Nei dintorni di F.F.

Questo è un ricordo-omaggio veloce a Franco Fortini di due fortiniani eterodossi in saltuario dialogo su Facebook [E. A.]

Ennio Abate Quello a sinistra eri/sei tu con Fortini?

Adriano Barra Ero

Adriano Barra

7 giugno alle ore 08:46 · 

ARCHIVIO

“ 7 giugno 1988 – Che cosa non è la letteratura: non è la « conversazione » né la « sincerità » né il « dialogo ». Ti parlo ma non parlo a te. (La letteratura è sempre intransitiva?) Inoltre non guardarmi perché non c’è niente da vedere. (E se ti guardo non credere che ti veda) “.

Ennio Abate Da quando e’ cosi’?

Adriano Barra Da sempre, I suppose (Fortini non sarebbe d’accordo)

Ennio Abate Adriano Barra Infatti, questo tipo di letteratura che tu fai diventare la Letteratura lui la faceva cominciare dal romanticismo borghese, se ho ben capito la voce ‘Letteratura’ da lui scritta…

Adriano Barra Ennio Abate “ 7 settembre 1993 – « Come è noto non esistono che diari pubblici: e se non c’è motivo di vergognarsi delle parole scritte più di quanto si faccia di quelle dette, perché non scrivere quel che si dice, perché non accettare la leggerezza, l’improntitudine, o la serietà, di quanto si pensa e si dice in fretta, nella vita breve che regaliamo al giornale, al libro, all’incontro con un amico? Una conversazione val bene un articolo. […] Perché non scrivere quel che si dice? Devo correggermi: ci sono, in realtà, le cose che si dicono e quelle che si scrivono. Quando si scrivono le cose che si dicono, queste per¬dono, è ovvio, il carattere parlato, perché la scrittura, qualunque essa sia, non è una trascri¬zione, ma una tradizione, un sistema di referenze. Decidere di la¬sciar documento d’una lettura, d’una impressione, d’una conversazione val quanto crederlo degno d’una funzione pedagogica, val quanto pren¬dersi sul serio, laccio predestinato del dilettante. L’umiltà rinvia all’orgoglio. Per questo le note e i diari e gli appunti sono sempre, mo¬ralmente, postumi e si giustificano solo con l’opera omnia. Bisogna dunque confessar l’equivoco: la scrittura dell’appunto, la pubblica¬zione della lettera o della pagina di diario non hanno giustifica¬zione se non in due casi, quello di un eccezionale esperimento stili¬stico o quello del tentativo d’una conversazione. Il valore della conversazione consiste nel fatto che la presenza fisica fa risparmiare automaticamente (e magari ipo¬critamente) una quantità di pre¬messe, di precisazioni, e trova il suo rigore proprio nel rifiuto del rigore, nella vaghezza dei sottintesi; ogni conversazione, almeno in potenza, fonda un linguaggio iniziatico, un vincolo. Ora, da noi, è fortissima la cesura fra linguaggio specializzato e quello degli ar¬ticoli prefazioni; nel mezzo, fluttuano le conversazioni, le parole volanti. Rischiare di affidarne una parte al piombo (metter loro, come si dice, piombo nell’ala) può disegnare il profilo d’una solida¬rietà. Ma, certo, bisogna esser più d’uno, il monologo ostinato non può trovar grazia. » (Franco Fortini, Cronache della vita breve, 1954) “.

Ennio Abate Adriano Barra 

Specie nelle ultime righe dello scritto di Fortini che citi mi pare sia indicata la *premessa* per non ridurre la letteratura a «monologo ostinato», inevitabile o addirittura unica soluzione, quando si entra nell’epoca borghese dell’individualismo. 
Anche se il centro del discorso è sulla poesia, ti mando questo brano di F.F. che mi pare confermi la mia prima obiezione:

Effettivamente con la successione delle tendenze letterarie e delle tendenze culturali o, diciamo ideologiche, degli ultimi due secoli a partire pressappoco dall’età della Rivoluzione francese, la scrittura in generale e la scrittura poetica in particolare sono diventate uno strumento di introspezione, sono diventate una via alla ricerca della propria identità. Insomma ogni scrittura che non abbia delle finalità puramente pratiche, sembra guidare alla scoperta di se stessi: allora scrivere versi diventa, in misura minore, anche tenere un diario o scrivere delle lettere reali o immaginarie. Scrivere versi diventa un modo rapido, un modo economico e, ahimé, un modo illusorio di risparmiarsi una crescita psicologica o un trattamento psicanalitico. Per esempio è diffusa l’idea che le scritture poetiche private siano alcunché di gratuito che uno può fare o può non fare, invece ci si accorge che questa è la conseguenza del fatto che le classi dominanti a partire dall’inizio dell’Ottocento avevano investito la categoria degli intellettuali di quelle funzioni che erano state nei secoli precedenti propri della casta sacerdotale, e esaltarono all’interno di questi intellettuali i letterati e i poeti come dei portatori di qualcosa di particolarmente rilevante, libero, gratuito, sublime e hanno continuato a mantenere questa sorta di illusione attraverso l’educazione di massa, attraverso i media audiovisivi, nonostante che appunto l’educazione di massa e i media audiovisivi, l’industria culturale dei nostri tempi, abbiano tolto ogni mandato sociale, ogni compito collettivo al letterato. So benissimo che mi si dirà che questo non è del tutto vero. Certo, fittiziamente vengono mantenuti, ma vengono mantenuti con una funzione analoga a quella che hanno i corazzieri al Quirinale.

(da file:///C:/Users/pc/Documents/FORTINI%20NEI%20DINTORNI%20DA%202002/Scritti%20di%20Fortini/1993%20intervista%20Rai%20Educational%20Fortini%20%20cos’%C3%A8%20la%20poesia.htm)


10 pensieri su “Nei dintorni di F.F.

  1. Ossignur! Che declassamento triste della poesia! Quasi una bestemmia. Questo sig. BARRA fa il suo monologo e ci riesce perfettamente.

  2. Che piacere ritrovare trasmigrato qui Adriano Barra. Ma una cosa non mi è chiara: chi dei due, Ennio o Adriano, è il talent scout dell’altro?

    1. @ Roberto

      Conosci Barra? Che tipo! Ci siamo incrociati su Le parole e le cose. Poi ho cominciato a seguirlo su Facebook e a commentare (io su di lui) di tanto in tanto. Molti ricordi di cose anni ’50 e seguenti in comune nel nostro immaginario generazionale. E vicinanza politica all’ingrosso negli anni ’70. Era informatissimo sulla Siena letteraria (Fortini, Briosi, ecc.). Il talent scout sono stato io. Lui credo sia molto sospettoso verso il mio tipo di “fortinismo” e di blog a più voci. Ha un impianto “monista” e negli ultimi tempi s’è – come dice – troppo “romanizzato”.

      1. Lo conosco per il tuo stesso motivo (LPELC). Non avendo FB, lo leggo dove capita. Che tipo! (concordo).
        Ps.: Speriamo che tutta questa celebrità non gli monti la testa.

  3. “Ps.: Speriamo che tutta questa celebrità non gli monti la testa.”

    Nessun rischio. Di solito qui su Poliscritture le teste le smontiamo.

  4. Il plurale indefinito che smonta, non sono quindi teste? Le teste sono invece quelle smontabili. C’è una geografia: arrivano teste “qui” che saranno “di solito” smontate. Che arrivi un chi (non-testa) a smontare teste stanziali pare imprevisto.
    Ci sono frasi correnti che aprono spazi.

    1. Certamente, ci sono tante teste da smontare (=criticare) e rimontare, si spera. E mi pare secondario se siano “stanziali” o “di passaggio”. Ciascuno/a lo faccia come meglio crede questo lavoro. Attenzione, ci vuole. Specie quando le teste sono come quelle di Giano. Allora il problema è ancora più complicato.

    1. Appunto. E ciascuno/a controlli la sua e veda se e quanto la tiene aperta:

      Gli ospiti

      I presupposti da cui moviamo non sono arbitrari.
      La sola cosa che importa è
      il movimento reale che abolisce
      lo stato di cose presente.
      Tutto è diventato gravemente oscuro.
      Nulla che prima non sia perduto ci serve.
      La verità cade fuori dalla coscienza.
      Non sapremo se avremo avuto ragione.
      Ma guarda come già stendono le loro stuoie
      attraverso la tua stanza.
      Come distribuiscono le loro masserizie,
      come spartiscono il loro bene, come
      fra poco mangeranno la nostra verità!
      Di noi spiriti curiosi in ascolto
      prima del sonno parleranno.

      O l’ha chiusa a chiavistello appena qualcuno/a si è avvicinato/a e ha persino bussato.

  5. La porta è su una soglia, attraverso di essa si entra o si esce. Si può forzare, e può rinchiudere.
    Identifica due spazi, uno difeso e uno invaso: la poesia configura un oltre (oltre la porta) non visibile, ma contemporaneamente uno spazio attuale invaso. In questa idea di porta i due spazi sono identificati come valori, “bianco e nero”. Che possono anche scambiarsi. La storicità della poesia contrappone i due spazi come valori. La lotta prefigurata espone la prossima invasione/inversione dei valori.
    Però la porta richiama anche una soglia di aria, relativistica, che si attraversa nei due sensi con sostanziale “leggerezza”: la confessione cattolica configura i molteplici passaggi, quasi irrilevanti.
    Giano invece annunciava passaggi ben più determinati, la guerra, l’anno. I ponti nel loro duplice ruolo di confine.
    Il senso più forte della porta è un passaggio irreversibile.
    La porte en s’ouvrant laissa passer tant de silence
    Que ni les vergers ne sont parus ni nulle fleur
    Seul l’espace immense où sont le vide et la lumière
    Fut soudain présent de part en part, combla le coeur,
    Et lava les yeux presque aveugles sous la poussière

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