DIARIO/STOCOLOGNOM
Ieri bella serata alla “Casa in Movimento” con tanti ex compagni degli anni Settanta per guardare il filmato autoprodotto nel 1976 dall’allora Democrazia Proletaria di Cologno Monzese e restaurato dal gruppo “On the road again. Anni 70 a Cologno” (qui). Ma la memoria è una brutta bestia. Come sapeva bene Emily Dickinson, che scrisse: «Quando spolveri il sacro ripostiglio/ che chiamiamo “memoria”/scegli una scopa molto rispettosa/e fallo in gran silenzio./Sarà un lavoro pieno di sorprese -/ oltre all’identità/ potrebbe darsi/ che altri interlocutori si presentino -/ Di quel regno la polvere è silente -/ sfidarla non conviene -/ tu non puoi sopraffarla – invece lei/ può ammutolire te». E allora, proprio per invitare a lavorare seriamente in quel “regno polveroso”, ripropongo in forma di lettera aperta il succo del breve intervento critico che ho fatto in questa occasione. Rimando anche alla precedente riflessione sul tema della memoria del ’68 a Cologno (qui). Per finire, aggiungo il testo di un vecchio volantone del “Gruppo Operai e Studenti di Cologno” (datato 1971), che dovrebbe documentare il senso della mia critica (niente affatto “demolitrice”). Il volantone è suddiviso in punti per agevolarne la lettura on line. [E. A.]
Lettera aperta di Ennio Abate su un filmato del 1976
Cari/e amici/che, cari/e ex compagni/e
il filmato degli anni ’70, che abbiamo visto insieme ieri sera ci ha mostrato i luoghi “brutti” (rispetto ad oggi) di questa città e i volti di alcuni di noi fissati in istanti di furore o nella sventatezza orgogliosa dei giovani di allora. E un buon *documento*. In quanto tale prezioso, se interrogato a fondo e attualizzato.
I discorsi di accompagnamento politico delle immagini che scorrevano ritmate dalla musica e dalle canzoni di quegli anni, infatti, ci hanno ricordato con parole d’allora («Via la DC», «Fuorilegge il MSI» «Governo delle sinistre», «Democrazia proletaria») quanto ci siamo illusi e ingannati. E richiedevano un ripensamento critico severo, perché tutta la storia successiva è andata in altra direzione. Questo ripensamento, secondo me, è mancato ieri sera e manca – in generale – in tutti quelli che ancora si dichiarano di “sinistra”.
Sbrighiamoci a farlo. Non possiamo pensare – angelicamente – di essere ancora “gli stessi” di allora. Non possiamo tacere sulle divisioni già allora presenti in quelle aree politiche e culturali che chiamavamo “sinistra riformista” o “sinistra rivoluzionaria” o “nuova sinistra”. Né sorvolare sulle dolorose rotture che ci sono state. O sulla dispersione dei compagni di allora: chi ancora per un po’ in Democrazia Proletaria, chi nel PCI, chi nel femminismo; e ancora chi in Rifondazione, chi nei Verdi, chi in Forza Italia o ora nel M5S o nell’isolamento dei “cani sciolti”. No, non possiamo sceglierci il pezzetto di storia degli anni ’70 che a ciascuno/ è piaciuto di più e conservarlo come una reliquia o un amarcord privato o di piccolo gruppo amicale chiuso in se stesso. Dobbiamo rileggere quella nostra storia a partire dalla realtà di adesso. E ragionare su continuità e discontinuità rispetto ad allora rispondendo con onesta alla semplice domanda: Chi eravamo (e cosa volevamo)? Chi siamo (e cosa ancora vogliamo)?
Avevo già dato le mie risposte a queste domande quando ci fu il primo nostro incontro (23 giugno 2018) nel luogo (Via Don Giudici) dove sorgeva l’ex Circolo “La Comune”. Attendo le vostre risposte. O quantomeno critiche o precisazioni.
Ciao
Ennio
P.s.
Del mio intervento (troppo lungo?) del 23 giugno 2018 stralcio per comodità i passaggi principali:
1.
« Secondo me, dunque, per una celebrazione critica del ’68 , è onesto e d’obbligo ricordare e ragionare su tutti e tre questi ’68; e seguire i loro rivoli successivi e separati. Non mi va chi si sceglie o si ritaglia un ’68 «innocente» e solo «libertario» rovinato dalla “strumentalizzazione” dei gruppi extraparlamentari (AO, Pdup, LC). Non mi va chi si sceglie o coltiva nella memoria un ’68 tutto «democratico» e «costituzionale», «non violento» e immagina che sarebbe continuato a scorrere – evoluzionisticamente, senza conflitto – come un placido fiume verso un futuro di democrazia progressiva e poi socialista, solo se non fosse stato inquinato dai miti dell’assalto al cielo o della Resistenza o del ‘17 russo.».
2.
«Quel movimento, sbocciato nel ’68 e che in Italia durò fino al ’78, fu composito. Anche qui a Cologno. Ci furono in una prima fase quelli che vennero calamitati dal «Gruppo Operai e studenti» e poi scelsero di stare – più o meno convinti – con la sezione di «Avanguardia Operaia». E, più tardi spuntarono quelli del «Circolo La Comune» di Via don Giudici, che volevano “cambiare la vita”, interessati soprattutto alla rivolta antiautoritaria, alla rivoluzione sessuale, alla nuova musica. Per me fu sempre in primo piano il «progetto rivoluzionario». Da costruire ragionando sia con i lavoratori (e a Cologno i lavoratori erano come me – cosa non trascurabile – immigrati) sia con gli studenti. E più tardi con le femministe o – malgrado la distanza d’età che ci separava – con i giovani del «Circolo La Comune».
3.
«Difendo certamente il mio ‘68 di lavoratore-studente e, fino al ’76, di militante di AO. E lo ricordo e ripenso senza piangermi addosso né cancellare quel po’ di felicità assaggiata, ma non posso non chiedermi in quale contesto oggi lo dovremmo celebrare. E non vedere che, come nel ritratto di Dorian Gray, esso si presenta col volto di una sirena invecchiata e che l’«adesso» ne è di fatto la completa negazione».
4.
«Da questo punto di vista cosa noi, che abbiamo avuto la fortuna o la sfortuna di assistere a ben cinque decennali del ’68, dovremmo celebrare? Quasi nulla. Non so voi, ma io ho preso atto nel tempo della dispersione di quel «noi» che pur avevamo costruito e in questa città aveva smosso qualcosa. Molti ex compagni di allora sono andati nel PCI e poi nei DS e poi nel PD. Altri coi verdi. Altri con Berlusconi. Altri si sono isolati. La libreria Celes ha resistito e poi ha dovuto chiudere. L’Associazione culturale Ipsilon è stata un cenacolo catacombale di “intellettuali” ignorati o malvisti. Le mie rivistine o i miei «samizdat» hanno avuto, nel migliore dei casi, circolazione amicale. Posso riconoscere che i tanti «io», venuti fuori da quel «noi» – dal bozzolo iniziale del Gruppo OS e dall’apprendistato politico di AO – abbiano fatto, a Cologno o altrove, cose anche buone o ottime. E che semi di quel ’68 ribelle, aperto al mondo e ai bisogni dei proletari o dei poveri, abbiano continuato a germogliare: nel privato, nelle professioni intraprese, negli stessi partiti a cui gli ex sessantottini hanno aderito. Ma a me non va di celebrare il ’68 – neppure quello minuscolo di Cologno – tacendo e sorvolando su quel «di più» immaginato e tentato allora. E oggi completamente perso di vista. E sono certo che, se – per miracolo – potessimo ridiventare un attimo quel «noi» d’allora, non approveremmo gli «io» o i «noi» che oggi ci siamo adattati ad essere. Lo slogan più vero del ’68 fu «ribellarsi è giusto». Ma ribellioni di quella intensità e vastità non ce ne sono più state. Se dovessero, chissà, spuntare, è consigliabile tenere a mente le istanze di tutti e tre i ’68 che ho appena evocato».
VOLANTONE DEL GRUPPO OPERAI E STUDENTI DI COLOGNO (1971)
DA “GLI AMICI DEL CIRCOLO LA COMUNE” A “POLISCRITTURE”
Antonio De Pasquale
Purtroppo, avrei voluto essere lì ieri sera, ma impegni familiari mi hanno bloccato… Sarà per la prossima volta…
Ennio Abate
Ma le questioni che ho posto nella lettera aperta? Non te la senti di rispondere?
Antonio De Pasquale
beh, sul “come eravamo “ allora non ho grandi cose da dire. Stimolanti furono “quegl’anni, le esperienze vissute, il “clima” coinvolgente, le “gratitudini “ verso AO, perché ci abituava a ragionare sulle questioni, cercando di dare “soluzioni “. Di certo, il “giro “ di persone che vi era a Cologno, in quel periodo, ha aiutato molto. Poi, le strade, per quanto “parallele” sono state, via via , foriere di “altre” esperienze,( sindacali), nel mio caso, ma ad esser sincero, non mi hanno granché cambiato dentro. Ho sempre la stessa voglia di ribellione alle ingiustizie della politica lercia. Oggi “sono “ però un po’ meno … “distaccatamente deluso “ e ciò perché vedo sempre meno “elementi di ribellione “ nelle nuove generazioni. In ciò assegno buona parte di responsabilità alla mia/nostre generazioni che, probabilmente, non abbiamo saputo trasmettere abbastanza la voglia di giustizia e ribellione. Certamente le classi dominanti hanno saputo sconfiggerci su tutti i terreni; politico, sindacale e culturale. Si, credo che per certi versi abbiamo vissuto esperienze dolci, belle ed irripetibili (anche se spero, su quest’ultimo concetto, di sbagliarmi). Oggi manca un Partito con una grandissima “dirittura” morale e politica che sia in grado di intervenire su molteplici pedaliere. Manca anche una serie di “esempi” a cui riferirsi, ( cosa che noi, “allora”), abbiamo avuto la fortuna di avere e che ci hanno dato “carburante “ per favorire l’impegno individuale. Oggi , sul come siamo,… la “veggo buia”… Mancano tanti tasselli e, se a ciò ci aggiungiamo l’anagrafica…beh, non c’è da stare allegri. Con la stessa intatta voglia di “ribellione “ , e con l’intento di passare presto a trovarvi , ti abbraccio forte. Ciao Tonino
Ennio Abate
Provo a replicare. Sulle «nuove generazioni» non dico nulla di definitivo. Le impressioni più diffuse sono quelle che a cui fai cenno («vedo sempre meno “elementi di ribellione “ »). Ma sono impressioni. La realtà che cova sotto le ceneri chi la conosce? Dove sono le inchieste serie per confermare che, sì, non esistono più tra i giovani “elementi di ribellione”? E prima del ’68-’69 i vecchi di allora non pensavano che i giovani s’erano addormentati? E non videro poi d’improvviso scoppiargli tra le mani un movimento imprevisto e incomprensibile (per loro)?
Ma in questa occasione il mio discorso è mirato a noi vecchi (“l’anagrafica” come dici tu). A me pare che quello che abbiamo perso oggi sia proprio l’abitudine a « a ragionare sulle questioni, cercando di dare “soluzioni “», come facevamo in AO ( e altri facevano in altri gruppi o partiti, compreso il PCI).
Sì, sulle *questioni* (e ce ne sono tante oggi, proprio come allora).
Se, invece,ci fermiamo alle esperienze, come un po’ tutti ormai f anno, possiamo trovarle «dolci, belle ed irripetibili» o averne nostalgia. Più oltre non si va, purtroppo- Cioè non torniamo – appunto – mai a *ragionare sulle questioni*. E non è in vista nessun Partito che ci rieducherà a ragionare su di esse. Dobbiamo farlo – da soli o, se possibile, ancora in piccoli gruppi – con uno sforzo di volontà. Dobbiamo decidere di farlo. Altrimenti continueremo a rimanere dei sonnambuli che, come è successo ieri sera, possono anche incontrarsi, salutarsi, guardarsi assieme un filmato sulla loro giovinezza, ma al momento in cui si dovrebbe ragionare sul loro passato o su questo presente. tacciono. Davvero non hanno più niente di veramente importante da dirsi? O temono di scuotersi da questo “dolce” sonnambulismo?
Nella riproduzione ingrandita del volantone manca una parte del punto 5 (Le posizioni della DC e del Psi), che si riesce a leggere nella foto in testa all’articolo, riproducendola col copia e incolla in un file a sé e ingrandendola.
Grazie Luciano. Ho aggiunto la prima parte del punto 5 che era saltata.
PER CONFRONTARCI SUGLI ANNI ’70
Pubblico questo scambio di mail tra Antonio Tagliaferri e il sottoscritto avvenuto all’indomani della serata del 12 aprile alla “Casa in movimento” di Cologno.
1. ANTONIO TAGLIAFERRI A ENNIO ABATE:
Caro Ennio,
quello che scrivi nella mail chiarisce meglio il tuo pensiero perché francamente l’intervento di venerdì sera è apparso a molti dei presenti molto drastico e “distruttivo”.
La serata (una bella serata!) ha avuto soprattutto un merito: far incontrare alcune decine di persone (molti non si vedevano tra loro da anni) che hanno condiviso un tratto più o meno breve della propria vita. Non c’erano soltanto i protagonisti di quell’esperienza ma anche un certo numero di giovani e meno giovani che del Circolo La Comune, di AO, DP e degli anni ’70 a Cologno (e in Italia) ne hanno solo sentito parlare o letto cronache e libri.
Non a caso gli interventi più positivi sul filmato sono arrivati proprio da questi ultimi.
L’esito dell’iniziativa non era scontato e poteva limitarsi ad essere un “raduno di reduci” che ricordavano gli anni della giovinezza.
Era importante riproporlo perché (e le cose dette venerdì sera lo dimostrano) può aiutarci a stimolare riflessioni e contributi utili a raccogliere documenti, testimonianze, riflessioni che vogliamo mettere insieme per ” rileggere quella nostra storia a partire dalla realtà di adesso” (sono le tue parole).
Tu attribuisci al filmato un significato che non poteva e non voleva avere. Dentro quelle immagini e quei testi non c’è infatti l’analisi dei movimenti rivoluzionari e della lotta di classe di quegli anni. C’è – più semplicemente – uno spaccato della lotta politica a Cologno e in Italia descritto attraverso le lotte portate avanti e di cui siamo stati protagonisti e c’è l’indicazione di una prospettiva politica, “il governo delle sinistre”, che si rivelò impraticabile ma che nasceva dalla lettura del colpo di stato in Cile contro Allende e dal tentativo di contrapporre una strategia politica al compromesso storico teorizzato dal PCI. Noi credevamo in quelle idee ed eravamo convinti delle nostre azioni.
Condivido la tua proposta di ragionare su continuità e discontinuità rispetto ad allora ma, come hanno scritto nel post della Casa in Movimento pubblicato ieri, speriamo che sia l’inizio di una discussione in cui si inserisce anche il lavoro che abbiamo avviato. E’ da questo percorso che possono venire le risposte al ” chi eravamo… e chi siamo…”. Aggiungo però che queste risposte si trovano anche in quello che fanno oggi molti dei presenti alla serata: lavoro nelle associazioni, impegno su vari fronti (antifascismo, migranti, questioni sociali,….). Devi riconoscere che quel poco che a COLOGNO si fa e si organizza contro la giunta “fascio-leghista” viene da qui.
Come ho fatto venerdì sera, sottolineo gli aspetti più importanti di quel filmato:
1) Nelle immagini si vede Cologno com’era in quegli anni brutta e fatiscente, con i casermoni e le periferie desolate. Ma si vedono anche le persone che lottano nei quartieri, in fabbrica, nelle scuole. E’ una testimonianza utile perchè trasmette valori di solidarietà, di obiettivi collettivi e documenta come l’esperienza politica di DP (che a Cologno poi si identificava con AO) fosse fortemente radicata tra i proletari e i sottoproletari (come si diceva allora). C’era un forte legame fra noi giovani rivoluzionari e i vari soggetti sociali che partecipavano alle lotte (operai, donne, genitori, giovani studenti). Un legame che nasceva anche dal nostro essere figli di immigrati meridionali arrivati al Nord e sradicati dalla società contadina del SUD. Ricorderai che c’è stato un periodo in cui avevamo messo in piedi Comitati di Quartiere molto partecipati in molte zone di Cologno. Secondo me c’è tanto da rileggere e da attualizzare di quell’esperienza.
2) Nelle immagini ci sono i volti di molti di noi. Si vede come eravamo e cosa facevamo. Tu sai benissimo, forse più di tanti altri, quanto totalizzante fosse allora la militanza politica. E’ stato ricordato l’altra sera che si andava a scuola (o in fabbrica) e poi al Circolo La Comune (o al Centro Studi a ciclostilare e fare riunioni). C’era un coinvolgimento totale di passioni, desideri, affetti, amori, rabbia che si fondeva con l’attività politica e l’organizzazione delle lotte. Almeno fino a un certo punto (1976-77). Da questo punto di vista il filmato è uno spaccato delle storie di vita di tutti noi. Non mi sembra da buttar via o da rinnegare (chi lo ha fatto venerdì sera non c’era!). Credo che molti di noi hanno riversato l’esperienza di quegli anni nel lavoro, nel modo in cui hanno costruito e vissuto le relazioni familiari (ancora in essere o finite) nell’educazione dei figli (ieri sera c’erano anche i ns figli). Se oggi abbiamo dei valori e dei punti di riferimento solidi nella vita e nelle relazioni lo dobbiamo anche alle esperienze maturate in quegli anni. Tanti di noi non sarebbero diventati quello che sono oggi senza aver fatto quelle cose. Certo, questo è l’aspetto più personale e individuale, ma in un mondo come quello attuale fatto di individualismo, razzismo che avanza e tante altre cose negative avere un retroterra culturale e morale che ha le radici ancorate in quegli anni per me è una bella cosa.
Abbiamo lanciato un sasso nello stagno. Dobbiamo proseguire e vedrai che qualcosa di costruttivo verrà fuori. Se non altro chi continua a fare politica e a battersi contro il “sonnambulismo” troverà nuovi stimoli.
Cordialmente,
Antonio
2. ENNIO ABATE AD ANTONIO TAGLIAFERRI
Caro Antonio,
Condivido pienamente gli aspetti positivi della serata alla Casa in movimento che tu sottolinei: «un merito: far incontrare alcune decine di persone»; «importante riproporlo perché (e le cose dette venerdì sera lo dimostrano) può aiutarci a stimolare riflessioni e contributi utili a raccogliere documenti, testimonianze, riflessioni»; «Abbiamo lanciato un sasso nello stagno»).
Su un punto, però, penso che ci sia un equivoco o non ci capiamo: non ce l’avevo col filmato. Quello – concordo e l’ho anche detto – è un documento («uno spaccato della lotta politica a Cologno e in Italia») di qell’anno preciso ( 1976) e io come tale lo considero.
La mia “delusione” (cosa diversa da un intervento “distruttivo”, ma prendo atto che altri hanno sensibilità diverse dalla mia …) era/è per l’assenza ancora oggi (2019) di una approfondita lettura storico-politica sugli anni ’70. Che, a mio parere, avrebbe dovuto essere premessa al filmato.
So che è difficile da farsi. E non solo nel nostro gruppo “On the road again. Anni ’70 a Cologno” a cui volentieri partecipo, ma in tutti i frammentati resti della “sinistra colognese” che si guardano in cagnesco (tra l’altro ancor più ora in vista delle elezioni del 2020). Ma a me pare indispensabile. E, siccome tu qualche cenno in proposito lo fai, ne approfitto per confrontarmi in questa almeno con te. (Vedranno gli altri se sarà il caso di parlarne assieme o di lasciar perdere).
Due forse sono i punti sui quali non concordiamo: – il giudizio su quella « prospettiva politica, “il governo delle sinistre”, che si rivelò impraticabile»; – il silenzio sul dopo, sull’interruzione/dirottamento subita dalla nostra militanza politica a Cologno diciamo tra 1977 e 1978.
Tu pur riconoscendo l’impraticabilità del “governo delle sinistre». sembri credere che quella ipotesi (avanzata prima da Lotta Continua e poi ripresa anche da AO e dal cartello elettorale di DP) fosse ragionevolmente motivata dal colpo di stato in Cile. Evento che suggerì al PCI di Berlinguer il compromesso storico e gli diede lo spunto per rilanciare la tradizione togliattiana di unità nazionale, stoppata proprio dagli eventi del ’68-69 e dal sorgere di una ipotesi di un partito “concorrente” alla sua sinistra (sinistra rivoluzionaria o nuova sinistra).
Ma la proposta del «governo delle sinistre» era già troppo fragile per fermare il compromesso storico. La sua debolezza si vide subito dopo. E non tanto nella sconfitta elettorare di DP, ma nello smarrimento politico di tutta la nuova (o rivoluzionaria) sinistra. Che da allora in poi fu mano mano sempre più tagliata fuori dal movimento del ‘77 e rimase sempre più dilaniata dallo scontro ormai apertosi tra il PCI arroccato nella sua ricerca del “compromesso storico” e il lottarmatismo che volle giocare il tutto per tutto. Fino all’ultimo atto tragico del rapimento e dell’uccisione di Moro, che avviò a valanga il crollo di tutta la sinistra.
Io credo che la nuova sinistra si fece trascinare nel baratro, aperto però dalla scelta del compromesso storico, che spazzava via tutto quanto si era costruito in direzione opposta ( e il filmato ne è una prova!) aggrappandosi proprio al PCI e contrastando le Brigate rosse come “fascisti”.
Non so se si poteva evitare quest a conclusione che ha spezzato anche le nostre militanze ( e forse anche le nostre vite e ha portato lutti e morti). Ma so che l’autonomia della nuova sinistra e della stessa AO dal PCI non ci fu. Ancor meno, dopo la scissione di Rocca di Papa, nel “salvagente” DP, che poté solo vivacchiare sotto le ali del PCI accompagnandone stancamente il suo canto del cigno.
Sui problemi di quegli anni ho cercato di riflettere. Da solo, purtroppo. Perché le nostre strade si sono separate. Non dubito che « molti di noi hanno riversato l’esperienza di quegli anni nel lavoro, nel modo in cui hanno costruito e vissuto le relazioni familiari (ancora in essere o finite) nell’educazione dei figli (ieri sera c’erano anche i ns figli)». E certamente, « tanti di noi non sarebbero diventati quello che sono oggi senza aver fatto quelle cose». Ma si tratta – come tu ben precisi – di percorsi personali e individuali. Siamo cioè stati amputati o ci siamo dovuti strappare al *noi* che stavamo costruendo e ridurci o all’isolamento o a riconoscerci (da militanti o da elettori) in altri tipi di *noi* (il PCI ad es; o i Verdi, ecc.) che prima contrastavamo. Sì, ragioniamo, se possibile e con chi ne ha voglia (perché non mi sento di imporlo a chi non vuole) su continuità e discontinuità rispetto ad allora.
Ciao
Ennio
P.s.
Ti allego uno scambio tra me e Franco Calamida [consultabile su Facebook qui: https://www.facebook.com/franco.calamida.9/posts/10215841893273098%5D avvenuto sulla sua pagina di FB. Ha molto a che fare soprattutto con il secondo punto (il silenzio sul dopo), importante però per capire meglio anche il buon o e l’illusione del prima.
Caro Antonio,
giusto per precisare. Ad un certo punto, scrivi: “il filmato è uno spaccato delle storie di vita di tutti noi. Non mi sembra da buttar via o da rinnegare (chi lo ha fatto venerdì sera non c’era!).”
Venerdi sera non c’ero per ragioni personali e familiari, ma per quanto mi riguarda non ho mai rinnegato e non rinnego la sostanza di quell’esperienza. Ho ragionato spesso su quegli anni e, in alcune occasioni , ho anche scritto. Sul mio Sessantotto, ad esempio, chi lo desidera può leggere un mio intervento pubblicato l’anno scorso sul blog di Poliscritture e de “La Poesia e lo Spirito”. Su ciò che ha significato, invece, per me l’esperienza di militanza in AO ho scritto nel marzo del 1981 una lunga lettera indirizzata a Rosa Turi e ad Ennio Abate. E’ una lettera privata, inedita, di 33 pagine che sto rileggendo in questi giorni (insieme ad altre carte e documenti dell’epoca)proprio per contribuire al dibattito che state svolgendo e che seguo con la necessaria attenzione. Comunque, ho anche scritto nel settembre 2011. L’articolo si intitola: “In mare aperto: tra revisioni e revisionismo” ed è stato pubblicato su Poliscritture…
Questo per dire che non mi sento per nulla estraneo o disinteressato alla discussione in corso.
Ciao
Donato