di Alberto Mari
Al di là del loro senso illimitato “scritture e realtà” sono termini a volte contrastanti che comunque difficilmente si integrano. Se poi parliamo di fruibilità, per la scrittura, specialmente quella poetica, è notte fonda.
Se crediamo alle leggi di mercato, all’autonomia, al volontarismo, ma anche ammettiamolo, al più fervido individualismo, siamo alla pura sopravvivenza, ormai assimilata nei comportamenti e nell’esistenza di ognuno di noi.
La conseguenze da trarre sono in un certo senso inevitabili, pur cercando di mantenersi al di sopra o “a mezz’altezza”, non abbiamo grandi alternative tra opposte tendenze: o si è condottieri o si crede nell’unità di intenti. Il passaggio dal ponte di comando all’associazionismo, non è indolore, guidare o far parte di un movimento, più che a un rafforzamento assomiglia a una specie di trincea, ma anche ammettendo in un caso o nell’altro, che la cosa funzioni, dovremo sempre fare i conti con una concezione dominante e univoca nell’intendere la scrittura che ha sempre prevalso nei vari periodi del novecento. Ad ogni rottura dei vari movimenti sperimentalisti, le forme artistiche omologate si sono sempre rigenerate, come in ogni rivoluzione che si rispetti.
Il mercato ha sempre rispettato la tradizione seguito criteri di leggibilità, di facilità di comprensione, di “vendibilità”, portando chi non rientra in questi canoni a una esasperazione della propria autonomia e individualità, dell’originalità a tutti i costi che in fin dei conti portano a disperate imprese come la richiesta di attenzione che poi volere o volare sono sempre dirette verso il protagonismo e non c’è niente da scandalizzarsi in questo, visto che apparteniamo al popolo più individualista della terra.
Avendo fin troppo da fare per perorare la nostra causa e mantenere le nostre posizioni, dovremmo cercare di distinguerci, in una presunta e sempre nobile indipendenza. Quel che vale è sempre l’aspetto operativo che si traduce poi in quello professionale, sempreché basti.
Il mondo d’oggi non è solo riconoscibile nelle città, nell’esasperazione della tecnologia, nella velocità e nella competizione. Anche per i nobili appartati, per i cantori della natura e del sentimento è un mondo visivo e un mondo caotico legato per necessità ai generi: melò, noir, thriller, fiaba, fantascienza, fantasy… una comoda classificazione ma anche un argine, un ultimo baluardo, in grado comunque di opporsi e filtrare opportunamente la frenesia, il caos, l’ottundimento degli effetti speciali e l’appiattimento del pensiero.
Resta da stabilire come la contaminazione e l’immunità dell’essere possano essere conciliabili e come reggere l’urto di una realtà dominante, un eccesso, visto che le ragioni del cuore non sanno o non possono farsi valere.
L’arte moderna, intesa come contemporaneità (e accontentiamoci di questa definizioni), non sempre ha un adeguato sbocco nella multiformità, nell’immaginazione, nella visione, Quest’ultima, al di là del senso descrittivo o atmosferico, ha un senso compiuto nella “visione delle parole”.
Scrivere, disegnare o dipingere possono essere espressioni contigue; può capitare di scrivere come se si disegnasse o viceversa. Nell’aspetto illustrativo o nella poesia visiva (definizione comune e un po’ usurata), si possono trovare gli elementi di una scrittura poetica trasformata, anche se non si possono nascondere le difficoltà di questi sbocchi, al di là del divertimento espressivo e dell’nnegabile sollievo “di uscire all’aperto” .
Non darei, in ogni caso, alla parola ”poeta” un senso esclusivo, per lo meno non così sacrale come lo intendono in molti; eppure la multiformità non è solo sinonimo di varietà e di estrema libertà: è anche provvisorietà, precarietà e questo senso dell’equilibrio è indicativo di un certo modo di fare poesia. Non tutto è fluido e scorrevole a questo mondo. E la fuga o l’accettazione della realtà passano attraverso i generi e il lavoro stesso.
Ciò che può apparire convenzionale non è lontano dal vero, poi naturalmente l’elaborazione del testo può più o meno influire e il genere non istituzionalizzato è in una condizione da divenire variamente fruibile.
Non dobbiamo solo considerare le varie forme espressive come materie impure e neppure credere la “bellezza” contaminata sia meglio di quello che è. Se davvero l’arte è “perfettamente inutile”, come diceva Oscar Wilde, facciamo in modo che questa “inutilità” si spieghi nel suo senso originario. Che cos’è “la visone delle parole” se non un aspetto o addirittura l’essenza della multiformità, il poter vedere da altri punti di vista? Il senso della trasposizione, come nel film “Images”, un’opera notevole, almeno come visione delle idee. Una specie di realizzazione del desiderio della totalità, della visione “dell’altro” della duplicità dell’essere, delle molteplici prospettive.
Esemplare è un artista come Edgar Alllan Poe con l’attrazione del gorgo, della vertigine con le sue allucinazioni fantastiche, ma anche uno scrittore di genere, precursore del poliziesco e dell’horror. E tanto meglio se l’arte si ritrova nella tinta convenzionale del “giallo” col metafisico, artigianale Hitchcock, che con le sue ossessioni coincide col senso della caduta, nel vortice del film “Vertigo”, commento cadenzato dalla sua rappresentazione visiva e musicale.
Non so se tutto questo sia reale o venga superato dalla suggestione e dall’artificio. Dal punto di vista poetico il senso aereo che alcuni mi attribuiscono, il tendere a forme nascoste, forse addirittura cercare di rendere visibile “l’invisibile”, non è presunzione o una forma di ambizione, è comunque un concetto di estensione , un punto di vista prospettico, grafico. Un punto di osservazione “dall’alto”, come quello del disegnatore rumeno Saul Steinberg.
Concludo con questi miei versi da “Lezione al tratto”. Titolo non certo casuale:
“A voi delle case che v’intingete qui,/ vi parla Steinberg del labirinto:/ dal grattacielo “si vede senza essere visti”,/ diceva , la voce in sordina, spiegava il suo nascondiglio si disegni”.
Note
Il testo è tratto dagli Atti del convegno “Scritture Realtà . Linguaggi e discipline a confronto” tenutosi il 18 e il 19 novembre 2000 al Nuovo Spazio Guicciardini, via M. Melloni, 3 Milano.
La poesia “Lezione al tratto” è pubblicata su “Manovre”, Moizzi editore 1984.
@ Alberto Mari
Ma è proprio questo «fervido individualismo» che frega (anche) i poeti!
«Il mercato ha sempre rispettato la tradizione seguito criteri di leggibilità, di facilità di comprensione, di “vendibilità”, portando chi non rientra in questi canoni a una esasperazione della propria autonomia e individualità, dell’originalità a tutti i costi»?
Quelle che chiami «disperate imprese come la richiesta di attenzione che poi volere o volare sono sempre dirette verso il protagonismo» sono segno di subordinazione prima di tutto morale e intellettuale all’*esistente*, che nega proprio la possibilità di essere veramente *individuo* libero tra altri *individui* liberi.
Altro che «non c’è niente da scandalizzarsi in questo». Non possiamo giustificare tale corsa dei topi del «popolo più individualista della terra» verso la Falsa Individualità!