#14 Non avrei mai smesso di... eh, l'ipocrisia in un avverbio
se fossi di piombo peserei le parole con maggiore precisione ma le leggi della fisica non mi rispondono più avvisto simboli nel cielo che è un brano sincopato e la giusta postura si adegua all'inclinazione dell'asse terrestre ho della sabbia tra le dita dei piedi – che agognano baci – forse sono stato in una clessidra, oppure sulla luna
sto vibrando in lampi onirici ero una foglia d'acero, oppure di castagno, o di frassino non ho capito, non ricordo, non so ho visto la Guernica in un centro sociale la bottiglia mi amava e io amavo lei in un dramma che ci bastava per risorgere più forti delle scosse del tormento e Marlene Dietrich era un transessuale che cantava desideri di miele dalle pagine di una rivista anarchica mosse dalla sua voce d'avanguardia crepitavo – di eresie ustionanti – e sto masticando lampi onirici mentre le stratificazioni chimeriche si schiudono parlavo in una lingua che non è la mia lei era una grondaia e si lagnava... forse
ci rompiamo le ossa a forza di stiracchiarci con i visi ancora accartocciati appassiranno quei pensieri che non abbracceremo al nostro risveglio, di frastuono immateriale sospinti dai riverberi intransigenti di nature primitive che non ci perdoneranno
più tardi le dirò qualcosa che non sa ma non fra questi stralci confusi... non ora.
Qualcosa che non sai
Mi sveglio in un deposito di allusioni nell'occhio di un ciclone allegorico sulla cima di un monte capovolto in un treno che viaggia a ritroso nei calcoli cibernetici, nell'Iperuranio su un vassoio rinascimentale, in Portogallo in spontanee contaminazioni sessuali sull'ideale ricerca d'autonomia poetica negli abbracci rifiutati, tra le separazioni radicali sui dispetti dell'istinto e in ogni prova contraria ma non voglio parlarne. Cerco parole sin dal primo rumore di ciglia nei monumenti psicologici non ancora inabissati nei sobborghi filosofici in lotta con l'isolamento nelle brezze che suonano un melodico weltschmerz nell'ozio fluttuante, negli assalti sintetici nei rapimenti sociologici, nei frammenti di timidezza nei telescopi puntati sulla storia di qualcuno in lei che spesso non dice niente viola di ametista nella parte peggiore di me, fra i ritagli dell'invidia nei fatti che (non) avvengono e nelle resse inumane ma non voglio parlarne. Dovrei dirti qualcosa che non sai stanare l'ignoto e rivelarlo, per te snidare dogmi, idoli, fenomeni e sotterfugi per fartene dono, nell'orgoglio che dilania abbattere muri, recidere tranelli e sciarade illustrare rivelazioni al rosmarino o alla cannella ma tu sei da qualche parte con qualcuno a far qualcosa oppure sei in nessun luogo da sola a far niente e io non voglio parlarne... non mi va.
Post Somnium - di Marco Corvaia. Casa Editrice: Edizioni Ensemble
Sinossi:
Post Somnium è una silloge di poesie (36) sul mondo onirico e sull'influenza che ha sulla vita cosciente, trattando il tema in modo personale, ovvero dal punto di vista dell'autore; è un progetto poetico nato da un'intima esigenza ed è stato stimolato dal momento della giornata più proficuo per l'ispirazione, la fase subito successiva al sonno, quando appena svegli le immagini, i suoni e le suggestioni prodotte dal subconscio nella fase REM sono talmente vivide da confondersi e fondersi con la realtà. Gli esseri umani dedicano al sonno un terzo della vita, per necessità biologica, e la raccolta difatti è divisa in tre parti: la fase che precede il sonno (addormentarsi), i sogni (in una selezione di quelli più comuni) e il rapporto con il mondo esterno (condizionato da quei sogni che lasciano specifiche sensazioni per molto tempo); sono tre condizioni differenti tra loro, così come lo stile dei componimenti. In questi versi non mancano riferimenti alla biologia, all'astronomia, alla fisica, alla matematica e all'arte; la scrittura filosofica si impregna di terminologie scientifiche, mescolando emotività a un forte spessore culturale. E tanti dei misteri di quest'opera vengono rivelati nell'ultima lunga lirica.