di Alessandro Scuro
Nel 1928, nel breve testo intitolato «La conquista dell’ubiquità», Paul Valéry scriveva: «Da vent’anni a questa parte né la materia, né lo spazio, né il tempo sono più ciò che da sempre erano». L’autore francese si riferiva alle profonde trasformazioni che uno sviluppo tecnico senza precedenti aveva indotto nei decenni precedenti, a partire dal principio del secolo, e a quelle imminenti, che ulteriori avanzamenti avrebbero provocato di lì a poco. A stimolare Valéry, interessato soprattutto all’evoluzione delle nuove tecniche nell’ambito delle Belle Arti, fu senz’altro il contemporaneo debutto europeo del cinema sonoro, che lasciava presagire un futuro ormai prossimo nel quale immagini e suoni sarebbero giunti in ogni casa, al pari delle altre utenze domestiche, evocate con un semplice gesto. In tali condizioni, affermava Valéry, non solo l’arte avrebbe variato mezzi e forme di espressione, ma il suo stesso concetto, definito in tempi in cui il potere d’azione degli uomini sulle cose era infinitamente minore di allora, sarebbe stato stravolto e ridefinito per intero dalle nuove possibilità disponibili.
Nello stesso anno 1928 il «Canzoniere apocrifo di Juan de Mairena», venne incluso nell’Opera completa di Antonio Machado, che del suo eteronimo si servì sempre più spesso a partire da allora, soprattutto durante gli agitati periodi della Repubblica e della Guerra Civile. Mairena parlava da un momento imprecisato a cavallo tra il XIX e il XX secolo, dall’epoca nella quale Valéry situava il principio delle trasformazioni ancora in atto nel momento in cui, con cognizione di causa, Machado metteva in bocca a Mairena le sue sentenze, i suoi aforismi. Avverso in tutto e per tutto alla cinematografia, espressione del cinetismo imperante dell’epoca, diavoleria inventata per annoiare gli uomini, come lo definiva, Mairena non esprimeva soltanto un giudizio estetico, ma etico e sociale, paventando timori che, all’epoca in cui Machado scriveva apparivano già più che fondati: «La vera invenzione di Satana sarà il film sonoro, nel quale le immagini fotografate non solo si muoveranno, ma parleranno, strilleranno, faranno versi come tanti diavoli in un’ampolla. Il giorno in cui quest’invenzione verrà realizzata coinciderà con l’estensione dell’impiego dei veleni insetticidi per l’annichilimento della specie umana», diceva Mairena. A suo dire quello spettacolo “profondamente antipedagogico” sarebbe servito a rimbambire il mondo intero, preparando nuove generazioni che non avrebbero saputo né vedere né sognare e, concludeva, per impressionare i suoi alunni: «Il giorno in cui in Europa ci saranno dittatori di buon senso le caserme si riempiranno di cineasti».
Machado non era di certo l’unico al tempo ad arrovellarsi con simili preoccupazioni, e i commenti di Mairena richiamano in parte le riflessioni contenute nel saggio più noto di Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, nella cui versione più recente (1939) vennero inclusi e commentati alcuni estratti del testo di Valéry. Benjamin analizzava la progressiva scomparsa dell’«aura», ovvero ciò che l’oggetto è in grado di trasmettere a partire dalla propria origine, alla luce delle rapide trasformazioni che, oltre ad aver stravolto i canoni estetici, stavano ridefinendo per intero i limiti della percezione umana. «Unicità e durata sono legate così strettamente quanto lo sono fugacità e possibile ripetizione. Strappare dalla sua aura l’oggetto, distruggerla, è il segno di una percezione nella quale il “senso dell’identico nel mondo” s’è acuito a tal punto che, per mezzo della riproduzione, si è giunti a standardizzare l’unico. In questo modo – scRiveva Benjamin – si manifesta nell’ambito dell’intuizione qualcosa di analogo a ciò che si osserva in ambito teorico con l’importanza crescente della statistica. L’allineamento della realtà sulle masse e delle masse sulla realtà è un processo di immensa portata, tanto per il pensiero quanto per l’intuizione».
Tanto Machado come Benjamin vennero travolti dalla tragedia che con tanta lucidità avevano visto giungere, e che la fuga e l’esilio non servirono ad evitare. Entrambi, lontani dalla rassegnazione e dall’entusiasmo con le quali buona parte dei loro contemporanei accettavano le trasformazioni in atto, evidenziavano i segni di una seconda natura, oramai completamente sovrapposta e sostituita all’originale, che aveva stravolto i ritmi e i modi di vita tradizionali con una rapidità sorprendente, e che stava modificando in maniera particolarmente significativa la percezione e l’intendimento umano. Ai loro occhi il fattore determinante non era tanto l’evoluzione tecnica in sé, distintiva dell’intero cammino della specie umana, ma sospetta e pericolosa appariva loro la sua improvvisa accelerazione, la sua diffusa ed immediata applicazione ad ogni aspetto dell’esistenza, e la precisione con la quale l’inesorabile legge del conformismo riesce immancabilmente a ridurre ad un rigurgito reazionario l’impeto e il frastuono di ogni presunta innovazione. «Si segnala un fatto, poi lo si accetta come una fatalità e infine lo si sventola come una bandiera – diceva Mairena, «e non importa se il fatto viene smentito o si rivela totalmente falso. La bandiera scolorita continuerà a sventolare».
Numerosi sono i parallelismi e le analogie che i testi presi in considerazione offrono con il presente, poiché, lungi dall’essere ammainata, la bandiera del conformismo e della rassegnazione sventola oggi più che mai e, nonostante le perplessità, i limiti e le contraddizioni che tale modello di sviluppo continua generare, il suo stendardo conduce ancora il variegato corteo del progresso, dal quale nessuno sembra voler rimanere escluso. Non è velleitario riprendere oggi in mano queste letture e trovarvi questioni ancora aperte la cui valenza, oltre che estremamente vigente è enormemente accresciuta. Alcuni stralci del saggio di Benjamin (più citato, generalmente, che studiato) potrebbero essere pubblicati oggi senza perdere d’attualità, come quando, commentando la diffusione della stampa periodica osserva come un numero crescente di lettori passarono dal lato degli scrittori: «La cosa è iniziata quando i giornali hanno aperto “la posta dei lettori”, e non esiste più europeo oggi che, finché conserva il proprio posto nel processo lavorativo, non abbia assicurato di diritto di poter trovare, quando vuole, una tribuna per raccontare la sua esperienza professionale, per esporre le sue lamentele, per pubblicare un reportage o un testo simile». E che effetto fa leggere «Ognuno oggi può legittimamente rivendicare di essere filmato», quando è ormai un diritto acquisito quello di filmare e di cineasti non sono piene più soltanto le caserme, ma ogni strada, ogni casa.
Se il compito fondamentale dell’arte è quello di suscitare una domanda in un tempo che non è abbastanza maturo per soddisfarla pienamente, dal momento in cui il criterio di autenticità diventa inapplicabile e viene stravolta la sua funzione culturale, essa assume una valenza politica. Ed è per questo che Benjamin, al principio del suo saggio, ci teneva a precisare che ognuno dei concetti della teoria ivi introdotti si sarebbero distinti da quelli in uso per il fatto di essere «completamente inutilizzabili ai fini del fascismo». «La conseguenza logica del fascismo è un’estetizzazione della vita politica» affermava Benjamin alla fine del suo saggio sulla riproducibilità tecnica, e non restano dubbi oggi sul fatto che anche un’eccessiva estetizzazione della politica conduce senza fallo al fascismo e non sembra difficile riconoscere i fascisti di oggi tra quelli che «pensano di trarsi d’impaccio permettendo alle masse, non di far valere i loro diritti, ma di esprimersi».
…Alessandro Scuro trova delle affinità nel pensiero di P. Valéry, di J. De Mairena e di W. Benjamin in alcuni loro scritti risalenti all’affermarsi delle dittature in Europa. Il tema comune riguarda la massificazione estetizzante della percezione umana conseguente ad al progresso della tecnica in alcuni campi, come la cinematografia. Il fatto di “vedere” continuamente per interposta persona immagini che diventano replicanti della realtà oggi è arrivato alle sue estreme conseguenze. Gli autori che erano stati testimoni dell’origine del fenomeno poterono ben profetizzarne le conseguenze: “…la progressiva scomparsa dell'”aura”, ovvero ciò che l’oggetto è in grado di trasmettere a partir dalla sua origine…” Anche la scrittura da parte di molti, vista l’alfabetizzazione diffusa, può essere caduta nella rete di un potere che sa blandire e neutralizzare, tuttavia, penso, non si può definire di massa, essendo oggi l’epoca del primato delle immagini…Forse lo scrivere è il male minore, a qualche consapevolezza in genere arriva chi vi si applica, magari per lo scopo “… non di far valere i loro diritti, ma di esprimersi”. Eppure la conquista del diritto allo studio e all’apprendimento della scrittura e della lettura all’inizio ebbe proprio il significato di far uscire dall’ignoranza persone che, viceversa, erano completamente in balia degli istruiti…Mia nonna ci raccontava che con una croce, essendo lei donna analfabeta, aveva ceduto la sua parte di eredità ai fratelli…Anche per i contratti di lavoro…