adesso ha un paio di immigrati che paga in nero a 3 euro al giorno o giù di lì.
    La domanda è: come riesci tu, Ennio, a separare l’immigrazione dai problemi del lavoro?

  16. Razzismo:

    ieri mi trovavo in Svizzera. A Lugano, tra le altre cose, vi è una piscina molto bella, che nei fine settimana si riempie di molta gente, anche di comaschi o dei paesi italiani limitrofi. Quando non vi è quasi più posto, quelli della piscina espongono questo cartello: DALLE ORE 16 IN POI E’ VIETATO L’INGRESSO AGLI ITALIANI !
    Ho fatto presente a chi mi stava raccontando questo aneddoto, che si tratta di un cartello razzista; razzista nella formulazione (ma la dice lunga sulla mentalità), perché sarebbe bastato scrivere “Dalle ore 16 in poi, l’ingresso è riservato ai residenti”.
    La sostanza non sarebbe diversa, ma non si sarebbe razzisti. Quindi è vero che le parole possono molto, nel bene quanto nel male. Gli intellettuali si adoperino almeno per quello che gli compete, perché migliorare il linguaggio può migliorare le azioni.

  17. Mai sostenuto questa separazione. Mai.
    Mi spiace dover far notare proprio a te che sui problemi delle migrazioni è da anni che qui su Poliscritture discutiamo. E su Poliscritture su FB non faccio che segnalare articoli di approfondimento sulle questioni (ad es. questo:https://www.facebook.com/groups/1632439070340925/permalink/2044019329182895/), compreso questo post sul libro di D. Di Cesare.
    Chi ha voglia di intervenire li legga e commenti a partire da lì. Se poi condivide le posizioni di Fusaro, vada a discuterle con lui.

    1. Penso che “Quello” sottoscriverebbe volentieri quanto esposto da Ferrajoli, il quale forse ha il solo torto di non volersi soffermare sull’oggi.
      A me sembra evidente che dietro la facciata “razzista” esistono invece biechi interessi commerciali, quali il lavoro sottocosto o, come direbbe anche “Quello”, lo schiavismo.

  18. Carissimo Ennio

    leggo distrattamente e sempre con maggior fatica ciò che si scrive sul problema delle cosidette “migrazioni” … ora scopro che su Poliscritture sembra esistere una forma di rifiuto di presentare le posizioni di “quello li”, rifiuto che si presenta come abbastanza vicino a una censura. La cosa mi lascia molto perplesso.
    Non solo perchè “quello lì”, ovvero il sig. Diego Fusaro è persona che si può apprezzare più o meno ma in ogni caso esprime una serie di posizioni che hanno una loro logica e un loro rigore, che ci possa piacere o no, ma perchè su Poliscritture programmaticamente non si censura nessuno. Questo è sempre stato il nostro intento. Anche le posizioni più distanti da noi hanno diritto di partecipare al nostro cenacolo sempre che la logica non sia mutata e si sia trasfromata in quella di raccontarcela fra noi.
    Mi dispiace per questa strana involuzione e credo sia solo una svista legata alla difficoltà di dialogare intoro a un tema tanto controverso.
    Continuo a pensare che sia una regola aurea quella che si esprime nella formula “cento fiori fioriscano, cento scuole si scontrino” …
    spero possa continuare a valere anche fra noi.
    Giulio

  19. Sono stato io a cancellare tre video di You tube con le “lezioni ” di Diego Fusaro ( non di “quello lì”) postati da Mayoor. E non me ne pento. Può essere sembrata censura, ma non lo è, se si riflette a fondo. E’ autodifesa.
    Perché non è che Diego Fusaro sia venuto qui su Poliscritture a proporre la sua posizione e gli è stata chiusa la porta in faccia. E’ stato Mayoor che, invece di proporre in un suo commento ( o in un articolo) le posizioni da lui condivise (suppongo) di Fusaro, ha sbrigativamente pensato di farsi rappresentare massicciamente da ben tre video di Diego Fusaro.

    “Anche le posizioni più distanti da noi hanno diritto di partecipare al nostro cenacolo”? Certo, ma il modo in cui si partecipa al “nostro cenacolo” in questo caso mi è parso assai discutibile. Perché non è che il sig. Diego Fusaro è uno di noi, alla pari di ciascuno di noi. O una ” persona che si può apprezzare più o meno ma in ogni caso esprime una serie di posizioni che hanno una loro logica e un loro rigore”. No, “noi” non abbiamo a disposizione lo stesso potere comunicativo che ha lui. Lui dispone di’ una macchina mediatica di guerra, sta dappertutto (sui social, alla TV, nei congressi, negli incontri di Casa Pound, ecc). Questa asimmetria nel potere di comunicare non va sottovalutata. Non è che ci sia reciprocità:Fusaro viene ospitato qui, e io/noi veniamo ospitati nei luoghi dove tu fai “lezione”. E personalmente il veleno preferisco assumerlo a piccole dosi.

    1. A me non importa niente. Per questo non me la sono presa. Certo, nella media ignoranza dei discorsi a farfalla dei talk show, Diego Fusaro primeggia per cultura filosofica ( e già questo sarebbe un bene).
      Ogni tanto mi sciroppo quelli che vuoi tu, Ennio, opportunamente selezionati, per curiosità e anche per cercare di arginare quelli che non sempre mi sembrano ragionamenti.
      Ciascuno faccia la sua battaglia come crede.

  20. @ Mayoor

    Il primeggiare di Fusaro nei talk show è per me prova ulteriore per dubitare della qualità della sua cultura filosofica. Tuttavia, come tu ogni tanto ti “sciroppi” gli autori e i brani da me *politicamente* selezionati, così io pure, quando ne ho voglia, posso andare a “sciropparmi” Fusaro su You Tube o nei vari salotti televisivi. Ma sarebbe un fatto privato. A me mai verrebbe in mente di proporre al *noi* (possibile) di Poliscritture uno scritto o un video di Fusaro, se non per farne oggetto di critica. Appunto perché contrasto le sue posizioni sovraniste . E qui su Poliscritture le contrasterò anche se venissero proposte amichevolmente o ingenuamente o in modi sotterranei ( « Ciascuno faccia la sua battaglia come crede ») da te o da altri .

    @ Toffoli

    “cento fiori fioriscano, cento scuole si scontrino” …
    I fiori ( non cento, un po’ di meno) sono fioriti. E mi pare che abbiamo scelto. A te può parere una strana involuzione o una svista. A me è parso solo un necessario chiarimento. ( Del resto avvenuto con lo scioglimento della redazione di Poliscritture per incompatibilità tra le varie posizioni che faticosamente avevamo tentato di far convivere nel documento “Per Poliscritture 2”).

  21. …distinguo il confronto di idee, il dibattito e persino lo scontro tra persone che portano avanti le proprie posizioni, e credo che sul blog si sia verificato e senza censure, dalla colonizzazione dello spazio, con la pubblicazione di video a ripetizione dello stesso protagonista, con cui impossibile aprire un dialogo…Mi sembra che lo stesso Mayoor lo riconosca quando afferma di non essersela presa

    1. Cara Annamaria,
      vedo che non cogli l’ironia. Allora, ma solo per te, tento qui di spiegare meglio:

      si chiama DIEGO FUSARO ( Diego Fusaro).
      A me interessa in quanto, al momento attuale, è l’unico intellettuale di formazione marxista che si sia degnato di interpretare le istanze populiste senza la proverbiale supponenza dei fedeli di una o qualsiasi altra sponda.

      Queste le sue posizioni:
      “Fusaro si considera “allievo indipendente” di pensatori come Hegel e Marx, tra gli italiani predilige Gramsci e Gentile, e tra i moderni cita Spinoza e Fichte, con un’attenzione costante per le origini greche della filosofia.

      Si è dichiarato contro il decreto-legge n. 73 del 2017 relativo agli obblighi vaccinali dato che un numero molto elevato di vaccinazioni obbligatorie, secondo lui, gioverebbe agli interessi delle multinazionali del farmaco.

      Nel suo Pensare altrimenti, ritiene che la teoria del gender sia un modo che il capitalismo e le élite europee/statunitensi usano per distruggere le differenze sociali tra uomini e donne e disintegrare la famiglia quale ultima fonte di sostegno dell’individuo. Ritiene che la casa sia un diritto inalienabile del cittadino, e ha espresso più volte una serrata critica del sistema bancario internazionale che può privare l’individuo della casa.

      Considera l’euro come un metodo di governo trasnazionale che ha imposto politiche neoliberiste e di austerità, a vantaggio della Germania e del capitale finanziario.

      Afferma inoltre che è in atto un manovra sovranazionale indirizzata a ottenere due obiettivi: la riduzione del salario dei cittadini e l’abbattimento dei diritti dei lavoratori tramite un “esercito industriale di riserva”; il secondo si identificherebbe nella volontà del Capitale di rendere l’uomo senza identità e senza radici così da poterlo plasmare e spostare a proprio piacimento.

      Rifacendosi proprio a Gramsci, Fusaro è un convinto sostenitore delle tesi meridionaliste sulla Questione meridionale e del revisionismo del Risorgimento, da lui manifestati più volte tramite interventi sui social e in varie trasmissioni TV, come Nemo – Nessuno escluso[15], affermando che il Sud Italia sia stato in passato e sia tuttora vittima di neocolonialismo.

      [Da Wikipedia]

      Se non ho presentato i video di DIEGO FUSARO corredati da critica, è perché quei video sono già critica, quindi si spiegano da sé. Mai avrei immaginato che su questa rivista potesse essere trattato come untore e portatore di chissà quale blasfemia ( Ennio dice che soltanto dubita ma questo gli basta, e io per questo ci muoio dal ridere!).

      1. Credo che Ennio non approvi l’idea che possa esistete un “Sovranismo” di sinistra. In effetti il termine è al quanto sanguinololento e fuori epoca. Ma le circostanze… e non mi riferisco all’immigrazione, ovviamente, che per me possono anche venire qui tutti.

      2. @ Majoor

        Ma come fai a presentare i video di Fusaro “corredati da critica” se condividi la sua posizione?
        Nessuna “blasfemia”. Non fare la vittima, per favore. Semplicemente tu approvi Fusaro e le sue posizioni sovraniste e io le contrasto.

  22. Caro Mayoor,
    visto che il pensiero di Diego Fusaro è così complesso e molto da riflettere e, magari, da respingere accogliere nelle varie parti, ma distante dal pensiero espresso da Donatella De Cesare nel suo libro “Stranieri residenti”, mi sembra per lo meno inopportuno sovrapporli nello stesso post…Mi chiedo anche perchè, se le tue posizioni sono così bel rappresentate da quelle di D F., non le pubblichi sul tuo sito, a cura Lucio Mayoor Tosi. Nessuno ti contesterebbe lo spazio…o la poesia avrebbe di che lamentarsi?

    1. oh, il mio blog è solo un taccuino di appunti. Per altro solo miei e di nessun altro, tranne per chi avesse la bontà di darmi un parere ogni tanto.
      Come si fa a non essere d’accordo con quanto sostiene Donatella De Cesare, su stato e comunità… anche le imprese multinazionali lo stanno mettendo in pratica da tempo, fottendosene di tutto e tutti.
      Però trovo positivo il fatto che si dia voce all’utopia. Qui stavamo marcendo, senza più un futuro…

  23. “Come si fa a non essere d’accordo con quanto sostiene Donatella De Cesare, su stato e comunità” (Mayoor)

    Niente da fare. Mayoor è fatto così. Per lui le posizioni di Donatella Di Cesare possono ben convivere con quelle di Fusaro. Sovranismo e antisovranismo non sono contrari ma conciliabili. Siccome Fusaro si rifà a Marx e a Gramsci, vuol dire che è un marxista, intelligente e più “aperto” dei marxisti rompicoglioni (che pur ci sono). Gli piace giocare. Non ha speso una parola sulla polemica interna alla ex redazione, non una su questo post, malgrado i numerosi stralci che ho pubblicato man mano che leggevo il libro della Di Cesare, e poi se ne viene con tre video di Fusaro per misurare la tenuta “aperta” e “plurale” di Poliscritture. E, se io m’incazzo, passo pure per sacerdote dell’ortodossia!

  24. SEGNALAZIONE

    *Anche se lo spunto di questo articolo di Stefano Levi è la commemorazione del ’68, lo segnalo qui per gli evidenti riferimenti alla questione dell’immigrazione. [E. A.]

    Dal 68 all’ oggi – Articolo di Stefano Levi.
    http://www.lasinistrainzona.it/index.php?option=com_content&task=view&id=1512&Itemid=1

    Stralcio:

    Le commemorazioni del 68 sono particolarmente utili per valutare il cambiamento storico, confrontando l’allora con l’oggi. Schematicamente, il XX sec. è stato un tempo di ideologie, il XXI si annuncia un secolo di identità. Nel bene e nel male, le ideologie sono uno sforzo volto al futuro, ad immaginare una possibilità o un dover essere del mondo, le identità sono invece volte al passato, pulsioni di autoconservazione. Le ideologie sono aggressive in senso espansivo, le identità sono aggressive in senso contrattivo, iper-difensivo e securitario. Che cosa ha determinato questo ribaltamento di 180 gradi? Risponderei: la globalizzazione e in essa la progressiva perdita da parte dell’Occidente di una centralità durata secoli. Una centralità espansiva che appunto è stata fertile di ideologie universalistiche,nel bene e nel male. Ma proprio perché l’Occidente ha conquistato il mondo, ora il mondo lo ripaga pan per focaccia. L’abbiamo visto nella decolonizzazione, in cui i colonialisti hanno dovuto ritirarsi in base ai loro stessi principi, quale la statualizzazione delle nazioni colonizzate. Così, oggi la Cina è il massimo concorrente capitalistico del capitalismo occidentale. Graecia capta ferum victorem cepit, mi sembra dicesse Orazio. E i barbari inclusi nello spazio invasivo di Roma invasero Roma. Così mi sembra vada la storia, in cui periodicamente i vettori si invertono, e l’epansionismo si inverte a difesa. La sinistra occidentale e il suo universalismo sono stati il contro-canto della centralità espansiva dell’Occidente, il contro-canto dell’universalità borghese e capitalistica. Sicché la crisi della sinistra va ben al di là dei suoi errori, ha una radice storica e strutturale. Il fatto che la globalizzazione e l’attivazione di un immenso “esercito di riserva” comportasse una reazione di chiusura a difesa, nazionalistica e identitaria, e un logoramento degli orizzonti ideologici, è logico. E persino razionale, direbbe Hegel. E se l’ immigrazione ha acquistato tanta centralità nella demagogia politica, ciò è perché il grande fenomeno è la metafora più percepìbile dell’inversione storica dei vettori: da invadenti siamo diventati gli invasi. Tanto che gli immigrati diventano persino metafora dell’invadenza, ben più determinante ma meno percepibile, del capitale finanziario (vedi anche la demonizzazione di Soros). E’ sempre attiva la logica del capro espiatorio che riduce le complicazioni della storia ad icone e seduce le pulsioni vittimistiche di massa. (L’antisemitismo , ad es., era ed è l’aggressivo e vittimistico lamento di essere minacciati e invasi da un corpo estraneo interno alla società e al tempo stesso “mondialista”, data la diffusione internazionale degli ebrei).

  25. *All’attenzione di Mayoor (in particolare)

    SEGNALAZIONE

    Il sovranismo non difende il popolo e divide la sinistra
    di Donatella Di Cesare
    20.06.2018
    https://ilmanifesto.it/il-sovranismo-non-difende-il-popolo-e-divide-la-sinistra/

    Si sa che il virus del populismo sopravvive al portatore. Immunizzarsi non è facile. Sarebbe un errore non vedere la continuità tra Berlusconi e la coalizione legastellata. La lezione è che i populisti possono tornare, in forme persino più gravi.
    Sebbene non si possano trascurare le differenze, i nessi tra leghisti e grillini sono evidenti: antieuropeisti, sovranisti, nazionalisti. Insieme all’Europa, il loro nemico numero uno è l’«immigrazione clandestina». La loro rapida ascesa è dovuta all’abilità con cui, soffiando sulla paura e facendo leva sul rancore, sono ricorsi ad una mobilitazione politica dell’odio indirizzato in alto contro i politici, quelli che sono tutti corrotti, in basso contro i cenciosi stranieri, quelli che rubano casa e lavoro.
    Il populista attuale aspira a farsi portavoce del «popolo», inteso come un tutto omogeneo e puro, che vuole difendere dai nemici: da una parte le «caste», le «élites», dall’altra gli immigrati. Se è banale questa concezione, in cui si dimentica che il potere è diffuso e trasversale, grottesco è il modo di semplificare una realtà complessa, come quella della globalizzazione, nella quale il populista non sa districarsi. Il complottismo è la sua visione del mondo; vede trame ovunque, riconduce tutto a un retromondo da cui scaturirebbe il male. Breve è di qui il passo che conduce a parlare dell’immigrazione come «deportazione di massa», se non addirittura di «sostituzione etnica», secondo il mito elaborato dalla nuova destra francese. Sono le parole d’ordine rilanciate ossessivamente da Diego Fusaro.
    Il punto è che il populismo è pericoloso non solo in sé, ma per quello che implica. Così l’antipolitica dei Cinquestelle, con il rassicurante mantra «né di destra, né di sinistra», ha aperto le porte al sovranismo neofascista della Lega, divenuto dominante.
    Sennonché il sovranismo ha investito anche la sinistra. Ed è questo forse oggi il rischio più grave. Non è una sorpresa che il primato nazionale – «Prima gli Italiani!», «Ognuno a casa propria!» – venga sbandierato dalla sinistra moderata che, un po’ ovunque, ha finito per sposare le sorti del neoliberismo. La novità è invece il ripiegamento sovranista di una parte almeno della sinistra «radicale». Questo fenomeno, che affiora nel contesto italiano come in quello europeo, ha assunto proporzioni inedite. In breve: il sovranismo divide la sinistra. Questa è la nuova frattura.
    Il problema è esploso con la migrazione, tema molto dibattuto, ma poco esaminato nella sua profondità. Solo in questo Carlo Freccero avrebbe ragione nella sua analisi (il manifesto, 05.06.2018) per il resto ben poco condivisibile. Quel che non si vede è lo scontro epocale tra lo Stato e i migranti. Agli occhi dello Stato il migrante costituisce un’anomalia intollerabile, una sfida alla sua sovranità. Ecco perché, pur di esercitare il proprio potere, lo Stato lo ferma alla frontiera, che diventa anche la barriera tra i diritti dei cittadini e quelli dei migranti.
    È possibile difendere unicamente i cittadini, sovrani indiscussi, liberi di decidere con chi coabitare. Questa è l’ideologia del sovranismo populista che si fonda non solo sull’autodeterminazione, ma anche sul possesso del territorio. Presunti comproprietari, i cittadini sono chiamati a selezionare e a respingere. Qui si materializzano vecchi spettri – anzitutto quello dello ius soli. Così anche il welfare viene limitato ai confini nazionali. Si mettono poveri contro immigrati. Perciò viene tradita la vocazione internazionalista della sinistra.
    Riflettere sulla migrazione significa ripensare lo Stato. C’è una sinistra che resterà forse aggrappata sciovinisticamente a questa vecchia forma politica immaginando così di contrastare la «finanza globale». C’è tuttavia un’altra che guarda già oltre lo Stato guidata anche dalla carica sovversiva della migrazione.

    1. Che dovrei dire? Non condivido una parola di questa analisi, che dirla analisi è per fargli un regalo.
      Al solito: Donatella De Cesare mette insieme capre e cavoli, evidentemente perché di uno come dell’altro le importa meno di un fico secco; ed esempio non capisce il linguaggio di Salvini, che è rivolto al suo elettorato (elezioni marzo il 17% su 72% dei cittadini votanti); Salvini non si rende conto che i restanti, la maggioranza, a ogni sua parola gli viene l’orticaria. Mettiamola così: Salvini si crede furbo ma è scemo. Ciononostante, data la furba irruenza, ha smosso le acque di un problema che si stava progressivamente e gravemente implodendo ( anche nel cervello di questi dotti della sinistra “per l’internazionale comunista, ecc.” che così possono rilanciare qualcosa che si sapeva già. Tanto per non cambiare niente: che è tutto da cambiare ma servono anche i dettagli).
      La Di Cesare dà prova di vigore nello scrivere la solita sbrodolata di giudizi, puntigliosa del definire “grottesco è il modo di semplificare una realtà complessa”. Eh, lei ne sa qualcosa!
      Una volta messi insieme capre e cavoli populisti, si passa al “sovranismo” di certa sinistra odierna. Che per me sono cavoli loro, tanto non è da oggi che questa sinistra – la renziana – in mancanza di idee, si fa bella cercando di fare meglio dei 5stelle quello che ‘sti incapaci dichiarano di voler fare.
      Nemmeno una parola sulla povertà, tema buttato lì dal M5s, prima, e poi tutti a siglarlo nelle più svariate maniere… Ma il problema della povertà c’è e resta alla base, anche della questione degli immigrati.

      “C’è tuttavia un’altra che guarda già oltre lo Stato guidata anche dalla carica sovversiva della migrazione”.
      Qui si cade nel ridicolo: un po’ come nel ’68 gli intellettuali fuori dalle fabbriche (ma li chiamavano “studenti”), così adesso ci sarebbe “un’altra sinistra” pronta ad aspettare gli schiavi del capolarato, di ritorno dai campi di cotone…Le ipotesi potrebbe essere queste: 1- gli schiavi cominciano a ribellarsi, e allora sì che se ne vedrebbero delle belle! 2 – Li si paga stabilendo una soglia, che so, a partire da 5 euro l’ora (al netto dei contributi), che immagino sia l’obiettivo di Di Maio.

      Mi rendo conto di non aver parlato qui di sovranismo e nazionalismo. Il fatto è che si dovrebbe parlare di lavoro e non lavoro, di reddito assicurato per poter vivere… e magari da quel reddito poterci avare delle idee per poter migliorare la propria condizione. Mi sembra che le questioni siano diverse, poco ideologiche, certo, ma non si vorrebbe perdere tempo.

  26. “Al solito: Donatella De Cesare mette insieme capre e cavoli, evidentemente perché di uno come dell’altro le importa meno di un fico secco” ( Mayoor)

    Se il livello di critica è quello che si fa al bar con gli amici, ho sbagliato a porre questa SEGNALAZIONE alla tua attenzione.

    1. Caro Ennio,
      ti invito a badare alla sostanza. Prova a rileggere l’articolo di Donatella De Cesare con un’ottica diversa, la mia ad esempio, e capirai che anche lei sta dando voce a una tifoseria.

  27. Ho appena finito di leggere “Stranieri residenti”. C’è una tesi filosofico-politica di fondo molto interessante e radicale (“Occore una politica che prenda le mosse dallo straniero inteso come fondamento e criterio della comunità”). Ho letto molte recensioni ai suoi lavori originali e documentatissimi su Heidegger, di cui è una studiosa. E anche la presa di posizione netta (antisovranista e anti M5S e anti Fusaro) potrà dispiacerti ma non è una “banalità”. Solo tu puoi abbassarla a tifosa da bar.

    1. Spiace, non ho letto il libro. Il mio commento è unicamente riferito allo stralcio da te proposto. Posso immaginare che si tratti dell’epilogo di una lunga e ragionata riflessione ( spesso mi sorprende la tua fretta di arrivare presto a un giudizio). Ma non sono d’accordo, anche perché la definizione “sovranismo” non è mai stata pronunciata dal M5s, se mai gli è stata affibbiata da altri che usano questo linguaggio in quanto appartenente a parametri, anzi no, a un modo di esprimere slogan che sono in disuso. In questo Salvini, pur nella sua bassezza, ha da insegnare.

  28. Nessuna fretta. Io parto da certe premesse e tu da altre. Da qui la polemica. Sul “sovranismo” c’è un dibattito vastissimo, che ho spesso segnalato su Poliscritture FB.
    Io me ne sono fatto un’idea negativa. Tutto qua.

  29. …riguardo alla povertà, trovo anch’io che sia il tema centrale, insieme al problema irrisolto degli squilibri sociali ed economici di cui è la conseguenza, ma questo governo, perchè mi sembra impossibile separare l’operato del M5s e della lega, guarda in due direzioni , come Giano bifronte, ma ancorate allo stesso tronco, e nessuno dei due volti ha lo sguardo rivolto davanti a sè. Al futuro imminente che non può non comprendere la sorte dei poveri che vengono dal mare, dai territori di confine…Il vestito è uno solo e non puoi rattopparne solo un angolo, se è stracciato gli spifferi arriveranno da ogni direzione,,,

  30. “Se il territorio è nostro, ne deriva che abbiamo tutto il diritto di dare cittadinanza a chi vogliamo, cacciare chi crediamo non abbia il diritto di risiedervi, escludere chi non ha i giusti requisiti. Ma ciascuno di noi non è che un passeggero su questa terra, la terra non ci appartiene, il primo che è arrivato non ne è diventato perciò stesso il padrone.
    Questo mi è sembrato il concetto più interessante e più importante del libro. Se si avesse il coraggio di mettere in discussione l’idea di Stato, e di nazione, e di appartenenza che abbiamo tutti interiorizzato, capiremmo quanto siano assurde le leggi che cercano di arginare il movimento di persone e popoli, la ricerca di luoghi migliori in cui vivere, il concetto di confine, di frontiera, le barriere materiali di cui ci stiamo circondando e che oltre a escludere chi vorrebbe arrivare tengono prigioniero chi in un certo luogo già vive.”

    Le leggi che arginano il movimento di persone non sono assurde, sono arbitrarie. Così come l’idea che il posto in cui siamo nati ci appartiene. Sono regole arbitrarie. Per lo stesso motivo è arbitraria anche l’idea opposta, ovvero che la terra sia di tutti. Quindi nessuna delle due idee è più giusta. Poi possono essere buone o cattive regole. L’idea che siccome siamo passeggeri sulla terra e dunque non dovremmo pensare che ci appartenga è fuori dal mondo, e infatti nessun essere umano la pensa così e l’ha mai pensata così nella storia e nella geografia. Io nella mia casa non voglio che ci entri nessuno che io non ammetta, e a parte una compagna di vita chiunque vi entri se ne deve andare a un certo punto.

    1. Messa così la questione, presumo che anche la “compagna di vita” sia a rischio di espulsione se – puta caso – non sia più funzionale al “benessere” della casa che, così come è raccontata, pare di capire, abbia un unico proprietario. Siamo alla preistoria e le sue caverne-rifugio, praticamente… altro che co-abitare la terra!

      1. la compagna di vita ha deciso da sé di andarsene, prima ancora di vivere assieme, e nel caso sarebbe stata nella di lei casa, poiché io non sono possessore di case, mentre lei sì. Autobiografie a parte, la decisione evidentemente non è stata presa e non sarebbe presa da me in funzione del benessere della casa, ma alla volontà di stare insieme, che è insindacabile. Ho dovuto prendere atto della sua decisione infatti, non mi sono appellato a una filosofia dello spasimante, del lasciato residente. La terra già la co-abitiamo, ma ognuno al suo posto. Il che non vuol dire impedire a chiunque di muoversi, ma stabilire dei limiti.

        1. E’ quel “ognuno al suo posto” e lo “stabilire dei limiti” che diventano ostacolo sia al diritto di migrare sia al diritto stesso del co-abitare che dovrebbero essere riconosciuti e agiti da tutti gli esseri umani.
          Chi stabilisce qual è il tuo posto? e chi definisce i limiti oltre cui non si è ammessi? chi li fa rispettare e in virtù di quale merito si accettano e si escludono gli individui, trasformando l’umanità in una sorta di club della bocciofila?
          E’ qui che subentra la critica di Di Cesare allo stato sovrano e alla supremazia dei cittadini che, nel nome della tutela dei propri diritti di cittadinanza, fanno carta straccia dei diritti umani.

  31. Altro punto, riferito al video postato nel primo commento. Circa il presunto paradosso della democrazia che garantisce i diritti dei cittadini, ma non quelli umani. Non c’è nessun paradosso. I diritti non esistono in natura, sono il risultato di due fattori: un accordo fra persone e la capacità materiale di poterlo rispettare.
    Una comunità quale è una nazione può dunque mettersi d’accordo su tot diritti, come ad esempio la sanità gratuita per tutti i cittadini. Ma poi deve creare le condizioni materiali perché tale sanità possa funzionare, e ciò avviene tramite le tasse, che sono il risultato della ricchezza nazionale prodotta. Una nazione non può materialmente accollarsi i malati e i poveri del mondo.

  32. “Nessuno sa né può dire perché la ragion di Stato dovrebbe avere la meglio sui diritti dei senza-Stato, perché l’insediamento dei cittadini dovrebbe prevalere sulla mobilità dei migranti.”

    Nessuno può dire neanche il contrario, andrebbe spiegato alla filosofa. Ovvero sia perché la volontà dei migranti dovrebbe prevalere sulla volontà della comunità che fa parte di uno Stato. Sopra sono stati citati gli indiani d’america, e vorrei capire come si faccia a citarli in una discussione del genere visto che sono stati ripetutamente sterminati e ridotti in miseria nelle riserve da altri stranieri residenti.

    1. @FF vs PPP
      …ho citato i nativi americani ben sapendo dello sterminio di cui sono stati vittime e da parte di migranti stranieri diventati nel frattempo colonizzatori. Risultato: un modello di società dove si è verificata la sopraffazione di una parte della popolazione ad opera di quella più armata e aggressiva, non certo della più civile e umana…La difesa dello “spazio sacro” dell’essere umano, ciascun essere umano, nel pensiero degli indiani d’America, comprende la difesa della sua dignità e della sua vita…non succede sia quando si lasciano annegare esseri umani in mezzo al mare, sia quando si sterminano i bisonti, se fonte necessaria di sostentamento…

      1. sullo spazio sacro ho trovato questo, non sapendo nulla in merito. “Con riferimento all’uomo lo spazio è rappresentato dalla casa, dai beni che possiede, dai propri sentimenti ed emozioni, dal corpo, dalla propria energia. Esso rappresenta un’importante area della nostra Vita; per questo ognuno si sentirà usurpato del proprio spazio se viene invaso nel suo territorio o si sentirà prevaricato se qualcuno usa violenza verso il suo corpo.” Non so quanto sia accurato, ma è l’esatto opposto di quanto dice la Di Cesare. La conseguenza della filosofia della Di Cesare è in ogni caso la fine degli indiani d’America. Non fossero state le armi e le malattie, sarebbero comunque finiti come sono finiti ora.

        1. Mi pare che il paragone con gli indiani d’America, molto utilizzato dalla Lega (ricordo poster e slogan in proposito) sia poco appropriato. I nativi nel Nord America non erano numerosi, gli europei provenienti da varie nazioni (Inghilterra, Irlanda, Polonia…) li respinsero sempre più a Ovest, colonizzarono le terre americane, edificarono fattorie, villaggi, città, dopo la nascita degli USA procedettero sempre più verso Ovest dichiarando via via Stati dell’Unione i territori che raggiungevano un determinato numero di abitanti. Infine vi furono le guerre. Non vedo alcuna somiglianza con le migrazioni attuali. Non mi risulta che noi autoctoni veniamo respinti nella steppa, né che gli attuali migranti stiano colonizzando il territorio europeo costruendo nuovi insediamenti e facendo nascere nuovi stati… Non dimentichiamo che nel corso di 400 anni, dal secolo XVI al XIX, noi europei, forti di una superiorità militare e tecnica, abbiamo sottomesso interi continenti. Se non ci si ricorda di questo non si è capito nulla di come va la storia.

          1. il paragone non l’ho fatto io. Ho semplicemente fatto notare che la concezione dello spazio sacro e la filosofia dello straniero residente o della co-abitazione sono all’opposto. Ciò che rende diverse le migrazioni attuali con quella in nord America è che noi oggi siamo una fortezza e siamo in grado di esercitare il nostro diritto a stare dove stiamo e come stiamo. La cosa regge fino a che non cambieranno le proporzioni. Ma il principio di cui parliamo è lo stesso. Secondo la Di Cesare i migranti europei avevano il pieno diritto di andare a co-abitare l’America. Se anche non avessero usato la forza come pensate che sarebbe finita? L’economia dei migranti europei è la stessa attuale, basata sullo sviluppo. Lo sviluppo porta tanto all’aumento demografico tanto al bisogno di terre e risorse. Infine io sono italiano ed “europeo” per modo di dire. Non ho sottomesso nessuno e non sento alcun dovere o peso morale nei confronti della storia passata. La conosco e la studio, e tanto mi basta.

  33. “C’è una tesi filosofico-politica di fondo molto interessante e radicale (“Occorre una politica che prenda le mosse dallo straniero inteso come fondamento e criterio della comunità”)”

    Faccio veramente fatica a capire cosa ci sia di interessante in una tesi del genere. La tesi in questione non significa nulla, letteralmente. Non solo non significa nulla prendere le mosse dallo straniero come fondamento e criterio, ma ammesso che significhi qualcosa vorrei sinceramente che si spiegasse con parole precise e concrete perché mai una comunità dovrebbe farlo. Qui siamo al teatro dell’assurdo. A meno che non si formi un governo mondiale votato da tutti i cittadini del mondo senza esclusione, cosa che rasenta la follia anche solo a pensarlo, la politica è l’amministrazione di una comunità e si basa sui facenti parte della comunità, non su chi ne potrebbe far parte in futuro. Faccio notare che in tutta Europa sono aumentati i cittadini di provenienza straniera, e che l’Italia è in testa per le nuove cittadinanze concesse. Il problema con i migranti che partono dalla Libia è che in virtù della politica dei visti queste persone sono diventate un costo. Quello che si dovrebbe fare è dare i visti a chiunque per venire in sicurezza in Italia a cercare lavoro, cambiando le misure d’accoglienza, perché non possiamo spendere quello che spendiamo in pratiche che durano anni per verificare che la maggior parte dei richiedenti asilo non ha diritto all’asilo. Dare da un lato la possibilità di venire legalmente e in sicurezza, senza questi viaggi indecenti; dall’altro ridurre al minimo i costi d’accoglienza. Con l’idea che coloro che non troveranno lavoro, perché non lo troveranno, dovranno a un certo punto tornare a casa, oppure trovare dei privati che li mantengano. E ovviamente con la messa in pratica delle espulsioni per tutti coloro che violano la legge. Senza filosofie dell’assurdo.

  34. Donatella Di Cesare è una filosofa, non un politico. È lei a premettere che il suo libro non intende fare proposte o offrire soluzioni riguardo a flussi, permessi di soggiorno, migranti regolari e irregolari. La sua è una riflessione sul tema della migrazione e una ricognizione di quanto filosofi di ieri e di oggi hanno detto, o non detto, su questo tema. L’idea che la terra appartenga di diritto a chi la lavora, per esempio, risale a John Locke, mentre Rousseau, più radicale, attribuiva la nascita della civiltà alle parole del primo uomo che, avendo recintato un campo, avesse affermato: «Questo è mio.» Per Rousseau civiltà è una parola il cui senso non è necessariamente positivo, infatti il suo discorso continua dicendo che soprusi, ingiustizie e prevaricazioni si sarebbero potute evitare se si fosse tenuto presente che la terra non appartiene a nessuno.
    Anche Marx, nel suo piccolo, era contro la «proprietà privata dei mezzi di produzione», intendendosi con questo principalmente (all’epoca) terra e fabbriche.
    Questo per dire che il tema è stato dibattuto a livello filosofico e anche politico. Oggi viviamo in un’epoca in cui la proprietà privata viene esaltata, forse più di quanto meriti. In un ipotetico futuro, però, potrebbero nascere pensieri diversi.
    Questo discorso sulla terra può sembrare fuori luogo, ma non lo è poi tanto, considerando che molti dei migranti, regolari e irregolari, clandestini, profughi finiscono a lavorare come schiavi nelle terre dei proprietari italiani.
    Venendo al discorso sullo Stato, mi sembra che non sia opportuno considerare l’attuale concetto di Stato alla stregua di un assoluto. Oggi lo Stato-nazione rappresenta ancora un miraggio per molti qui in Europa, un miraggio, peraltro, quanto mai ingannevole, se è vero che oggi primeggiano sulla scena grandi imperi (economici e territoriali) quali USA, Cina, Russia, ai quali le nostre piccole patrie non fanno nemmeno piegare un sopracciglio.
    Infine, sul fatto che siamo di passaggio su questa terra, come si suol dire, non ci piove. Io ho 63 anni. Quanti anni ho ancora da vivere? Spero molti, ma non saranno certo illimitati. Per quanto mi riguarda, vorrei un mondo aperto, accogliente, dove le persone fossero libere di stabilire dove vivere. Non è vero che «ognuno deve stare al suo posto.» Qual è il nostro posto? Dove siamo nati? Via! Gli uomini e le donne, i popoli, si sono sempre spostati: non vedo perché dovrebbero smettere di farlo proprio ora.

    1. Intanto grazie per la risposta, ogni tanto mi perdo nella voglia di commentare e mi dimentico che si parla fra persone. Poi grazie per lo spunto, ho ascoltato ieri notte varie esposizioni della Di Cesare su youtube a proposito di Heidegger. Molto belle, anche quella in una conferenza con Fusaro, per una volta non insopportabile (non è un caso, immagino, che non c’entrasse la politica): qui sono d’accordo con Abate, oltretutto è sempre noioso Fusaro. Per quanto riguarda il commento il problema di volere un mondo aperto è che ciò non solo non è possibile, ma non è nemmeno auspicabile. Le persone non possono essere libere di stabilire dove vivere perché ciò è intrinsecamente contrario alla libertà di ognuno. Io vorrei vivere nella villa di qualcuno, per dire. Che facciamo? 🙂 Il fatto che i popoli si siano sempre spostati non è un buon argomento per dire che non si possano limitare gli spostamenti. Ognuno è libero di scegliere dove vivere entro il limite dell’altro. Il nostro posto è dove stiamo, non dove siamo nati. Nella maggior parte delle volte le due cose coincidono, e si difende il proprio spazio. Ovviamente non si difende il proprio spazio con ogni forma e mezzo, ma neanche si può dire che lo spazio è di tutti. Che è il problema principale di Marx, dal momento che non c’è nessun modo di stabilire che i mezzi di produzione debbano essere collettivi e che ciò sia di per sé migliore della proprietà privata degli stessi. E anche prima che nascessero società stanziali non è che le società di caccia e raccolta nomadi fossero accoglienti con le altre. Il possesso è un principio di natura, che non vuol dire che sia giusto, ma che è inevitabile. Smussabile quanto si vuole, ma quello è. A meno di voler vivere come San Francesco, e non mi pare che la gente voglia vivere così, immigrati compresi, che sono i primi una volta che riescono a farcela a non voler altra gente povera a contendergli il posto.

  35. Ovviamente non parlo di andare a vivere fisicamente in casa di qualcun altro, il mio pensiero utopistico non arriva a tanto, e sono consapevole del fatto che al problema posto da Marx nessuna società finora è riuscita a dare soluzione. Penso però che sia lecito a ciascuno decidere di tentare al sorte in un altro luogo, tra l’altro è quello che noi italiani abbiamo sempre fatto e stiamo continuando a fare. Quanti giovani italiani vivono in Gran Bretagna, e quanto li preoccupa la nuova piega che le cose prenderanno con la Brexit! Sono consapevole anche del fatto che le società regolano ingressi e permessi di soggiorno, da un punto di vista astratto sarei per abolire tutto ciò e lasciare ciascuno libero di trovare “il proprio posto”. In ogni caso ci sono società più aperte e accoglienti e altre più grette e chiuse. Vorrei vivere in una società accogliente, anche se questo dovesse comportare qualche disagio per me.

  36. @ FF vs PPP

    Toh, finalmente un lettore attento, pur se ostile, dell’articolo e degli stralci dedicati al libro della Di Cesare! Difficile però replicare al troppo battagliero FF vs PPP, che ho in varie occasioni incrociato in vecchie discussioni su Le parole e le cose. Tuttavia ci provo:

    1.
    Sì, « le leggi che arginano il movimento di persone non sono assurde» in sé, ma non lo è neppure la migrazione. Siamo di fronte ad interessi in conflitto tra loro. Autoctoni (diciamo così) contro migranti. Questo in superficie lo scontro. Che potrebbe anche essere accostato a quello tra globalizzatori e neonazionalisti. E al momento si sta cercando di capire se è possibile trovare un punto di mediazione politica (e culturale) che non faccia regredire troppo dai princìpi liberali delle Costituzioni dei nostri Paesi (la Dichiarazione dei diritti dell’uomo) e tornare all’affermazione autoritaria del diritto ancestrale del più forte, del *mors tua vita mea*.

    2.
    « Le leggi che arginano il movimento di persone non sono assurde» e non dovrebbero essere definite «arbitrarie» se rispettassero almeno in misura decente la Dichiarazione dei diritti dell’uomo. Chi, come FF vs PPP, le definisce «arbitrarie» forse vuole sottolineare l’impossibilità da parte dei governi di realizzare nella situazione storica attuale quegli stessi principi fondativi, smentendoli nei fatti, come ha fatto rilevare un giurista, Luigi Ferrajoli, in una serrata e lucidissima critica che ho già segnalato (https://www.facebook.com/groups/1632439070340925/permalink/2044019329182895/).
    Non so se FF vs PPP pensa che la crisi sia taleche siamo già, per così dire, su un terreno incostituzionali, sregolato; e che sia i difensori dei migranti che i loro oppositori si muoverebbero “in pieno arbitrio” o, peggio ancora, nel caos più totale, per cui« nessuna delle due idee [sarebbe] la più giusta».
    E tuttavia, pur dichiarando arbitrarie sia « le leggi che arginano il movimento di persone » sia l’idea che « che la terra sia di tutti» («siccome siamo passeggeri sulla terra»), FF vs PPP non rimane nell’incertezza relativistica e non esita a scagliarsi contro quest’ultima ( « è fuori dal mondo, e infatti nessun essere umano la pensa così e l’ha mai pensata così nella storia e nella geografia ») e a difendere a spada tratta la prima.

    3.
    Nel libro della Di Cesare la contraddizione che si è creata man mano tra diritti umani, fondativi delle democrazie borghesi liberali, e diritti dei cittadini ( o riservati esclusivamente agli umani riconosciuti come cittadini di quello Stato-nazione) è spiegata in modo articolato, approfondito e convincente in particolare nei capitoli 13 (La frontiera della democrazia, pag. 52), 14 (Il sovranismo dei confini chiusi, pag. 56), 15 (Quei filosofi contro i samaritani, pag. 59), 16 ( Il primato dei cittadini e il dogma dell’autodeterminazione, pag. 63), 17 (Se lo Stato è un club. Il liberalismo dell’esclusione, pag. 66), 18 (La difesa dell’integrità nazionale, pag. 68).
    Inviterei FF vs PPP a leggerli e a criticarli. Cavarsela con affermazioni dogmatiche («Non c’è nessun paradosso» della democrazia) o semplicemente parlando di cosa debba intendersi per nazione e quali siano le condizioni materiali della sua esistenza è rifiutare il confronto.

    4.
    La Di Cesare spiega abbondantemente anche perché la ragion di Stato non deve avere la meglio sui diritti dei senza-Stato e quali sarebbero i vantaggi ( per tutti e non solo per i migranti) del riconoscimento di uno *jus migrandi* ( cap. 23. «Jus migrandi». Per il diritto di migrare). Ovviamente è una tesi filosofica, che non necessariamente si tradurrà in tesi politica o in un movimento per affermarla. E non convincerà miracolosamente i difensori accaniti dello Stato e della nazione. Che troveranno assurdo o folle il semplice provare a pensare Stato e nazione da un punto di vista che contrasti valori che per essi sono verità evidenti e indiscutibili. La Di Cesare parla ad altri.

    1. 1

      riporto da Rebus immigrazione di Giuseppe Sciortino

      “il dibattito sull’immigrazione è il paradiso dei retori e dei velleitari: c’è chi invoca principi impraticabili e chi soluzioni odiose e irrealistiche. Questo libro invece parla del mondo reale. Da almeno cinque secoli le migrazioni sono una costante della storia europea: dalla pace di Augusta ai trattati di Schengen e Dublino è sempre stato necessario gestire la tensione fra il diritto di emigrare e il diritto degli stati riceventi di decidere chi ammettere e a quali condizioni. Non è mai stato facile, non lo è oggi. Un dato strutturale da affrontare non con buoni (o cattivi) sentimenti, ma con competenza e buona amministrazione.”

      2

      Qualsiasi legge è arbitraria, anche la Dichiarazione dei diritti dell’uomo. Quello che le persone non capiscono o non vogliono capire è questo fatto, molto banale: i diritti non esistono in natura, ed è la forza che fa il diritto. Partendo da questo, e non ci sono santi che tengano, è così, si possono pensare tutte le leggi del mondo. Forse che l’aver stabilito il diritto alla ricerca della felicità ha qualche legame con l’effettiva possibiltà di trovare la felicità? E che dire della felicità dei sadici? Le Dichiarazioni e le Costituzioni sono in larga parte discorsi vuoti. Fondamentali, necessari, giusti, quel che si vuole, ma vuoti. Il motivo per cui tra le regolamentazione e la mancata regolamentazione scelgo la prima è perché pur essendo tutte e due arbitrarie la prima mi pare mille volte più sensata. Per lo stesso motivo per cui pur sapendo che non esistono il bene e il male in termini assoluti ho bene in testa ciò che per me e per gli altri è il bene. Una regolamentazione sensata dell’immigrazione è il bene. Quella attuale non è sensata, perché impedendo un regolare accesso mediante i visti fa sì che i migranti provino ad arrivare con altri mezzi, cosa che determina sia le morti in mare, nei deserti, le violenze; sia i guadagni illeciti dei trafficanti; infine gli altri costi per le casse pubbliche, almeno in parte bilanciate da posti di lavoro. Tutto ciò non è sensato. È lo stesso meccanismo per cui impedisci alla gente di drogarsi legalmente e crei un mercato criminale, con gli stessi e probabilmente maggiori danni in salute, ma con il carico della spesa pubblica per la repressione e i lauti incassi della criminalità. Ma una volta che si concedono i visti ai migranti rimane il principio che in Europa ci resti se lavori e ti mantieni (o ti fai mantenere da qualcuno), e che in ogni caso, fatta la prova di cosa succederà togliendo le barriere legali ogni Stato si riserva il diritto di tornare indietro se le cose non andranno bene.

      3 e 4

      io cercherò di leggere il libro, ma non ci vuole uno scienziato né un filosofo per capire che ciò che garantisce un diritto è la capacità materiale di farlo. Esempio banale: il nostro sistema sanitario si regge sulle tasse dei cittadini italiani. Per questo motivo non possiamo curare chiunque. Se arriva uno straniero paga come se fosse un servizio privato. Inoltre, più persone ti metti a curare, meno persone puoi curare, non potendo trasformare l’Italia in un ospedale a cielo aperto e gli italiani tutti in personale medico. Per questa banale ragione ogni paese pensa ai suoi problemi. Su questo semplicemente non c’è confronto, non è una questione di opinioni. Emergency di Gino Strada fa quello che fa con i soldi dei donatori, altrimenti non lo potrebbe fare. Non c’entrano niente i confini dello Stato o la democrazia borghese, sono le risorse il punto. Nell’attesa di capire cosa intenda la Di Cesare con jus migrandi, dico solo che sono ormai decenni che le persone migrano stabilmente in Europa. Da stranieri sono diventati cittadini, lavorano e pagano le tasse. Tutto ciò è avvenuto entro i confini e delle regole degli Stati.

  37. *Una spinta fuori dalle opposte ideologie (buoniste e cattiviste) a ragionare a fondo sul problema delle migrazioni.

    SEGNALAZIONE

    Camminare scalzi
    di Caludio Vercelli
    http://moked.it/blog/2018/07/15/camminare-scalzi/

    Dieci tesine, piuttosto evidenti, sui processi migratori, tanto per non perdere l’allenamento (e la memoria) in materia:

    1) i processi migratori non sono l’eccezione bensì la regola nella storia umana. Non esiste alcuna società che non sia stata costituita, popolata e rigenerata dai fenomeni migratori. In sé, questi ultimi non sono né un bene né un male. Sono semmai parte della trasformazione continua di ciò che chiamiamo “mondo”, all’interno di un mercato globale dove i singoli individui cercano di porre rimedio alla condizioni di sfavore, nelle quali si possono trovare, cercando una compensazione attraverso il cambiare luogo di vita, di relazioni, di legami;

    2) l’ibridazione, che piaccia o meno, è il tratto distintivo dei fenomeni migratori: implica che persone e gruppi di diversa origine si incontrino sul medesimo territorio, con tutte le conseguenze che, di volta in volta, da ciò possono derivare;

    3) tali conseguenze sono spesso problematiche, al di là della buona (o cattiva) volontà dei singoli: l’evoluzione di una società è quindi determinata anche dalla capacità di fare fronte al mutamento senza esserne travolti. Si tratta dell’impegno più importante che un paese può assumere verso se stesso;

    4) gli Stati esistono se riescono ad esercitare una sovranità, un diritto d’imperio che si esercita, attraverso un insieme di strumenti, sulla popolazione che li compone (che si tratti di aventi cittadinanza o meno); se una comunità politica non riesce a governare i processi sociali che l’accompagnano, rischia prima o poi di dissolversi. La storia è piena di esempi al riguardo, fermo restando che ciò che noi intendiamo con il nome di Stato, nazione, popolo e così via non sono delle “essenze” permanenti bensì dei prodotti storici, destinati a mutare, a volte anche a collassare, con il trascorrere del tempo;

    5) i processi migratori non riguardano, nella maggioranza dei casi, persone anziane, impedite e prive di risorse, bensì quella parte delle comunità che sono più giovani, attive, orientate quindi a investire su se stesse. Ci si sposta quando si hanno gli strumenti per farlo, si trattasse anche solo di un passaggio, pagato a caro prezzo, in una qualche carretta del mare;

    6) l’immagine prevalente, di taglio “politico”, che associa i migranti al problema dei profughi e dei rifugiati, se è veritiera in alcune circostanze lo è assai meno quando si debba formulare un giudizio generale sui grandi spostamenti umani, determinati soprattutto da tre fattori: la ricerca di un habitat socioculturale migliore o più stimolante o comunque meno ostile rispetto a quello di origine (migrazione per ragioni demografiche e politico-religiose); la necessità di provvedere ai propri bisogni elementari in ambienti che sembrano offrire capacità di assorbimento, integrazione e redistribuzione delle risorse (migrazioni economiche); l’impossibilità di continuare a vivere in luoghi divenuti ostili a causa dei mutamenti climatici, naturali o antropici (migrazioni ecologiche). Segnatamente, nel computo generale delle migrazioni, a livello planetario, l’ultimo fattore è quello che incide maggiormente rispetto ad altre motivazioni;

    7) buona parte dei migranti non si spostano verso mete lontane ma nei luoghi di accoglienza più prossimi ai paesi d’origine, nella speranza, non importa se fondata o meno alla prova dei fatti, di potere fare ritorno – prima o poi – ad essi. Non è un caso, ad esempio, se le crisi mediorientali comportino una pressione migratoria che incide soprattutto sulle nazioni limitrofe ai luoghi di maggiore conflitto o di tensione (ad esempio, il Libano ha un profugo-migrante ogni sei abitanti). Gli effetti di destabilizzazione permanente, in economie già fragili del proprio, sono evidenti a chiunque, rischiando di ingenerare altre ondate migratorie;

    8) è illusoria l’idea, tanto più in un’età di globalizzazione, di potere fare fronte alla trasformazione sociale e alla transizione demografica (con il travaso di intere coorti generazionali da paesi più giovani a paesi anziani) attraverso politiche esclusivamente sovraniste, ossia basate sul ricorso ai soli strumenti che lo Stato nazionale ha al momento a disposizione. Gli organismi sovranazionali dovrebbero invece concorrere ad una tale gestione. Ma uno dei caratteri specifici del tempo che stiamo vivendo è l’evidente disarticolazione dei soggetti, dei meccanismi e delle iniziative che si basano su organizzazione internazionali, che hanno oggi un’incidenza sempre più contenuta nell’evoluzione delle dinamiche collettive;

    9) la stragrande maggioranza dei migranti non è di per sé né buona né cattiva; non costituisce la falange di un’invasione così come non è il soggetto sociale di una trasformazione “rivoluzionaria”: le semplificazioni, al riguardo, sono speculari, che abbiano natura allarmistica o che siano informate ad una lettura ispirata a sentimentalismi che abdicano a qualsivoglia rapporto con il principio di realtà. Salvo poi consegnare ai segmenti più fragili della popolazione gli oneri che derivano dai mutamenti in corso. Ogni processo migratorio impatta inesorabilmente sia sulle società di partenza che su quelle di accoglienza: negare che da ciò derivino conflitti socioculturali è come volersi precludere i dati di fatto. Semmai, la differenza – che costituisce il vero campo di conflitto politico – sta nella natura delle interpretazioni di tali trasformazioni e nelle risposte che quindi si intende dare ad esse;

    10) Le migrazioni sono un fatto economico complesso: non solo per le ragioni più evidenti (ossia la spinta per il migrante a cercare nuove risorse in altri luoghi) ma anche per il circuito di aspettative che si ingenera intorno all’atto del migrare medesimo. Una di queste è senz’altro lo sfruttamento – attraverso il contrabbando di esseri umani – del bisogno di cambiare la propria condizione e lo status di origine. Tuttavia, più in generale esiste un vero e proprio circuito della movimentazione dell’umanità che è parte integrante del mercato internazionale, a livello legale come sul piano dell’irregolarità sistematica. In questo complesso sistema di scambi (che non può mai essere letto con una sola chiave d’interpretazione) va inquadrato il fenomeno del business, o comunque del lucro (non solo finanziario), che deriva a più soggetti chiamati in causa nel transito di donne e uomini da un territorio all’altro. Valga solo la pena di ricordare che l’aspettativa (di un beneficio, qualunque esso sia) è parte fondamentale di qualsiasi processo economico. Anche in questo caso, che piaccia o meno.

  38. Coda di discussione dopo vari anni….

    DA POLISCRITTURE 3 SU FACEBOOK

    Luciano Aguzzi

    Come avrai notato, non sono mai intervenuto sul problema dell’immigrazione, pur essendone tentato e averci meditato sopra. Non sono intervenuto su Poliscritture.it quando è stato recensito e discusso in moltissimi commenti il libro di Donatella Di Cesare “Stranieri residenti” sul quale ora mi interpelli direttamente. Il problema delle migrazioni e dei migranti è molto complesso e non posso, né voglio, trattarlo ora e qui, mi limiterò a dire, del libro della Di Cesare, che lo considero un mucchio di sciocchezze. Ma poiché l’autrice è intelligente, è colta e scrive anche abbastanza bene, non si può liquidarla in questo modo. Allora aggiungo che non è un libro di filosofia perché tratta una materia che non è di competenza della filosofia ma delle scienze sociali; usando il metodo filosofico (non della filosofia come scienza ma della filosofia “dialettica”, cioè dell’argomentazione basata sulle opinioni) costruisce una serie di idee e argomentazioni astratte radicalizzate, nel senso dell’astrazione, cioè estremizzate fino a farne degli enti puramente ideali, avulsi da ogni realtà empirica. Tuttavia si tratta di una apparente e retorica astrazione, perché di fatto il suo discorso è di pertinenza delle dottrine politiche, quindi è un discorso prescrittivo. Afferma di non avere e di non dare ricette, ma in realtà le dà, solo che le dà in termini generali e astratti non verificandone la possibilità di attuarle attraverso il loro calarle nell’ambito dei problemi della gestione politica, sociale, economica ecc. In sostanza costruisce e propone una utopia che, appena provo a immaginare che cosa concretamente succederebbe se si cercasse di metterla in pratica, si trasforma in catastrofica distopia. Una simile utopia, in concreto, è funzionale al mondialismo delle grandi multinazionali e agli interessi delle élite internazionali, o meglio, visto che Di Cesare contesta anche il termine internazionale perché contiene quello di nazione, possiamo dire delle élite che risiedono nel mondo senza riconoscere nessun limite di confine e di limite (in ogni senso, culturale ecc.), se non quello posto dalla potenza economica e dalla concorrenza fra le maggiori potenze economiche.
    Visto che, entro il 2050, sono previsti fino a 500milioni di possibili migranti nel mondo, la Di Cesare, per essere credibile, dovrebbe spiegare come gestirli se, ad esempio, decidessero di emigrare in Europa. Come gestire 10milioni di migranti se, ad esempio, nel 2022 ne arrivassero tanti in Italia. Se non si risponde in modo credibile e fattibile a simili domande, si fanno solo chiacchiere.
    Come dottrina politica, la posizione di Di Cesare rientra nello scontro sociale, nei conflitti sociali, ed io vedo in essa una dottrina contraria ai miei interessi, non solo economici ma di ogni tipo. Dunque, la Di Cesare, dal punto di vista della “lotta di classe” o, come io preferisco dire, del conflitto sociale, sta dall’altra parte. Non so se a sinistra o a destra, ma sicuramente dall’altra parte. Non sta dalla parte della maggioranza delle persone che conosco e sicuramente non dei ceti subalterni e medi. E probabilmente, se quello che lei propone si verificasse, s’accorgerebbe di non stare nemmeno dalla “sua” parte e cambierebbe idea. Le persone come la Di Cesare, come certi intellettuali di “sinistra” degli anni 1915-1930, in pratica, sono la benzina di cui si alimentano i motori del consenso alle dottrine politiche della destra fascista e nazista. Perché il consenso, anche e soprattutto popolare, l’hanno avuto. E il consenso ha sempre un perché, ha sempre delle sue ragioni radicate nella vita quotidiana di cui la Di Cesare sembra non volersi occupare. La propaganda della destra vince a posteriori, quando l’humus adatto per quella propaganda si è già creato.

    Ennio Abate

    Come fa un’autrice intelligente, colta e che scrive «anche abbastanza bene» a scrivere in un suo libro «un mucchio di sciocchezze» mi pare davvero un mistero. Più chiaro e onesto dichiarare apertamente che non si condividono tesi e argomenti a sostegno. «Propone un’utopia»? Ma l’utopia non ha in sé la destinazione in automatico della «catastrofica distopia» che tu agiti come uno spaventapasseri. [1]
    E non mi pare bello squalificare un libro accusando – anche in questo caso automaticamente – la visione utopica della Di Cesare di essere « funzionale al mondialismo delle grandi multinazionali e agli interessi delle élite internazionali». Un’utopia oppressiva non equivale ad un’utopia che vuole la liberazione dalle oppressioni. E trovo il paragone con « certi intellettuali di “sinistra” degli anni 1915-1930, in pratica, sono la benzina di cui si alimentano i motori del consenso alle dottrine politiche della destra fascista e nazista» veramente offensivo per una studiosa che ha smascherato il nazismo non solo negli atti m a nel pensiero stesso di Heidegger.

    Nota

    [1]L’utopia ha per me un’ambivalenza che può essere costruttiva e distruttiva. Ma mai automaticamente distruttiva.
    Riporto da un vecchio libro uscito quando le utopie ancora circolavano ed erano oggetto di riflessione:
    Last but not least -l’accresciuto interesse che viene dedi
    cato alle utopie non deriva né esclusivamente né soprattutto da preoccupazioni «dotte», ma risponde piuttosto a numerosi interrogativi posti dalla nostra epoca. Si direbbe quasi che il termine «utopia» sia divenuto il punto focale, se non il simbolo, delle nostre ossessioni e delle nostre speranze.
    Mai, forse, l’utopia è stata tanto violentemente denunciata ed esaltata con tanta foga. Si assiste così al manifestarsi di un’inquietudine profonda sul pericolo che rappresenterebbe per la nostra epoca l’assenza di utopie che le siano proprie, all’orizzonte delle nostre attese e nell’impiego della nostra immaginazione. «La nostra epoca – scrive Bertrand Russell – non è più in grado di credere ai sogni degli utopisti, persino
    le società partorite dalla nostra immaginazione non fanno che riprodurre i mali che ci sono familiari nella vita quotidiana». L’utopia o la morte, proclama il titolo di una recente opera che si interroga sulle risposte da dare alla degradazione della nostra condizione ecologica; e solo recentemente sono stati cancellati gli ultimi graffiti che, sui muri di Parigi, invocavano l’immaginazione al potere. Al contempo, tutta-
    via, l’interesse per le utopie rivela sentimenti e atteggiamenti contrari. Non si tratta soltanto del manifestarsi di una disillusione, ma di una diffidenza profonda verso le utopie, e ciò a causa dei rischi sociali che la loro influenza può comportare. Più che mai si è consapevoli del fatto che l’utopia può divenire un potente strumento di azione e di mobilita-
    zione sociale, ma anche uno strumento di manipolazione di tragica efficacia. L’esperienza del totalitarismo, sia in Russia che in Germania, non ha forse dimostrato come le utopie, coniugate a certi miti e amplificate da una propaganda onnipresente e oppressiva, imprigionano e degradano le menti e le immaginazioni?”

    (Bronislaw Baczko, L’Utopia, p.18, Einaudi, Torino 1979)

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