Tanta poesia, nei secoli, può essere ripercorsa proprio passando in rassegna i diversi tentativi di sistemazione dell’esistenza, attraverso un criterio privilegiato. Ad esempio, il censimento monologante di Spoon River, il salterio di Rilke, la fonoteca di Zanzotto, le Sacre Rappresentazioni (limpide o barocche) di Testori, il cinegiornale di Pasolini, la collezione di cartoline di Ungaretti, le partiture seriali di Sanguineti: ogni poeta sceglie il suo modo di catalogare, chi l’erbario, chi il registro di classe, oppure la cartella clinica, il decalogo, il ricettario, senza contare i poeti che, da Brecht a Magrelli, hanno usato proprio la parodia di forme e generi per archiviare il secolo e il mondo. In un testo chiave, Décadent, Nigro esplicita con cita con chiarezza i limiti di un simile esercizio.
Lascio ad altri l’ossessione tassonomica l’ordine delle cose per sentirsi in pace e il controllo sulla morte
Sul rapporto con le cose e la loro posizione nel cosmo, una poesia come Archivio è paradigmatica, per capire cosa conservare e perché no, così come Le cose belle di sempre (La dispensa) ci regala un limpido elenco di quello che ci fa bene ed è da salvare, con la memoria e con la poesia. «Ogni cosa mi istruisce sulle distanze / tra la piccola storia / e l’infinito», sigla Notturno breve.
(dalla prefazione di Stefano Serri)
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Archivio
Conserviamo date, pezzi di spago scatole di dolci vuote e biglietti perché anche il dolore esige una documentata precisione, resistente al tempo e all’umana distrazione.
Affinché ogni data diventi spina per pungerci quando sembreremo felici, ogni pezzo di spago un nodo che ci tenga legati al passato, una scatola vuota della dolcezza che fu per quando saremo pieni di false gioie, e biglietti di sola andata per l’aldilà.
Le cose belle di sempre (La dispensa)
E prima di partire faccio scorta di immagini e di vento di stelle sorgenti di colori e ronzii nel silenzio dell’angolo, riempire occhi e mente con strade deserte foglie morenti frutti appesi al tempo e la voce di lei che mi raggiunge nell’assenza.
Nuvole nere incombono sulle cose che cambiano spinte dai primi sospiri autunnali, non ancora decisi nel dire addio a quest’estate maledetta.
Fanno bene all’anima il suono lontano di una campana i monti definiti dall’ultima luce il saluto di un amico che studia la psiche le comuni radici a cui bisogna ritornare il vecchio e il suo cane in cerca degli anni perduti sotterrati chissà dove come ossa di storie sbiadite le zolle marroni di terra arata che presto accoglieranno sementi di futuro.
Osservando una ghianda nel palmo della mano rivedo il giovane che non divenne rinomata tavola di quercia tarlata dagli obblighi ma agile desco per frugali banchetti su cui bere vino e fare versi.
Prima di partire in avide dispense metto da parte le cose belle di sempre, per gli inverni che non tarderanno.
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Grazie a Ennio Abate per l’ospitalità su Poliscritture!
* “… In un testo chiave, Décadent, Nigro esplicita con chiarezza i limiti di un simile esercizio…”