a cura di Ennio Abate
Commentare è un impegno (e una sfida) che il singolo si assume nei confronti della realtà e degli interlocutori coi quali decide di confrontarsi. Oggi, essendosi ridotti e corporativizzati i luoghi reali in cui fare cultura e politica, è sui cosiddetti social che finisce la nostra inquieta ricerca. Con vari rischi e, a volte, qualche buon incontro. La pubblicazione dei commenti apparsi finora sotto un post di Ugo Fracassa su LE PAROLE E LE COSE (qui) vuole spingere a una riflessione: sulla forma-commento e su quel che dei conflitti in corso vi entra. [E. A.]
Claudio Antonelli
29 giugno 2018 a 11:18
“Altrove quelle tensioni si manifestano con preoccupante cadenza nello scatenamento di una violenza cieca – le sparatorie nei college statunitensi – fenomeno che sancisce il terrore di cui è permeata la quotidianità nel mondo occidentale.”
Certamente, in Giappone l’indice di criminalità è molto basso. E il Giappone si trova in Oriente. Ma in Oriente si trovano anche le Filippine, con un assai alto tasso di omicidi. Quindi perché questo continuo contrapporre noi Occidentali, agli Orientali e al resto dell’umanità? Per puro compiacimento autodenigratorio, secondo me.
Mi permetto a questo proposito di proporvi questa mia analisi su questo strano fenomeno di autodenigrazione del nostro contrapporci ai “non Occidentali”.
Cio’ che mi strappa ogni volta un ghigno sono i soliti vituperi scagliati contro l’Occidente, colpevole di storiche malefatte contro il resto dell’umanità che vive al Sud oppure all’Est, rispetto a noi, sul pianeta Terra.
In questo scontato gioco delle parti, noi occidentali ci “auto-qualifichiamo”, si direbbe voluttuosamente, come presuntuosi, ipocriti, etnocentrici, saccheggiatori di nazioni e autori di genocidi vari, e ci contrapponiamo in blocco a tutti gli altri popoli della terra, che pero’ non citiamo mai, ma che devono essere gli orientali, gli africani e via enumerando… Gente da compatire, perché da sempre subisce le incredibili malvagità di noi occidentali, sentina di ogni vizio.
Nelle ripetute denunce che noi lanciamo contro l’intero nostro Occidente, causa di ogni male, vi è anche quella di far prova nei confronti dei popoli “extra-occidentali” di preconcetti, pregiudizi e stereotipi. Noi occidentali – la cosa è risaputa – siamo ostili al Diverso, allo Straniero, al Migrante, al non-Occidentale, a causa appunto dei parametri etnocentrici del nostro ipocrita moralismo di bianchi d’Occidente.
Ma cosa dire di questa contrapposizione primitiva di blocchi umani: noi occidentali tutti cattivi e da crocifiggere vs. gli altri “non occidentali” tutti innocenti, buoni, e solo da compatire? Masochismo a parte, non è questo un far prova di pregiudizi e di stereotipi?
Penso proprio di si’. Ecco perché, senza voler offendere nessuno, propongo che si smetta di accusare Occidente e Occidentali, e che ognuno parli per sé e per i propri, e che si limiti a denunciare i propri pregiudizi, ipocrisie e contraddizioni, o tutt’al piu’ quelli dei suoi vicini di casa, o di parenti, amici e conoscenti.
Per parte mia, io, come occidentale – un po’ pentito ma non vi diro’ di cosa – vedo, si’, i miei difetti “etnici”, ma vedo soprattutto quelli di mia moglie e dei suoi familiari. È doveroso precisare: ho sposato un’orientale. Mi permetto quindi di dire che tra i miei parenti, amici e conoscenti orientali vi è – come già disse Luigi Barzini – un assai scarso spirito di compassione. (Dal vocabolario: “Compassione = Sentimento e atteggiamento di sofferta partecipazione ai mali e dolori altrui”) Forse questo mio giudizio risente anch’esso dei parametri etnocentrici di un tipico moralismo ipocrita all’occidentale. Comunque sia, io penso di meritare un po’ di compassione.
Francesca
29 giugno 2018 a 11:40
Bella e toccante la seconda parte dell’articolo. Condivido le parole conclusive. E.Affinati sembra persona autentica… non guastata dalle micidiali forme di narcisismo coltivate dal sistema.
adriano barra
29 giugno 2018 a 14:17
“ 24 dicembre 1987 – Gide che dà da leggere a un arabo Le mille e una notte rendendolo felice. (Journal, 1894) “
roberto buffagni
29 giugno 2018 a 16:43
“Gli altri non sono l’inferno. Siamo noi i mostri. Per questo dobbiamo condividere la sorte comune.”
Anche gli altri sono capacissimi di essere mostri, tale e quale a noi. Gli altri non sono l’inferno, e neanche il paradiso.
Ennio Abate
30 giugno 2018 a 08:35
“Anche gli altri sono capacissimi di essere mostri, tale e quale a noi. ” (Buffagni)
Resta il fatto che nella storia finora a fare cose mostruose – più spesso, sistematicamente e in tutto il pianeta (quindi anche in “casa altrui”) – [sono stati] gli “occidentali” (europei nell’Ottocento e gli anglo-americani nel Novecento).
Gli altri saranno anche “capacissimi” e l’avranno pure dimostrato (in dimensioni comunque regionali), ma per ora il primato a livello planetario in mostruosità (sterminio indios, sterminio pellirosse, genocidio ebrei, bombe atomiche sganciate su città giapponesi) spetta a “noi”. Mostruosità giustificabili in nome del Progresso o della Civiltà? Davvero?
adriano barra
30 giugno 2018 a 10:21
Non mettiamo limiti alla Provvidenza. Come disse quello che era stato a visitare il Cottolengo (Casa della Divina Provvidenza).
Ennio Abate
30 giugno 2018 a 10:54
….sono stati gli “occidentali” eccetera
Adriano Barra
30 giugno 2018 a 11:34
Mi scuso con tutti e soprattutto con Ennio, ma non credo che si possa continuare con quel certo manicheismo che conosciamo tutti benissimo. Il riferimento al Cottolengo era una specie di citazione di Calvino. Ma dalla Giornata di uno scrutatore è passato tanto tempo e credo sia tempo di scrutare meglio.
Elena Grammann
30 giugno 2018 a 13:11
Cattivissimi questi occidentali, i quali trovandosi in seguito alla loro cultura, che si è rivelata vincente, a essere i più forti, hanno fatto cose turche in giro per il mondo. Mentre i non-occidentali, qualora si fossero trovati nella medesima situazione, avrebbero usato la superiorità nella forza unicamente per fare del bene al prossimo.
Da notare, così, en passant, che gli occidentali (e assimilabili, es. i giapponesi) sono gli unici che hanno sviluppato e autorizzano l’autocritica. Immagino che gli altri non ne abbiano bisogno perché sono così tanto buonini.
Italia
30 giugno 2018 a 18:06
@ Ennio Abate
Le mostruosità non sono giustificabili mai. Le dimensioni quantitative delle mostruosità dipendono da tante cose, per esempio dai mezzi a disposizione: se hai l’atomica polverizzi una città in un colpo solo, se hai uno Stato moderno organizzi più produttivamente lo sterminio che eseguito da un’orda è molto più labor intensive.
La principale differenza qualitativa tra le mostruosità occidentali e le mostruosità non occidentali è che la civiltà occidentale, negli ultimi secoli (salvo l’eccezione delle atomiche sul Giappone, mai condannate ufficialmente) definisce “mostruosità” azioni che altre civiltà non ritengono tali, ed eseguono senza problemi di coscienza.
Esempio: le pile di teschi di Tamerlano, i sacrifici umani all’ingrosso degli Aztechi, l’annichilimento di intere città a scopo deterrenza dei Romani, il macello di Nanchino ad opera dell’esercito imperiale nipponico, e così via.
Se questa diversa sensibilità occidentale contribuisca a diminuire le mostruosità oppure no è discutibile.
Ennio Abate
30 giugno 2018 a 22:51
@ Grammar
Di cattivi o buoni-buonini proprio non ho parlato. Cultura “vincente” non equivale a razionale o migliore di altre. Per il mondo gli “occidentali” hanno fatto “cose occidentali” e non “turche”. Di esse abbiamo abbondante documentazione nei libri di storia ( anche “occidentali”). Le mostruosità, che commetteranno altri se raggiungessero il primato conseguito dagli “occidentali”, sono probabili, ma per ora non certe. Le autocritiche o le scuse post factum per me non contano molto e non cancellano le mostruosità commesse.
Ennio Abate
30 giugno 2018 a 23:19
@ Italia
Se in epoca preindustriale le mostruosità di Tamerlano, degli Aztechi, dei Romani ecc. erano confrontabili e il “record” di disumanità raggiungibile era comunque oggettivamente contenuto, in epoca industriale e soprattutto con la bomba atomica il confronto fra mostruosità degli antichi e dei moderni o modernissimi mi pare non più sostenibile.
Il divario o l’asimmetria tra il potenziale di mostruosità realizzabile dagli “occidentali” e in particolare dagli USA, tuttora potenza militare incontrastata ( e anzi già realizzato nel Novecento) e quello realizzabile (in teoria) da loro concorrenti o antagonisti è massimo.
Quanto alla «diversa sensibilità» nei confronti delle mostruosità – fenomeno comunque di esigue minoranze – non mi pare, per quel che ne so, una prerogativa esclusivamente occidentale.
Ennio Abate
30 giugno 2018 a 23:22
@ Barra
Non mi pare di aver svolto un ragionamento manicheo. ( Cfr. mia risposta a Grammann e ne approfitto per scusarmi della storpiatura del cognome nel commento a lei rivolto).
Elena Grammann
1 luglio 2018 a 00:30
@ Abate
Non ho mai detto che “vincente” equivalga a razionale o migliore delle altre. Non vedo proprio cosa c’entri il vincente con il razionale o il migliore.
Io credo semplicemente che la forza sia una cosa che esiste al mondo, e che la forza non possa andare senza sopraffazione (questo in tutti gli ambiti, perfino nell’ambito degli affetti famigliari). Poi è compito della razionalità cercare di metterci una pezza – auspicabile e necessaria, ma sarà sempre una pezza. Questa è una mia convinzione antropologica che sicuramente non è obbligatorio condividere ma che ha parecchie evidenze dalla sua.
Mi sembra però che lei certe cose non voglia capirle: nessuno afferma che le scuse post factum cancellino le mostruosità commesse (a parte che la pratica dell’autocritica, tutta occidentale, va assai più in là di questo), però il fatto ad esempio che il governo giapponese abbia ammesso la strage di Nanchino (tanto per rifarsi a un esempio citato) mentre il governo turco rifiuta ostinatamente di ammettere il genocidio degli Armeni, per me è una cosa importante e molto significativa.
adriano barra
1 luglio 2018 a 07:28
Il problema, caro Ennio, è che non è tanto facile capire che cosa è Occidente e che cosa non lo è. E dunque sapere chi ha vinto e chi invece ha perso. Per esempio: “ 7 luglio 1993 – « Si ricordi che siamo in Cina dove vita e tempo non hanno valore » (Shangai Express, Von Sternberg, 1932). Prima del bacio lui ha il cappello, dopo il bacio ce l’ha lei. “.
Ennio Abate
1 luglio 2018 a 09:21
@ Grammann
“Io credo semplicemente che la forza sia una cosa che esiste al mondo, e che la forza non possa andare senza sopraffazione (questo in tutti gli ambiti, perfino nell’ambito degli affetti famigliari)”.
Forse siamo *quasi* d’accordo. Manzoni: “far torto o patirlo”. Ma voglio ancora pensare – contro lo stato di cose che abbiamo sotto gli occhi – che *patire* è anche segno di *forza*, che potrebbe – in circostanze determinate e non precisabili in astratto – diventare *azione liberante* (fosse pure per pochi istanti o giorni). Atto, dunque, di *giustizia* e non mera *sopraffazione*.
Ennio Abate
1 luglio 2018 a 09:25
@ Barra
“non è tanto facile capire che cosa è Occidente e che cosa non lo è”.
D’accordo. Ma di fronte all’indecidibile preferisco *scommettere*. Il cappello io non ce l’ho.
adriano barra
1 luglio 2018 a 09:34
@ Ennio
Già, e chi ce l’ha? That’s the question.
roberto buffagni
1 luglio 2018 a 10:39
La civiltà occidentale (a guida europea prima, statunitense poi) è senz’altro la civiltà egemone nel mondo. L’egemonia si può abbastanza tranquillamente attribuire in larga parte al salto qualitativo di potenza innescato dalla scienza galileiana e post. La quale è una splendida cosa, ma è anche l’avvio della più colossale ubriacatura di potenza mai registrata al mondo, e insieme a tante cose belle e buone ha segnato la nascita di un paio di cose né belle né buone, lo scientismo & il progressismo, grazie ai quali non si capisce un accidente di come sono fatti gli uomini e il mondo ma ci si sente assai intelligenti, buoni e alla moda.
Per tornare alle mostruosità. La distinzione qualitativa tra mostruosità pre e post industriale sta tutta nella potenziale autodistruzione totale o pressochè totale che la tecnoscienza gentilmente ci offre. Non vedo come da ciò si possa concludere che “gli occidentali”, cioè insomma “noi”, saremmo più mostruosi dei non occidentali o dei preindustriali. Possiamo fare danni su più larga scala, questo sì; ma anche Pol Pot se l’è cavata mica male, con i mezzi di bordo.
Quanto sopra per giungere a una conclusione: il (giustificato) meaculpa per le mostruosità da “noi” commesse non deve diventare una legittimazione di quanto segue: a) teorie comunque aggiornate del buon selvaggio b) immigrazionismo militante con ricatto morale annesso c) autocritiche tous azimuts che concludono noi essere merde infami, gli altri povere vittime, e annegando nella notte più nera tutte le vacche storiche e ideali in realtà aiutano soprattutto a NON capire un tubo d) autocritiche tous azimuts della civiltà occidentale in cui l’autocritico si schiera simbolicamente dalla parte delle vittime “altre” per finalità di compensazione psicologica e/o di propaganda politica.
Ripropongo per finire la citazione celebre di P.J. Proudhon, ripresa da Carl Schmitt: “Chi dice umanità vuole ingannarti”.
adriano barra
1 luglio 2018 a 10:57
“ 6 giugno 1984 – I sorrisi Nambikwara (in Levi Strauss, Tristi tropici). Viene fatto di dire: così moderni. I fanciulli soprattutto, che sembrano figli di coppie « liberate » del Sessantotto. Mi viene fatto di pensare che l’autore potrebbe avere riconosciuto in quei volti, la magia, l’innocenza, la « naturalezza » di qualche immagine fotografica degli inizi di questo nostro secolo che ama spesso rappresentarsi « buono » e « selvaggio ». “.
Elena Grammann
1 luglio 2018 a 11:22
@Abate
Sono contenta che siamo “quasi” d’accordo. Credo che l’orizzonte in cui “*patire* è anche segno di *forza*” e la forza stessa non è più sopraffazione sia necessario; non ammetterlo conduce francamente a una situazione aporetica. Però credo anche che questo orizzonte di giustizia sia al di là dei limiti di questo mondo, il che non vuol dire automaticamente che non c’è, ma che non si realizza nel tempo; al massimo, come esperienza privata, nell’istante atemporale. Immagino, e capisco, che per lei sia troppo poco.
Buona domenica
chris
2 luglio 2018 a 17:36
@ Grammann e Abate, “Doch wer wen besiegt, das interessiert auch mich”.
Perché tra forza che sopraffà e patire c’è resistere. Che è forza nella durata, il femminile nella storia registra la durata più lunga. Il resistere non si scioglie nel solo patire, passa anche all’attacco, come si sa.
Girolamo Moretti (1879-1963), francescano, iniziatore della scuola italiana di grafologia, proiettava sul segno grafico quattro categorie, attesa, assalto, resistenza, cessione: la forza che sopraffà apparterrebbe all’assalto. E’ una antica impostazione caratterologica, ma giustamente distribuisce la forza a ogni situazione.
Ennio Abate
2 luglio 2018 a 23:12
@ Buffagni
Egemone nel mondo «la civiltà occidentale (a guida europea prima, statunitense poi)» lo è stata. Ora non più. Chi ancora sottolinea tale egemonia in calo, trovandola magari «meno peggio» di quel che potrebbe sostituirla, sorvola troppo secondo me sulle sue crepe: le normali e permanenti mostruosità (guerre, repressione sul nascere di rivolte come quelle delle “primavere arabe”, respingimento dei migranti); e ignora o cancella come irrilevanti i segnali balbettanti di un’altra, possibile civiltà: più inclusiva, non oligarchica, come minimo più democratica.
Questa egemonia certamente «si può abbastanza tranquillamente attribuire in larga parte al salto qualitativo di potenza innescato dalla scienza galileiana e post». Ma manca una precisazione fondamentale: quel salto qualitativo di potenza avrebbe potuto essere più imponente e avvantaggiare l’intera società umana e non solo le sue regioni occidentali, se si fosse riusciti a farlo scorrere entro rapporti sociali non capitalistici. Questa è stata la tragedia della sconfitta del socialismo.
Tutto è stato frenato, depauperato, messo innanzitutto al servizio dei dominanti. E forse fin dall’emergere della rivoluzione scientifica, se come ricordò l’ormai dimenticato Lukács, dopo una prima fase di vittoriosa critica alla religione, la scienza accettò un primo compromesso paralizzante e si adattò ad amministrare le pratiche della “vita terrena” (una bella fetta di potere) consegnando a teologi e religiosi la secolare amministrazione del sacro, l’esclusiva sull’aldilà (la «realtà in sé»).
Io mi spiego con questo arresto e altri successivi compromessi il fatto che scientismo e progressismo abbiano poi potuto parassitariamente svilupparsi sul corpo inizialmente vigoroso della scienza come sue escrescenze, ideologiche e astoriche. E anche la ragione per cui il sapere umanistico, che nelle sue punte più alte si sposava bene con il nuovo sapere scientifico, si sia poi troppo spesso ridotto a un ruolo conservatore e nostalgico. O che oggi ci siano tanti tentennamenti tra sguardo umanistico e sguardo scientifico e cresca la diffidenza verso lo stesso pensiero scientifico, che nulla ha a che fare con la sana critica sessantottina verso l’uso capitalistico delle scienze.
Prima del «salto qualitativo di potenza innescato dalla scienza galileiana e post» c’era una consapevolezza di « come sono fatti gli uomini e il mondo» e invece, dopo la rivoluzione scientifica, «non si capisce un accidente» né degli uomini né del mondo?
Non è vero. Le scienze ( ma nei loro modi anche le letterature e le filosofie) hanno semplicemente mostrato che gli uomini e il mondo sono fatti in modi più complessi di come li pensavano gli antichi e gli stessi moderni. E hanno aperto un nuovo modo *imprescindibile* di esplorare tale complessità e d’intervenirvi. No, davvero le scienze non si sono limitate a darci « tante cose belle e buone», non hanno occultato o oscurato un sapere precedente più prezioso o valido del sapere scientifico. E sarebbe un grave errore illudersi di tornare ad esso, con la scusa dei limiti evidenti dello scientismo e del progressismo. Il residuo di libertà resiste nelle scomode e probabilistiche scienze, pur azzoppate dalla cavezza capitalistica, ed è irrinunciabile. (Rileggersi «La ginestra» di Leopardi).
Ho fatto questa tirata, perché ritengo che da un nostro diverso atteggiamento rispetto all’egemonia dell’Occidente e al ruolo (azzoppato per me) delle scienze in una società capitalistica, discendono i tuoi travisamenti su quel che ho scritto in quest’occasione.
Mai detto che «insomma “noi”, saremmo più mostruosi dei non occidentali o dei preindustriali». O che gli altri – i non-occidentali – siano «povere vittime» e “noi” occidentali «merde infami». Perché inquinare il nostro confronto con queste rozze semplificazioni?
Io ho voluto sottolineare un punto: fino alla rivoluzione industriale le mostruosità degli occidentali sono comparabili con quelle degli altri (comprese quelle “artigianali” di Pol Pot o Stalin); mentre quelle “di nuovo tipo” venute dopo – per quantità e qualità – sono *per ora* state compiute e continuano ad essere compiute *soprattutto* dagli occidentali.
Perché «merde infami» per natura? No. Venutisi a trovare – per l’andamento a loro favorevole dei conflitti nella storia, non per qualche DNA particolare – nella posizione egemone dei dominatori, certe mostruosità impensabili (per noi comuni mortali) se le sono tranquillamente permesse. Solo da quella collocazione esse si possono in effetti realizzare. Noi, anche se volessimo, potremmo permetterci l’azione individualistica e gratuita di un Karamazov o di un sartriano Erostrato.
Se poi, nei conflitti che si produrranno, prenderanno il sopravvento gli altri, oggi sub-dominanti o concorrenti o antagonisti degli occidentali, e se resteranno immutati questi rapporti sociali (capitalistici), i futuri dominanti probabilmente compiranno mostruosità simili o superiori. Tuttavia fra le azioni attuate e quelle probabili o, se proprio vogliamo, *in potenza*, la differenza c’è. E questa che ho voluto sottolineare.
Possiamo poi anche discettare sulle differenze d’ogni tipo tra occidentali e orientali, tra egemoni d’ieri, di oggi o di domani. Ma a che scopo? Per stabilire i buoni e i cattivi, i feroci e i tolleranti? Per scegliere realisticamente quale padrone servire: Trump o Putin o XI JInping? O barcamenarci come la Madre Courage di Brecht tra i vari prepotenti?
Malgrado questi tempi bui per chi viene da una certa storia, continuerò a pensare che sono i rapporti sociali capitalistici il vero problema. Se nessuno sarà più in grado di correggerli o cambiarli, le cose belle e buone delle scienze e del rapporto nuovo, che esse permettono di stabilire con il mondo e gli uomini, continueranno ad essere godute dai pochi e dalle loro clientele. E “noi” continueremo a subire guerre. Oppure, impotenti o indifferenti, a vedere morire i migranti – i nostri potenziali «alleati viaggiatori» – nel Mediterraneno o ai confini tra Messico e USA.
Insisto, infine, a ritenere vano il mea culpa sulle stragi e i genocidi, anche quando fosse sincero, Perché viene a posteriori. Perché quelli che si battono il petto restano appunto intoccabili nella loro posizione dominante. Perché, in circostanze che giudicheranno per loro sfavorevoli, replicheranno con mostruosità simili o superiori alle precedenti che abbiamo conosciuto.
Al posto dei mea culpa sarebbe rassicurante una bella distribuzione delle ricchezze e dei poteri. Ma da questo orecchio tutti i “meaculpisti” proprio non ci sentono. E me li immagino borbottare tra sé: Vabbè, il mea culpa per le mostruosità occidentali passate glielo possiamo anche concedere (tanto restiamo sul piano del simbolico e il passato è passato), ma a patto che la smettano con le loro lagne o pretese.
Che, poi non sono affatto tali. Si tratta, infatti, dei nomi caricaturali che anche tu appiccichi a tutte quelle istanze democratiche – vecchie e nuove, nazionali e ora planetarie – che emergono contro il sovranismo nazionalistico trumpiano, orbaniano, salviniano, lepeniano. E non certo «per finalità di compensazione psicologica e/o di propaganda politica», ma perché la storia non è finita e il rimosso torna a galla.
SEGNALAZIONE
Salvini & Macron: la morte a credito
DI MARIO PEZZELLA
http://tysm.org/salvini-macron-la-morte-a-credito/
Stralcio:
Non stiamo incamminandoci su una strada simile? Non stiamo confermando – col nostro atteggiamento verso l’immigrazione – le peggiori costanti archetipiche della nostra storia? Non stiamo rischiando la più distruttiva delle antinomie: o fascismo o barbarie?
Una violenza traumatica e profonda accompagna il capitalismo fin dalle sue origini, fin dall’accumulazione originaria, descritta da Marx nel primo libro del Capitale, ove l’autore cita questo passo: «Questi poveri innocenti e derelitti […] andavano incontro ai tormenti più atroci. Venivano prostrati a morte dal lavoro eccessivo […] venivano flagellati, messi in catene e torturati coi metodi di crudeltà più squisitamente raffinati; si davano parecchi casi in cui per mancanza di cibo si riducevano a pelle e ossa, e intanto la frusta li legava al lavoro». Non è la descrizione della vita in un campo nazista; è il trattamento a cui venivano sottoposti migliaia di bambini alla fine del Settecento, all’inizio della rivoluzione industriale1. Molto peggiori erano le condizioni degli oppressi al di là della linea d’amicizia che divideva lo spazio legale europeo dallo spazio colonizzato, dove cessava la vigenza delle leggi ed erano ammessi i genocidi, i massacri, la pirateria e la rapina senza limite. L’oro così guadagnato e le risorse così saccheggiate sono uno dei fondamenti dello sviluppo del capitalismo, assai più della “virtù” o del “risparmio” dei primi calvinistici imprenditori: «Le barbarie e le esecrabili atrocità perpetrate dalle razze che si dicono cristiane in ogni regione del mondo e contro ogni popolo che sono riuscite a sottomettere, non hanno uguale in nessun’altra età della storia del mondo, in nessun’altra razza, per quanto selvaggia e primitiva, violenta e impudente essa sia»2.
Il prevalere del lavoro mentale o immateriale in Europa non cancella affatto il persistere della violenza traumatica, a livello geopolitico, nella dominazione del capitale. Il progetto attuale del capitale intreccia tempi e luoghi difformi e apparentemente contraddittori: la diffusione delle forze produttive cognitive e immateriali non esclude, e anzi prevede, un feroce sfruttamento “fordista” nelle aree periferiche del mondo e delle nostre stesse metropoli. Non sono ritardi che verranno colmati: lavoro immateriale e schiavismo arcaico sono entrambi funzionali alla sopravvivenza del capitale: «L’accumulazione del capitale si alimenta di ineguaglianze sociali e spaziali necessarie al suo metabolismo»3. Il processo di decolonizzazione politica, dopo la Seconda guerra mondiale, non è riuscito ad alterare profondamente questo stato di cose; le risorse minerarie dei paesi africani restano saldamente in mani europee (come l’oro e l’uranio in Mali, dove la Francia conduce una delle sue guerre “liberatrici”, o il petrolio in Libia, contesa tra italiani e francesi in antagonismo, questo sì, molto concreto).
…la mostruosità di oggi pare più raffinata
ci offre l’abbruttisci-coscienza
Fanno così le onde…
Che colpa ne abbiamo noi?
Volgiamo lo sguardo altrove,
cambiamo canale televisivo.
Tra noi e loro
onde sonore-visive
a portarci in salvo
su isole “virtuose”