di Angela Villa
Nel buio minaccioso di una tana per topi, una trappola, un labirinto, vive un uomo a metà, una donna a metà, un Giano Bifronte. Il testo SCANNASURICE di Enzo Moscato (in scena per la prima volta al Piccolo di Milano dal 14/20 Maggio 2019. Regia Carlo Cerciello, Produzione Elledieffe, Teatro Elicantropo) è un flusso di coscienza, un lunghissimo pensiero che diventa parola, raccogliendo le parole dei vicoli, degli antichi racconti napoletani, delle vicende storiche, da Corradino di Svevia agli anni del terremoto del millenovecentottanta. Tutto rilanciato in uno stile
contemporaneo. Come nell’Ulisse di Joyce, Enzo Moscato descrive una parentesi di vita, l’ultima notte di un travestito che viva in una città senza bandiera e come unica patria, una lingua martoriata. Non più dall’alba al tramonto ma dal tramonto all’alba, in un magico rovesciamento che cattura e affascina lo sguardo dello spettatore. Con una parola scenica che scorre senza riposo, fra un luogo e l’altro, visibile e invisibile, fra luoghi reali e fantasmi mentali, Carlo Cerciello, coglie pienamente tutta la poesia e l’antropologia testuale di Moscato. La sua regia evocativa, dà vita ad una finta trappola, una finta casa, una finta tana, perché in questa cruda finzione scenica, ognuno possa vedere rispecchiate le proprie paure, i propri dolori, una discesa nell’inferno che tutti portiamo dentro. Una città invasa dai topi, dove uomini e topi convivono e si confondono, lottano per attribuirsi spazi di vita. Si parte da Napoli come città emblema che diventa simbolo metropolitano. La forza di questo lavoro sta nella dimensione del viaggio che tutti compiono, chi in avanti, chi a ritroso: il disegno delle luci di Cesare Accetta (dai lampi, ai lumini); quello dei costumi di Daniela Ciancio (dalla canottiera, alla pelliccia); i cunicoli scenografici di Roberto Crea; le musiche di Paolo Coletta (dalla sinfonia, alla nenia finale); i suoni di Hubert Westkemper (fra boati e rimbombi). Costruire uno spettacolo non solo come visione ma come organismo vivente, comporta un cambiamento fondamentale: lo spostamento dagli elementi base (testo, attori, luci, costumi, scene) alle relazioni tra i diversi elementi, fra i diversi racconti scenici. L’abilità della regia di Cerciello sta proprio nel tenere insieme i tanti singoli viaggi, producendo un unico viaggio metaforico, e metateatrale. Dalla piccola storia individuale, alla storia universale. Lo spettatore, immerso in questo cammino multiplo, può guardare dentro sé, se ha la forza e la voglia di farlo. Tutto si svolge all’interno di un labirinto per topi come quelli che utilizzava Burrhus Frederic Skinner, nei suoi studi sul comportamento. Skinner un giorno si pose una domanda: “Che differenze ci sono tra gli uomini e i topi?”, la stessa domanda che drammaturgicamente si sono posti Moscato/Cerciello. Lo scienziato costruì due labirinti identici, uno per i topi e l’altro per gli uomini, in ognuno c’era una ricompensa, dopo numerose prove la ricompensa venne eliminata. Che cosa accadde? Dopo una settimana, nessun topo entrava più nel labirinto, mentre molti uomini andavano ancora in cerca della ricompensa. Gli uomini non sono topi e i topi non sono uomini ma si può fare una considerazione importante: i topi sanno quando è il momento di smettere, mentre gli uomini continuano a ripetere lo stesso comportamento sbagliato. Anche il Giano Bifronte di Scannasurice, riflette su questo, lo dice parlando di sé, dei topi e della sua città. Fra gli uomini e i topi c’è una differenza sostanziale, i primi sviluppano credenze e convinzioni che determinano le loro azioni future, credenze e convinzioni che li tengono prigionieri, spesso vagano nei loro labirinti reali e immaginari senza mai trovare uscita. Oppure l’uscita è a portata di mano ma preferiscono non vedere, per ignoranza, per inedia. Gli uomini perseverano negli errori, ben sapendo come andrà a finire, perché sono alla ricerca non del paradiso ma dell’inferno, come sosteneva Freud. Tutto questo buio infernale viene affidato alla luminosa Imma Villa, capace di calarsi nei panni ora degli studenti che convivono con il travestito, (non si vedono ma sono continuamente evocati, simbolo di una cultura che non accetta le diversità) ora di una coppia di giovani sposi, ora dei topi. L’attrice attraversa le tante anime di una città. Si piega, scandisce con umiltà ogni arcaica parola, padroneggia qualsiasi tecnica gestuale espressiva, vocale…Dove risiede l’arte? Nella capacità di dominare la tecnica ma anche di saperla abbandonare per regalare un gesto nuovo. Si può uscire dal labirinto? Scannasurice ci prova, giusto il tempo di una passeggiata al chiaro di luna… per scoprire che la solitudine interiore, è specchio di quella esteriore. Che fare? Ritornare per sempre nell’inferno, perché nessuno uomo, si salva da solo, figuriamoci un uomo a metà, una donna a metà.
Milano, Piccolo Teatro Grassi, 14-19 maggio 2019
Imma Villa arriva al cuore delle persone e ci rimane paradossalmente con la sua innocenza limpida come una sorgente
Ho visto “Scannasurice” due o forse tre anni fa (non ricordo bene) a Roma e ne rimasi molto colpito. Il flusso verbale e sonoro è infatti alla Joyce, ma tutta la ricchezza che Angela Villa coglie in questo spettacolo –“organismo vivente”, non l’avevo colta. La ringrazio perciò per questa recensione; fra tante, la migliore che ho letto. Certo, scoprire che i nostri comportamenti sono meno “intelligenti” di quelli di un topo è sconfortante: «Fra gli uomini e i topi c’è una differenza sostanziale, i primi sviluppano credenze e convinzioni che determinano le loro azioni future, credenze e convinzioni che li tengono prigionieri, spesso vagano nei loro labirinti reali e immaginari senza mai trovare uscita. Oppure l’uscita è a portata di mano ma preferiscono non vedere, per ignoranza, per inedia. Gli uomini perseverano negli errori, ben sapendo come andrà a finire, perché sono alla ricerca non del paradiso ma dell’inferno, come sosteneva Freud.» Del resto, anche Leopardi mette in esergo a “La ginestra”, un versetto del Vangelo di Giovanni in cui si dice che “gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce”…Insomma, non c’è rimedio!…Non immaginavo che Enzo Moscato, l’autore del testo, fosse così pessimista.